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Autore: pinefertari85    25/06/2008    22 recensioni
Ennesima one shot, senza pretese.
Carlisle aprì la porta con movimenti lenti e imbarazzati.
«Non abbiamo potuto fare niente, Edward. Siamo arrivati troppo tardi…», mormorò con voce addolorata.

Edward alle prese con il dolore della perdita.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco qui una one shot di poche pretese. Mi è venuta l’ispirazione ieri pomeriggio, e dal momento che oggi ero relativamente tranquilla, a casa dal lavoro, ho buttato giù qualcosa.

Non è un gran che, me ne rendo conto ma… spero che non vi faccia completamente schifo! ^^

Enjoy reading!!!




Carlisle aprì la porta con movimenti lenti e imbarazzati.

Dietro di lui, Rosalie mi lanciava occhiate mortificate, troppo sofferente – o forse si sentiva troppo in colpa – per guardarmi apertamente negli occhi.

Provai a leggere le loro menti, ma mi avevano tagliato fuori; brutto segno.

Il vuoto nel mio petto all’improvviso sembrò pesarmi addosso il doppio; pur potendo fare a meno di respirare, mi sentivo boccheggiare in cerca di quell’ossigeno che fuggiva da me, lasciandomi ansimante e sofferente. Dentro di me si fece strada la terribile consapevolezza che qualcosa fosse andato storto.

Lo sapevo, maledizione, lo sapevo che non avrei dovuto lasciarla sola in un momento tanto delicato! Perché non ero rimasto con lei? Perché l’avevo abbandonata come il più codardo dei vigliacchi?

«Carlisle…». Provai a chiamarlo ma la pena e il dolore nei suoi occhi, quando il suo sguardo incontrò il mio, mi fecero desistere.

Scosse piano la testa, espirando in un gemito.

Restammo entrambi in silenzio per quelle che mi parvero ore; poi, raccogliendo il coraggio, mio padre sollevò il capo, puntando i suoi occhi dorati, antichi e stanchi, nei miei.

«Non abbiamo potuto fare niente, Edward. Siamo arrivati troppo tardi…», mormorò con voce addolorata.

Il veleno mi si congelò nelle vene; non era possibile.

Indietreggiai, come se fossi stato colpito, e mi accasciai sul seggiolino del pianoforte.

Il volto a cuore di Esme, stravolto dalla sofferenza, spuntò da un angolo della porta.

«Oh, Edward, mi dispiace tanto…», sussurrò correndomi in contro per stringermi in un abbraccio materno.

Non prestai attenzione alle sue parole di conforto, ai sussurri ansiosi, alle mie mani che in modo automatico si aggrappavano alle sue spalle.

Il mio intero essere era concentrato nel tentativo di scacciare la voce che, dentro di me, urlava.

E’ morta. E’ morta. E’ morta, ripeteva la voce, senza darmi un istante di tregua. E’ morta. L’hai persa, Edward, l’hai persa per sempre.

Dovevo trovare qualcosa che potesse distrarmi da quei pensieri, e dovevo trovarlo subito, o sarei impazzito. Allo stesso tempo, tuttavia, non desideravo altro che lasciarmi cadere a terra e tuffarmi nei ricordi.

Le braccia di Esme attorno a me impedirono al mio corpo di cedere, ma nemmeno il dono di Jasper poté nulla contro la marea di immagini che mi stava assalendo.

Potevo sentire il suo canto celestiale, più dolce di qualsiasi altro, la sua melodia, la gioia quando l’accarezzavo, e la tristezza quando dovevo separarmi da lei, seppure per poche ore, o pochi attimi.

Alla mente si affacciarono i ricordi più felici della nostra lunga relazione.

Gli innumerevoli viaggi insieme, il tempo passato con lei, nel tentativo di lasciarci alle spalle le ansie e le preoccupazioni quotidiane. La sua prima, seria malattia, e la forza che mi era nata dentro quando, accanto a lei, le avevo promesso che niente sarebbe andato storto. Che sarebbe guarita. Che avremmo potuto nuovamente essere felici, insieme.

Io e lei.

Come potevano gli umani lasciarsi un amore così alle spalle?

Come potevano i mortali decidere, di punto in bianco, di lasciarla… e trovarne un’altra?

Non ci sarebbe stata nessun’altra nel mio cuore. Solo lei. Per sempre. Per tutta l’eternità a cui la mia natura dannata mi avrebbe condannato, avrei desiderato, sognato, amato, venerato sempre e solo lei.

Mi occorsero forse ore per capire che il rumore che sentivo erano i miei singhiozzi, soffocati contro la spalla di Esme che ancora mi teneva stretta a sé.

«Edward, tesoro mio, figlio mio…», mormorò accorata, accarezzandomi i capelli.

Capii.

Anche lei soffriva. Tutti soffrivano.

Tutti le avevano voluto bene; dal primo all’ultimo membro della mia famiglia, quella perdita atroce toccava tutti noi.

Nemmeno Jasper, quel giorno, poteva fare qualcosa per lenire il nostro dolore.

Eravamo tutti lì.

Jasper ed Alice, che si stringevano l’uno all’altra per trovare tra di loro il conforto di cui avevano bisogno.

Carlisle, seduto sul divano, la testa tra le mani, un’espressione di impotenza nel suo viso.

Esme, che singhiozzava e piangeva senza versare una lacrima, ma così compassionevole da avere la forza di consolare il figlio disperato.

Emmett e Rosalie, lui afflitto come mai l’avevo visto, lei impacciata e a disagio, quasi volesse scusarsi, con la sua presenza, per qualcosa a cui non aveva potuto porre rimedio.

D’un tratto la rabbia montò dentro di me.

Esisteva un colpevole.

Esisteva qualcuno che potevo incolpare per il mio dolore disumano.

Lanciai a Rosalie uno sguardo di fuoco; non ero un uomo che ha appena perso la cosa più preziosa della sua vita, in quel momento. Ero l’animale feroce che dentro di me gridava vendetta, che desiderava con tutto se stesso il tributo del sangue.

Emmett incrociò il mio sguardo furente e si piazzò davanti a mia sorella nel tentativo di proteggerla.

Quel gesto, seppur comprensibile, fu ciò che mi fece esplodere.

«Togliti di mezzo!», ringhiai.

Mi divincolai dalla stretta di Esme e mi avvicinai a lui, che accanto alla porta mi guardava impassibile. Ogni traccia di sofferenza era svanita dal suo volto.

«Non fare un altro passo, Edward, o te ne pentirai».

«Qualcuno se ne pentirà molto più di me», risposi con un sibilo.

«Ragazzi, vi prego. Non è il momento…» sospirò Carlisle, senza sollevare gli occhi da terra.

«Perché? E’ stata colpa sua in fondo. E’ stata LEI che l’ha uccisa! E’ morta, è persa per sempre… ed è stata colpa sua!»

Il mio urlo fece tremare i vetri della casa, ma in quel momento non avrebbe potuto importarmene di meno.

Rosalie sussultò, ma non uscì dal cerchio protettivo delle braccia di mio fratello.

«Mi… dispiace… Edward…», bisbigliò, la voce ridotta a poco più di un sussurro, a malapena udibile persino per me.

«Non me ne faccio niente delle tue scuse, Rosalie».

«Non ho potuto… farci niente. Lo sai, era… troppo tardi per lei. Io… non pensavo…»

«Cosa, Rose? Non pensavi che avresti potuto aiutarla prima? Non pensavi che se non fosse stato per il tuo caratteraccio, per il tuo inutile orgoglio, a quest’ora sarebbe ancora viva?»

«Prima o poi sarebbe accaduto, Edward. Non avrebbe potuto vivere in eterno». Carlisle cercò di calmarmi, di farmi ragionare; come sempre. Lo liquidai con un gesto della mano, fissandolo in tralice. Come, come, come poteva dare ragione a Rosalie? Come poteva far finta che tutto ciò che era accaduto fosse solamente il… corso naturale delle cose?

«Ti sei sempre rifiutato di cambiarla, nonostante ti avessimo più volte avvertito che il suo tempo prima o poi sarebbe scaduto», continuò lui con voce pacata.

Il dolore nel mio petto rimbombava nel vuoto lasciato dal cuore, un dolore sordo, atroce, più forte di qualsiasi cosa avessi mai provato.

E’ morta. E’ morta. Non la riavrai mai più, Edward, continuava a urlare la voce dentro di me.

«Credi forse… che se anche l’avessi cambiata… il dolore per ciò che avrei fatto sarebbe stato meno dilaniante?», gli chiesi, cercando di controllare la mia voce.

Rosalie continuava a fissarmi, in parte dispiaciuta, in parte intimorita.

Carlisle chiuse gli occhi, e scosse leggermente la testa.

«No, figlio mio. Ma sarebbe stato più facile sopportarlo».

«NO! Sarebbe stata esattamente la stessa cosa!» urlai infine, sopraffatto dalle emozioni.

Il suo canto, ancora e ancora, mi risuonava in mente.

Ora non ci sarebbero più state risate. Era finito. Per sempre.

Avrei dovuto farmene una ragione, eppure…

… eppure si può davvero smettere di soffrire per ciò che si è amato? Può il dolore cessare, un giorno?

Non per noi vampiri. Non per me.

Avrei portato quel dolore con me fino alla fine del tempo, rivedendola nei miei ricordi ogni dannatissimo giorno.

Dovevo pensare. Dovevo rinchiudermi nei ricordi, escludere il resto del mondo. Dovevo pensare. Allontanarmi da una famiglia che l’aveva amata quanto me, dai loro volti sofferenti, dai loro pensieri celati al mio dono per non farmi ulteriormente soffrire.

Afferrai le chiavi della macchina, ma una fitta di dolore improvviso mi bloccò a pochi metri dalla porta.

«Dove stai andando?» mi domandò Alice, il suo viso da elfo ancora contorto nel disperato tentativo di soffocare una smorfia di dolore.

Lei, forse, era quella che più di tutti le era legata.

Immaginavo la portata della sua sofferenza.

A dire il vero, immaginavo la portata della sofferenza di tutta la mia famiglia, Rosalie compresa, nonostante tutto. Nonostante fosse sua la colpa del mio dolore.

Non volevo discutere con lei, però.

Non in quel momento.

La sua memoria, la memoria di lei era troppo vivida nella mia mente. Sapevo che in poco tempo sarebbe forse affievolita, e non volevo sprecare nemmeno un secondo litigando con mia sorella ed il suo egoismo.

Dopo, mi dissi. Dopo ci sarà tempo per fargliela pagare.

«Dalla mia ragazza», mormorai con un filo di voce.

Esme sussultò.

«Edward, ti sembra il caso, nelle tue condizioni…»

«Voglio stare con Bella!» urlai «E poi… voglio dirle addio».

Uscii in un attimo, facendo sbattere la porta di casa, e corsi, cercando di non pensare a nient’altro che non fosse lei, fino a casa di Charlie.

Bussai lievemente, nemmeno sicuro che mi avesse sentito, poi udii lo scatto della serratura.

Charlie mi aprì, un’espressione stravolta sul viso, le rughe ancora più accentuate.

«Buongiorno, Charlie», dissi educatamente.

«Ragazzo». Lui annuì con un cenno del capo, e spalancò la porta per lasciarmi entrare.

Scivolai dentro e mi diressi senza una parola in cucina.

Sentivo i suoi passi pesanti dietro di me.

«Giornata dura al lavoro, eh?» mormorai con ironia, cercando di rompere il ghiaccio, benché la mia

voce ne fosse completamente priva.

«Già… piuttosto dura.»

«Mi dispiace, Charlie», mormorai sinceramente.

«Già, bè… non è colpa tua, figliolo», rispose lui, cercando di alleggerire l’atmosfera.

«Edward!» esclamò Bella, scendendo dalle scale. Sussultai al suono della sua voce «Come sta la Volvo?» domandò sbucando dal corridoio.

Un singhiozzo mi morì in gola.

«Morta», annunciai.


Bè… che dire… come vi avevo anticipato, non è niente di che. Una cosa davvero senza pretese.

Se non si fosse capito (e vi assicuro che è molto probabile che non si sia capito), la “morta” della one shot era la Volvo.

Sappiamo tutte quanto Eddy sia attaccato, in modo quasi morboso, alla sua macchina, e ho provato ad immaginare, ovviamente esagerando in modo quasi ridicolo le reazioni dei Cullen, come si sarebbe sentito se, per qualche motivo – vecchiaia, un guasto al motore che Rose non ha saputo riparare (da qui la rabbia di Edward nei confronti della sorella, e la sua convinzione che sia colpa di Rosalie se la Volvo è defunta) – Edward avesse perso il suo adorato mezzo di trasporto.

Non sono sicura di aver fatto un gran lavoro, è stata abbastanza confusa anche per me, ma insomma… ci ho provato XD

Fatemi sapere che ne pensate, pareri negativi compresi!! ^^

Pine.

  
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