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Autore: Chiarailrapepoesia    04/03/2014    0 recensioni
Un amore che si sgretola col tempo, che pare non poter sopravvivere a niente. Un amore di fumo, un amore sporco.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Bondage
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Capitolo I.

L’odore di sigaretta sui vestiti e tra i capelli. Fumo forte, mal di testa e rabbia. Rovinava sempre tutto, rovinava i momenti felici. Non c’era mai. Era sempre fuori casa, sempre in giro, sempre a divertirsi con chiunque tranne che con me. E io facevo sempre passare tutto. Non ci davo molto peso, mi dicevo che non dovevo essere possessiva, che dovevo lasciarlo agire a modo suo, che dovevo lasciargli il campo libero. Allora le serate le passavo a letto, leggendo, guardando un film e, di tanto in tanto, controllavo i messaggi sul cellulare. Capitava che ci fossero sere in cui, per qualche strana ragione, sul cellulare apparivano svariati messaggi da parte sua. Allora mi indubbiavo, e chiedevo cosa ci fosse. 
“Sono in punizione.” Allora sorridevo a quella risposta. 
Mi faceva maledettamente contenta il fatto che, i suoi, lo incastrassero spesso in casa e aspettavo con ansia quelle giornate per potermi affidare a lui, che s’impegnava di ascoltarmi. 
Ascoltarmi, forse, era una parola troppo grande. Parlavamo di ciò che ci passava per la mente e, se era una buona giornata, ero persino in vena di dolcezza ed entrambi andavamo a letto col sorriso. 
Era molto raro, in ogni caso, che la nostra relazione andasse per il verso giusto. 
Quella sera aveva deciso di portarmi a casa sua. Insisteva da parecchio. Ogni qualvolta uscissimo insieme mi riprendeva “Ohi, ma una sera devi venire da me. Stiamo insieme, al calduccio, abbracciati”, stringendomi le mani e accarezzandomele. Poi mi sorrideva, e io forzavo un sorriso. 
Avevo preso il mio solito pullman, per andare lì da lui. Avevo gli occhi stanchi, pieni di lacrime, e avevo messo nella borsa un quaderno, il mio quaderno. Il solito pieno di appunti, disegni e schizzi di ogni genere, pieno delle mie paranoie. Pensai, quando lo infilai in borsa, che era l’unico davvero in grado di sostenermi sempre, anche se non umano e privo di parole. Quelle righe mi davano più sicurezza di quanta potesse darmene due braccia, o le parole di un qualcuno di importante. 
Il pullman era vuoto, ed io sola. Le cuffie le avevo dimenticate a casa e bestemmiavo in tutte le lingue per questo grave lapsus. Presi il quaderno e ne lessi qualche pagina, sfogliai lentamente tutte le pagine fino ad arrivare in una che era vuota, con solo il grigio scuro delle righe. La matita impugnata e un fiume di parole insensate: 

Non vanno troppe cose, in tutto, tra me e te. C’è un noi e io non lo sento. Non sento la coppia, non sento niente e credo di aver anestetizzato così a lungo il mio cuore da non riuscire a provare più niente.

Parole come fiumi, sensazioni spiaccicate su delle righe troppo ampie per una scrittura troppo piccola e incomprensibile. Sono tutta incomprensibile, pensai. Fuori da quel finestrino c’era un mondo in bianco e nero, pieno di colori così spenti e industriali che sapevano solo di cose morte e di emozioni finte. L’arcobaleno non lo vedevo da troppo tempo, e il cielo era spesso cupo. Forse lo vedevo con gli occhi di un’anima stanca e a pezzi. Pensai che quelle parole avrei voluto sbattergliele in faccia, urlargliele contro e poi fare a pezzi ogni nostra traccia dentro a quella casa troppo per me, troppo per noi. Per noi tutto era troppo, e niente abbastanza.
A me sarebbe bastato un gradino, e forse avrei potuto amarlo, in quel modo.
“Facciamoci posto su quel gradino, lì puoi fumare quanto vuoi, lì puoi e non ti urlerò contro”, avrei voluto dirgli, mentre ci dirigevamo in quel pub, quella sera di qualche settimana prima, la famosa sera in cui litigammo fino a farci schifo, ad urlarci che non ci saremmo mai amati. Per poi rimangiarci tutto. 
“Lo sai che scherzo, io già ti amo piccola” m’avevi rubato un bacio “Ti amo come non amerò mai nessuno”.
L’alcol devo ancora capire se lucida i pensieri o li trasforma in falsità. Perché, quella sera, aveva ingerito più alcol lui che un centenne in tutta la sua esistenza.
E mi faceva schifo più che mai. Gettai la matita nella borsa perché ero quasi arrivata a destinazione. Avevo scritto qualche altra riga, parole gettate su delle righe per togliere qualche piccolo pensiero dalla testa.

Di colpo mi sono ritrovata la sua vita sulle spalle. Fa rumore, un rumore debole ma troppo forte da essere ben udibile. Sibili spaventosi. Non eri nei miei piani.

Avevo messo da parte anche il quaderno, l’avevo richiuso e l’avevo posato nella borsa. Occupava tutto lo spazio, proprio come lui occupava ogni singolo posto della mia mente, costantemente. Lo sapevo che per lui non era lo stesso, ma non ci davo troppo peso o, per lo meno, cercavo di convincermi che non mi importava, che non aveva alcun conto ciò che provava per me. Io non provavo nulla, e questo era certo.
 La fermata era a qualche metro, e io presto sarei dovuta scendere da quel piccolo rifugio momentaneo. In quel pullman, strano ma vero, mi ero sentita al riparo, come se, in quel momento, niente di più caloroso potesse esserci per me.
C’era un’anziana, lì su, che mi fissava da quand’ero salita. Era una delle poche persone presenti sul pullman, oltre me, e si era concentrata a fissare i miei movimenti. Non aveva niente di meglio da fare. Mi alzai per scendere, per dirigermi verso l’ignoto, verso il posto che più mi faceva paura. Non la sua casa. Bensì, le sue braccia. La mano dell’anziana donna mi fece trasalire.
Aspetta, ragazzetta,” mi voltai, e a quel punto continuò “qualsiasi sia il problema che ti tormenta, non aver paura. Qui tutto si può sconfiggere. Le paure servono a farci affrontare meglio le situazioni, anche se a primo impatto ci sembra il contrario. Ci fanno capire che abbiamo tanto coraggio dentro e, ogni volta che superiamo una paura, ci convinciamo di essere più coraggiosi di quanto pensavamo”. Si aprono le porte. Guardo l’anziana donna, e le sorrido. “Che poi, fidati, non sei una ragazzetta. Tu sei una donna, con gli uragani nell’anima.” 

   
 
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