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Autore: IamNotPrinceHamlet    03/03/2014    1 recensioni
Seattle, 1990. Angela Pacifico, detta Angie, è una quasi 18enne italoamericana, appassionata di film, musica e cartoni animati. Timida e imbranata, sopravvive grazie a cinismo e ironia, che non risparmia nemmeno a sé stessa. Si trasferisce nell'Emerald City per frequentare il college, ma l'incontro con una ragazza apparentemente molto diversa da lei le cambia la vita: si ritrova catapultata nel bel mezzo della scena musicale più interessante, eterogenea e folle del momento, ma soprattutto trova nuovi bizzarri amici. E non solo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando torno in camera, carico di ogni ben di dio, Angie sta ancora dormendo beatamente. E’ la prima volta che faccio una cosa del genere e ho appena scoperto che non è niente male. Appoggio tutto sul comodino e mi siedo sul letto accanto a lei, indugiando un po’ nell’ammirarla prima di svegliarla. Ha sempre il sonno piuttosto agitato durante la notte, ma poi al mattino è così calma e pacifica, trovarmela accanto quando apro gli occhi mi rimette in pace col mondo.

“Angie… Angie svegliati” comincio a fare il rompiscatole, chiamandola prima solo con la voce, ma senza ottenere grandi risultati.

Le accarezzo i capelli e faccio scivolare una mano sulla spalla scoperta per scuoterla un pochino, mentre continuo a chiamarla dolcemente per nome. Niente. Le accarezzo il viso con l’altra mano, per poi seguire lo stesso percorso in punta di labbra, poi riprendo a scuoterla leggermente. Macché. Passo alle maniere forti e la mano scivola dalla spalla, sotto le coperte fino al seno, che ho il piacere di trovare scoperto. Ieri sera doveva essere proprio stanca se è crollata prima di mettersi il pigiama o qualsiasi altro fastidiosissimo indumento, che mi avrebbe impedito di dormire pelle a pelle con la mia piccola. Le mie stimolazioni, assieme ai baci e agli inviti a svegliarsi, hanno finalmente il loro effetto, perché Angie comincia a muoversi e a dare segni di vita, con quei suoi piccoli gemiti, sbadigli e versetti che mi fanno impazzire e che mi spingerebbero a mandare affanculo tutto il lavoro fatto e rituffarmi sotto le coperte con lei per una scopata del buongiorno. Ma no, cazzo, mi sono impegnato!

“Buongiorno” esclamo appena apre l’occhio che ha appena stropicciato col dorso della mano.

“Ehi… buongiorno” risponde con l’ennesimo sbadiglio.

“Dormivi proprio come un sasso eh? Ho dovuto sfoderare l’artiglieria pesante per svegliarti” le bisbiglio nell’orecchio, per poi darle un’altra piccola palpatina.

“Ma com’è che sei già sveglio?” mi chiede aprendo anche l’altro occhio.

“Non ne ho la più pallida idea, ma ne ho approfittato per farti una sorpresa” le rivelo, affondando la faccia sul suo collo.

“Sorpresa?”

“Sì. In realtà, le sorprese sono due, ma una non dipende da me” le spiego rialzando la testa e dandole un bacio a stampo sulle labbra.

“E dove sono queste sorprese?” mi chiede ancora assonnata.

“Una è qui” sorrido indicandole orgoglioso il comodino.

“Non… non ci credo” balbetta mettendosi a sedere sul letto e dimenticandosi di essere nuda. Purtroppo se ne ricorda dopo pochissimi secondi e si copre col lenzuolo.

“Credici, piccola: la tua colazione preferita, tutta per te” sorrido mentre le porgo il bicchiere col latte al cioccolato e rubo un pezzettino di french toast alla banana.

“Ma… li hai preparati tu?” mi chiede con occhi che finalmente posso definire aperti. Devo averla sconvolta.

“Sì, li ho appena fatti, scottano ancora” le spiego soffiando sul pezzetto di toast, prima di morderlo.

“Li hai fatti adesso?” mi chiede leccandosi le labbra dopo un bel sorso di latte, senza alcuna malizia, cosa che mi risulta perciò ancora più arrapante.

“Sì, piccola”

“In cucina?”

“Sì, dove se no?”

“E ci sei andato così?” chiede, indicandomi con la stessa mano che ha appena afferrato un toast.

“Sì, perché?”

“Ma sei.. sei nudo!” esclama gesticolando sempre col toast in mano.

“Non sono nudo, ho i boxer” replico infilando un dito sotto l’elastico delle mie mutande e facendolo schioccare.

“Beh, sei quasi nudo…”

“Tranquilla, nessuno dei tuoi vicini mi ha visto. E anche se fosse, vorrà dire che qualcuno si è goduto un bello spettacolo” scherzo assumendo una posta da presunto figo.

“E se ti avesse visto Meg?” domanda prima di dare finalmente un morso al frutto del mio lavoro.

“Ha già visto uomini in mutande, Angie, non credo si scandalizzi. Anzi, ora che ci penso credo mi abbia anche già visto in mutande più di una volta”

“Ah sì?” chiede dandomi un’occhiataccia indecifrabile.

“Sì, beh, ci conosciamo da tempo, abbiamo fatto un sacco di serate insieme! Sai com’è, a volte ha dormito a casa nostra o io ho dormito qui o entrambi abbiamo dormito da qualcun altro…”

“Ah…”

“Ma solo dormito, nient’altro”

“Ok”

“Ma molto prima di conoscerti”

“Mm-mm” mugugna leccandosi le dita inzuccherate, sempre con sguardo torvo.

“Mica sarai gelosa?” le chiedo sorridendo e rubandole un pezzo di toast dalle mani.

“Io? Ma va…” risponde facendo spallucce, ma col faccino ancora imbronciato.

“E invece sì, la mia piccola è gelosa!” esclamo appoggiando la testa sulle sue gambe e avvolgendole i fianchi in un abbraccio stritolante.

“Smettila!”

“Gelosona!”

“Piantala o mi farai vomitare il toast!” ride mentre cerca di liberarsi dalla mia presa.

“Ok ok…” mi arrendo lasciandola andare.

“E poi, se dovessi essere gelosa di tutte le donne che ti hanno visto in mutande o senza, non dovrei neanche lasciarti uscire per strada” aggiunge la stoccata prima di bere un altro po’ di latte.

“Ah-ah, guarda che non mi sono mica fatto tutta Seattle” ribatto incrociando le braccia.

“Lo so, ti sei limitato alle donne maggiorenni” aggiunge con la sua solita faccetta da schiaffi, prima di allungarsi verso di me per darmi un bacio al cacao sulle labbra.

“Stronza”

“E dov’è la mia seconda sorpresa?” chiede pulendosi le mani con un tovagliolino, per poi cercare improvvisamente di pettinarsi con le dita. Dev’essersi vista riflessa da qualche parte.

“Oh, giusto!” mi alzo e mi avvicino alla finestra “Pronta?”

“Sì…” risponde perplessa, finché non spalanco le tende e vede finalmente le evoluzioni dei piccoli fiocchi bianchi attraverso la finestra.

“Ta-dan!”

“OH MIO DIO!” fa un saltello da seduta sul letto, dopodiché si alza e, purtroppo per me, anche stavolta si ricorda di essere nuda e usa una coperta del letto per avvolgervisi completamente come un salame. Non capisco perché tutto questo pudore. Ancora. Ormai l’ho vista nuda parecchie volte, ma appena fuori dal letto, guai a mostrarsi senza vestiti!

“Spero solo non sia un problema per il concerto. E per il nostro appuntamento” commento guardando fuori e allungando il braccio sulle sue spalle quando mi raggiunge.

“Nah, è poca roba, almeno per adesso. Renderà solo il tutto più natalizio” mi tranquillizza senza scollare gli occhi dalla finestra, né le mani dalla coperta.

“Ma tu non odiavi il Natale?”

“La neve è l’unica cosa che mi piace del Natale… E poi così ho sbugiardato Stone: 'Figurati, ma che neve e neve? Tornatene in mezzo alle mucche se vuoi la neve, qua a Seatlle non nevica mai ahahahah'… E adesso? Chi è che aveva ragione? Ci godo troppo!” farfuglia esibendosi in una perfetta imitazione di Gossard.

“E questo?” le chiedo spostandole i capelli da un lato e indicando un livido sul braccio che non avevo notato prima.

“Lo chiedi a me? Sei stato tu, caro” replica con una smorfia.

“Io?”

“Sì, tu, non ti ricordi?” continua appoggiandosi a me.

“Non è che è stato Ament ieri? Quando ti è saltato addosso?”

“Ahahah Jeff non mi è saltato addosso! E di certo non con la bocca aperta, sei stato tu stanotte!”

“Ah è un morso?” chiedo spostandola leggermente da me e guardando meglio.

“Certo che è un morso, si vede il segno dei denti!” esclama indicandomi i punti incriminati.

“E come faccio a sapere che sono i miei denti?” domando con espressione corrucciata.

“Vuoi che te li strappi e faccia un calco per un confronto?”

“Mmm no, mi fido” dico prima di afferrare i lembi della coperta alle sue spalle e tirarli verso di me. Lei si ribella pensando che voglia spogliarla, ma non è quello che ho in mente: mi infilo nella coperta assieme a lei e la avvolgo attorno a noi, abbracciandola e baciandola.

“E poi io sarei quella gelosa” commenta ridacchiando, mentre mi accarezza il viso rasato di fresco.

“Lo sei, ma non lo ammetti. Io invece non ne faccio mistero: sono gelosissimo” confesso camminando, o meglio saltellando, visto che sono insaccato in una coperta, verso il letto, trascinandomi dietro Angie, inevitabilmente.

“Ma non ne hai motivo…” risponde arrossendo e guardando altrove.

“Il motivo è che sei stupenda” mi siedo sul letto e l’aiuto a fare altrettanto accanto a me senza inciampare.

“Questo lo dici tu”

“Già, lo dico io, e quando ufficializzeremo la cosa lo potrò a dire ad alta voce!”

“Oh…”

“E allora ci devono solo provare ad allungare le mani o gli occhi sulla mia ragazza, gli faccio il culo!”

“Ahahah ma stai parlando di personaggi immaginari?” chiede sghignazzando e spettinandomi.

“Seh seh, immaginari… Non vedo l’ora che arrivi domani sera, sai?” le dico cambiando argomento, prima che mi scaldi troppo.

“Davvero?” mi chiede insinuando le braccia attorno al mio collo.

“Sì, l’idea di poter finalmente passare una serata intera con te mi elettrizza più del concerto di stasera” ammetto accarezzandole la schiena.

“Esagerato!” commenta tornando a fissarmi da così vicino che le nostre labbra si sfiorano involontariamente.

“E’ la verità…” ribadisco baciandole la punta del naso, senza staccare gli occhi dai suoi neanche per un secondo.

“Oh Jerry” sfrega il naso contro il mio e resta così, senza dire altro, a respirare sulle mie labbra, senza baciarmi, e a fissarmi quasi adorante. Cazzo. Me la merito tutta questa fortuna?

“Angie…”

“Jerry… io…”

“Sì?”

“Io…”

“Dimmi”

“Io… sto morendo di fame” confessa mentre la sua bocca si allarga in un enorme sorriso, ma ho come l’impressione che volesse dirmi tutt’altro. Faccio finta di niente e mi allungo verso il comodino per recuperare la nostra colazione, ma scopro che non ci arrivo, trattenuto da Angela e dalla coperta che ci avvolge stretti stretti. Allora cominciamo a ridere e io mi metto a fare l’imbecille come al solito per farla ridere di più, ripensando a pochi istanti prima e alle due parole che probabilmente stava per dirmi.

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“Ma che caz-?” Mike reagisce incredulo all’intervento di Stone, che gli porta via la birra dalle mani prima che possa stapparla.

“E’ pomeriggio e tra poco andremo a fare il soundcheck per il nostro secondo concerto in assoluto, pensare di andarci sobri è chiedere troppo?” ribatte Gossard guardandosi attorno, tanto per farci capire che la ramanzina vale per tutti.

“Ma ne ho bevute solo due!” protesta McCready dalla poltrona, allargando le braccia.

“Appunto, mi pare che bastino, per il momento. Dopo il concerto potremo ubriacarci tutti alla salute di Eddie” continua alzando la birra verso di me in un brindisi-non brindisi.

“La bevo io, tesoro, tanto non suono!” Melanie arraffa la birra dalle mani di Stone e se la fa aprire da un Mike ora mesto, non so se perché privato della sua birra o per l’occhiataccia che gli ha rivolto Meg alla parola tesoro.

“Non avevo pensato a questo vantaggio dello stare con un musicista!” commenta Laura dalla cucina, prima di rubare un sorso di birra al suo ragazzo accanto a lei “Lo faccio per te, caro”

“Grazie, tu sì che mi vuoi bene” risponde Jeff sollevando la bottiglia da dietro per scherzo mentre lei beve e facendole quindi sputare birra da tutte le parti.

“Ma sei scemo!” lo riprende lei ridacchiando e tossendo insieme.

“Tranquilla, tanto il pavimento lo pulirò io quando voi due sarete già lontani. Tanti auguri a me” ironizzo prima di bere un altro sorso di liquido ambrato, visto che io non ho nessuno che lo faccia al mio posto.

“Ma Angela?” chiede Krusen dalla sua postazione sul divano, di fianco a Meg.

“Lavora fino alle quattro, poi ci raggiunge” risponde lei accendendosi una sigaretta.

“Sono le quattro e mezza.” osserva Stone dopo aver esaminato il suo orologio “Chiamiamo prima gli ospedali o la polizia?”

“Ahahah adesso arriva, idiota!” replica la ragazza soffiandogli il fumo in faccia mentre le si siede accanto.

“Ma, come arriva? Con chi?” indaga Jeff tornando in soggiorno con la sua ragazza.

“Da sola, con la sua macchina” spiega Meg appoggiando la sigaretta sul bordo del posacenere per togliersi il maglioncino.

“Oh cazzo, comincia dagli ospedali, Stone!” esclama il mio coinquilino portandosi le mani sulla testa.

“Scemo!” Laura lo riprende con una sberla sulla nuca.

“Ma guida con la neve? E’ matta?” chiede Stone rubando un tiro dalla sigaretta di Meg.

“Due fiocchi, capirai!” risponde lei riappropriandosi del mal tolto.

“E poi ha le gomme invernali, gliele ho montate io!” aggiunge Mike allungando le mani verso la sua ex birra, che la riccia seduta sul bracciolo della poltrona si guarda bene dal resituirgli.

“Davvero?” chiede Melanie allontanando la bottiglia.

“E già, Mike è appassionato di auto! Non stupisce che si sia messo con qualcuno che ci ha a che fare quotidianamente, vero Mikey?” Meg lancia una frecciata delle sue al mio chitarrista, che perde l’uso della parola.

“Ahah spero non sia solo per quello che stai con me, vero?” Melanie si china su di lui e gli stampa un bacio in fronte.

“Oh no, sono sicura che hai molte altre qualità” prosegue Meg con un sorriso falsissimo stampato in faccia.

Povero Mike, per quanto se la sia cercata, non vorrei essere nei suoi panni.

“Zitti tutti!” esclama Dave a un certo punto, come se avesse sentito qualcosa di fondamentale. All’inizio penso sia solo un tentativo di salvare Mike dalla gogna interrompendo quel siparietto imbarazzante, ma poi il batterista comincia a muovere la testa seguendo un ritmo veloce, che sento anch’io in lontananza. La distanza si accorcia sempre più e riconosco le note di In the city dei Jam. Non sono l’unico, perché iniziamo tutti a canticchiarla sommessamente.

“E’ arrivata!” esclama Jeff buttandosi sull’altra poltrona e tirando a sé Laura perché gli si sieda in braccio.

“Chi? Angela? Come fai a sapere che è lei?” chiedo perplesso.

“Si riconosce dallo stile” commenta Stone cercando di rubare di nuovo la sigaretta di Meg.

“E dai bassi. Giel’ho montato io lo stereo!” interviene Mike.

“Visto, Mel, che ti dicevo?” Meg torna a scherzare sul suo ex e si arrende a Gossard regalandogli la sigaretta e accendendosene un’altra.

“Vale più la radio di tutta la macchina” commenta Krusen sghignazzando.

“Dai Eddie, guarda se è lei” mi chiede Laura, probabilmente perché sono il più vicino alla finestra.

“Certo, che macchina ha?” domando mentre mi alzo dalla sedia e vado ad affacciarmi.

“Se è lei, la riconoscerai immediatamente, non serve che te lo diciamo” risponde Stone con una risatina smorzata.

Ed effettivamente è così. Quando vedo la Mini Cooper blu elettrico col bersaglio della RAF sul tettuccio fare manovra per parcheggiare in strada capisco immediatamente che si tratta di Angela. E non posso fare a meno di sorridere, mentre la canzone finisce e inizia The Passenger di Iggy Pop.

“E’ lei” mi volto per dare agli altri una conferma di cui non avevano bisogno.

“Visto che bolide?” mi chiede il bassista, subito vittima di un’altra sberla da parte di Laura.

“A me piace!” ribatte lei.

“Anche a me” commento guardando di nuovo fuori dalla finestra e vedendo Angela che conclude la manovra e spegne il motore, ma non la radio.

“Ehm eh sì, gran bell’esemplare, vero Eddie?” mi chiede Stone con un tono che non mi piace, anche se non so il perché…

“E’ molto bella… Ma perché non scende?” domando dopo un po’, non vedendola uscire dalla macchina.

“Sta aspettando” mi risponde Jeff.

“Aspettando chi? Dobbiamo scendere?”

“Ahah no, aspetta che finisca la canzone, è una sua fissa” spiega Meg alzandosi dal divano e venendomi vicino.

“Se sta ascoltando un pezzo alla radio o da una cassetta, non scende mai prima che sia finito. E’ l’unico suo gesto che oserei definire scaramantico” aggiunge Mike prima di bere il fondo della bottiglia che deve essere riuscito a rubare alla sua ragazza mentre ero distratto.

“Esatto, probabilmente è il suo unico credo: il culto della musica in macchina” rimarca Stone stravaccandosi meglio sul divano più vuoto.

“E devi vedere quante cassettine ha! Compilation studiate per ogni occasione. Questa è quella da party, la riconosco” dice Meg guardando la sua amica dalla finestra insieme a me.

“Probabilmente ora starà cantando a squarciagola” aggiunge Krusen respingendo i piedi di Stone che cercavano di invadere il suo spazio vitale.

“Oddio, peccato che non siamo lì a goderci lo spettacolo!” esclama Jeff prima di esplodere in una grassa risata, seguito da Laura, che stavolta non lo sgrida, e da tutti gli altri.

“Perché?” chiedo quasi contagiato dalle risa, anche se non ne conosco il motivo.

“Oh perché non scendi e lo constati da solo?” mi propone Gossard trattenendo a stento le risate.

“Ok” alzo le spalle e afferro la mia giacca, per poi uscire e andare ad accogliere l’ospite, nell’ilarità generale.

Che cazzo avranno da ridere?

***
Quando scendo vedo attraverso il parabrezza, ora leggermente imbiancato, che Angela è effettivamente impegnata a cantare con lo zio Iggy. Non sento la sua voce, ma intravedo il labiale, la testa che va di qua e di là e le mani che battono il tempo sul volante. La osservo per un po’ riparandomi nel portone, pensando che prima o poi mi avrebbe notato, ma niente. Esco, idem. E’ così presa che non si accorge di me nemmeno quando mi avvicino, mi affaccio al  finestrino del passeggero e busso sul vetro per attirare la sua attenzione. A questo punto non mi resta nient’altro da fare.

Oh the passenger, he rides and he rides, he sees things from under glass, he looks through his window side” apro la portiera e salgo in macchina con lei cantando, provocandole uno spavento e un salto che probabilmente le avrebbe fatto dare una testata contro il tetto della macchina, se non fosse piccina.

“Eddie, cazzo!” mi guarda paonazza con la mano sul cuore “Mi vuoi morta per caso?”

“No, dai… almeno non prima del concerto”

“Sei pazzo? Mi hai fatto prendere un colpo!”

“Ti ho chiamata da fuori, ma non mi hai cagato. Non hai guardato attraverso il finestrino” rispondo canticchiando, parafrasando la canzone.

“Non ti facevo così imbecille, la convivenza con Jeff sta avendo una cattiva influenza su di te” commenta riprendendo un colorito naturale.

“Volevo fare un duetto con te, ma tu ti sei fermata”

“Cos’è? Gli altri ti hanno parlato delle mie abilità canore?”

“Mmm non proprio, hanno lasciato intuire che si tratta qualcosa di imperdibile”

“Ci puoi scommettere” risponde ridacchiando e continuando a tenere il tempo della canzone con le mani sul volante e con i piedi sul tappetino.

“Mi piace la tua macchina” commento guardandomi attorno nel piccolo spazio.

“Sì, come no”

“No, davvero, mi piace molto! Mi piace il simbolo mod sul tetto, fa molto Quadrophenia

“Eheh è vero, è un dettaglio che ha colpito subito anche me! Qua mi prendono in giro tutti, ma io l’adoro. L’ho presa dal fratello di Meg, sai?” dice accarezzando il volante e il cruscotto.

“Dove lavora anche Melanie, giusto?”

“Sì. Oh cazzo, Melanie è già qui? E c’è anche Meg?” mi chiede, come se si fosse improvvisamente destata da un sogno idilliaco.

“Eh già, ma non c’è ancora stato nessuno spargimento di sangue, tranquilla”

“Che situazione di merda…”commenta fissando la neve che scende lentamente sul cofano della macchina.

“Già… Ops, è iniziata un’altra canzone, ora non puoi più scendere finché non finisce” le dico quando dallo stereo comincia a uscire il suono della batteria di I fought the law dei Clash.

“Vedo che i tuoi compari ti hanno istruito bene sulla sottoscritta prima di mandarti in missione” dice guardandomi storto, ma non riuscendo a stare ferma con le mani e coi piedi.

“Già! E la mia missione consisteva nel sentirti cantare, quindi canta” la invito a darmi prova delle sue doti canore e lei mi scoppia a ridere in faccia.

“Non ci penso neanche!”

“Perché?”

“Sei l’unico che ha ancora un briciolo di rispetto per me, non posso!” replica alzando il volume e tenendo il tempo agitando in aria delle bacchette immaginarie.

“Vorresti dire che sei stonata?”

“Stonata è un eufemismo: faccio pietà”

“Ahahah ma dai”

“E’ vero! Sai che la polizia locale voleva adottare una registrazione della mia voce al posto della sirena convenzionale?”

“Addirittura?”

“Sì! Mi hanno pure offerto un lavoro al Sea-Tac, sai, come dissuasore per i volatili sulle piste”

“Ahahahah ma smettila!”

“Non mi credi?”

“Scommetto che dici così e poi sei bravissima”

“No no, fidati”

“Va beh, ma sono i Clash, chiunque può cantare un pezzo dei Clash, è umanamente impossibile stonare, dai!”

“Beh visto che eri in vena… scommettiamo?”

“Poi sono io quello che subisce la cattiva influenza di Jeff?”

“Ci stai o no?”

“Ok!” le dico stringendole la mano “Ora vai e stupiscimi”

Quando inizia a cantare rimango di sasso. Un brivido mi sale lungo la schiena e arriva fino alla testa e alle braccia, dove la pelle d’oca monta istantaneamente. Non ho mai sentito nulla del genere. E devo ricredermi: è possibile stonare perfino cantando i Clash. All’inizio penso a uno scherzo, tanto è sgraziata la sua voce, e mi convinco che lo stia facendo apposta, ma poi mi accorgo che non è così e se ne rendono conto anche le mie orecchie, che sentono il crescente desiderio di sanguinare. Credo stia battendo il record mondiale di note mancate, non ne azzecca nemmeno una per sbaglio. Cerco di mantenere un’espressione neutrale per non ferirla, ma la mia faccia deve aver assunto un aspetto agghiacciante perché appena si volta verso di me esplode in una risata fragorosa e smette di cantare. Grazie a dio, aggiungo.

“Allora? Chi ha vinto?” mi chiede trionfante.

“Beh…” prendo tempo in cerca delle parole giuste “Non sei così male”

“Ma per favore!”

“La voce non è male: il problema sono le note” commento rilassandomi e concedendomi una risatina.

“Piccolo problema insignificante!”

“Comunque l’accento inglese ti viene benissimo!” le faccio l’unico vero complimento possibile.

“Eeeeh essere mezza inglese aiuta, caro mio”

“Ma non eri mezza italiana?” le chiedo perplesso.

“Da parte di papà. Mia madre invece è inglese, di Brighton”

“Oh davvero?”

“Sì! Quindi sono metà italiana, metà inglese e metà americana… Sì, sono fatta di tre metà, sono un freak ahahahahahah”

“…”

“Ehm era una battuta” si affretta a precisare, vedendomi ammutolito e con un sopracciglio alzato.

“Sì, l’avevo capito. Dici che dovevo ridere?” chiedo, pentendomi subito dopo. E se si fosse offesa?

“… Non ti picchio solo perché sei il festeggiato” osserva guardandomi male, ma con un mezzo sorriso dei suoi.

“Tecnicamente non ancora, il mio compleanno è domani” le ricordo.

“Ah già! In questo caso…” mi assesta una serie di sberle e cazzotti sul braccio con entrambe le mani a tempo di musica. E’ stonata come una campana, ma ha il senso del ritmo.

“Ahia, basta! Time out!” imploro pietà ma lei non mi dà tregua “Sai che ho conosciuto Joe Strummer?”

“Eh?” chiede stupita, smettendo finalmente di menarmi.

“Sì, a San Diego, tempo fa ha suonato in un locale dove lavoravo di tanto in tanto”

“Mi stai prendendo per il culo?”

“No, giuro!”

“Ma conosciuto… nel senso che ci hai parlato?”

“Eheheh sì”

Mi salvo la vita, e soprattutto il braccio, raccontandole di quando degli stronzi avevano staccato la luce al Bacchanal e io mi ero ritrovato a fare luce con un accendino mentre Joe si rollava una canna. Lei ascolta in estasi, dimenticandosi anche della musica in sottofondo, ma ricordandosi di spegnere la radio appena finita la canzone. Evidentemente vuole evitare di dovermi dare un’altra prova canora o di rimanere in eterno in macchina con me. Ma perché mai? Io mi sto divertendo un mondo.

“Che culo, Ed!”

“Già… beh lavorando in quel locale ho avuto modo di conoscere un po’ di band che mi interessavano”

“Ti invidio! Beh, più che altro per i live che ti sei visto, perché se avessi conosciuto Joe Strummer non credo che avrei spiccicato una parola, anzi, probabilmente avrei fatto una figura di merda dopo l’altra. Conoscendomi avrei finito per dargli fuoco con quel cazzo di accendino. Quindi è meglio non averlo conosciuto, meglio per lui!” commenta ridendo.

“Nah, perché dici così? Guarda che non è un alieno, è una persona normalissima”

“Lo so, razionalmente lo so. Ma non razionalmente, avrei pensato di trovarmi al cospetto di una divinità”

“Eheh capisco”

“Se ho conosciuto qualche band da quando sono qui è perché i tuoi amici mi hanno buttata dentro a forza, e infatti ho collezionato già una discreta serie di figure imbarazzanti. Io vengo dall’Idaho, capirai, per me già conoscere Chris è stato un trauma”

“Ah è per quello che gli sei caduta addosso? Sei svenuta per l’emozione?” domando lasciandola di stucco.

“Caspita. Non ti hanno semplicemente istruito, ti hanno proprio fornito la mia scheda con tutte le informazioni fondamentali!”

“Veramente questa me l’ha raccontata Chris stesso la sera che l’ho conosciuto all’Off Ramp”

“E ti pareva!”

“Eheh evidentemente è una storia che gli piace”

“Ormai sono diventata la sua storia preferita per attaccare bottone, assieme a quella su quel suo amico che si è fatto la madre di un altro loro amico”

“Sì, effettivamente ricordo anche quella. La tua era la più divertente però, sappilo”

“Grazie, quale onore! Comunque la tua con Joe le batte tutte… sempre che sia vera”

“Certo che è vera! Ho anche una foto che lo dimostra, quando sali te la faccio vedere”

“Magari! Oh aspetta: anch’io ho una foto degna di nota con una rockstar, sai?”

“Davvero? Ma se hai appena finito di dire che sei timida e impacciata?” le chiedo perplesso. Questa ragazza è piena di sorprese, prima coi suoi discorsi ti porta da una parte, poi ti fa una finta e ti sorprende dalla parte opposta.

“Sì, ma in quell’occasione non ero capace di intendere e di volere” risponde frugando nella borsa ed estraendo il suo portafoglio.

“E qual è la rockstar?”

“Robert Plant”

“Che?!” esclamo con gli occhi fuori dalle orbite.

“Sì, ho una foto in cui sono mezza nuda e semi-svenuta in braccio a Robert Plant, se la trovo ti faccio vedere”

La guardo sconcertato e non so cosa aspettarmi dalla foto incriminata, tanto che comincio a chiedermi se sia davvero il caso di vederla. Poi quando me la mostra capisco l’arcano e non posso fare a meno di sorridere.

“Quanti anni avevi?”

“Quasi sette”

“I tuoi ti portavano ai concerti a sei anni?!”

“Sì, è capitato, mio padre era un pazzo. Lì eravamo a Knebworth. E stranamente faceva abbastanza caldo per essere agosto nell’Hertfordshire, come vedi dalla mia mise”

“E suppongo fosse anche tardi, come vedo dal fatto che stai praticamente dormendo”

“Eh sì, mia madre dice che ho dormito da metà concerto in poi”

“Ahahah hai dormito a un concerto dei Led Zeppelin?” domando restituendole la foto.

“Ho sempre avuto il sonno pesante”

Annuisco e mi perdo a osservare la neve mista ad acqua che non scende dritta dall’alto, ma ci viene incontro di traverso sul parabrezza, come se ci stessimo muovendo.

“Da quanto suoni la batteria?” le chiedo a tradimento dopo la piccola parentesi di silenzio confortevole.

“Cosa?”

“La batteria, dico. Quando hai iniziato?”

“Chi ti ha detto che suono la batteria?” mi chiede rivolgendomi uno sguardo di terrore.

“Nessuno, non ce n’è stato bisogno”

“Che cazzo dici?”

“L’ho intuito da solo”

“E da cosa l’avresti intuito? Sentiamo” domanda girandosi completamente sul sedile verso di me e io faccio lo stesso.

“Stai sempre a tamburellare, anche se non c’è nessuna musica in sottofondo. L’ho notato dalla prima volta che ti ho vista da Roxy”

“Ho una notizia sconvolgente per te: il 99% della popolazione mondiale tamburella in giro con le dita quando sente o non sente musica, almeno la popolazione mondiale dotata di dita e arti superiori”

“Ma il tuo non è semplice tamburellare, a volte suoni con quello che ti capita: cucchiai, penne, tubi di patatine”

“Ma in negozio vieni a lavorare o a spiarmi?”

“A lavorare, ma sono un ottimo osservatore, dovresti saperlo”

“Va beh, sono una grande suonatrice di tubi di patatine, da qui alla batteria il passo è tutt’altro che breve”

“Fai i movimenti giusti. Anch’io suonicchio un po’ quindi lo so, anche prima, coi Clash…”

“Ah quindi fare l’imitazione di Topper mi rende automaticamente una batterista?”

“No, il fatto che sai suonare la batteria ti rende automaticamente una batterista. Confessa”

“Ma-”

“E’ un’altra cosa top secret come il basket?”

“Io… ecco, non è che so proprio suonare” inizia finalmente ad ammettere qualcosa.

“Lo sapevo!” esclamo trionfante “Da quanto tempo?”

“Otto anni”

“Cazzo, suoni da otto anni e dici pure che non sai suonare!”

“No, non otto anni.. da quando avevo otto anni”

“Suoni la batteria da dieci fottuti anni?!”

Suono è una parola grossa”

“DIECI!”

“Mio padre ama due cose: la fotografia e la musica. La prima passione me l’ha inculcata facilmente, con la seconda è stato più difficile e non serve che ti sto a dire il perché, ne hai avuta una dimostrazione poco fa”

“Sì, una dimostrazione esauriente. Però tuo padre si è accorto che avevi un buon senso del ritmo, giusto?”

“Esatto, allora mi ha fatto fare batteria. Ma non ho mai suonato seriamente!”

“Certo certo”

“Giuro! Ho fatto finta di suonare coi miei amici della scuola, una finto-punk band senza arte né parte”

“Ha! Avevi anche una band!” me la rido scuotendo la testa e guardando fuori dal finestrino, che si sta leggermente appannando.

“Ma che band! Non siamo praticamente mai usciti dal mio garage. Il nostro più grande, nonché unico, concerto si è tenuto nel portico di casa di Sean per il suo compleanno. Spettatori presenti esclusa la band: 5, ovvero i suoi genitori, sua sorella, zio e cugino”

“Beh, è un punto di partenza”

“Il nostro cavallo di battaglia era una cover hardcore punk di Girls dei Beastie Boys, ho detto tutto”

“Wow, sembra interessante! Sarei curioso di sentirla”

“Non ti perdi nulla, te lo assicuro”

“E quindi nessuno qui sa che sai suonare”

“Non so suonare!”

“Va beh, nessuno sa che fai finta di suonare la batteria, giusto?”

“No, e non devi dirlo a nessuno!”

“Ma-”

“Niente ma! Non azzardarti a organizzarmi trappole come quella della partita di ieri o ti ammazzo. Intesi?”

“D’accordo, mia regina, ogni desiderio è un ordine” accetto abbozzando un piccolo inchino con riverenza.

“Dai sono seria, promesso?” chiede abbracciando il suo sedile e appoggiando il mento all’estremità dello schienale.

“Anch’io ero serio, lo prometto” mi arrendo per l’ennesima volta ai suoi sciocchi segreti. Jerry, il basket, ora la batteria… cominciano ad essere tante le cose che so di te e che non posso condividere con nessuno.

“Grazie. Allora, visto che hai promesso, ti sei meritato il tuo regalo” dice allungandosi verso il sedile posteriore.

“Regalo?”

“Sì, lo so, in teoria dovresti aprirlo domani” continua a ravanare in cerca di qualcosa.

“Ma… non dovevi”

“Perché il tu compleanno è domani, però è una cosa che ti potrebbe servire oggi, perciò…” riemerge finalmente dal sedile posteriore con un anonimo sacchetto di carta in mano “Ecco a te!”

“Angie, non dovevi farmi nessun regalo”

“Uff che palle! Niente festa, niente auguri, niente regalo e bla bla bla… mi andava di farti un pensiero, prendi e stai zitto!” mi mette il sacchetto in mano e mi guarda, chiaramente in attesa di vedermelo scartare.

“Cos’è?” chiedo sbirciando dentro al sacchetto.

“Aprilo e lo scoprirai”

Estraggo dal sacchetto una scatola bianca di media grandezza, con un semplice fiocco giallo, e me la rigiro tra le mani in cerca di una scritta, un indizio, qualcosa.

“La confezione non è il massimo, non sono molto brava in queste cose…” ammette giocherellando nervosamente con le dita.

“Va benissimo invece. E ti sei ricordata che mi piace il giallo” le dico sciogliendo il fiocco e mostrandoglielo.

“Non sei l’unico ad avere buona memoria dei particolari, sai?”

Apro la scatola forse con troppo vigore e la macchina di Angela si riempie istantaneamente di palline di polistirolo.

“Ops”

“No, ma fai pure eh!” mi sgrida lei ridendo e tirandomi delle palline in faccia.

“Il regalo è una battaglia a colpi di polistirolo?” le chiedo contrattaccando.

“Sì! Perché non sapevo che avrebbe nevicato e volevo regalarti un po’ di Natale.” scherza parando i colpi “Però poi è arrivata la neve, allora ho infilato qualcos’altro nella scatola all’ultimo momento per rimediare”

Mi scrollo il polistirolo dai capelli, mentre lei fa lo stesso, e infilo di nuovo la mano nella scatola in cerca del regalo misterioso. Ne estraggo un oggetto voluminoso, non ancora identificabile perché avvolto nella plastica da imballaggio.

“No! Non ci credo! Mi hai regalato la plastica con le bolle da far scoppiare! Come favevi a sapere che è la mia droga?” le chiedo ridendo.

“E’ la droga di tutti, ti sfido a trovare una persona che non ne vada matta”

Procedo nel togliere l’imballaggio, facendo attenzione a non rompere nessuna bolla in anticipo, perché voglio conservarmi questo piacere per dopo, e lentamente scopro di cosa si tratta.

“Cazzo”

“Ti piace?”

“Se… se mi piace? E’ bellissima. Ma… non posso accettarla” le dico rigirandomi tra le mani la macchina fotografica polaroid.

“Cosa vuol dire che non puoi accettarla? Certo che puoi, anzi, devi”

“Il polistirolo andava benissimo”

“Ahahah vaffanculo Ed, se non ti piace dillo e basta” mi aggredisce con un altro paio di palline sul naso.

“Mi piace, ma… chissà quanto costa!” rispondo porgendole la macchina.

“Non molto. E comunque io non ho speso niente perché è la mia, o meglio, lo era. Ora e tua” spiega con un sorrisone stampato in faccia, spingendo la polaroid di nuovo verso di me.

“E’ tua?”

“Sì, non è nuovissima. L’avevo comprata anni fa, cioè me l’avevano comprata i miei genitori perché io avevo rotto i coglioni fino all’inverosimile, ma poi l’ho usata pochissimo. Sono più per le macchine tradizionali, oltre che essere una perfezionista di merda; la polaroid è più da cogli l’attimo, per questo avevo pensato di regalartela, ancora prima di sapere del tuo compleanno”

“Cioè?”

“Ti ricordi il discorso sulle riprese del concerto? Quando hai detto che avresti voluto essere tu quello con la telecamera? Per catturare l’anima del pubblico e portarla con te?”

“Certo”

“Ecco, la videocamera non te la posso regalare perché mi serve e non sono milionaria, ma ho pensato che anche una macchina fotografica poteva fare al caso tuo. E cosa c’è di meglio di una polaroid che catturi l’energia degli spettatori, dei tuoi compagni di band o di qualsiasi persona o cosa ti capiti a tiro, e te la restituisca sotto forma di scatto pronto all’uso?”

La osservo e poi osservo la polaroid. Ha ragione. E’ un genio. Sembrerò patetico a fare foto come un bambino in gita? Ma chi se ne frega! Comunque è vero, a quanto pare non sono l’unico attento ai particolari.

“Sicura che non ti serva?” le chiedo esaminando i pulsanti.

“Sicurissima, da me sta solo a prendere polvere su uno scaffale, sono sicura che tu ne farai buon uso. C’è già una cartuccia, se scavi un altro po’ nel polistirolo la trovi”

Le appoggio una mano sulla spalla e le stampo un piccolo bacio che non si aspetta sulla guancia. Lo so che il contatto fisico la mette un po’ a disagio, ma non posso farne a meno, è stata carinissima.

“Grazie”

“Oh di niente, figurati…” risponde arrossendo “Stasera la puoi testare al concerto. E alla festa!”

“Se è per quello, posso testarla anche subito” ribatto e faccio per scattarle una foto, ma lei, come prevedibile, si nasconde.

“Ahahahah no!” si volta e allunga una mano davanti all’obiettivo.

“Dai, no farti pregare”

“E tu non pregarmi” ribatte dandomi direttamente le spalle.

“Una foto sola, piccolina”

“Ho detto di no”

“Devo sfoderare le armi?”

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“Ma che staranno facendo?” mi chiede il povero stolto.

“Secondo te? Cantano?” alludo ridacchiando mentre mi soffio via un fiocco di neve dal naso.

“Magari gli sta dando il regalo” azzarda Ament dopo aver sentito delle risate provenire dalla scatola di sardine di Angela.

“Certo! E so anche che regalo è…” gli dico sgomitandolo.

“Stone!”

“Dai, un attimo fa si è visto chiaramente che si baciavano”

“Adesso, chiaramente… E’ tutto appannato, non si capiva un cazzo”

“Appunto. Vetri tutti appannati, risate, movimenti inconsulti: la cosa non ti dice niente?”

“Beh, comunque dobbiamo chiamarli, è ora di andare” ricorda, indicando il nostro furgone, dove già ci aspettano i nostri amici.

“Lo so, lo so! Vai a chiamarli”

“Io?! Perché io?”

“Io non ci penso neanche a guastargli la festa, quindi devi andarci tu”

“E perché dovrei guastargliela io?”

“Perché tu e Eddie siete più amici, ti perdonerà. Dai, su! Il tuo cappello si sta riempiendo di neve, non vorrei che il tuo cervello si raffreddasse troppo o rischierebbe di non ripartire più” gli do un paio di pacche sulla schiena, che suonano più come delle spinte.

“Andiamoci insieme” propone, anziché insultarmi, dopo aver fissato la macchina di Angie in silenzio per alcuni istanti.

“Jeff, cazzo”

“Vieni” l’energumeno mi trascina verso la mini senza tanti complimenti.

Ma perché mi circondo di persone totalmente inaffidabili?

“Ahahah no, Eddie, non ci provare!” esclama Angie dall’interno dell’abitacolo.

Mi volto verso il mio bassista con un’espressione eloquente, mi chino per bussare sul finestrino del lato passeggero, dopodiché arretro alle sue spalle.

“Ehm anche voi qui?” Eddie spalanca la portiera, ha una macchina fotografica in mano e del polistirolo nei capelli.

“Perché gli ho regalato quella polaroid? Perché?!” si lagna Angela, raggomitolata sul micro-sedile di dietro, coi piedi che spuntano davanti e prendono a calci il povero Vedder.

“E’ ora, ehm, dobbiamo andare” Ament spiega grattandosi la testa. Che il gelo sia già penetrato attraverso il cuoio capelluto?

“Cazzo, di già?” si chiede stupito controllando il suo orologio.

“Che si fa? Andiamo tutti col furgone?” domanda Angela strisciando attraverso i sedili fino al posto di guida.

“L’idea è quella. O preferisci rischiare la vita con la tua macchina di Topolino?” confermo cercando di seguire le sue contorsioni nello spazio angusto della Mini. Menomale che si è scelta Vedder, che è a misura, se si fosse messa con uno grosso come Ament sarebbe rimasto incastrato alla prima uscita in camporella. E vallo a spiegare al soccorso stradale!

Rido da solo e non mi accorgo che nel frattempo la coppia felice è uscita dalla vettura e ha già raggiunto gli altri nel van. Ci pensa un colpo di clacson di McCready a riportarmi al presente.

Guida lui? Quasi quasi preferivo andarci con Angie.

  
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