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Autore: aliasNLH    03/03/2014    2 recensioni
«Tu lo sai, vero, che quando un uomo compra dei vestiti alla propria ragazza, lo fa perché vuole toglierglieli personalmente?» mormorò, rispondendo finalmente all’interrogativo.
Max deglutì, improvvisamente accaldato per via del contatto di quella mano – per non dire altro, considerato il fatto che si trovava tra decine di corpi sudati e uno in particolare felicemente spalmato su di lui.
Molto felicemente, in effetti. Avvampò.
«M-ma… io non sono la tua ragazza» cercò di erigere una – blanda – difesa a quello che sembrava qualcosa di inevitabile.
«Questo è vero» gli sussurrò in risposta, sfiorandogli il lobo con le labbra «non sei una donna».
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Tutto il mio affetto e il mio ringraziamento a 3ragon che ha caritatevolmente acconsentito a farmi da Beta. Tutti uniti in un minuto di silenzio per il suo ancora presente coraggio!!

I’m not a Murderer
 
08
 
Timore, Paura, Panico, Terrore
 
    «Che cosa vuoi?» il tono di Max era gelido – sarebbe sembrato perfettamente padrone di sé, non fosse stato per quel tremolio sulle ultime sillabe «Perché sei qui? Mi stai pedinando?»
    «Max!» Bach si avvicinò all'amico, cercando di mettergli una mano sul braccio, per placarlo. Era furibondo: i pugni serrati con forza, le nocche sbiancate e i polsi tremanti, le braccia rigide e i muscoli in tensione, per non parlare delle guance rosse e i denti stretti.
    Con uno scrollone l'altro evitò il contatto, fulminandolo.
    Cosa ci faceva lì, Castor?, gli stava chiedendo con gli occhi. Perché si trovava lì dove non sarebbe dovuto essere?
    «Questo negozio è mio» rispose con calma il rosso, cercando di celare l’improvvisa fitta allo stomaco – sul serio, non poteva trattarsi di ulcera? – che l’aveva colto nel tornare a guardarlo negli occhi per la prima volta da una lunga settimana «della mia famiglia» ci tenne a precisare, non ricevendo null’altro in risposta, se non un’occhiata spenta e una smorfia diffidente.
    «Capisco, allora immagino tu sia qui per farmi saldare il conto dei vestiti che ho comprato la volta scorsa» il sarcasmo, sulla labbra di Max, per quanto secche e mordicchiate, sembrava sempre fuori luogo «mezzo prezzo per prima e poi pieno se non soddisfa le aspettative».
    Castor trasalì come fosse stato colpito.
    Anche Bach sgranò gli occhi, sorpreso dalla reazione dell'amico. Ci era rimasto male, era più che comprensibile, ma non pensava così tanto. Quella era una reazione esagerata, persino per una situazione come quella.
    «Cos’è? Vesti i tuoi clienti, li porti a letto e poi quando hai finito li cacci via? Sono certo che le tue numerose amanti sono state ampiamente rifornite di vestiti da qui» sputò a bassa voce, troppo bassa per essere udita dalla maggior parte dei clienti, fortunatamente.
    Castor strinse istintivamente gli occhi, una nuova fitta. Com'era possibile si trovasse a sentirsi così a disagio, così sbagliato, per una persona appena conosciuta?
    In un angolo del suo animo, si rafforzò la convinzione di volerlo conoscere meglio. Desiderava potersi riscattare ai suoi occhi, cancellare quella mattina infelice e l'ultima settimana di inspiegabile agonia.
    Perché non si era reso conto prima di quanto profondamente quel ragazzo lo avesse colpito?
    Perché ci si accorge del vero valore di quello che si è posseduto solo dopo averlo perso?
    Non trovò le parole per rispondergli e continuò a fissarlo mentre si sfogava, gli occhi febbrili.
    «E dimmi, anche a loro facevi il prezzo scontato come hai fatto con me, oppure prezzo pieno e colazione prima di metterle alla porta?» sarcasmo, sarcasmo e ancora sarcasmo.
    Come stonava, su di lui.
    «Immagino poi che ti sarai divertito, a vedermi alle prese con la tua famiglia. Simpatico tuo fratello, cosa fa di mestiere? Lo strozzino?»
    «Max» riprovò Bach, provando nuovamente a placarlo, afferrandogli con maggiore forza il polso «datti una calmata, non puoi fare una scenata qui dentro».
    Il ragazzo si scrollò nuovamente di dosso il tocco dell'amico, continuando a fulminare Castor con tutta la rabbia e la delusione accumulate durante l'ultima settimana.
    Shit.
    Faceva fatica a pensare ad altro.
    Shit.
    Poteva pensarlo, dirlo e urlarlo dalla punta dei suoi capelli cangianti fino alle scarpe firmate che portava, passando per le sopracciglia aggrottate, la piega amara delle labbra, le braccia incrociate a difesa e i pantaloni attillati.
    Eppure, nonostante tutto, non poteva fare a meno di ricordare.
    Non poteva permettersi di provare quello che stava provando, non per uno come Castor!
    Gli stata venendo voglia di piangere.
    Fuck You.
    «Max» Castor fece un passo avanti, nell'ennesimo tentativo di farsi ascoltare, ma l'altro si spostò indietro di due.
    «No» disse solamente, alzando una mano.
    Doveva andarsene. Quello era l'unico pensiero che poteva permettersi di avere. Non voleva, non poteva farsi vedere ancora in lacrime.
    «Sono certo che tu ti sia preparato un bel discorsetto, convincente e ragionevole, ma la sai una cosa? Non voglio sentirlo. Non mi interessa! Sei solo un ipocrita».
    Bach vide Castor sussultare lievemente e chiudere istintivamente gli occhi. Era la prima volta, notò, che sembrava tanto ferito. Aggrottando le sopracciglia il moro si chiese se, per caso, non avesse sottovalutato il reale interesse del rosso per l'amico.
    Tutto accadde in un attimo.
    Max voltò le spalle ad entrambi e uscì spedito del negozio, gettandosi in strada senza curarsi di guardare le macchine in arrivo.
    Castor, dopo un attimo, si lasciò sfuggire un'imprecazione estremamente colorita – che Bach si appuntò per il futuro – e si gettò al suo inseguimento, biascicando a mezza voce insulti e ringraziamenti per il semaforo verde ai pedoni.
    Bach osservò vagamente allibito la reazione di entrambi prima di fissarsi sulla schiena in allontanamento dell'amico.
    Non poteva lasciarlo solo, non dopo quello sfogo e quell'espressione che aveva messo su prima di andarsene, Max sembrava sul punto di piangere, ancora.
    E Castor non sembrava intenzionato a lasciarlo andare tanto facilmente.
    Con un sospiro seguì il loro esempio, uscendo a propria volta e incespicando in un tombino mal fissato – lo stesso, registrò distrattamente nello sbilanciarsi, che Castor aveva saltato per darsi lo slancio e allungare il passo di modo da raggiungere l'altro.
    Con la coda dell'occhio li vide vicini, dall'altra parte della strada. Parlavano a voce talmente alta che poteva sentirli ancora chiaramente da sopra i rumori della strada.
    «Maledizione, Maximillian aspetta!»
    Max si sentì afferrare il polso con forza e, nuovamente, fece del proprio meglio per liberarsi, ma l'altro non sembrava intenzionato a lasciarlo vincere facilmente. Con uno strattone più deciso degli altri lo fece voltare verso di sé e gli serrò entrambe le mani sulle braccia.
    Cercò di divincolarsi, ma l'unico risultato fu quello di sentire la presa farsi più stretta e il corpo più vicino. Con un'imprecazione gli assestò una ginocchiata sulla coscia, incapace di mirare meglio.
    Poi alzò lo sguardo furibondo su di lui.
    Castor aveva i capelli completamente arruffati per la corsa e il vento, gli occhi lucidi dal freddo e le guance rosse. Non avrebbe saputo dire se di rabbia o in reazione alla temperatura all'esterno.
    Il respiro era accelerato e data la vicinanza Max sentì chiaramente l'odore di menta dovuto al dentifricio, oppure ad una caramella.
    «Quello poteva farmi male» lo sentì ironizzare sul colpo appena sferrato.
    Serrò con forza le palpebre nella vana speranza di far scomparire tutto. Il freddo, il dolore improvviso al petto, quella fitta di desiderio e quel brivido provato nel momento in cui lo aveva afferrato.
    Tuttavia, un improvviso colpo di clacson lo costrinse a guardare da sopra le spalle dell'altro.
    L'ultima cosa che riuscì a vedere chiaramente, prima di venire risucchiato in un inferno fatto di sirene, luci accecanti, braccia indesiderate e ginocchia sbattute pesantemente sull'asfalto, fu una persona venire scaraventata via da un'auto bianca. Una Corvette, registrò meccanicamente.
    Il corpo rotolò brevemente a terra, strisciando dolorosamente sulla strada, strappando i jeans chiari sulle ginocchia sfilacciando il maglione blu scuro. I capelli neri, arruffati e bagnati, si posavano come spuntoni in una macchia di sangue che andava via via allargandosi sotto la testa.
    Max sentì la gambe cedere e la vista annebbiarsi, mentre un grido agghiacciante gli rendeva sordo tutto il resto del mondo.
    Fu solo quando sentì la gola farsi secca e dolorante che si rese conto di essere lui ad emetterlo.
    «BACH!»
 
°°°
 
    Tom stava facendo due conti sulle tabelle di allenamento dei suoi ragazzi.
    I preliminari non erano andati come previsto, ma in un modo o nell'altro erano riusciti a piazzarsi in tutte le categorie. Per la sessione successiva – che sarebbe iniziata di lì a qualche giorno – avrebbero dovuto dimostrarsi ben più abili.
    Segnalando esercizi e aggiunte alimentari, spuntò mentalmente un altro punto dalla lista.
    Ordinare una nuova macchina del caffè per l'ufficio, fatto.
    Portare a far revisionare il pullmino della squadra, fatto.
    Sistemare le schede di esercizio, fatto.
    Cosa mancava?
    Chiedere a Bach cosa fosse effettivamente successo a Max.
    Lasciandosi andare contro lo schienale della poltrona, chiuse gli occhi, concentrandosi sul colloquio avuto con il moro, poco prima delle gare.
    Gli aveva fatto capire, nel suo solito modo scostante e di mezze parole, che Max non era entrato in un brutto giro e che non si sarebbe dovuto preoccupare. Aveva persino trovato il modo di spiegare quei strani segni sulla pelle – non aveva dovuto pensarci troppo, in effetti, ma era strano pesare al ragazzo in quei termini.
    Max, forse proprio perché lo aveva conosciuto sin da bambino, gli aveva dato l'idea di purezza, in qualche modo, ti castità. Per carità, sapeva della sua ex, ma non era bastato a togliergli dalla mente quella patina di innocenza con cui lo aveva sempre ricoperto.
    Sapere che poteva fare certe cose… faceva seriamente fatica ad immaginarselo.
    Poteva essere una donna più grande? Un dominatrice.
    Oppure era veramente un maschio, il suo – primo, lo sperava con tutto il suo cuore di role-in-father – partner.
    Allungò la mano per prendere il cellulare e comporre il numero di Bach. Basta, rimuginarci non serviva a niente: avrebbe chiamato, preteso una spiegazione e scoperto il motivo scatenante del malumore, la tristezza e i segni di Max.
    Lasciò squillare a lungo e più volte, senza una risposta.
    Infastidito fece un altro tentativo.
    Per carità, Bach era un ragazzo adulto e vaccinato, giovane e tutto il resto, quindi era perfettamente normale che non rispondesse la telefono. Quello che lo infastidiva maggiormente, però, era il poco controllo che riusciva ad avere su di lui in particolare.
    Tom non pretendeva di conoscere i dettagli della vita dei suoi atleti, ma almeno qualcosa in più di molti altri sì. Li preparava, seguiva la loro vita in ogni aspetto in previsione delle gare e non era mai riuscito a conoscere Bach con la stessa profondità degli altri. Ma forse questo dipendeva dalla naturale riservatezza del moro.
    Ma il fatto che non rispondesse al telefono non gli piaceva per niente.
    Semplicemente non gli piaceva che quel ragazzo – con cui lavorava a stretto contatto a quasi sette anni – fosse poco più che un conoscente, per lui. Non si fidava forse abbastanza?
    Venne distratto da un lieve bussare alla porta.
    «Ah, Brook, entra» sorrise rilassato, vedendo il ragazzo indugiare sulla porta «dimmi».
    Brook spostò il peso sulle gambe in maniera inquietante per uno come lui, facendo svanire il sorriso dal volto di Tom. Era raro vederlo tanto a disagio – arrabbiato, raramente; preoccupato, qualche volta; serafico, la maggior parte del tempo. A disagio, mai.
    Il ragazzo fece un passo avanti, ruotando la testa per invitare qualcun altro a seguirlo.
    Lionel, ugualmente irrigidito e inspiegabilmente nervoso, spintonò il compagno per entrare e si rivolse all'uomo con esitazione – dopo essere stato adeguatamente invogliato da un'occhiataccia di Brook.
    «Cosa sta succedendo?» chiese Tom, alzandosi in piedi. Per un qualche strano motivo faticava a stare ancora seduto.
    «Ha chiamato Castor…» s'interruppe, indeciso su come continuare.
    L'allenatore aggrottò un sopracciglio. Chi diavolo era Castor?
    «E chi è?» chiese infatti.
    «Il-» ennesima interruzione, mentre l'altro si chiedeva quanto o come potesse rivelare il fatto «il ragazzo di Max, suppongo…»
    Il ragazzo di Max!?
    «E cosa vuole da noi?» domandò sempre più perplesso e anche un po' scosso.
    Il ragazzo di Max.
    Dear God.
    «Mister» la voce di Lionel si abbassò ulteriormente «Bach ha avuto un incidente. Si trova in ospedale adesso».
 
 
Ehm, per chi se lo stesse chiedendo, sarebbe questa la grande modifica alla storia… Bach!
E pensare che si tratta del mio personaggio preferito. Siam messi bene!
 
Come già detto, non era l'idea originale (affatto, proprio per niente!) che mi è venuta in mente quando ho iniziato a pensare che la storia lasciata lineare come era stata creata, sarebbe risultata un po' noiosa – certo che a parte la mia stalker di fiducia (ebbene sì animelover, ti sei appena guadagnata il primo posto!!!) non mi aiutate molto eh? (me che cerca di scaricare la colpa del ritardo su qualcun altro).
 
Cmq… vabbè, proverò ad essere meno in ritardo la prossima volta XD
Buona giornata
 
 
baci
NLH
 
  
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