Ecco qui una one shot di
poche pretese. Mi è venuta l’ispirazione ieri pomeriggio, e dal momento che oggi
ero relativamente tranquilla, a casa dal lavoro, ho buttato giù
qualcosa.
Non è un gran che, me ne
rendo conto ma… spero che non vi faccia completamente schifo!
^^
Enjoy
reading!!!
Carlisle aprì la porta con
movimenti lenti e imbarazzati.
Dietro di lui, Rosalie mi
lanciava occhiate mortificate, troppo sofferente – o forse si sentiva troppo in
colpa – per guardarmi apertamente negli occhi.
Provai a leggere le loro
menti, ma mi avevano tagliato fuori; brutto segno.
Il vuoto nel mio petto
all’improvviso sembrò pesarmi addosso il doppio; pur potendo fare a meno di
respirare, mi sentivo boccheggiare in cerca di quell’ossigeno che fuggiva da me,
lasciandomi ansimante e sofferente. Dentro di me si fece strada la terribile
consapevolezza che qualcosa fosse andato storto.
Lo sapevo, maledizione, lo
sapevo che non avrei dovuto lasciarla sola in un momento tanto delicato! Perché
non ero rimasto con lei? Perché l’avevo abbandonata come il più codardo dei
vigliacchi?
«Carlisle…». Provai a
chiamarlo ma la pena e il dolore nei suoi occhi, quando il suo sguardo incontrò
il mio, mi fecero desistere.
Scosse piano la testa,
espirando in un gemito.
Restammo entrambi in
silenzio per quelle che mi parvero ore; poi, raccogliendo il coraggio, mio padre
sollevò il capo, puntando i suoi occhi dorati, antichi e stanchi, nei
miei.
«Non abbiamo potuto fare
niente, Edward. Siamo arrivati troppo tardi…», mormorò con voce
addolorata.
Il veleno mi si congelò
nelle vene; non era possibile.
Indietreggiai, come se fossi
stato colpito, e mi accasciai sul seggiolino del
pianoforte.
Il volto a cuore di Esme,
stravolto dalla sofferenza, spuntò da un angolo della
porta.
«Oh, Edward, mi dispiace
tanto…», sussurrò correndomi in contro per stringermi in un abbraccio
materno.
Non prestai attenzione alle
sue parole di conforto, ai sussurri ansiosi, alle mie mani che in modo
automatico si aggrappavano alle sue spalle.
Il mio intero essere era
concentrato nel tentativo di scacciare la voce che, dentro di me,
urlava.
E’ morta. E’ morta. E’
morta, ripeteva la voce,
senza darmi un istante di tregua. E’ morta. L’hai persa, Edward, l’hai persa per
sempre.
Dovevo trovare qualcosa che
potesse distrarmi da quei pensieri, e dovevo trovarlo subito, o sarei impazzito.
Allo stesso tempo, tuttavia, non desideravo altro che lasciarmi cadere a terra e
tuffarmi nei ricordi.
Le braccia di Esme attorno a
me impedirono al mio corpo di cedere, ma nemmeno il dono di Jasper poté nulla
contro la marea di immagini che mi stava assalendo.
Potevo sentire il suo canto
celestiale, più dolce di qualsiasi altro, la sua melodia, la gioia quando
l’accarezzavo, e la tristezza quando dovevo separarmi da lei, seppure per poche
ore, o pochi attimi.
Alla mente si affacciarono i
ricordi più felici della nostra lunga relazione.
Gli innumerevoli viaggi
insieme, il tempo passato con lei, nel tentativo di lasciarci alle spalle le
ansie e le preoccupazioni quotidiane. La sua prima, seria malattia, e la forza
che mi era nata dentro quando, accanto a lei, le avevo promesso che niente
sarebbe andato storto. Che sarebbe guarita. Che avremmo potuto nuovamente essere
felici, insieme.
Io e
lei.
Come potevano gli umani
lasciarsi un amore così alle spalle?
Come potevano i mortali
decidere, di punto in bianco, di lasciarla… e trovarne un’altra?
Non ci sarebbe stata
nessun’altra nel mio cuore. Solo lei. Per sempre. Per tutta l’eternità a cui la
mia natura dannata mi avrebbe condannato, avrei desiderato, sognato, amato,
venerato sempre e solo lei.
Mi occorsero forse ore per
capire che il rumore che sentivo erano i miei singhiozzi, soffocati contro la
spalla di Esme che ancora mi teneva stretta a sé.
«Edward, tesoro mio, figlio
mio…», mormorò accorata, accarezzandomi i capelli.
Capii.
Anche lei soffriva. Tutti
soffrivano.
Tutti le avevano voluto
bene; dal primo all’ultimo membro della mia famiglia, quella perdita atroce
toccava tutti noi.
Nemmeno Jasper, quel giorno,
poteva fare qualcosa per lenire il nostro dolore.
Eravamo tutti
lì.
Jasper ed Alice, che si
stringevano l’uno all’altra per trovare tra di loro il conforto di cui avevano
bisogno.
Carlisle, seduto sul divano,
la testa tra le mani, un’espressione di impotenza nel suo
viso.
Esme, che singhiozzava e
piangeva senza versare una lacrima, ma così compassionevole da avere la forza di
consolare il figlio disperato.
Emmett e Rosalie, lui
afflitto come mai l’avevo visto, lei impacciata e a disagio, quasi volesse
scusarsi, con la sua presenza, per qualcosa a cui non aveva potuto porre
rimedio.
D’un tratto la rabbia montò
dentro di me.
Esisteva un
colpevole.
Esisteva qualcuno che potevo
incolpare per il mio dolore disumano.
Lanciai a Rosalie uno
sguardo di fuoco; non ero un uomo che ha appena perso la cosa più preziosa della
sua vita, in quel momento. Ero l’animale feroce che dentro di me gridava
vendetta, che desiderava con tutto se stesso il tributo del
sangue.
Emmett incrociò il mio
sguardo furente e si piazzò davanti a mia sorella nel tentativo di
proteggerla.
Quel gesto, seppur
comprensibile, fu ciò che mi fece esplodere.
«Togliti di mezzo!»,
ringhiai.
Mi divincolai dalla stretta
di Esme e mi avvicinai a lui, che accanto alla porta mi guardava impassibile.
Ogni traccia di sofferenza era svanita dal suo
volto.
«Non fare un altro passo,
Edward, o te ne pentirai».
«Qualcuno se ne pentirà
molto più di me», risposi con un sibilo.
«Ragazzi, vi prego. Non è il
momento…» sospirò Carlisle, senza sollevare gli occhi da
terra.
«Perché? E’ stata colpa sua
in fondo. E’ stata LEI che l’ha uccisa! E’ morta, è persa per sempre… ed è stata
colpa sua!»
Il mio urlo fece tremare i
vetri della casa, ma in quel momento non avrebbe potuto importarmene di
meno.
Rosalie sussultò, ma non
uscì dal cerchio protettivo delle braccia di mio
fratello.
«Mi… dispiace… Edward…»,
bisbigliò, la voce ridotta a poco più di un sussurro, a malapena udibile persino
per me.
«Non me ne faccio niente
delle tue scuse, Rosalie».
«Non ho potuto… farci
niente. Lo sai, era… troppo tardi per lei. Io… non
pensavo…»
«Cosa, Rose? Non pensavi che
avresti potuto aiutarla prima? Non pensavi che se non fosse stato per il tuo
caratteraccio, per il tuo inutile orgoglio, a quest’ora sarebbe ancora
viva?»
«Prima o poi sarebbe
accaduto, Edward. Non avrebbe potuto vivere in eterno». Carlisle cercò di
calmarmi, di farmi ragionare; come sempre. Lo liquidai con un gesto della mano,
fissandolo in tralice. Come, come, come poteva dare ragione a Rosalie? Come
poteva far finta che tutto ciò che era accaduto fosse solamente il… corso
naturale delle cose?
«Ti sei sempre rifiutato di
cambiarla, nonostante ti avessimo più volte avvertito che il suo tempo prima o
poi sarebbe scaduto», continuò lui con voce pacata.
Il dolore nel mio petto
rimbombava nel vuoto lasciato dal cuore, un dolore sordo, atroce, più forte di
qualsiasi cosa avessi mai provato.
E’ morta. E’ morta. Non la riavrai mai
più, Edward, continuava
a urlare la voce dentro di me.
«Credi forse… che se anche
l’avessi cambiata… il dolore per ciò che avrei fatto sarebbe stato meno
dilaniante?», gli chiesi, cercando di controllare la mia
voce.
Rosalie continuava a
fissarmi, in parte dispiaciuta, in parte
intimorita.
Carlisle chiuse gli occhi, e
scosse leggermente la testa.
«No, figlio mio. Ma sarebbe
stato più facile sopportarlo».
«NO! Sarebbe stata
esattamente la stessa cosa!» urlai infine, sopraffatto dalle
emozioni.
Il suo canto, ancora e
ancora, mi risuonava in mente.
Ora non ci sarebbero più
state risate. Era finito. Per sempre.
Avrei dovuto farmene una
ragione, eppure…
… eppure si può davvero
smettere di soffrire per ciò che si è amato? Può il dolore cessare, un
giorno?
Non per noi vampiri. Non per
me.
Avrei portato quel dolore
con me fino alla fine del tempo, rivedendola nei miei ricordi ogni dannatissimo
giorno.
Dovevo pensare. Dovevo
rinchiudermi nei ricordi, escludere il resto del mondo. Dovevo pensare.
Allontanarmi da una famiglia che l’aveva amata quanto me, dai loro volti
sofferenti, dai loro pensieri celati al mio dono per non farmi ulteriormente
soffrire.
Afferrai le chiavi della
macchina, ma una fitta di dolore improvviso mi bloccò a pochi metri dalla
porta.
«Dove stai andando?» mi
domandò Alice, il suo viso da elfo ancora contorto nel disperato tentativo di
soffocare una smorfia di dolore.
Lei, forse, era quella che
più di tutti le era legata.
Immaginavo la portata della
sua sofferenza.
A dire il vero, immaginavo
la portata della sofferenza di tutta la mia famiglia, Rosalie compresa,
nonostante tutto. Nonostante fosse sua la colpa del mio
dolore.
Non volevo discutere con
lei, però.
Non in quel
momento.
La sua memoria, la memoria
di lei era troppo vivida nella mia mente. Sapevo che in poco tempo sarebbe forse
affievolita, e non volevo sprecare nemmeno un secondo litigando con mia sorella
ed il suo egoismo.
Dopo, mi dissi. Dopo ci sarà
tempo per fargliela pagare.
«Dalla mia ragazza»,
mormorai con un filo di voce.
Esme
sussultò.
«Edward, ti sembra il caso,
nelle tue condizioni…»
«Voglio stare con Bella!»
urlai «E poi… voglio dirle addio».
Uscii in un attimo, facendo
sbattere la porta di casa, e corsi, cercando di non pensare a nient’altro che
non fosse lei, fino a casa di Charlie.
Bussai lievemente, nemmeno
sicuro che mi avesse sentito, poi udii lo scatto della
serratura.
Charlie mi aprì,
un’espressione stravolta sul viso, le rughe ancora più
accentuate.
«Buongiorno, Charlie», dissi
educatamente.
«Ragazzo». Lui annuì con un
cenno del capo, e spalancò la porta per lasciarmi
entrare.
Scivolai dentro e mi diressi
senza una parola in cucina.
Sentivo i suoi passi pesanti
dietro di me.
«Giornata dura al lavoro,
eh?» mormorai con ironia, cercando di rompere il ghiaccio, benché la mia
voce ne fosse completamente
priva.
«Già… piuttosto
dura.»
«Mi dispiace, Charlie»,
mormorai sinceramente.
«Già, bè… non è colpa tua,
figliolo», rispose lui, cercando di alleggerire
l’atmosfera.
«Edward!» esclamò Bella,
scendendo dalle scale. Sussultai al suono della sua voce «Come sta la Volvo?»
domandò sbucando dal corridoio.
Un singhiozzo mi morì in
gola.
«Morta»,
annunciai.
Bè… che dire… come vi avevo
anticipato, non è niente di che. Una cosa davvero senza
pretese.
Se non si fosse capito (e vi
assicuro che è molto probabile che non si sia capito), la “morta” della one shot
era la Volvo.
Sappiamo tutte quanto Eddy
sia attaccato, in modo quasi morboso, alla sua macchina, e ho provato ad
immaginare, ovviamente esagerando in modo quasi ridicolo le reazioni dei Cullen,
come si sarebbe sentito se, per qualche motivo – vecchiaia, un guasto al motore
che Rose non ha saputo riparare (da qui la rabbia di Edward nei confronti della
sorella, e la sua convinzione che sia colpa di Rosalie se
Non sono sicura di aver
fatto un gran lavoro, è stata abbastanza confusa anche per me, ma insomma… ci ho
provato XD
Fatemi sapere che ne
pensate, pareri negativi compresi!! ^^
Pine.