Trust
I
baci di Evan erano come lui: imprevedibili,
arrivavano quando meno se l’aspettava e se ne andavano allo
stesso modo. Ormai
Dorcas ci aveva fatto l’abitudine, consapevole che cambiare
un Rosier era
praticamente impossibile. Quella sera, però, aveva deciso
che toccava a lei
stupirlo. Aveva scelto quella data perché per loro non aveva
un significato
particolare, non era un giorno che potesse creare qualche aspettativa o
pressione. Voleva che la loro prima volta fosse speciale, questo
sì, ma allo
stesso tempo che risultasse naturale, non forzata dalla
necessità di onorare
chissà quale ricorrenza.
Aveva
trascorso tutto il pomeriggio alla ricerca del
luogo perfetto e alla fine l’aveva trovato. In
realtà era stato Fabian a darle
indirettamente l’idea; l’aveva sentito parlare con
Gideon di quella strana
stanza che aveva scoperto, una della cui esistenza erano in pochissimi
a essere
informati. Quando aveva chiesto maggiori dettagli, i suoi migliori
amici di
sempre non si erano fatti pregare e l’avevano istruita su
tutto ciò che c’era
da sapere. Certo, a ben pensarci, se avessero saputo che uso intendeva
farne
probabilmente si sarebbero cuciti le bocche con qualche incantesimo
tacitante.
Fatto sta che ormai era lì, davanti a quella porta, e si
tormentava
nervosamente le mani in attesa dell’arrivo di Evan.
-
Ehy, Raggio di Sole, come mai così nervosa? –
Un
sorriso le si dipinse sul volto, mentre si
voltava verso di lui.
Posare
gli occhi su Evan era sempre un
gradevolissimo shock. I capelli color dell’oro zecchino, gli
occhi blu come il
cielo notturno, il fisico asciutto e dai muscoli guizzanti. E quel
sorriso.
Dorcas avrebbe ucciso purchè quel sorriso continuasse a
esserle rivolto per il
resto della sua vita.
-
Non sono nervosa. – replicò in fretta,
obbligandosi a sembrare calma e controllata.
-
Sei una pessima bugiarda, lo sai? –
Evan
annullò la distanza che li separava e si chinò
su di lei, catturandole le labbra morbide e ben disegnate in un lungo
bacio.
-
D’accordo, non so mentire. –, ammise ridendo, poi
aprì la porta e lo invitò a seguirla.
-
Che posto è? – domandò il Serpeverde,
guardandosi
attorno.
Per
l’occasione la stanza si era trasformata in un
luogo molto simile alla Torre di Astronomia, con l’unica
differenza che le
stelle brillavano sul soffitto e che di sicuro nessun letto a
baldacchino si
era mai trovato in quella torre.
Dorcas
si mordicchiò leggermente il labbro, sperando
che capisse il perché di quell’ambientazione.
-
È una stanza magica, quasi nessuno la conosce. È
un posto in cui possiamo stare tranquilli. –
-
Mi piace. La Torre di Astronomia è dove …
–
s’interruppe, mentre le guance alabastrine si tingevano di un
delicato rosa che
lo faceva sembrare un po’ più umano.
-
Sì, è dove mi hai detto per la prima volta che mi
amavi. – confermò, venendogli in aiuto.
Annuì,
imbarazzato.
-
Che significa? – le chiese poi.
Questa
volta fu il turno di Dorcas di arrossire.
Maledizione, e dire che si era prefissata di apparire sicura di
sé.
-
Ti … Ecco, ti ricordi di quando ne abbiamo
parlato? – iniziò, indicando con un cenno del capo
il letto a baldacchino.
Evan
seguì il suo sguardo, realizzando all’istante
cosa stesse cercando di dirgli. Tuttavia, il suo lato Serpeverde lo
stava
praticamente implorando di stuzzicarla un po’.
-
Abbiamo parlato di molte cose, temo che dovrai
essere un po’ più precisa. –
Il
ghigno divertito che solcava le sue labbra non
sfuggì a Dorcas. Sbuffò, puntandogli
minacciosamente contro un dito, - Lo sai
benissimo … intendo quello.
–
Questa
volta indicò platealmente il letto.
-
Ah, c’è un letto, non l’avevo notato.
–
Lo
fulminò con un’occhiataccia.
-
Evan! –
-
Cosa? – domandò, rivolgendole un sorrisetto
serafico che suo malgrado le suscitò l’impulso di
scoppiare a ridere.
Si
morse il labbro, trattenendosi.
-
Potresti smetterla di essere così Serpeverde?
–
Evan
annullò la poca distanza che li separava,
attirandola a sé e cingendole i fianchi con le braccia. Le
scostò le morbide
onde dorate, scoprendole il collo e chinandosi a depositarvi una lunga
scia di
baci roventi che partivano dal lobo per terminare la loro folle corsa
all’altezza della clavicola. Quando la sentì
sospirare, sorrise compiaciuto e
la morse delicatamente.
-
Se smettessi di comportarmi da bravo Serpeverde,
non farei questo. –, giocherellò distrattamente
con il nodo del cravattino
della divisa rosso oro fino a scioglierlo.
-
O questo.
–, questa volta fu il turno dei bottoni della
camicia, li slacciò e
lasciò che il tessuto perlaceo scivolasse a terra.
-
Tanto meno questo. –, fece correre una mano lungo
la coscia tornita e l’insinuò sotto la gonna, in
una lenta e stuzzicante
carezza.
Si
chinò nuovamente sulle sue labbra, sussurrando
con tono malizioso: - Allora, vuoi davvero
che la smetta di comportarmi così? –
Dorcas
scosse la testa. Non si fidava di ciò che
sarebbe potuto uscire dalla sua bocca.
-
Voglio sentirtelo dire. –
-
No … non voglio che tu smetta. –
Emise
un sospiro più forte quando avvertì un dito
che entrava in lei.
Mossa
da non sapeva bene quale istinto, afferrò Evan
per il cravattino e lo tirò con sé verso il letto.
Sdraiati
sulle lucide coperte di seta nera, rimasero
a fissarsi negli occhi per quelli che sembrarono secondi interminabili.
Evan
aveva momentaneamente abbandonato lo sguardo profondo e pieno di
desiderio che
aveva fino a pochi attimi prima e la guardava con aria seria.
-
Ne sei sicura? – le chiese, accarezzandole il
labbro inferiore con il pollice.
-
Sì. –
-
Assolutamente sicura? – insistè.
Gli
cinse il collo con le braccia, costringendolo ad
abbassarsi quel tanto che bastava per poterlo baciare agevolmente.
-
Ti sembra che possa essere più sicura di così?
–
-
Cercherò di essere il più delicato possibile.
– le
promise, riprendendo ad accarezzarla sempre più
insistentemente.
-
Lo so, mi fido di te. –
Quando
lo sentì sistemarsi meglio sopra di sé,
Dorcas s’impose di tranquillizzarsi. Sapeva che
l’agitazione non avrebbe fatto
altro che aumentare il dolore iniziale, e poi lei amava Evan e lo
desiderava;
lo voleva così tanto che solo il pensiero le faceva andare
il sangue al
cervello.
Sussultò
leggermente quando avvertì la prima fitta
di dolore. Era meno peggio di quanto si fosse immaginata e sperava
davvero che
Evan non l’avesse notata.
Gli
occhi blu che la fissavano con aria desolata, tuttavia,
le dissero che la sua era una speranza vana.
-
Scusa. –
-
Non è nulla, tranquillo. – assicurò,
baciandolo
con trasporto finchè non sentì che ricominciava a
muoversi dentro di sé.
Dopo
un po’, non seppe dire con esattezza quanto,
venne assalita da una sensazione di puro piacere; mai nella sua vita
avrebbe
creduto possibile sperimentare una cosa del genere. Quasi
contemporaneamente,
vide Evan rotolare accanto a lei con un sospiro appagato.
Si
raggomitolò contro di lui, sorridendo quando la
strinse a sé e le scoccò un bacio a fior di
labbra.
-
Cosa c’è? – le chiese d’un
tratto, osservandola
con aria preoccupata.
Dorcas
sorrise, scuotendo la testa, - Nulla. Ho solo
avuto un pensiero stupido. –
-
Cioè? –
-
Non è nulla, sul serio. –
-
Devo forse dirti di smetterla di comportarti da Grifondoro
testarda? –
Ridacchiò,
- Touchè. –
-
Allora, di che si tratta? –
Prese
tempo, cercando il modo migliore per dirlo
senza sembrare una stupida. Santo Godric, lei stessa si sentiva
terribilmente
stupida per quello che aveva pensato.
-
È solo che non voglio che tutto questo finisca
mai. – ammise, sentendo le guance che si tingevano di un bel
rosso papavero.
-
Non finirà mai. –
-
Non puoi saperlo. – lo contraddisse.
-
Ti fidi di me? – le chiese allora, fissandola
negli occhi.
-
Con tutta me stessa. – assicurò
all’istante.
-
Allora credimi quando ti dico che non ho alcuna
intenzione di lasciarti scappare. Certe volte la tua testardaggine mi
secca più
di quanto abbia mai ritenuto possibile, ma voglio passare ogni
irritante minuto
della mia vita con te. Ti amo, testarda di una Grifondoro. –
-
Anche io ti amo, egocentrico di un Serpeverde. –
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parole]