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Autore: Artemide12    03/02/2014    2 recensioni
Sono passati venticinque anni da quando alieni e MewMew combattevano sulla Terra.
Ora su Arret – il pianeta alieno riportato alla vita grazie all'acqua-cristallo – dominano forze oscure che hanno interrotto qualsiasi contatto con il resto dell'Universo e costringono l'intera popolazione a vivere nell'ombra, schiava dei suoi padroni.
Nel disperato tentativo di ribaltare le sorti del pianeta, i cugini Ikisatashi e gli altri Connect fuggono e atterrano sulla lontana e ormai dimenticata Terra.
Ma quanto può essere sicuro un pianeta lontano anni luce se nasconde il proprio passato?
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L'astronave atterrò silenziosa.

Ne scese solo l'alieno dagli occhi dorati.

«Gli altri?» chiese subito lei.

«Tart, Paddy e Mina sono messi male, mi dispiace, ci metteranno un po' a riprendersi, Straw si sta prendendo cura di Mina, ho paura che qualche organo interno possa essersi danneggiato.»

«Cosa?» urlò la donna in piedi accanto a lei.

I suoi occhi verdi si ridussero a due fessure per trattenere le lacrime e i capelli corti le si drizzarono sulla nuca.

«Che gli è successo? Avevate detto che non era pericoloso!»

L'alieno era davvero mortificato. «Io... mi dispiace, ma qualcosa è andato storto, lui era lì.»

«Lui?»

«Profondo Blu. Non so come facesse a sapere dove trovarci. La buona notizia è che ci crede morti.»

«Kyle?» chiese ancora la donna dai capelli neri scuri stringendo i pugni.

«Ha un polso slogato, era al volante, ma per il resto sta bene.»

«Tart e Paddy? Loro come stanno?» chiese lei.

L'alieno abbassò lo sguardo. «Sono interi, ma entrambi hanno preso una brutta botta in testa. Tart ha un trauma cranico e Paddy ha perso diverso sangue. Sono entrambi in coma farmacologico.»

«Dannazione,» sbottò lui «meno male che dovevi fare un lavoro semplice e pulito!»

«Non è colpa mia! Non potevo sapere che era lì. È spuntato fuori all'improvviso!»

«Ha ragione lui.» lo sostenne la donna dai capelli scarlatti. «Non è colpa sua.»

Lui si arrese alzando gli occhi al cielo.

«Ryan?» chiese la donna dagli occhi verdi.

«Lui è rimasto. Per ora.»

 

Socchiuse lentamente gli occhi.

Sentiva tutto il corpo intorpidito.

Gli occhi dorati furono investiti dalla luce.

Strinse le mani intorno al cuscino.

Mise a fuoco.

Il fratello era steso accanto a lei.

Era cambiato da quando erano partiti da Arret.

Ora anche i suoi capelli, oltre che i suoi occhi, erano diventati rosso fuoco.

Catron le accarezzò la guancia.

Aprilynne vide nei suoi occhi un velo di disperazione e si rese conto che il rosso non era dovuto solo alle iridi.

Aveva pianto.

«Cosa c'è?» sussurrò.

Catron si morse il labbro e distolse lo sguardo.

Cinse i fianchi della sorella e se la strinse al petto nascondendo il viso nei suoi capelli verde smeraldo.

Aprilynne si agitò, ma decise che era meglio andare per gradi.

«Dove siamo?»

«A casa di Kathleen.» le parole si susseguirono rapide e furono soffocate dai capelli della sorella.

«Catron?»

Non le rispose, ma sapeva che stavolta avrebbe risposto.

«Cos'è successo?»

«Hai dormito tre giorni. Io mi sono svegliato ieri.»

«No. Cos'è successo?»

«Raylene.» mormorò solo, le labbra che tremavano.

Aprilynne rimase alcuni secondi immobile, poi scattò a sedere sciogliendosi dall'abbraccio.

«Cosa?» urlò «Raylene cosa

«Lo sai cosa.» disse lui cercando di abbracciarla di nuovo.

«No!» lei si allontanò. «Non è vero!»

«Profondo Blu ha distrutto la sua forza vitale.»

«Non è vero!» ringhiò Aprilynne alzandosi dal letto e fissando il fratello.

Gli occhi dorati sembravano ambra liquida, avrebbe potuto sciogliersi da un momento all'altro.

«Invece è vero.»

«Lo hai visto? Lo hai visto con i tuoi occhi?»

«Io...»

«Rispondi!»

«No, ero già svenuto.» ammise il ragazzo «Ma Kathleen l'ha fatto.»

Aprilynne si fiondò fuori dalla stanza sbattendo la porta.

Dalla luce dovevano essere le dieci di mattina.

Kathleen era seduta a tavola, lo sguardo arancione fisso nel vuoto.

Pit e Opter erano a scuola.

«Kathleen Ikisatashi.» soffiò Aprilynne raggiungendola a passo di carica.

Si fermò di fronte a lei, dall'altra parte del tavolo e puntò le mani sulla superficie metallica.

La guardava supplichevole di sentire qualcosa che non fosse ciò che le aveva detto il fratello.

«È vero.» confermò la ragazza in un sussurro «Mi dispiace, davvero. L'ho vista.»

«No!» strillò Aprilynne ancora più forte. «Non può essere!»

«April...» cercò di calmarla il fratello raggiungendola.

«Non chiamarmi April! Solo Ray mi chiama April!»

«Lei...»

«No!» l'aria si increspò e Aprilynne sparì.

 

Il dolore ha strani effetti nelle menti delle persone.

Nella maggior parte dei casi porta caos e irrazionalità. Sconvolge azioni e pensieri stravolgendo il mondo in cui si vive e trasformando la realtà che ci circonda.

La screziata luce che indorava ogni giornata sembra lontana, crudele e illusoria.

Ma ogni mente è una caso a parte.

Una legge della fisica dice che ad ogni azione corrisponde una reazione, uguale e contraria.

Al caos esterno si scontrava l'appannata razionalità di Silver.

Era diventato una specie di automa.

Compiva meccanicamente ogni azione. Sembrava completamente assorbito nel compito di riparare l'astronave.

Aveva cancellato tutto il mondo circostante. Lo vedeva come attraverso uno spesso velo lo scuro e lo escludeva in quanto discordava con l'ordine maniacale in cui era sprofondato.

Ma in certi casi la razionalità non è meno pericolosa dell'irrazionalità.

Ad occhi esterni la sua poteva sembrare la reazione di un uomo forte.

Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.

In quel momento era più debole che mai.

Aveva costruito come un guscio intorno a sé stesso per impedire al dolore di sopraffarlo.

Perché lo temeva. Temeva di dover vedere il mondo sotto una luce diversa dalla solita, influenzata dal dolore.

Si era chiuso in una gabbia priva di sentimenti.

Ma questi non potevano scomparire. Non è nella loro natura. Si accumulavano, giorno dopo giorno, in chissà quale parte del suo animo, e, al primo spiraglio, lo avrebbero sicuramente abbattuto.

Solo Abigal, in quel momento, riusciva a sopportare la sua presenza.

In realtà la sfruttava. Tutto ciò che voleva era stare da sola. Silver non parlava più se non era strettamente necessario e tutti gli giravano alla larga. E lei rimaneva relativamente sola.

Le andava bene. Per il momento.

Gli altri si limitavano ad evitarlo.

Psiche, la sorella, l'unica che gli era rimasta, la imbottiva di sonniferi e tranquillanti.

L'unica a reagire veramente alla sua presenza era New.

Cominciava a strillargli contro ogni volta che lo vedeva.

Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.

Silver incanalava la rabbia della ragazzina che andava ad accumularsi con tutti gli altri sentimenti.

 

Aprilynne si materializzò nella camera dei tre fratelli – non era ancora disposta a definirli due.

Vi trovò solo Psiche.

Era seduta sul bordo del suo letto, con addosso solo mutande e canottiera.

Lo sguardo fisso nel vuoto.

«Psiche?»

Nessuna risposta.

Aprilynne le si avvicinò e le passò una mano davanti agli occhi.

La ragazza alzò lo sguardo apatico. Sembrava non esserci.

Aprilynne adocchiò i farmaci sul comodino.

Aprì la scatola e prese le pillole.

Le aprì e le buttò tutte nel cestino.

«Se andiamo avanti così diventiamo tutti dei rimbambiti.»

Nel bicchiere d'acqua di Psiche versò invece una bustina zucchero – prese in grande quantità dalla cucina di Kathleen. Lo lasciò sul comodino ed uscì.

La porta della camera di New ed Evelyn era socchiusa.

New stava armeggiando con dei legnetti e una tuta bianca.

«Che fai?» chiese.

New alzò lo sguardo e la studiò.

Dopo un lungo minuti di silenzio la dodicenne scrollò le spalle.

«Ho scoperto che l'arco di Aisha è fatto di un materiale stranissimo che ha una memoria tattile.»

Aprilynne alzò un sopracciglio.

«Prendi questo.» le disse passandole un bastoncino lungo quanto un braccio.

Appena la verde lo prese quello si afflosciò come fosse stato una corda.

«Ma cosa...?»

«Reagisce al mio tocco e diventa rigido. Succede lo stesso se prendi l'arco di Aisha, in pratica può usarlo solo lei.»

«Forte. E cosa vorresti farci?»

«Li sto agganciando alla mia tuta, guarda,» le mostrò il pantalone «si confondono con le cuciture, le ho mascherate.»

«Sì, ma perché?»

«Per usare i miei poteri perdo i sensi. In questo modo potrò rimanere in piedi.»

«Sicura che funzioni?»

«Certo ho già provato!»

«Devi usarli così spesso i tuoi poteri?» chiese Aprilynne domandandosi per la prima volta quali fossero i suoi poteri.

New strinse i pugni e si lasciò cadere sul letto.

«Avrei potuto evitarlo. So che avrei potuto. E invece non ho fatto nulla! Ho lasciato che le uccidesse. È colpa mia!» un singulto improvviso la scosse mentre alzava di nuovo lo sguardo.

La verde indietreggiò istintivamente.

Sentiva l'energia della ragazza che si propagava per la stanza.

La sentì mentre le entrava involontariamente nella testa.

«Smettila.»

«Scusa.» New si asciugò gli occhi con la manica. «Vedi? Ora riesco ad usarli tranquillamente, invece quando mi servono vado nel pallone. Non è giusto! È colpa mia!»

«Cosa?» chiese Aprilynne, la voce che le tramava.

New la fissò dritta negli occhi, come se potesse vedere dentro di lei.

«Evelyn e Raylene.» fece una pausa «Ti sei appena svegliata vero?»

Non era una vera domanda e la verde non le diede nessuna risposta.

«Non puoi eludere la realtà, Aprilynne. Puoi solo affrontarla.»

Aprilynne strinse labbra e pugni.

«Loro...»

«Loro? Aspetta... anche Evelyn?»

Lo sguardo di New si fece tagliente e rabbioso «Non te l'hanno detto?»

Fece per ribattere.

«Non negare, lo so. Lo vedo, lo sento. Ti hanno detto solo di Raylene. Che bastardi! Vi odio!»

«Tu... le hai viste?»

«Se le ho viste? Peggio! Le ho sentite! Ho sentito le loro forze vitali esplodere! È stato orribile!»

Aprilynne la raggiunse e si abbassò per avere gli occhi alla sua altezza.

«Tu senti quello che provo, vero?»

New annuì «Ma non quello che pensi.»

«Ma senti ciò che sono.»

Annuì.

«Ti sembro pazza? O irrazionale?»

Chiuse gli occhi.

«Pazza no. Irrazionale un po'.»

«Ma tanto da illudermi con una bugia?»

«No.»

«E allora perché non ci credo? Perché proprio non riesco a credere che Raylene sia morta?»

«Perché sei sconvolta.» rispose sicura New.

Aprilynne si morse il labbro tremante trattenendo le lacrime.

Scosse lentamente la testa.

Avrebbe voluto continuare a negare ad alta voce, ma dalle sue labbra serrate non uscì neanche un suono.

Lottò contro le lacrime che volevano sgorgare.

Afflitta dallo stesso dolore New poteva non solo sentire chiaramente ciò che l'altra provava, ma anche capirlo.

La differenza era che in Aprilynne la parta irrazionale era di gran lunga più influente di quella razionale. E quella era la parte che si opponeva testardamente alla verità, soffocando ragione e istinto.

Era come se dentro di lei fosse partito un campanello d'allarme che aveva creato una specie di blackout nella ragazza.

New si ritrovò a studiare la mente di Aprilynne con insolita curiosità.

Da quando si era rivelata poteva sentire a piacimento le emozioni di chi le stava intorno, ma per manipolarle doveva ancora perdere i sensi.

Ma non era questo il problema.

Cosa si era rivelata?

Ricordava quando era successo a Pit e Opter – loro erano davvero piccolissimi, ma tutti gli Ikisatashi avevano rivelato i loro geni animali molto presto.

Si erano sentiti doloranti e caldi per un paio di giorni, come se dovesse venire loro la febbre, e poi, all'improvviso, si erano trasformati in scimmie leonine.

Lei negli ultimi giorni aveva provato solo un insolito benessere generale.

Tutti questi pensieri l'avevano distratta.

Aprilynne era di nuovo sulla soglia.

«Tu non le hai viste.» borbottò.

«Fa così tanta differenza?»

«Per me sì.»

Uscì camminando lentamente.

Tutti gli altri Connect erano intenti a riparare la nave.

Ora che ci pensava, anche il buco nel muro nella camera di New – si sforzò di non aggiungere “ed Evelyn” – era stato sistemato.

Conosceva così poco Evelyn che non riusciva a provare nulla di particolare.

Si fece schifo da sola.

Due delle sue compagne erano morte e lei ne stava deliberatamente ignorando una, proprio come aveva fatto in vita. In fondo in fondo le sembrava giusto.

Ma che sto dicendo? Vergognati Aprilynne! si disse.

Era ciò che aveva sempre odiato di Silver, dare molta meno importanza alle vite dei ragazzi creati in laboratorio. Era profondamente ingiusto e sbagliato, lo sapeva bene.

Sua madre l'aveva messa in guardia da quei pensieri.

All'epoca non capiva.

All'epoca giocava e si azzuffava indifferentemente con Catron, Raylene, Abigal e Dalton.

Abigal e Dalton.

Li aveva sempre conosciuti insieme. Pensare anche solo ai loro nomi separatamente le sembrava impossibile.

Dalton è morto e me ne sono a mala pena accorta. E pensare che li trattavo malissimo. Ma era un gioco. A noi piaceva giocare.

Quasi stava per andare a cercare Abigal quando Silver le passò accanto.

Per un attimo le fece paura.

Aveva lo sguardo più assente che mai, si muoveva come un automa e non faceva che ripetere «riparare l'astronave» con il tono di chi è stato ipnotizzato.

«Silver?»

Il ragazzo si bloccò, come se si fossero incastrati gli ingranaggi.

Si voltò con estrema lentezza e studiò la ragazza a lungo.

Sembrava non riconoscerla. Più che altro non registrarla proprio.

«Silver? Ti sei rimbambito?»

Per un attimo rinvenne.

Nei suoi occhi passò un lampo di risentimento per essere stato svegliato e si voltò di scatto.

«Silver!» strillò la verde afferrandogli il braccio e costringendolo a girarsi.

«lasciami stare»

«Ma sei rimbambito? Che cosa pensi di fare? Girare per l'astronave come uno zombie?»

«devo riparla lasciami andare»

«Ma dove ti credi di essere?»

«non...»

Lo schiaffo che la ragazza gli mollò risuonò nell'aria.

Silver sgranò gli occhi, improvvisamente lucidi.

Si portò una mano sulla guancia con espressione meravigliata.

Aprilynne, per quanto risentita, parve riprendersi.

«Scusa.»

«Grazie.» sussurrò invece lui mentre si appoggiava con la schiena alla parete.

«Grazie? Ma ti è andato di volta il cervello? Ti ho appena dato uno schiaffo!»

Lui si lasciò scivolare contro il muro mentre il respiro si faceva affannoso.

«Dimmi di Raylene.»

Lui alzò lo sguardo «Cosa vuoi che ti dica?» urlò all'improvviso.

«L'hai vista?»

«Era davanti ai miei occhi.»

«E dov'è?»

Un'espressione stupita gli si dipinse in faccia «Lei ed Evelyn, dove sono?»

«A Evelyn ha pensato New.»

«E Raylene?»

«Lei è sparita. Il suo corpo. È sparito.»

«Cosa?»

«Io... non lo so, non riesco a pensarci.» abbaiò il ragazzo come volesse allontanare da sé le sue stesse parole.

Aprilynne prese un lungo respiro, poi si chinò fino ad avere gli occhi alla stessa altezza di quelli di Silver, ormai seduto a terra con la schiena ancora appoggiata alla parete e le gambe piegate.

«Che vuol dire che è sparita?»

Silver raccolse le forze per affrontare il suo sguardo.

Ma in quel momento erano uno più fragile dell'altra.

«L'ho vista. Ero chino si Abigal. E l'ho visto prendere la sua forza vitale. Lei è caduta a terra. E poi è scomparsa, come fosse fatta di fumo. Ma era morta. Morta. Senza più vita in corpo.»

Aprilynne non poté ignorare il fatto che Silver aveva parlato interamente al singolare, come se Evelyn non esistesse.

«Lo hai notato.» la vocina flebile di New li fece voltare entrambi.

Portava la sua nuova tuta.

Fissava Aprilynne. «Lo hai notato.» ripeté stupita e ammirata. Poi sembrò riprendersi. «Scusa, non volevo leggerti nel pensiero, stavo solo provando la tuta.» spostò lo sguardo improvvisamente rabbioso su Silver. «È inutile che ti faccia di nuovo la predica, tanto l'unico modo per fartela entrare in testa sarebbe usare i miei poteri.» rientrò in camera e si chiuse la porta alle spalle, sbattendola.

Aprilynne intanto si era raddrizzata.

«Dove stai andando?» chiese il ragazzo con un tono che tendeva pericolosamente per il neutro.

«Per me non è morta, finché non ho il suo corpo.» dichiarò la verde per poi allontanarsi.

Si andò a chiudere nella sala comandi, nella quale dormiva Nevery, nel suo solito posto.

Si sorprese nel trovarci anche Abigal.

Era seduta con le schiena appoggiata al mobiletto e in mano una bottiglia contenente un liquido scuro e frizzante.

Aprilynne si fermò sulla porta.

Abigal girò lentamente la testa verso di lei.

Il suo sguardo era docile, ma non spento. Sembrava... stanco.

«Sapevo che saresti venuta.» sussurrò.

«Come facevi a saperlo?»

«Tu vieni sempre da Nevery quando vuoi stare sola, ma non completamente. Lo faceva anche lui quando eravamo su Arret e tu ti addormentavi sul divano, proprio come un gatto.»

I loro sguardi si incrociarono di nuovo.

Abigal si spostò leggermente verso sinistra e fece segno ad Aprilynne di sedersi.

La verde non se lo fece ripetere.

«Tu invece hai smesso presto di fare avanti e indietro dalla tua camera a quella di Dalton. Ti ci sei trasferita... due anni fa?» si interruppe «Scusa!» scattò subito, dispiaciuta, ma senza alzare la voce.

Abigal mandò giù una sorsata di quel liquido frizzante «Ti direi che è bello sentirti parlare come se fosse ancora vivo, ma non so se è così o solo una odiosa svista.»

Aprilynne non rispose.

Rimasero al silenzio e al buio ancora per diverso tempo.

Quanto era passata dall'ultima volta che erano state così vicine senza insultarsi a vicenda?

«Che cos'è?»

«L'ho trovata nel frigo di Aisha, per loro è una normale bevanda frizzante, ma almeno a me fa qualche effetto... rilassante.»

Aprilynne si fece passare la bottiglia.

Coca cola. Chissà che significa.

L'assaggiò, ma non le fece nessun effetto particolare e la ridiede ad Abigal.

«Ti capisco.» disse all'improvviso la blu. «Neanch'io crederei che Dalton fosse morto se non avessi visto il suo corpo. O almeno non vorrei crederci.»

«Mi hai sentita?»

«Penso che ti abbia sentita tutta l'astronave. Hanno levato l'isolante dalle pareti e rimbomba tutto. Glielo volevo dare anch'io uno schiaffo a Silver, ma credo che poi saremo finiti a picchiarci sul serio.»

«Non gli avrebbe fatto male. Una bella azzuffata ogni tanto, non guasta.»

Abigal la guardò con espressione furbetta, forse sotto l'effetto della bevanda.

«Cos'è, una sfida?»

«Può darsi.»

«Se la metti così.» Abigal l'atterrò all'istante, ma la forza che ci mise era scarsissima e subito Aprilynne ribaltò la situazione.

Si rotolarono a lungo, poi rimasero stese a terra, sorridendo nonostante tutto.

«Avevi ragione, un'azzuffata non fa male ogni tanto.»

«Quella non era affatto un'azzuffata.»

«Allora, mi prenoto la prossima.»

«Per me va bene.»

Abigal si voltò a pancia in giù studiò l'espressione di Aprilynne.

«Conosci una Victoria?» chiese all'improvviso.

«Ikisatashi?»
«Anche, ma non per forza.»

«Viva o morta?»

«Indifferente.»

«Mia nonna. La madre adottiva di mio padre»

Abigal la guardò esterrefatta.

Si ristese a terra.

Come aveva fatto a non pensarci?

Cercò di immaginarsi la donna, ma non ci riuscì. Non l'aveva mai conosciuta, era morta proprio l'anno prima che Abigal “nascesse”.

Sapeva che era una bella donna, ed era propabile che avesse gli occhi blu e i capelli azzurri così come che li avesse di qualsiasi altro colore, ma era possibile che fosse identica a lei?

No, non poteva essere la ragazza dagli occhi color oceano e i lunghissimi capelli azzurri.

Che ci fossero due Victoria?

 

Le tirò via l'eleatico e le lunghe onde nere come il petrolio le ricaddero sulle spalle nude e intorno al viso da predatrice.

Gli occhi viola e intensi come sangue si avvicinarono ai suoi color del cielo mentre gli passava le mani tra i capelli biondi.

La baciò violentemente, ma lei ne sembrò più che soddisfatta.

I loro corpi si avvicinarono come fossero calamite.

Non c'era nulla di dolce tra loro, ma nessuno dei due lo cercava.

«Ti trovo in buona compagnia.» una voce maschile li vece sobbalzare.

Si allontanarono di scatto e lei, schiacciata contro il muro, per poco non cadde a terra.

Lui le si parò davanti, ma solo per coprirla, non certo per proteggerla.

«Che ci fai qui? Dovresti essere sulla Terra, come hai fatto ad arrivare?»

«Teletrasporto.» rispose tranquillamente Profondo Blu.

«Cosa?»

«I miei poteri, a quanto pare questa volta ci ho messo meno tempo a ricrearmi.»

«E perché sei qui?»

Lui si avvicinò con calma e decisione «Poi anche dire alla tua amichetta di rivestirsi, abbiamo da fare.» lo superò.

«È il capo delle mie guardie del corpo.» precisò il ragazzo dai capelli biondi.

«Oh, la tua amichetta sta facendo un ottimo lavoro allora.»

«Il mio nome è Caliane!» ringhiò la ragazza dagli occhi viola.

Profondo Blu le si avvicinò velocemente, il ragazzo stava recuperando i vestiti.

Lei si era rimessa la divisa da guardia del corpo.

«Beh, Caliane, io sono Profondo Blu, anche se probabilmente questo nome non ti dice niente come il tuo non dice niente a me.»

Si voltò e puntò verso la porta.

«So perfettamente chi siete, voi, piuttosto, dovrete preoccuparvi di chi sono io.»

Profondo Blu si voltò di scatto.

Fulminò il ragazzo biondo con lo sguardo, ma lui era altrettanto sorpreso.

«So anche il vostro nome, quello che rinnegate, quello che è morto con la vostra amichetta

Dalla mano di Profondo Blu si propagò un fumo nero e denso che si protese verso il collo della ragazza.

«Chi sei?»

«Il mio nome non vi dirà nulla, è vero. Ma il mio sangue potrebbe interessarvi di più.»

«Spiegati!» ordinò mentre il fumo si stringeva intorno al collo.

Ma il fumo divenne polvere, e come tale volò via.

«Sono la figlia della donna che vi ha ucciso già una volta, parecchi anni or sono, e da lei ho preso ogni mio potere.»

«COSA?» urlò Profondo Blu avventandosi sulla ragazza e afferrandola per il collo con una stretta più che salda.

Lei non si scompose minimamente.

Afferrò il suo polso e vi affondò le unghie.

Profondo Blu vide la sua mano raggrinzirsi e farsi scheletrica.

La ritrasse di scatto e quella tornò normale.

Fissò lo sguardo rabbioso sul ragazzo biondo.

«Risparmiati le occhiatacce, non ne sapevo nulla!»

Profondo Blu si voltò di nuovo verso la ragazza.

«Cosa vuoi?» abbaiò.

Caliane camminò per la stanza fino a recuperare la cintura con le armi.

Se l'allacciò in vita.

«Per vostra fortuna,» esordì con voce seducente «abbiamo un nemico comune.»

«Spiegati.» la esortò il ragazzo biondo.

«I ribelli. E non parlo dei terrestri. Sono tra la popolazione e aumentano di giorno in giorno.»

I due la guardarono senza sapere bene cosa dire.

Chi diavolo era quella ragazza?

«Non mi hai ancora risposto.» ringhiò Profondo Blu. «Cosa vuoi?»

Lei sorrise seducente rivelando un meraviglioso sguardo assassino.

«Potere

«Mi fa piacere sentire che siete diversa da vostra... madre

«Lei stava con gli Ikisatashi, è naturale che io sappia non poco sull'argomento. Sono una di loro.»

Profondo Blu annuì.

«Una buona alleata.» sentenziò.

«Ovviamente.» ribatté lei.

«Hai occhio per le donne con cui andare, Cavaliere.» commentò Profondo Blu «Ma ora abbiamo altro a cui pensare. Seguimi Cavaliere. E... Caliane...»

Li portò in una specie di laboratorio medico.

Su un tavolo da operazione c'era il corpo di una ragazza.

Il Cavaliere Blu sussultò.

«Ma è...» esitò. «Mew Pam.»

«La somiglianza è spiccata, vero? Ma non è lei. È la figlia.» Profondo Blu le scostò una ciocca di capelli scoprendo l'orecchio piccolo, ma appuntito.

«È incredibile. Aspetta. L'hai uccisa?»

Profondo Blu annuì.

«Ho distrutto la sua forza vitale, più morta di così.» un enorme sorriso gli attraversò il volto.

«Perché l'hai portata qui?» chiese Caliane.

«Loro, almeno per ora, sono gli unici ibridi esistenti. Dobbiamo capire di cosa sono capaci.»

«Perché? Non possiamo ucciderli e basta?»

«La Terra sta morendo. Gli umani sono pochi e non possono fare molto, ma c'è la possibilità che si rifugino nello spazio come ha fatto la nostra specie.»

«Perché non ucciderli tutti?» insistette la ragazza.

«Perché gli umani in sé possono tornarci utili, le loro menti sono deboli e le loro forze vitali facilmente sfruttabili. Il problema non sono loro, ma eventuali ibridi. Loro riescono a resistere persino a me. Prendi la sorella di questa ragazza, il chimero creato con la sua forza vitale aveva le sue sembianze e la sua mente ha continuato a funzionare, è riuscita a chiedere aiuto! I loro poteri possono quasi competere con i miei.»

«Potrebbe dipendere solo dal fatto che sono degli Ikisatashi.» ipotizzò il Cavaliere Blu.

«No.» rispose Caliane catturando di nuovo la loro attenzione. «Gli Ikisatashi erano solo ben allenati, non diversi dagli altri arrettiani. Per metà sono umani, questo è vero, ma ciò che li contraddistingue è il DNA animale.»

«Spiegati meglio.»

«Poco tempo fa io e il mio patrigno, un ribelle, abbiamo fatto delle ricerche per scoprire se su Arret ci fossero dei gene compatibili, cosa che erano le MewMew. Ne abbiamo trovati solamente due su tutto il pianeta. Un bambino di dieci anni, Always Lyoko e un uomo in coma, Ian Gorgoyl. Mio padre ha usato la sua forza vitale e un parassita per creare un chimero.»

«...e?»

«Venite a vedere con i vostri occhi.»

Questa volta fu lei a guidarli fuori dall'edificio attraverso un tunnel sotterraneo fino ad arrivare in un'altra struttura composta dal pianoterra e poi da numerosi livelli sotterranei.

Disse qualcosa al ragazzo della sicurezza in un diletto così stretto e un accento così marcato che i due non riuscirono a capire una parola.

Il ragazzo si fece obbedientemente da parte per lasciarli accedere all'ascensore.

Caliane inserì un codice nel display sulla parete, poi digitò un -27 e l'ascensore cominciò a scendere.

Per un po' scese il silenzio.

Il Cavaliere Blu si avvinghiò al fianco di Caliane.

Lei gli si avvicinò e lui sentì la sua pelle calda sotto le dita, ma l'espressione della ragazza non mutò quasi per niente.

«Non sapevo che vostra madrfe avesse avuto discendenti. In effetti, dopo tutto il tempo che ci ho messo per rigenerarmi, ho perso completamente le sue tracce.» disse Profondo Blu.

«Non mi sorprende affatto. C'è una grossa falla nel vostro sistema di rintracciamento persone.»

«Ovvero?»

«Per le donne è abbastanza facile nascondersi senza però sparire.»

«Spiegatevi.»

«La legge permette, anche se non obbliga, alle donne di cambiare cognome una volta sposate e di poter tagliare i legami, almeno legalmente, con la famiglia d'origine. I figli adottai, invece, possono prendere il nome del nuovo genitore e dimanticare il vecchio. È il motivo per cui mia madre ed io vi siamo sfuggite così facilmente. Mia madre si è sposata.»

«Sposata?» Profondo Blu sembrava perplesso, il Cavaliere aveva ormai perso il filo del discorso e la sua mente era altrove, persa in congetture tutt'altro che caste.

«Seath Ikisatashi?» chiese titubante dopo un po'.

«Quella della seduzione è un'arte.» sorrise Caliane spostando lo sguardo magnetico sul Cavaliere Blu che fece risalire la mano sulla sua schiena fino ad arrivare alla base del collo.

«Credevo di conoscerlo.»

«Hai ucciso la donna che amava, la gente viene stravolta da azioni del genere.»

«Suzanne ha scelto il proprio destino quando mi ha attaccato.» rispose assolutamente tranquillo Profondo Blu.

«Uno di voi due può spiegarvi di chi stiamo parlando?» ringhiò spazientito il Cavaliere.

Profondo Blu lo ignorò apertamente, ma Caliane si voltò verso di lui.

«Seath e Suzanne sono due dei “Primi Ikisatashi” che, come saprai, sono i cinque ragazzi orfani che si coalizzarono, circa un secolo fa, contro lo stato. Loro dicevano di agire per il bene del pianeta, ma hanno creato più danni che altro. In particolare, Seath e Suzanne erano i genitori di Ghish e Sheira Ikisatashi.»

«Conosco fin troppo bene il primo, ma non il secondo.»

«Entrambi furono sottratti ai genitori quando erano ancora molto piccoli. Si levano diversi anni e sono cresciuti separati. Si sono incontrati solo molti anni dopo.»

«Dopo tutto quel macello sulla Terra?»

«Una decina di anni dopo, sì. Comunque, Profondo Blu ha ucciso Suzanne, mentre Seath riuscì a salvarsi. Lui ritrovò sua figlia Sheira e, ecco il bello, mia madre, Kleys. Sia Seath che mia madre avevano un DNA modificabile, diciamo così, ma su di loro non è mai stato fatto nessun esperimento. Tra i due c'erano una notevole differenza d'età e quando ebbero un bambino lui non era esattamente giovane. Questo bambino ero io.»

«Aspetta.» la fermò il Cavaliere «Quindi tuo padre era il padre di Ghish Ikisatashi? Quindi quel bastardo sarebbe tuo fratello?»

«Fratellastro.» precisò la ragazza.

Profondo Blu non lo dava a vedere, ma era particolarmente interessato al passato della ragazza.

«Ora considera:» riprese Caliane «Seath non ritrovò mai il primo figlio, Ghish appunto che invece fu adottato insieme ad altri due fratelli, Pai e Tart.»

«Conosco anche loro.»

«Seath e mia madre crebbero sia Sheira, figlia del primo e di Suzanne, sia me. Sheira è più grande di me di una decina d'anni. Mia madre, però, si è risposata subito dopo la morte di Seath, ha cambiato di nuovo cognome e con lei anch'io, passando da Ikisatashi a Eighel.»

«Mi sta andando in pappa il cervello.» dichiarò il biondo.

«Beh, sta' zitto e ascolta, perché di sicuro non te lo rispiego io.» lo zittì Profondo Blu.

Caliane aspettò un attimo, poi continuò: «Ora ascoltami bene. Dovresti sapere che Seath Ikisatashi, è stato trovato dallo stato e ucciso circa vent'anni fa. Quello che tutti non sanno, però, è che Seath aveva una figlia: Sheira Ikisatashi. E io lo so, perché sono sua sorella.»

«Aspetta un attimo.» scattò il Cavaliere «Sheira Ikisatashi non è il soldato che ho fatto arrestare qualche giorno fa?»

Caliane sorrise «Esattamente. E fino ad ora non l'avete mai trovata perché si è sposata giovanissima con un certo Felix Lyoko e con lui ha un figlio di dieci anni, Always Ikisatashi. E, per chiudere in bellezza, questo Always ha un DNA modificabile.»

L'ascensore si fermò e i tre uscirono.

«Aspetta, puoi farmi un riepilogo dell'albero genealogico?» chiese il Cavaliere.

Caliane sbuffò. «D'accordo, vedi di scrivertelo sulla mano. Seath sta con Suzanne. Hanno due figli, a distanza di diversi anni: Ghish e Sheira. Ghish viene separato dalla famiglia e dato in adozione e tanti saluti. Rimane solo Sheira. Profondo Blu uccide Suzanne. Seath si mette con Kleys. Con lei ha me. Seath viene catturato e ucciso durante la caccia agli Ikisatashi e sia mia madre che sua figlia Sheira si sposano. Mia madre con un certo Jay Eighel, di cui prendo il cognome, e mia sorella con Felix Lyoko, con cui ha Always. Ci sei adesso?»

«Più o meno, ma va bene così.»

Profondo Blu roteò gli occhi.

La sua pazienza stava per terminare.

Se quella maledetta ragazzina non fosse stata una tale minaccia l'avrebbe già messa a tacere.

«E qua giù cosa siamo venuti a fare?» chiese il Cavaliere.

Caliane li precedette davanti al vetro che dava su una stanza bianca.

«Venite, loro non ci vedono.» li sollecitò.

Nella stanza c'erano tre persone.

Un uomo stava seduto sul bordo del suo letto e guardava un bambino dagli occhi e i capelli dorati giocare con un... chimero.

Era un misto tra un uomo e un leone.

«Il bambino è Always Lyoko, il chimero è Ian Gorgoyl, l'uomo con DNA modificabile in coma.»

«Come può essere un chimero?» chiese Profondo Blu «I parassiti su questo pianeta.»

«No.» ribatté la ragazza «Io e mio padre Jay ne abbiamo radunati il più numero possibile quando ero piccolissima e poi abbiamo distribuito un virus sul resto del pianeta per sterminare gli altri. In questo modo ho sotto controllo l'intera specie.»

«Hai?» sottolineò il Cavaliere.

«Mio padre è morto. Controllava il chimero con la forza vitale di Ian e lui si è ribellato al suo controllore facendolo scoprire. È stato processato e giustiziato.»

«Non è possibile. Il chimero sarebbe morto!» ringhiò Profondo Blu.

Caliane si voltò e annuì. «Lui ha un DNA modificabile, come il bambino, per questo li ho messi insieme.»

«Quindi... potresti partecipare al processo di Sheira Lyoko e dimostrare che è proprio l'Ikisatashi che cerchiamo.» commentò intanto il Cavaliere Blu.

Caliane annuì senza guardarlo. «Ma non dovrete ucciderla, potrebbe sapere qualcosa che mi è oscuro.»

Il Cavaliere si allontanò arrivando alla parte opposta della parete.

Profondo Blu lo seguì.

«Com'è la situazione sulla Terra?» sussurrò il Cavaliere.

«Delicata, ma non critica.»

«Sai niente di Aoyama?»

«L'ho trovato, ma non si è mai intromesso negli scontri né si è messo in contatto con i ragazzi. Avrà imparato a stare al suo posto.»

«Dunque è vero, gli Ikisatashi hanno nascosto allo Stato diversi ragazzi.»

Profondo Blu annuì. «Qualcuno è morto prima della partenza, con l'astronave ne sono arrivati diciotto. Si fanno chiamare Connect e, anche se non so come sia possibile, tutti hanno il DNA unito a quello di qualche animale. In più non risultano su nessuno registro. Tutti questi ragazzi sono spuntati fuori dal nulla!»

«Cosa? E quanti sono?»

«Erano diciotto: otto Ikisatashi, compresa la ragazza, e altri dieci. Ho ucciso due di questi ultimi e la ragazza Ikisatashi. Ne rimangono quindici»

Il Cavaliere annuì.

 

Sharlot chinò la testa sul quaderno di chimica.

Non riusciva a concentrarsi.

Era ancora tutta sottosopra.

Lanciò la penna e si lasciò cadere sul banco.

«Basta!» esclamò, la voce soffocata dalle braccia e dai capelli.

Tutti si voltarono verso di lei.

«Non ne posso più.» continuò senza curarsi degli sguardi sorpresi. Non poté fermare alcune lacrime di frustrazione e cominciò a singhiozzare sommessamente.

Si sentiva sovraccaricata.

Non riusciva più a conciliare la sua vita di ragazza “normale” e la sua missione.

Il sonno sembrava sfinirla ancora di più.

Le giornate erano sempre più pesanti con l'avanzare delle riparazioni dell'astronave.

Appena sarebbe stata pronta, loro e gli altri alieni sarebbero partiti.

«Sharlot, che hai?» chiese una ragazza che le si era avvicinata.

«Lasciami stare!» urlò allontanandola.

La professoressa si avvicinò piuttosto alterata.

«Si può sapere cosa ti prende Akasaka?»

Sharlot alzò la testa e puntò gli occhi rossi cerchiati sulla donna.

«Io non ce la faccio.» mormorò, le labbra che tremavano.

Tutti, in qualche modo, capirono che non stava parlando della scuola.

«Non era così che doveva andare. Era solo un gioco, un esperimento... » dei singhiozzi la interruppero, ragazzi e insegnante erano visibilmente agitati e cercavano di dare senso alle parole di Sharlot.

Ognuno le interpretò in modo più o meno diverso, ma nessuno si avvicinò alla realtà.

«Non sarebbero mai dovuti arrivare, animali che non sono altro!» con un gesto nervoso scaraventò lontano il quaderno e l'astuccio raddrizzandosi contro lo schienale.

«Maledetti a...» «Sharlot!»

La voce di Aisha la bloccò prima che potesse dire qualcosa di troppo.

Portava la sua “divisa” e aveva in spalla la faretra chiusa.

«Lei che ci fa qui?» chiese l'insegnate.

«Sono venuta a prendere mia sorella.»

«Avrebbe più bisogno di un medico, o di uno psicologo.»

La donna e Aisha si fronteggiarono a suon di sguardi.

Aisha era molto più sicura, ma c'era qualcosa che turbava anche lei.

«Che sta succedendo?»

«Non è tenuta a saperlo.»

«Sta' zitta Aisha.» la pregò Sharlot, ma questo fece solo scattare la ragazza, non meno provata della sorella.

«No sta' zitta tu Sharlot! Sapevi quali erano i rischi, non puoi tirarti indietro.»

«Nessuno mi ha mai lasciato scelta!» balzò in piedi «Nessuno ci ha mai chiesto cosa ne pensiamo di tutto questo! Se ne sono tutti infischiati! Io non lo volevo tutto questo.»

«Non ci si può tirare indietro di fronte ad una cosa del genere, i nostri genitori lo sapevano!»

«Già! Maledetti loro e quel dannato Shirogane che ha cominciato questo inferno!»

«Falla finita!»

Erano l'una davanti all'altra, sul punto si picchiarsi di fronte ad una classe intera.

Una più forte dell'altra.

Una più insicura dell'altra.

Marcus Evans entrò in quel momento, per niente sorpreso di trovare Aisha e Sharlot in quel modo.

«Posso spiegarle tutto io, professoressa, ma non in questo momento, è una questione della massimo urgenza e ho bisogno di Sharlot Akasaka.»

Sharlot, visibilmente sorpresa, guardò prima lui poi la sorella.

Aisha scosse impercettibilmente la testa, ne sapeva quanto lei.

«Ma che è, un telefilm?» commentò una ragazza, qualcuno rise, ma nessuno le diede peso.

«Presidente?» fece la professoressa di chimica.

«Mi rincresce per la scenata, credo sia colpa mia, ma le assicuro che al momento opportuno avrà le più che dovute spiegazioni.»

La donna non sapeva che fare.

Aisha prese per mano Sharlot e l'accompagnò fuori prima che nessuno potesse dire nulla.

Evans le raggiunse poco dopo chiudendo la porta.

«Venite presto, dobbiamo uscire dal grattacelo.»

«Chi sei?» chiese Aisha con la sua solita diffidenza.

«Esattamente quello che sembro, Marcus Evans, presidente dello Stato e compagno di Arlene Garden, professoressa di scienze di Sharlot.»

«Se è per questo è stata anche la mia professoressa, ma questo che c'entra?»

«La situazione è delicata.»

«Quale situazione?»

«Ve la spiegherò lungo la strada. Ho bisogno di voi.»

«Di noi?»

«Siete le uniche che possono aiutarmi.»

«Cosa vi serve?» mormorò Sharlot.

«Aiuto.»

 



Non è un capitolo di azione, ma penso che almeno stavolta potevamo farne a meno.
Insomma, ho creato un bel casino, lo so e non crediate che mi piaccia, e, devo ammetterlo, me ne sono in parte pentita e sto cercando a tutti i costi una soluzione. :(  
Però non si può dire che in questo capitolo non succeda nulla!
Abbiamo una Victoria Ikisatashi, un Cavaliere Blu, una Caliane e un Always parenti di Ghish!
A proposito di questi ultimi, nel caso qualcosa non fosse chiaro, vi consiglierei di farvi uno schemino e, se proprio qualcosa non quadra, chiedete pure.
A presto,
Artemide12



p.s.
lei è Caliane, anche se dovrebbe essere riccia,
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