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Autore: Melitot Proud Eye    02/03/2014    3 recensioni
[vecchio titolo -> Doveri]
«Thor, tu hai bisogno di una moglie.»
«Io ho già una moglie» dice lui. «E un marito, e un fratello e un amico. E sei tu. Non ho bisogno di sconosciuti nel mio letto.»

Doveri e desideri di due sovrani.
{Presso fuochi di campo e troni di re incoronati - XII}
[future!fic post-Avengers/TDW] [Thorki-Thunderfrost + Jarnsaxa/Thor]
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Loki, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Presso fuochi di campo e troni di re incoronati'
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Nota: alleluia!
Ho editato i capitoli finora pubblicati; cose minori, a parte il cambiamento Vanaheim -> Alfheim. Chiedo perdono alla mitologia norrena. Non so perché mi fossi convinta che Freyr era re di Vanaheim. Ugh.
Sökkvabekkr: palazzo di Sága (forse Frigga), interamente di vetro, nei cui pressi scorreva una cascata dal cui suono si traevano presagi. Io l'ho considerato una zona del Valaskjalf, tanto per dare un po' più d'importanza alla "terrazza" da cui guarda Jane in TDW.
Buona lettura.
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Non si desidera ciò che è facile ottenere




I


Il Bifröst è un fiume di luce mozzafiato. Agile e turbolento nel moto del viaggio, al di là del tempio del Guardiano diventa un ponte cristallino, screziato di tutti i colori del mondo. E' il capolavoro dell'Alta Magia. Il miraggio che pochi poeti son riusciti a descrivere, nessuno stregone a imitare.
Járnsaxa si ferma a guardarlo sotto la volta stellata del tramonto. Lo ha usato qualche volta, in passato – Asgard è aperta su una galassia pacifica, e lui ha sempre rincorso i saperi per le biblioteche di Yggdrasil. Ma mai è entrato nel suo vortice insieme al suo padrone, né il suo piede ha vacillato sulla soglia dell'Osservatorio mentre il suo braccio veniva sostenuto dalla mano di Thor Odinson.
È come se un po' della sua energia gli fosse rimasta dentro. Il Regno d'Oro sembra più vivido.
O forse è la consapevolezza del nuovo presente: esplorerà l'Asgard sconosciuta ai più, accanto alla persona più straordinaria che conosca. E lo farà in sicurezza.
Le rune di Freya sembrano nastri di velluto. La sua mano le ha tracciate in oro e köhl sulla pelle di Járnsaxa, soffermandosi sui punti vitali del corpo – fronte, collo, cuore, ventre. L'oro per la difesa, il nero per l'elusione del pericolo. Sono rune morbide che assecondano il movimento, ma possiedono la tenacia del metallo, la fibra delle liane velenose di Vanaheim.
Járnsaxa flette le dita. Il seiðr gli scorre addosso. Con le piante dei piedi percepisce il respiro che sale dal mare e le forze della terra sottostante: sono amici che rafforzano le sue protezioni. È avvolto da magia sacra, pura come le energie primordiali del Grande Albero.
Non si è mai sentito più in pericolo, e più vivo.
Sa a cosa va incontro. Affrontare un lupo di Jötunheim significa tornare alla giovinezza selvaggia del suo villaggio. Il sangue degli Jötnar non dimentica la violenza della lotta. Lui sarà all'altezza della sfida.
O almeno spera.
Si guarda intorno, mentre il vento gli spinge i capelli contro il collo. «Non ci sono cavalcature.»
Ce ne sono sempre, fuori dall'Osservatorio; secoli fa, accanto al globo dorato del cancello fu eretto un avamposto di trasporto con una stalla, stallieri e vari tipi di bestie. Non tutti i viaggiatori possiedono il dono della smaterializzazione, dopotutto, e il Bifröst è lungo. Forse l'assenza di cavalli è dovuta all'ora.
Thor gli sorride, sganciando il martello Mjölnir dalla cintura.
«Non importa. Andiamo?»


II


Non vede Loki dal solstizio d'estate, quand'era in viaggio diplomatico ad Álfheim. In cinque mesi e mezzo si son parlati solo via lettera, o via emissario, unicamente per ragioni di stato. La sua assenza è un pensiero che accompagna Thor passo dopo passo, tangibile anche quando non ne è consapevole. Porta con sé tanti ricordi.
Con sé oggi ha Járnsaxa. Il suo aspetto gli ispira una familiarità che lo tranquillizza, ed è proprio lo stato d'animo che Thor dovrebbe evitare.
Se ripensa alla biblioteca che hanno lasciato, rivede un'espressione estatica a un respiro di distanza dal suo volto e sente un corpo avvinghiato al suo. Forse è stato avventato. Sono partiti in fretta e furia – è esattamente così che apparirà agli occhi della corte di Freyr, a quella di Asgard. Una scappatella.
Nel peggiore dei casi, una fuga d'amore.
Nella discrezione dei suoi pensieri, Thor può anche ammettere di aver battuto in ritirata davanti alle effusioni di Járnsaxa; ma non può sfuggire alla consapevolezza dell'effetto che quel piccolo scandalo avrà su Loki, e di esserne stato cosciente già nel momento in cui lo iniziava.
Trattiene un sospiro. La sua mente è un groviglio confuso. C'è senso di colpa, lì dentro.
Non sa se rallegrarsene o disperarsi.
Si avvicina a Járnsaxa e gli cinge la vita con un braccio, roteando Mjölnir. Quando spiccano il volo è alla sua esclamazione di spavento.
(La prima volta Loki lanciò un grido estatico.)

Lo Zaffiro di Ýdalir si rivela un'attrazione. Ormai un gigante del ghiaccio nella sua vera pelle non è più cosa inusuale, ad Asgard, ma è difficile trovarne di proporzionati da Aés, attraenti, portati in volo da Mjölnir e – diversamente da Loki – cordiali.
Sono appena atterrati alla fine del Bifröst che la gente per strada nota, indica. Mentre ottengono due cavalli da una guardia si forma una piccola calca. Curiosi e sfaticati che dovrebbero trovarsi a palazzo (Fandral) li seguono, dando un sorpreso bentornato a lui e gridando domande all'ospite inatteso. Qualcuno lo scambia per Loki.
Jársaxa inarca le sopracciglia e saluta dall'alto della sella, bracciali di rame e d'oro che tintinnano, stola di volpe che scivola dalle spalle nude ai gomiti col movimento del braccio. Sembra divertito. Si presenta come ambasciatore e risponde alle domande, ignorando i commenti audaci.
Thor conosceva le sue qualità, ma questa prova di padronanza è un'opera d'arte pensata, pur nella sua spontaneità, per gli Aesir, per gli Álfar e per lui.
Jársaxa ha davvero la stoffa di una regina.
Vuole che lo riconosca.
E Thor ha appena reso più pubblica una situazione che lo era anche troppo. Uscirne senza incidenti d'immagine diventa più improbabile ogni ora che passa.

Risalgono lentamente il pendio che conduce a palazzo, fra torri e residenze illuminati da fiaccole sempre più vivide. Quando entrano nella Piazza d'Oro trovano un'accoglienza non meno curiosa. Servi, qualche funzionario, nobili in residenza. Le voci si spargono in fretta.
Thor scende da cavallo e affida la sua bestia a uno stalliere. Sospira, guardandosi intorno. Sono tutti impazziti?
Un baluginio cattura la sua attenzione, distraendolo dal chiasso. In piedi accanto alla stele degli Antichi Patti, dove le colonne si aprono per dare accesso alla sala del trono, c'è sua madre.
Nonostante la posizione è in disparte. Indossa una bella veste verde, informale, e le sue rughe s'increspano intorno a un sorriso perplesso.
«Madre» la saluta, andandole incontro.
Lei lascia che le prenda le mani, ma quando Thor si china a baciarle non gli posa le labbra sulla fronte. Thor si raddrizza e vede che i suoi occhi osservano la creatura al centro della piccola folla.
«Che cosa stai facendo, figlio mio?» sospira.
Per un istante, si sente di nuovo un ragazzino colpevole. Poi si ricorda che la colpa di quella situazione non è sua.
«Rimedio alla mia solitudine.»
A giudicare dal movimento della sua bocca, sua madre non approva né tono né proposito. Ma è sempre stata prudente nell'interferire, per cui si limita a corrugare la fronte, continuando a studiare Járnsaxa.
«Spero tu sappia cosa fai.»
Thor non sa come rispondere.
Lei scuote appena il capo. Gli stringe il braccio.
«Presentami il nostro ospite, Thor.»

Poco dopo, gli impegni che Thor ha trascurato li dividono. Si vedono un'ora dopo alla cena ufficiale, ricca e chiassosa.
Alla sua conclusione Thor mostra a Járnsaxa il palazzo, dalle sale celebrative ai piani degli ospiti, promettendo una visita estesa per l'indomani quando la luce è migliore e i burocrati dormono. Intende lasciarlo lì, nel sontuoso appartamento preparato dalle dame di sua madre. Solo puro caso vuole che accennino a un libro raro, e che al desiderio di poterlo leggere espresso dallo Jötun Thor ricordi di averne una copia nelle sue stanze. Che proponga di offriglielo in prestito.
Senza riflettere Thor devia verso l'Ala Sovrana, situata nella corona slanciata del Válaskjálf. Mentre Járnsaxa ammira i bassorilievi sulle pareti della prima anticamera, osservando i suoi movimenti con la coda dell'occhio (non è stata un'idea saggia portarlo lì, non la è stata affatto), Thor entra in camera da letto e si chiude le porte alle spalle. Si guarda intorno. Trova il volume.
Nel momento in cui si china sulla poltrona, lo specchio magico accanto allo scrittoio s'illumina.
È Loki. Alla sua espressione il cuore di Thor accelera, si alleggerisce per l'anticipazione. Forse è il momento. Forse ha già vinto. Si avvicina, e si dice di tenere saldo il timone per cementare quella vittoria.
«Voglio che ci ritroviamo in pace.»
Loki è penitente.
Ma non abbastanza. C'è ancora troppa testardaggine, in lui, e rabbia. Manipolazione. L'arroganza di cui per lunghissimo tempo ha accusato lui. Quello che voglio per te. Quello che voglio–
I loro animi si accendono, alzano la voce. Poi entra Járnsaxa e lo sguardo di Loki si posa su di lui, accendendosi di incredula gelida furia. Non lo sapeva.
L'ha saputo nel modo peggiore.
Se Thor intendeva provocare una risposta, c'è riuscito meglio di quanto intendesse, e forse non otterrà la risposta che desiderava. Deve assicurarsi che la situazione non precipiti: accompagna Járnsaxa fuori dai suoi appartamenti e lo affida alle cure di sua madre, cui può non piacere ma che lo terrà al sicuro.
Dopo quello, Thor se la sente di cercarlo soltanto la mattina dopo.



III


Quando lo trova, Járnsaxa è affacciato alla terrazza del Sökkvabekkr, sguardo intenso sulla città. Da lì i riflessi dell'insenatura costiera che diventa canale e si protende verso il palazzo, incuneandosi nella città fra prati e torri, sono un miraggio che dipinge luce su ogni cosa. Il viso e gli abiti asgardiani di Járnsaxa ne sono accesi. Porta i capelli sciolti sulle spalle, lunghi e lucidi.
Thor si ferma sulla linea ariosa del colonnato, colto da un ricordo. Per un istante le epoche si annullano, le persone si sovrappongono: Thor rivede Jane Foster e viene sopraffatto dalla nostalgia. Lei aveva la stessa espressione. Quasi la stessa postura.
Oltre il profilo di Járnsaxa si stende lo splendore di Asgard e, per un attimo, lasciandovi vagare lo sguardo, a Thor sembra di scorgere qualcosa... un'ondulazione dell'atmosfera sopra il mare, come quelle che si producono quando l'aria è molto calda, ma alta e lunga. Corruga la fronte.
Poi Járnsaxa parla.
«Non ho paura di Loki-Re» dice, voltandosi a fissarlo coi suoi occhi rosso garofano.
Dovresti, pensa Thor, distratto.
Ma non lo dice perché crede che lui, proprio come Jane, si rifiuterebbe di seguire quel consiglio. Quelle menti brillanti hanno abbastanza spregio del buonsenso. Scuote la testa.
Due persone, due geni così diversi, ed entrambi – per qualche inspiegabile ragione – gli hanno donato nel tempo il loro cuore. Un moto d'orgoglio gli gonfia il petto. Ha ricevuto molto dal destino.
La situazione è incerta, ma in ricordo di quegli amori e dei loro frutti, diversi ma ugualmente cari, userà a Járnsaxa la stessa cortesia che usò a Jane. Per il tempo che sarà concesso, lo condurrà per le scorciatoie e i panorami segreti di Asgard, lontano dalla corte, svelandogli le scoperte fatte quand'era ragazzo. Mostrandogli i segni che hanno lasciato lui e i suoi amici. Gli rivelerà l'Asgard maestosa e quella semplice, l'Asgard cui pensa con maggior piacere.
Sarà la celebrazione di un amore non complicato, i cui echi continuano a raggiungerlo attraverso il tempo e sanno ancora guarire il suo spirito.
Cara Jane, ricevi quest'omaggio sincero, pensa Thor. E per favore perdonami se lo offro anche a Járnsaxa... guastato da un secondo fine.
Sorride. «Cosa ne dici di una piccola gita?»
«Più che volentieri.»

Lo sta usando. E anche se Járnsaxa sospetta, conosce i rischi – perché non è un ingenuo – questo fatto non cambia.
Ma non significa che Thor non gli voglia bene, e non si penta.



IV


Ha mentito a Thor. Non è vero che non teme Loki. Solo uno sciocco non lo farebbe, dopo aver visto l'ira nei suoi occhi.
Ma è facile non pensarci camminando per la Città d'Oro. Thor l'ha resa più simile a sé, bella e piena di gioia per la vita. Ovunque c'è movimento. Ovunque speranza per il futuro.
E, anche se è difficile ammetterlo, anche la mano di Loki-Re. Può aver odiato a lungo la sua vecchia patria, ma quell'odio era destinato alla polvere perché al suo trono era destinato Thor Odinson.
In tutta onestà, si chiede perché non sia già lì. Difenderà il suo territorio, anche se ieri era pronto a gettarlo alle ortiche. A parte quanto concerne Thor – e in verità, sotto qualche aspetto anche in quello – è davvero impossibile capire Loki Laufeyson.
Járnsaxa non sa cosa aspettarsi. Niente di buono, ma in che forma? Ludibrio? Ridicolo? Violenza fisica?
Può solo aspettare e restare vigile.
Anche perché sembra che Loki-Re non sia l'unico rischio alla sua incolumità.
Járnsaxa è piccolo per uno Jötun, ma alto per un asgardiano. Torreggia su molti dei guerrieri e degli uomini di corte che incrocia, e questo senza tener conto delle corna. Lo fa sentire esposto – vulnerabile. Non ha dimenticato le storie. Non ha dimenticato la miseria portata a Jötunheim da Odino (e dai suoi stessi padri); della sua generazione rimangono ancora stimati epigoni che lo guardano fisso, tracciando i suoi movimenti finché non scompare.
Sa di cosa sono capaci gli Æsir.
Pertanto, nei due giorni che seguono, cerca di non dare eccessivamente nell'occhio quand'è solo, e nota che Thor raramente lo lascia senza scorta di qualche amico, paggio, fanciulla, assistente.



V


C'è un libro aperto, sullo scrittoio di Thor.
Járnsaxa è entrato nello studio sperando di trovare compagnia dopo il simposio letterario, ma non c'è nessuno, e poi l'ha visto. Un tomo come non ne vedeva da tanto, tanto tempo.
Si avvicina lentamente, riconoscendo la rilegatura, le pagine di lamina di uru rilegate in pelle e osso di drago, le discrete ma preziose pietre dure che si estraevano nelle cave di Jötunheim quando il ramo del suo vecchio mondo era ancora fiorente. Le pagine riflettono un barlume di luce. Accanto all'unica colonna di rune, incise a puntello, rifulgono due miniature. E' un'opera d'arte. Un codex della Biblioteca di Mímir.
Ma come può trovarsi lì? L'antica biblioteca andò distrutta durante la guerra per Midgard, e tutti sanno che non ne rimane traccia. Járnsaxa stesso, nei secoli, ha setacciato abbastanza collezioni e depositi del mercato nero da sapere che non sono sopravvissute copie.
Eppure i suoi occhi non lo ingannano. Tutto corrisponde – la fattura, il materiale, la vetustà dell'oggetto. E c'è una sensazione...
Si ferma ad alcuni passi di distanza.
C'è qualcosa, in quel libro. Qualcosa di magico e minaccioso che non lo vuole vicino.
Si diceva, in passato, che molti volumi della Biblioteca di Mímir fossero solo per gli occhi dei re; in quell'istante si trova propenso a credervi.
La distanza, in ogni caso, non è sufficiente da impedirgli di vedere cosa raffigurino le miniature. Con qualche difficoltà, e costeggiando il fianco del massiccio scrittoio, Járnsaxa vede guglie altissime, un corpo dipinto in polvere d'oro e di zaffiro. Un Re d'Inverno sul suo trono. Sul suo corpo...
Le linee sacre.
Trattiene il respiro, mentre il cuore gli batte all'impazzata.
Perché quel libro si trova lì? Perché è aperto su quella pagina? Come se...
Stringe i pugni, invaso da un profondo senso di reverenza.
È un segno. Lo sente.

Sul suo petto si posa una pietra.




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Nel prossimo di nuovo un po' d'azione seria ;)
Prometto che lo avrete presto. Voglio finire la storia e andare avanti con la serie (che è quasi 50K in totale. Quand'è successo?).

   
 
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