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Autore: Alex Wolf    02/03/2014    3 recensioni
[La FF è ambientata a partire dall'undicesimo episodio della seconda stagione.]
Dal 1 capitolo:
« Non dirai mica sul serio, Sammy. » Dean gli rivolse uno sguardo indagatore e, quando si accorse che il fratello era serio, rimase muto per qualche secondo. Davvero Sammy pensava quelle cose su di lui? “Sana competizione” l’aveva chiamata, ma di “sano” quella rivalità non avrebbe avuto nulla e Dean questo lo sapeva bene. Insomma, lui la odiava e lei ricambiava questo sentimento, come avrebbero potuto risolvere un caso in soli sei giorni, se non di meno? Scuotendo la testa, Dean si sedette sul suo materasso, che si piegò sotto il suo peso, e si gettò all’indietro con le mani sul ventre. « Io la detesto e sempre la detesterò. »
« Però un po’ ti piace, non è così? Infondo, infondo… »
« Oh, sta zitto Sammy. » Lo zittì lui, rialzandosi a sedere per guardare meglio il fratello. « A me piacciono tutte, basta che respirino. L’unica che non riesco a farmi piacere è lei, perché.. è più selvatica delle altre, credo.»
Genere: Generale, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
Capitoli:
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Guardami dentro e cadi nel vuoto. 
 

“- Hai mai pensato di farla finita?
- Oh, no. Non vorrei mai che qualcuno sia felice a causa del mio suicidio. Rimarrò in vita, solo per far loro dispetto.”
 
— American Horror Story.
 


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I rimpianti si radunano come vecchi amici,
qui per riportare in vita i tuoi momenti più bui.
Non vedo un modo, non vedo un modo.
E tutti i demoni vengono fuori a giocare,
e ogni demone vuole la sua libbra di carne.
Ma mi piace tenere alcune cose per me stessa,
ma mi piace tenere i miei problemi a bada.

(Shake it out- Florence + The Machine)

 
 
 
 
Connecticut.
 
Pierpont Inn.

 

 
Il vecchio hotel che avevo di fronte non era così brutto come mi aspettavo: una costruzione semplice a due piani, dai muri bianchi e le rifiniture in legno. Aveva un bel giardino all’esterno, proprio ai lati della scalinata d’entrata e un’atmosfera molto inglese che gli dava un non-so-che di intrigante. Ancora non riuscivo a credere che l’avrebbero demolito; dopo tutto non mi sembrava così messo male. Parcheggiai la mia adorata macchina, una Chevrolet Camaro ss del 2010, completamente nera, proprio davanti all’entrata del palazzo e mi caricai in spalla l’unico bagaglio che mi sarebbe servito per quella settimana di caccia. Ellen, la proprietaria di una RoadHause, conoscente di mio padre gli aveva parlato con di alcuni strani incidenti avvenuti all’interno dell’albergo “Pierpont Inn” e così lui mi aveva chiamata e spedita a lavoro li. Si fidava di me, ed essendo che nessun’altro era parso interessato a questo caso avevano riposto le loro speranze sulla sottoscritta; che non si sarebbe fatta spaventare da uno scricciolo di fantasma.
Strinsi con forza il manico del borsone e lo sistemai meglio sulla spalla, iniziando a salire i gradini con calma per lasciarmi il tempo di esaminare al meglio l’ambiente circostante: sembrava tutto così normale. Il vento tirava leggero, facendo frusciare gli alberi, il cielo era solcato da qualche nuvola e un piccolo strato di nebbia stava per scendere e inghiottire tutto nel silenzio, tutto normale insomma. Quando poggiai il mio peso sulle tavole di legno della veranda queste scricchiolarono, provocandomi una pelle d’oca inaspettata. Non ero una che si spaventava per poco, però c’erano momenti in cui mi distraevo oppure mi allontanavo dal mondo a causa dei miei pensieri e il mio lato più fragile prendeva il sopravvento ed ogni cosa sembrava ingigantirsi a tal punto da farmi paura. Con velocità poggiai la mano sulla maniglia della porta e l’abbassai, entrando nell’hotel. Una piccola hall mi accolse con il calore tipico degli alberghi: tutto era illuminato di luci soffuse, visto l’orario e le voci che correvano in giro su quel posto stentavo a credere che aspettassero visitatori. Un bancone di mogano si ergeva alla mia sinistra e su di esso stava un campanello; poggiando il borsone a terra allungai il braccio e suonai, ripetutamente. Il suono si espanse per i corridoio vuoti e rimbombò più volte, finché non fu sovrastato dal frastuono di una porta che si chiudeva e il rumore di passi veloci. Da sopra le scale apparve una donna in camicia da notte, i capelli castani le arrivavano alle spalle e gli occhi azzurri erano assonnati. Appena mi scorse, però, sembrò risvegliarsi all’improvviso e illuminarsi, tese le labbra in un sorriso e corse dietro al bancone.
« Mi scusi per l’orario, non volevo disturbarla », dissi immediatamente, appoggiandomi al bancone, « ma ho notato il vostro hotel e ho pensato foste aperti. » Era una scusa idiota ma sembrò bastare per far si che la donna annuisse convinta.
« Siamo aperti, certo. Mi scusi lei per il mio abbigliamento poco consono, non aspettavamo clienti. » Si giustificò la donna, piegandosi sotto il bancone per poi riemergerne con svariate carte in mano; dovevano essere i registri delle presenze e le varie fatture fatte nel corso dell’ultimo mese. Le sorrisi tranquillamente e, tentando di non sentirmi a disagio, mi passai una mano fra i capelli. « Una camera singola, per quante notti? »
« Mh, cinque. Ho intenzione di fermarmi per una sosta. Sa, un po’ di tranquillità. »
« E’ in vacanza? » Chiese lei, mentre iniziava a compilare i vari moduli. Respirai a fondo, guardandomi attorno per imprimere a foco ogni aspetto, anche il più piccolo e poi risposi.
« Si, diciamo. Ho appena rotto con il mio ragazzo, ormai dovrei dire ex in realtà, e mi serviva un po’ di libertà. » Beh, non si poteva dire che me la cavavo male con le storie create su due piedi. Avrei potuto scriverci un libro, già mi immaginavo il titolo: “come mentire e non essere sospettati.”
« Deve essere dura », mormorò dispiaciuta per me; come poteva essere dispiaciuta se nemmeno mi conosceva? Corrugai le sopracciglia e scrocchiai le nocche, per poi iniziare a martellare le dita sul legno.
« In realtà no, non ne potevo più di lui. » Mi stavo calando nella parte con vera maestria; mi sarei dovuta regalare dei cioccolatini per la buona riuscita dell’impresa poi.
« Già. Mi servirebbero il suo nome e la carta d’identità?  »
« Certo. » Estrassi il portafoglio dalla tasca dei jeans e frugai fra le varie carte d’identità senza farmi vedere, finché non trovai quella di Anna Cox: una studentessa newyorkese di 24 anni. Gliela porsi.
« Il mio nome è Susan, benvenuta al “Pierpont Inn”. » Mi ridiede i documenti e mi consegnò la chiave della stanza numero “236”. « L’accompagno alla sua camera. » Uscì da dietro il bancone e mi guidò per le scale che portavano al primo piano; le pareti erano colme di quadri con vecchie foto e mobili mi mettevano in soggezione.
« Eccoci arrivati, buona notte. » Con gentilezza Susan si congedò ed io entrai nella mia stanza, richiudendomi la porta alle spalle e lanciando il borsone dove capitava; giusto in tempo prima che, una forte nausea mi attanagliasse lo stomaco e fossi costretta a correre in bagno e vomitare. Era la malattia, lo sapevo; stava degenerando ed io non potevo fare niente, mi rifiutavo di fare qualcosa per curarmi. Ci avevo già provato mesi prima e quando tutto era sembrato andare per il verso giusto, la malattia sconfitta – per quel che si può dire - e il tempo perso riguadagnato: eccola che si era ripresentata. La verità era che, sebbene i medici mi avevano proposto più volte la stessa alternativa, io non volevo combatterla. Avrei accettato il mio destino senza ribattere, andandomene quando sarebbe arrivato il mio momento; intanto ero reduce delle mie scelte, piegata sulla tazza di un water d’hotel apparentemente infestato a vomitare.
 
 
 



°     °
 
 





Il mattino dopo il cielo era coperto, ma osservarlo mi faceva male agli occhi come se ci fosse stato qualche raggio di sole che riusciva a superare la coltre grigia di nubi. Scostai le coperte dal mio corpo con un calcio e mi alzai per andare ad aprire la finestra:  un ventata d’aria gelida mi sferzò i capelli, accarezzandomi il collo e facendomi venire la pelle d’oca. Rabbrividendo mi strofinai le braccia con le mani e gettai un’occhiata verso il parcheggio: la mia macchina era ancora li, coperta da uno strato di gocce d’acqua e con i finestrini appannati d’umidità. Lanciandole un ultimo sguardo, richiusi la finestra e mi diressi in bagno per fare una doccia calda, vestirmi e truccarmi. Non ci mettevo mai molto a prepararmi, sebbene tenessi al mio aspetto esteriore: era con quello che mi guadagnavo il lavoro. Con l’aspetto, il talento e la furbizia. I cacciatori tendevano spesso a giocare a poker e ogni volta che mi presentavo ai loro gruppi, in città diverse, e mi facevano giocare trattandomi da pivella sbancavo sempre. Non avevo mai perso una partita contro qualcuno che non fosse stato mio padre o Bobby, un suo caro amico; erano gli unici due che riuscivano a battermi. In ogni modo, mi asciugai di fretta i capelli  con il phon e l piastrai – la piastra era una delle cose di cui non potevo privarmi, altrimenti sarei potuta sembrare un leone visto i capelli che mi ritrovavo -, indossai un paio di jeans, una maglia a felpa nera e i miei Dr.Martines e poi uscii in corridoio. Era tutto silenzioso finché, una bambina mi passò affianco correndo e ridendo, con un adorabile vestitino rosso e i lunghi capelli castani che schioccavano nel vento.
« Eehi! » Esclamai ridendo a mia volta, tentando di non farmi colpire dalla sua euforia. Lei si voltò a guardarmi per un secondo e sorrise, prima di riprendere a correre. Scossi il capo e iniziai a scendere i gradini con velocità, godendomi quegli attimi di pace. Era strano però, non mi sembrava quel posto fosse infestato, assolutamente. Poi, una cosa attirò la mia attenzione: una vecchia foto che ritraeva una donna di colore vestita da cameriera e una bambina. Al collo la donna indossava uno strano ciondolo a cinque punte.
E se… I miei pensieri furono deviati da delle voci non molto distanti da me; le avevo già sentite da qualche parte, sebbene non ricordassi dove. Così, lasciai perdere la fotografia e mi diressi verso la hall.
« Oh, cusatemi tanto », era la risata sommessa di Susan quella che mi arrivò alle orecchie. Aumentando il passo arrivai all’arco che dava direttamente sull’entrata, dove, davanti al bancone, stavano in piedi due ragazzi. I cacciatori Winchester. Sam teneva stretta la sacca da viaggio nella sua presa, mentre Dean era intento a corrugare le sopracciglia e rispondere all’affermazione di Susan.
« Abbiamo tutta l’aria di che cosa? » Domandò stupito, lanciando uno sguardo al fratello. Leccandomi il labbro superiore, poggiai la spalla sinistra alla volta di legno e incrociai le braccia al petto.
« Di due fidanzati gay. » M’intromisi io, facendo voltare tutti nella mia direzione. La donna ingoiò un fiotto di saliva, mentre Dean irrigidì la mascella pronto a rispondermi a tono. Sam, invece mi sorrise cordiale, come sempre e fece un passo avanti.
« Cosa ci fai tu qui? » Chiese brusco il maggiore dei due, spostando leggermente il viso verso destra.
« Ehi, questa domanda dovrei fartela io», sputai fuori acidamente incenerendolo con un’occhiata.
« Vi conoscete? » Sussurrò la proprietaria dell’hotel, probabilmente messa in imbarazzo dal nostro comportamento. Mi voltai nella sua direzione e le analizzai gli occhi azzurri: erano grandi, in quel momento, e trasudavano imbarazzo da tutti i pori. Socchiusi le labbra pronta a rispondere ma Sam, e il suo buon senso, furono più veloci di me.
« Beh, allora, a proposito di merce d’antiquariato ho visto che lei ha un’urna molto interessante all’entrata, dove l’ha presa? » Assottigliai lo sguardo, rizzando la schiena incuriosita.
« Non ne ho idea, è sempre stata li. » Rispose prontamente la donna, tornando a compilare i moduli. Con tranquillità mi avvicinai a Sam e lui mi sorrise, al contrario di Dean che m’incenerì. Era da un mese che non li vedevo, lo stesso mese in cui aveva ucciso la mia ultima preda e ora si rifacevano vivi con l’intenzione di rubarmi il caso? Non gliel’avrei permesso.
« Avete intenzione di rubarmi il caso? » Mormorai al moro fra i denti, come un serpente che sibila. Lui diede le spalle a Susan e si abbassò sopra di me; mi ero dimenticata quanto fosse alto. I suoi occhi azzurri mi scrutarono per qualche secondo, curiosi e pieni di domande.
« Ne parleremo in camera, ok? » Tornò retto e poggiò una mano sulla mia spalla, quando un anziano signore comparve dietro di me. Ingoiai un fiotto di saliva e mi passai una mano fra i capelli: ieri sera non c’era, mi dissi. Bah.
« Shervyn, accompagna i signori alla 237. » Gli ordinò gentilmente Susan, tornando alle sue carte.
« Fatemi indovinare: siete antiquari? » Chiese immediatamente l’anziano, inarcando le folte sopracciglia sulla fronte rugosa. Sospirai, poggiandomi distrattamente a Sam.
« Esatto, vedo che qui sapete riconoscere subito le persone, eh? » Il petto del ragazzo sobbalzò ad ogni parola, ed io con esso; imbarazzata silenziosamente, mi staccai da lui e seguii il facchino verso il piano superiore. L’uomo trascinava la borsa come se al posto della stoffa ci fosse stato un guinzaglio e alla fine un cane, morto. Quando iniziammo a salire le scale la sacca da viaggio dei ragazzi sbatteva su di esse con il classico frastuono che fa un martello sul legno, e questo rimbombava fra le pareti silenziose.
« Non vuole una mano con la borsa? » Chiese gentilmente Dean, davanti a me, mentre osservava la sua sacca sbattere continuamente contro ogni cosa.
« C’è la faccio. » Lo rassicurò Shervyn, continuando imperterrito a trascinarla. Una piccola risata sommessa proruppe dalle mie labbra, e si amplificò quando Dean mi rivolse una strana occhiata. Il maggiore dei Winchester si fermò ad aspettare me e il fratello e continuò assieme a noi.
« Che diamine ci fai qui, Di Angelo? » Sibilò silenziosamente, lanciando occhiate verso il nostro facchino.
« Secondo te cosa faccio? Lavoro », risposi, «  e evaporati. » Poggiai una mano sulla sua spalla allontanandolo, « Stammi lontano Winchester detesto il tuo profumo e, soprattutto, te. »
« Nemmeno tu sei una buona compagnia, stronza.  »
« Senti chi parla! Io sono stronza ma tu sei proprio un… »
« E così l’hotel sta per chiudere, eh? » Sam si frappose fra noi, interrompendo la nostra litigata. Odiavo ammetterlo, ma forse era meglio così; avevamo dato spettacolo giù di sotto e anche adesso stavamo facendo la nostra figura, meglio darci un taglio. Ma non era colpa mia, quel Dean riusciva a tirar fuori il peggio di me sebbene questa fosse la seconda volta che c’incontravamo.
« La signora Susan ha provato a tenere duro ma purtroppo la gente non viene più come una volta. » Affermò con rammarico l’uomo, la borsa che ancora strusciava a terra e Dean che l’osservava con gli occhi agognanti. « Certo che è veramente un peccato. » Sospirò.
« Eh si, è così bello qui. » M’intromisi, accarezzando di sfuggita un antico mobile di legno.
« Anche se adesso non sembra questo era un hotel di lusso: due vicepresidenti hanno dormito nelle nostre camere. I miei lavoravano qui e praticamente ci sono cresciuto. Mi mancherà. » Shervyn si bloccò a metà corridoio e infilò la chiave nella toppa dell’uscio. « Eccoci alla vostra stanza », aprì la porta e consegnò la chiave a Sam che, esitante, la prese dalle sue mani prima di entrare.
Sorpassai Dean e mi ritrovai nella loro camera prima di lui, che sicuramente sbuffò alzando gli occhi al cielo.
« Non vuole fare lo spilorcio con me, spero. » Lo riprese il facchino, con la mano ancora a mezz’aria in attesa dei soldi. Mi portai una mano alle labbra e sorrisi di nascosto, trattenendo una risatina divertita nel vedere Dean sospirare e tirare fuori il portafogli. Quando l’uomo se ne andò e la porta si chiuse, tutto divenne come glaciale. L’atmosfera si fece rigida, la tensione si tagliava con il coltello. Incontrai gli occhi verdi di Dean e sostenni il suo sguardo, senza paura e senza ripensamenti. La sua mascella era tesa, come i muscoli e il respiro regolare.
« Se ora non mi dici perché sei qui, giuro, ti lego ad una sedia e ti estorco la verità a forza. » Mi minacciò il ragazzo, gettando la sacca a casaccio sul pavimento. Questa atterò con un tonfo che fece vibrare le assi del pavimento.
« Te l’ho già detto il motivo per cui sono qui, Winchester: lavoro. E ti giuro », mi avvicinai a lui con tenacia, puntandogli un dito al petto, « che se solo provi a rubarmi nuovamente la preda ti legherò io alla sedia e poi… »
« Ok, adesso basta. Finitela voi due. » Per l’ennesima volta quel giorno, intervenne Sam. Le sue mani si poggiarono sulle nostre spalle allontanandoci, con gentilezza, e i suoi occhi chiari ci imprigionarono severi. « Non ha senso litigare per delle sciocchezze. Ormai siamo tutti qui e, se non ricordo male, il motto dice “uniti si è più forti”, no? Se, magari, collaboriamo potremmo riuscire a terminare il caso più in fretta e poi tornarcene ognuno sulla propria strada. Basterebbe solo sotterrare le vostre discordie per qualche giorno. » Il moro ci guardò attentamente per svariati minuti, con milioni di preghiere negli occhi. Incrociai le braccia al petto e inarcai un sopracciglio, mentre picchiettavo il piede a terra. Dopo tutto quel ragazzino non aveva  torto: “insieme si è più forti” e io volevo finire quel caso presto; sebbene, questo, avrebbe voluto dire lavorare coni Winchester.
« La puoi smettere? » Chiese fra i denti Dean.
« Che c’è: ti da fastidio ogni mio movimento? » Saltai subito su, scrocchiandomi le nocche per non sferrargli un pugno in pieno viso. Al diavolo il mio ragionamento, non potevo lavorare con un tizio che mi urtava i nervi.
« E’ la tua presenza che m’infastidisce. Sei proprio una stronza acida, lo sai? Credi di poter fare tutto solo perché hai un cognome importante fra i cacciatori, ma non sai nemmeno uccidere un vampiro! » Sbraitò, gettando da parte il braccio del fratello, che però si affrettò a rimetterlo a posto.
« Taci Winchester ho più palle di te quando si tratta di caccia, e non ho ucciso quella vampira perché tu non me l’hai permesso. Ti sei intromesso nella mia caccia senza ripensamenti! » Risposi a tono, sentendomi ferita e accusata di inettitudine.
« Gente, è di questo che parlavo: non potete semplicemente evitarvi? Per favore, sono solo sei giorni, forse di meno. Solo qualche giorno, vi prego. » Gli occhi chiari di Sam si soffermarono su di me, lucidi e brillanti sebbene il tempo fuori dalla finestra fosse plumbeo. Esitai per qualche istante, prima di abbassargli la mano che teneva sulla mia spalla e fare un passo indietro, passandomi una mano fra i capelli.
« Non ho intenzione di andarmene da qui finché non concludo questo caso. » Affermai, diretta verso Sam. Il ragazzo lasciò andare Dean e si diresse verso di me, allungando una mano nella mia direzione. « Stai per firmare il contratto di morte di tuo fratello ,lo sai questo si? » Sborbottai, allungando il collo oltre la sua figura per scrutare il fratello che ancora se ne stava fermo con la mascella e i muscoli tesi.
« Dean dovrà adattarsi. Ha trovato pane per i suoi denti, sarà divertente. » Commentò Sam, gettando un’occhiata alla sua mano ancora testa a mezz’aria. Respirando profondamente, feci congiungere i nostri palmi e strinsi le mie dita sulla sua pelle calda. Lui fece lo stesso, sorridendo.
« Vi lascio il tempo di sistemarvi, allora. Se mi cercate sono nella camera affianco », dissi avvicinandomi al muro dove erano poggiati i letti e ticchettandoci sopra con le nocche. Poi, mi allontanai dirigendomi verso la porta, scontrando volontariamente Dean con la spalla. « Chiamatemi quando avrete finito, va bene? Ho alcune teorie interessanti sul caso. »
 
 

 
°      °
 





« Siamo sicuri che sia umana e non una specie di demone che dobbiamo uccidere? » Sibilò Dean quando la porta alle sue spalle si chiuse. Sam l’osservò con uno strano ghigno in faccia e poi si avviò a sfare le valige, con gli angoli delle labbra ancora piegati verso l’alto. Il maggiore dei Winchester recuperò il proprio borsone da terra e lo gettò su quello che sarebbe stato il suo letto, per poi levarsi il pesante giubbotto di pelle che indossava. « Mi farebbe piacere levarle quel ghigno divertito dalla faccia. » Aggiunse poi, aprendo la zip del borsone e iniziando a sistemare la sua roba negli armadi.
« Invece, io credo ti faccia bene un po’ di sana competizione. Infondo, Dean, non ha mai trovato una ragazza che ti tenesse testa così, senza contare Jo, che a quanto pare è scomparsa dalla circolazione. » Affermò Sam, accarezzandosi i capelli scuri.
« Non dirai mica sul serio, Sammy. » Dean gli rivolse uno sguardo indagatore e, quando si accorse che il fratello era serio, rimase muto per qualche secondo. Davvero Sammy pensava quelle cose su di lui? “Sana competizione” l’aveva chiamata, ma di “sano” quella rivalità non avrebbe avuto nulla e Dean questo lo sapeva bene. Insomma, lui la odiava e lei ricambiava questo sentimento, come avrebbero potuto risolvere un caso in soli sei giorni, se non di meno? Scuotendo la testa, Dean si sedette sul suo materasso, che si piegò sotto il suo peso, e si gettò all’indietro con le mani sul ventre. « Io la detesto e sempre la detesterò. »
« Però un po’ ti piace, non è così? Infondo, infondo… »
« Oh, sta zitto Sammy. » Lo zittì lui, rialzandosi a sedere per guardare meglio il fratello. « A me piacciono tutte, basta che respirino. L’unica che non riesco a farmi piacere è lei, perché.. è più selvatica delle altre, credo.»
« “Perché è più selvatica delle altre, credo”, oh andiamo Dean: ti fermerai davvero davanti a questo particolare? Nah, la verità è che sai già di aver perso in partenza. » Lo derise il più piccolo, chiudendo le ante dell’armadio e caricandosi il laptop sotto il braccio. Sam non punzecchiava spesso Dean, era il contrario al massimo, ma quando si metteva in testa qualcosa era irrecuperabile e questo il fratello lo sapeva bene. « Ammettilo Dean: per la prima volta una ragazza non cade ai tuoi piedi e questo fa si che tu ti arrenda immediatamente. »
« Ripeto; sta zitto Sammy. » Lo riprese Dean, tirandogli addosso il primo cuscino che si ritrovò fra le mani.
 
 
 


Ciao ragazze :3
Allurs come state? Non uccidetemi per questo orrendo capitolo, chiedo venia.
Che ne dite di questo inizio “arido” fra Shania e Dean? E le due frasi ad inizio capitolo? Ho deciso che d’ora in poi ne metterò una prima della foto d’inizio, che probabilmente sarà presa da qualche telefilm/libro/film/citazione ecc… mentre la seconda sarà di una canzone, e racchiuderà i pensieri generali di Shania.
Anyway: che ne dite di lei? Vi piace il suo carattere?
  
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