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Autore: Rorosysy    04/03/2014    0 recensioni
Bice, dopo aver vissuto un'esperienza di premorte, non è più la stessa persona. D'improvviso sa parlare il latino e il volgare del medioevo e conosce fatti e costumi del 1200. Intraprende un viaggio per cercare di capire chi è diventata, cosa fare di sé e come aiutare gli altri, ma non è un'eroina e finisce per creare più guai che bene ...
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Premessa


Bice attendeva nella sala d’aspetto, dell’ospedale di Santa Maria Nuova, a Firenze. Era di nuovo in quell’ospedale, a poco più d’un mese dal suo risveglio e ciò la rendeva nervosa. Il 15 luglio scorso, era stata coinvolta in un incidente stradale. Guidava Sonia, la sua migliore amica.
Guidava troppo velocemente e non riuscì a evitare, in tempo, il tizio che le venne addosso. Lui non andava veloce, però era distratto, da un messaggio arrivatogli nel telefonino nuovo, un touchscreen di ultima generazione. Il tizio si chiamava Mercuzio ed era un patito di tutti quegli aggeggi tecnologici, di cui Sonia non comprendeva il fascino esercitato sulla gente.
Mercuzio era un agente immobiliare e fece la stessa fine dell’altro Mercuzio più famoso al mondo; morì giovane, nell’impatto. Non fu l’unico a non farcela quel giorno: anche Sonia comparirà sulla lista delle numerose vittime stradali. Bice, invece, riporterà diverse fratture multiple, un polmone perforato, un trauma cranico, troppo sangue perso e un arresto cardiaco. La rianimarono in ambulanza, mentre correvano verso l’ospedale. Quando riaprì gli occhi, ricordava cose che non avrebbe dovuto sapere.
Nello specifico, conosceva fatti e costumi della seconda meta del 1200; lei che, sin dal periodo scolastico, non era mai stata ferrata in Storia! I medici non sapevano spiegarselo, ma non era l’unico caso al mondo. Si diceva di gente che, dopo aver vissuto un’esperienza di premorte, d’improvviso, sapesse parlare una lingua differente dalla propria, mai studiata in precedenza. A Bice accadde qualcosa di simile: un giorno, si accorse di saper leggere fluidamente il volgare del medioevo, anche un po’ il latino.
Bice non era più la stessa persona, non soltanto per la quantità di cose che sapeva, di un passato cui mai aveva pensato, e che non sapeva come faceva a saperle; si sentiva malinconica, senza scopo, con l’intensa sensazione di star vivendo la vita non prevista per lei. Si sentiva in trappola nella sua casa, luogo che un tempo rappresentava un rifugio. Troppe domande le frullavano in testa e ignorarle serviva soltanto ad accentuarne il bisogno di risposte.
I coniugi Baricco entrarono trafelati nella sala d’attesa. Videro Bice e concitati le domandarono notizie della figlia. Bice avrebbe proprio voluto trovarsi altrove …

 
Capitolo 1
La famiglia Baricco
 
Leonardo era il proprietario della Retropensieri, un piccolo cinema di Firenze ereditato dal padre. La Retropensieri fu fondata da Diego Baricco, il bisnonno di Leo, nel 1951. Oggi aveva quattro sale, una delle quali predisposta per il 3d. Leo era dedito alla sua attività e la gestiva con parsimonia.
Nel 1986, sposò Caitlin Fisher, che ben presto divenne semplicemente Caty, poiché Leo non capì mai come cavolo si pronunciasse il suo nome! Lei era originaria della Pennsylvania e, nell’anno dell’estate del suo matrimonio, aveva deciso di trascorrere le vacanze in Italia con Aydan, il fidanzato di allora. Ben presto i piani presero una piega imprevista: conobbe Leo, litigò con Aydan, si lasciò con Aydan, si mise con Leo e decise di prolungare le vacanze fino a Natale; nel durante, celebrò le sue nozze con il nuovo boyfriend e non tornò più in patria.
I Fisher erano morti durante un’alluvione, lei si salvò perché si trovava al college, in un altro Stato. I Fisher erano coltivatori di funghi e Caty, sin da subito, aveva accampato scuse per ritardare la sua piena entrata nell’attività di famiglia, sfortunatamente ricevuta in eredità prima del previsto.
Il viaggio in Italia fu una di queste scuse che, dopo il matrimonio, si prolungò ad oltranza. Senza ritornare in Pennsylvania, vendette l’attività a Aydan e al fratello di lui, Chase. Pensava fosse un buon modo per farsi perdonare e risarcirlo per il suo improvviso innamoramento dell’italiano; inoltre, una parte di lei, sospettava da tempo che Aydan tenesse maggiormente a diventare proprietario dei funghi Fisher, che non suo marito. Convinto da Chase, Aydan accettò l’offerta di pace, che, comunque, pagò profumatamente.
Caty si rallegrò per la perfetta (almeno per lei) conclusione della storia. Tutti erano felici e, forse, erano stati guidati da un’entità superiore. Era molto credente, davvero tanto credente! Dedicava tra le tre e le sei ore giornaliere alla preghiera. Si persuase che i genitori morti, dal paradiso, l’avessero aiutata a colmare la loro assenza, attraverso l’incontro con Leo. Il tempismo era stato troppo impeccabile, per poterlo considerarlo casuale. In ogni situazione c’era del positivo e lei riusciva sempre a trovarlo.
I nuovi coniugi Baricco investirono il denaro, della vendita dei funghi Fisher, nella Retropensieri. Fu allora che da due sale si passò a quattro. Nell’agosto del 1987, Caty partorì Pollyanna, così chiamata in onore del romanzo omonimo di Eleanor Hodgman Porter, cui fin da piccola ne era stata una fan accanita; forse perché condivideva lo stesso cocciuto ottimismo della piccola protagonista.
Polly aveva compiuto ventisei anni il 10 agosto. Era una bellissima ragazza che fingeva di frequentare l’università, invece posava per foto artistiche e commerciali. Sapeva di possedere un forte ascendente sessuale sulla maggior parte degli uomini, per non dire tutti, e aveva deciso di sfruttarlo a proprio vantaggio per guadagnarci, legalmente, dei soldi. Pensava che la bellezza fosse il suo unico talento.
Leo era inverosimilmente geloso della figlia e, fin dall’infanzia, le aveva vietato un’enorme quantità di esperienze, ritenute “precoci” e “pericolose” per la sua dolce e innocente bambina. Ad esempio, le aveva impedito d’andare in gita, con la classe, fino ai diciotto anni. Lasciarla iscrivere negli Scout, poi, non se ne parlava! Da sola, in mezzo ai boschi, sperduta, con intorno ragazzi incontrollabili? Scherziamo?
Non le permise di prendersi il patentino per il ciclomotore, del resto, senza motorino che avrebbe dovuto farci? Le aveva estorto la promessa che, mai e poi mai, sarebbe salita sul motorino di uno dei suoi amici; e Polly, croce sul cuore, aveva giurato che, mai e poi mai, avrebbe disobbedito (non occorre dire che, subito dopo, marinò le lezioni e girò, tutta la mattina, per Firenze, su una Vespa, abbracciata alle forti spalle di Pietro, cantando a squarciagola la canzone di Cremonini).
Leo, neanche a dirlo, la credeva, ovviamente, ancora vergine, ma già al giro in Vespa con Pietro, non lo era più da parecchi mesi. La sua prima volta fu a tredici anni e mezzo con Federico Spada. Non le piaceva ricordarla, mentiva a tutti dicendo che perdette la verginità con Simone Garufi, a quattordici anni, il suo ragazzo ufficiale per tre mesi e mezzo, prima d’incontrare Pietro; con Federico fu troppo disastrosa ed era meglio rimuoverla.
Il coprifuoco fu fissato per le ventitré fino ai suoi sedici anni, poi fu prolungato fino alla mezzanotte. Caty era fondamentalmente a favore della severità del marito, ma non sapeva resistere allo sguardo da cucciola della figlia. Così, quando Polly ritardava, di nascosto da Leo, spostava le lancette del rotondo orologio al centro del salotto, dove in genere il marito attendeva, sempre incomprensibilmente e testardamente contrariato, il rientro della ragazza. Polly risultava, per cui, sempre puntualissima.
Caty, da suo canto, immaginava per la figlia un futuro nella religione cattolica. Quanto avrebbe desiderato che prendesse i voti! A colazione, a cena e a pranzo, non mancava mai la preghiera prima e dopo i pasti, e neppure quella del risveglio e prima d’addormentarsi. Caty entrava nella sua camera e s’inginocchiava ai piedi del letto, con la ragazza, e insieme pregavano Gesù bambino e la Madonnina di proteggere, loro stesse e i propri cari, da ogni male. Alle sei del mattino, Caty svegliava Polly per andare a scuola, ma, prima di qualsiasi attività, di nuovo la faceva inginocchiare e pregare Gesù bambino e la Madonnina per aver loro concesso un altro giorno da vivere.
La sua bimba era talmente giudiziosa e devota, da non riuscire a comprendere la provenienza della possessività e della diffidenza del marito. Pollyanna non li avrebbe mai delusi! Erano fortunati: era la figlia più responsabile fra tutti i loro amici!
Polly prese la maturità al Classico e, nel 2006, s’iscrisse in “Progettazione e gestione di eventi e imprese dell’arte e dello spettacolo”, nella Facoltà d’Umanistica e della Formazione di Firenze (Leo non le avrebbe mai permesso d’allontanarsi e vivere da sola in un’altra città; e poi perché avrebbe dovuto? Firenze pullulava di corsi universitari!). Fu Polly a scegliere il corso di studi, già sapendo che non si sarebbe mai laureata, perciò preferì un percorso che, almeno inizialmente, avrebbe reso il padre fiero di lei.
“Progettazione e gestione di eventi e imprese dell’arte e dello spettacolo”, infatti, era un perfetto indirizzo che si collegava alla futura gestione dell’attività di famiglia. Polly non immaginava che la madre avesse abbandonato e venduto la funghi Fisher, nonostante i progetti per lei dei suoi genitori. Non sapeva come si era sentita intrappolata, in quel futuro organizzato dalla propria famiglia. Non aveva idea, dello stesso senso di soffocamento, provato dalla madre a vent’anni, che le rendeva simili.
Se lo avesse saputo, forse si sarebbe confidata maggiormente con Caty. Forse madre e figlia avrebbero consolidato il legame e si sarebbero aiutate a vicenda. Forse Polly avrebbe smesso di mentire e d’odiare i propri genitori. Ma, era anche vero, che Caty non ricordava più quel suo passato, o lo rammentava in maniera errata; e, in ogni modo, erano altri tempi e altre situazioni! Caty non era come sua madre! Caty capiva perfettamente l’esigenze della figlia, senza che lei le esprimesse ad alta voce; per questa stessa ragione l’aveva spinta a fare l’educatrice di catechismo, nella chiesa di Nostra Signora degli Angeli, in viale Amendola, nel quartiere in cui abitavano. Caty era certa che fosse ciò di cui Pollyanna aveva bisogno.
Polly non portava mai a casa i propri ragazzi (e se ne comprende perfettamente il motivo!) che, in genere, erano contemporaneamente più d’uno. Non voleva legami ed era chiara con gli uomini che frequentava: solo sesso, niente di più. Pensava che il sesso fosse qualcosa di naturale e di divertente da praticare, senza costrizioni alcune, ogni volta che se ne aveva voglia, anche in solitudine, nel silenzio della propria camera.
Di sicuro, aveva idee precise su come non far mai combaciare i rapporti sessuali con i rapporti di lavoro. Mattia Bevilacqua, il suo fotografo, la corteggiava da mesi, senza risultati. Anche Giuliano Mecca, il suo agente, cercava di portarsela a letto sin da quando l’aveva conosciuta, e lei aveva appena compiuto diciotto anni; ma Polly era irremovibile.
Mattia non trovava giusto che fosse penalizzato perché lavoravano insieme e s’ingelosiva ogni volta la vedeva andarsene, dal suo studio, con un differente ragazzo; ma cosa poteva farci? Giuliano era meno filosofico e, una sera, tentò di costringerla. La portò a una festa, la fece bere come una spugna e la trascinò al piano di sopra, in una camera da letto di chissà chi (non aveva idea di chi fossero i padroni di quella grande casa di campagna, che, per essere onesti, stava letteralmente cadendo a pezzi). Il risultato non fu il sperato: Polly s’addormentò non appena la sua testa toccò il materasso e, dal mattino seguente, comprenderà quando le piaccia l’alcol, e per niente Giuliano. Polly cominciò a bere, tanto, poi troppo, decisamente troppo.


Capitolo 2
Verità accettabili
 
Pollyanna per gli amici era Anna. Sin dalla scuola materna, per il nome fu presa in giro dai propri compagni, perciò alle elementari pregò i professori di chiamarla soltanto Anna. Ogni tanto, quando giungeva un supplente, ignaro dell’accordo, all’appello leggeva il suo nome completo e ciò provocava l’ilarità dei suoi compagni e risentiva tutto l’imbarazzo e l’odio nei confronti dei propri genitori. Come se non avesse già abbastanza motivi per detestarli! Come gli era venuto in mente di chiamarla come un cartone animato?
A casa e tra i familiari, tuttavia, era sempre stata Pollyanna. Bisognava pronunciare il nome completo! Nonna Luciana, la madre di Leo, non comprendeva il senso dei diminutivi: se si era dato un determinato nome, perché accorciarlo? Se si voleva un nome più piccolo, ci si doveva pensare prima! Tutti davano ascolto a nonna Luciana. Era una sorta di autorità in casa Baricco. Era l’ultima tra i nonni rimasti in vita. Nonno Corrado, padre di Leo, era morto poco dopo la nascita di Pollyanna, per cui lei non poteva ricordarlo.
Divenne Polly quando conobbe Giuliano. Lui pensava che fosse un nome molto “commerciale” e “accattivante”. Si lasciò persuadere e, da quel giorno, si presenterà a tutti come Polly (tralasciando quell’altro “Anna”, ormai obsoleto). Aggiornò persino il suo profilo su facebook.
Per cui, quando, quel giorno di metà agosto, Caty la cercò in chiesa, chiamandola con il suo nome completo, la suora che l’accolse, dovette fare lo sforzo di collegarla alla Polly che conosceva. Caty passò oltre la piccola ribellione della ragazza, d’altronde anche lei veniva chiamata con un diminutivo e nonna Luciana era una donna eccessivamente all’antica! Nonna Luciana era quella che aveva deciso, arbitrariamente, che Caty derivasse da Caterina; e con Caterina le si rivolgeva da quando si conoscevano.
Tuttavia, quando la suora le domandò perché cercasse lì la ragazza, la fiducia di Caty cedette qualche convinzione.
«è venuta qui un’ora fa, per fare catechismo», insistette dolcemente Caty, pensando che la suora, probabilmente, stesse invecchiando.
«Il catechismo ad agosto?», rise la suora. «Non inizia mai prima della scuola e poi, sua figlia ha fatto catechismo soltanto il primo mese, poi se n’è andata … Pensavo lo sapesse».
«Si sta sbagliando», perseverò cocciutamente. «è da più di due anni che, mia figlia, viene qui tutti i pomeriggi, dalle quattordici alle diciannove e si occupa della classe prima A, della quarta D e dalla quinta B. Probabilmente, sta confondendo mia figlia con un’altra ragazza. Perché non mi lascia guardare dentro? Forse hanno deciso di riunirsi, in una delle stanze interne, prima dell’inizio scolastico … Sa, i bambini di cui si occupa mia figlia, l’adorano! è probabile che sentissero la sua mancanza, dopo il periodo d’assenza, passato dallo zio … Sono tenerissimi!».
La suora la guardò con comprensione.
«Mi spiace, signora, ma sua figlia non c’è. Non la vedo da più di due anni, non viene neppure più a messa con lei … Non mi sto confondendo».
Non andava più a messa assieme alla figlia, era vero, ma non era una prova a suo favore. La spiegazione era semplice: Pollyanna, da quando faceva catechismo, seguiva la messa delle sedici in compagnia dei suoi bambini, perciò aveva accettato di non farsi accompagnare da lei, in chiesa, la domenica mattina.
«E allora dov’è?», esclamò quindi Caty, mettendo ancora in discussione le affermazioni della suora.
«Provi a chiamarla al cellulare», suggerì la suora.
«Mia figlia non ha il cellulare. Non ci piacciono queste cose».
La suora stava per contraddirla ancora, poiché si ricordava di una biondina che, invece di badare ai propri alunni e d’insegnargli il vangelo, messaggiava al telefonino. Più volte l’aveva ripresa, provando a rimetterla sul giusto cammino. Tuttavia, pensò fosse meglio non inferire.
«Sono sicura che tornerà per cena e le spiegherà ogni cosa», disse invece e si concesse da quella povera, ignara, sciocca e incaponita madre.
Caty tornò a casa, indecisa se avvisare o meno il marito, già pronta a rivolgersi alle autorità, per lo smarrimento della sua unica adorata figlia. Decise d’ascoltare il consiglio della donna di fede e d’attendere almeno fino all’ora di cena. Alle 19 e 15, puntuale come ogni giorno, Polly fece ritorno, come se nulla fosse. Entrò in cucina, baciò la madre sulla guancia e, sorridente, le domandò cosa avesse cucinato di buono. Caty, tentando di non lasciar trapelare nulla, le chiese del suo pomeriggio in chiesa, fingendosi distratta.
«A parte Thomas, sono tutti bimbi buonissimi. Ma lui è proprio tremendo! I suoi genitori dovrebbero prendere provvedimenti. Ha tirato i capelli al piccolo Dario e mi ci sono voluti venti minuti per farlo smettere di piangere. E sai una cosa? Thomas non ne era per nulla dispiaciuto!».
Caty era sconvolta, neanche la guardava in faccia. La sua mente non riusciva a capacitarsi di quella nuova realtà dei fatti, anzi, in un certo senso, sentiva che tentasse d’accettare e giustificare la versione della ragazza. Forse la suora si era davvero confusa, del resto, era entrata dentro a controllare? Avrebbe dovuto insistere per avere prove concrete.  
«Sono venuta a cercarti in chiesa», disse.                       
«Ah», fu l’unica risposta di Polly, mentre apriva il frigorifero e si dimenticava cosa stesse cercando.
«Non dire a nonna Luciana che ti fai chiamare Polly, ci rimarrebbe troppo male! Io, invece, ti capisco. Amo “Pollyanna”, l’ho scelto io! Ma penso, tuttavia, che usare un diminutivo non sia la fine del mondo».
Polly richiuse il frigo, senza prendere nulla e senza saper seguire il discorso della madre.
«Sì», soffiò e stabilì che sarebbe stato meglio attendere in camera, l’annuncio della cena pronta e già servita, ma Caty la trattenne e la invitò a preparare la tavola. Poiché Polly, a casa, non disobbediva mai, dovette rimanere ed eseguire la richiesta.
«Perché mi cercavi?», si azzardò a indagare.
«è venuto a cercarti un certo Fiorello, ma non ho capito cosa volesse. Sembrava piuttosto agitato. Ho provato a trattenerlo al citofono, ma è fuggito via … Mi sono affacciata dal balcone e l’ho visto salire su una motocicletta enorme e pericolosissima! Non mi è sembrato un bel tipo e ho pensato di venire subito a dirtelo, forse era il padre di uno dei tuoi bambini … Forse di Thomas? Non mi sorprenderebbe se fosse suo e che il bimbo cresca tanto indocile».
Polly taceva, mentre sistemava in tavola, ordinatamente e di fretta, piatti, bicchieri e posate.
«Lo conosci?».
«Fiorello, hai detto? Mm, no … Non mi sembra di averlo mai sentito prima … Forse è davvero il padre di Thomas, o di un altro dei miei bimbi, non so, domani m’informerò. Ma sai, il fatto che non lo conosca, ci potrebbe stare, in genere, si vedono poco i genitori … Di questi tempi, sono poco presenti, lo sai … Ti serve altro?».
Aveva apparecchiato la tavola in tempo record. Caty continuava a rimirare la salsa di pomodoro senza osare guardarla.
«La suora non ha voluto portarmi da te. Mi ha detto che non c’è catechismo d’estate. Penso si sia confusa, non ricordava neppure il tuo nome completo!».
Polly sospirò e si sedette su una sedia. Invitò la madre a lasciare i fornelli e a sederle accanto. Caty protestò che non potesse lasciare la salsa, si sarebbe bruciata. Polly si alzò e spense la fiamma.
«Cosa fai?», la sgridò.
«Non c’è catechismo d’estate, è vero», confessò Polly.
«Non c’è?».
«No … Non stavo facendo catechismo … La verità è che non sono portata per insegnare ai bambini la religione».
«Non è vero, non dire così, loro ti adorano!».
«No, neanche mi conoscono …».
«Lo so perché fai così», annuì comprensiva Caty. «è per Thomas, non è vero? Non devi farti abbattere da un ragazzino pestifero! Devi farti valere e devi tornare a diffondere il cattolicesimo. Momentanei momenti di sconforto sono comuni, ma devi affrontarli quanto prima per ritornare vincente».
«Mamma, non capisci, ti ho appena detto che …».
«Sì, tu credi che io non ti capisca, ma sono tua madre, ti conosco! So cosa pensi e come sei fatta. Troverai una soluzione con Thomas. Torna a insegnare e non arrenderti», la interruppe imperterrita. «e la prossima volta, non mentirmi! Sai che puoi dirmi tutto».
Polly ammutolì e la osservò attonita. Avrebbe voluto urlarle e scuoterla, ma sapeva non sarebbe servito. Sua madre era incredibilmente convinta di come fosse fatta e non permetteva a niente e a nessuno di distoglierla da quella sua falsa idea, o forse voleva semplicemente metterla alla prova, o soltanto farla impazzire lentamente e, su quest’ultimo punto, era decisamente sulla buona strada.
Polly trattenne la rabbia, come sempre. Annuì, sorrise, riaccese il fornello e andò nella sua camera, in attesa del rientro del padre e dell’annuncio della cena, pronta, sulla tavola che ligia aveva preparato.  


Capitolo 3
Il provino
 
Bice, a poco più un mese dalla sua esperienza di premorte, era alla costante ricerca di stimoli intensi e nuovi. Sfogliò gli annunci di lavoro e lesse di un’offerta per una pubblicità d’intimo. Avevano bisogno di una modella. Bice non si riteneva abbastanza bella per posare e, anche se lo fosse stata, si sarebbe vergognata da morire. In un momento diverso della sua vita, non avrebbe preso in considerazione l’offerta, ora, invece, le sembrava una sfida. Ultimamente si costringeva a fare cose di cui aveva paura o di cui era insicura, posare in intimo le rappresentava bene entrambe.
Quando si presentò sul luogo dei provini e vide le decine di bellissime e altissime ragazze in fila al suo fianco, ebbe la certezza d’aver commesso la più grande stupidaggine dall’età di dodici anni. Quell’anno, infatti, si era presa di coraggio e si era dichiarata a Luca Monti. Il rifiuto non sarebbe stato tanto terribile, se non avesse deciso di confessargli il proprio amore di fronte all’intera classe, in ora di assemblea.  
Bice si disse anche che faceva ancora in tempo a sgattaiolare via, ma sarebbe stato da codarde, no? D’altronde, non era lì per tentare di venir presa, ma soltanto per sfidare i propri limiti, che adesso le sfilavano davanti in grande quantità. Le modelle la squadrarono da capo a piedi, sogghignando tra loro, e Bice tentò di convincersi che il pensiero altrui non contasse. Cazzate, contava eccome! Scappò in bagno. Si sedette sulla tavoletta del water e cominciò a inspirare profondamente, per calmarsi. Perché si stava facendo male? Rendersi conto di un errore, non era come rinunciare, no? Bice aveva bisogno di vederla in questo modo, per concedersi di salvarsi da quella tortura.
Aveva appena concordato con se stessa, che fosse meglio mollare tutto e provare a sfidarsi con qualcos’altro, quando udii un pianto sommesso provenire dal wc accanto. Bussò e il pianto s’interruppe. Si rimproverò di non sapersi fare i fatti propri. Mormorò un “scusa” e si allontanò dalla porta. Si sistemò i capelli, sospirò e … Il pianto riprese. Bice si disse che forse era in quel luogo per un motivo specifico, e quel motivo era consolare la ragazza in lacrime. Avrebbe potuto fare la cosa giusta. Sarebbe potuta essere utile a qualcuno. Non sarebbe stato un buon modo per dare un senso alla propria esistenza?
Il problema era che non sapeva come fare. Bussare di nuovo non sembrava una buona idea. Avrebbe potuto parlarle, ma per dirle cosa? Essere d’aiuto era più difficile di quanto non ci si aspettasse. Si mise a cantare.
… Ora è il tempo ch'ogn' uom si dee allegrare
e del falso clero pianger sua caduta
e 'l loro orgoglio a lungo ch'è durato
e lor menzogne e lor falso predicare …

La ragazza del pianto aprì la porta e guardò perplessa Bice.
«Che stai cantando?», le domandò, quasi come un’accusa.
«Non lo so. Sono motivetti che ho in testa dalla mia esperienza di premorte».
«Sei morta?».
«Per qualche secondo, da quel che mi hanno detto …».
«E com’è stato?».
«Non lo ricordo … Ma quando mi sono risvegliata, in ospedale, ho ricordato tante altre cose strane».
«Come la canzone di prima?».
«Già».
«è proprio strana, in effetti».
Le ragazze risero.
«Bice», si presentò allungandole una mano.
«Polly», ricambiò stringendogliela. «Sei anche tu qui per il provino?».
«Lo so, non si direbbe …».
«Magari ti prenderanno proprio perché sei diversa dalle altre».
«Cioè più brutta?».
«Più normale».
«Grazie», sorrise vergognosa. «E tu perché eri chiusa in bagno? Non temevi di certo, come me, di non essere abbastanza bella … ».
Il viso di Polly s’incupì e non rispose.
«Scusami», si precipitò ad aggiungere. «Non dovevo impicciarmi … Lo faccio sempre. Sono un’impicciona cronaca!».
«Non è questo», disse Polly e Bice restò in attesa che proseguisse. «Sono già la modella ufficiale, stanno cercando qualcuno che possa affiancarmi».
«Ah, ecco! Dovevo capirlo dal tuo … fisico da modella!».
«Sì, ho proprio un bel fisico!», rise Polly.
Si avvicinò al lavello e si sciacquò la faccia.
«Devo tornare di là. Magari potrei mettere una buona parola per te».
«No, ti prego non farlo!», esclamò Bice. «Non potrei sopportare più di una volta questo strazio».
«Perché sei qui se non ti piace?».
«Proprio perché non mi piace», borbottò. «Non suona molto sensato, eh!?».
«No, ma rende le conversazioni con te divertenti».
Bice non seppe replicare nulla e, in silenzio, vide Polly legarsi i capelli, ritoccarsi il trucco e sistemarsi il vestito.
«Non mi spiacerebbe avere te come controparte: sei la prima, nel cui sguardo, non ho visto il desiderio di vedermi cadere e rompere una caviglia, per prendere il mio posto».
«Sembrate un gruppo di spietate, eh!?».
«Lo siamo», confermò maliziosa.
«Posso cercarti su facebook?», le chiese d’improvviso.
«Oh, se non si era capito, sono etero … ».
«Oh, sì, lo sono anch’io! Non volevo per questo … Pensavo solo che … Non so, magari potevamo divertirci altre volte, con le mie affermazioni insensate … », sbiascicò.
«Polly Baricco, cercami», consentì e uscì dal bagno.
Bice le avrebbe chiesto l’amicizia, pensando d’aver fatto un buon lavoro nel consolarla e che, la sua missione di soccorso, non fosse ancora terminata.


Capitolo 4
Amiche di chat
 
Quando non guardi in faccia una persona, le riveli cose impensabili di te. Quando la distanza o il tempo vi tengono separati, le confidenze assumono un ruolo centrale in qualunque rapporto, d’amore o d’amicizia che sia.
In otto giorno, Polly e Bice erano arrivati a scambiarsi quasi duemila messaggi. Il loro appuntamento fisso e mai concordato ufficialmente, ma stabilito d’istinto, preveda di collegarsi su facebook alle tre di notte e parlare e parlare e parlare fino a che non albeggiasse. Polly attendeva che i Baricco si addormentassero, per tirare fuori dal suo nascondiglio segreto (un doppiofondo nell’armadio) il suo cell. S’infilava sotto le coperte e si comportava come ogni altra ragazza della sua età.
Nel nascondiglio teneva anche un pacchetto di sigarette, quattro accendini, il denaro guadagnato posando, preservativi, lettere segrete, romanzi proibiti dalla religiosissima madre, foto di lei con amici in giro per l’Italia. Aveva visitato molti luoghi, a fronte dell’unica gita alla Torre di Pisa, con zio Alberto, a conoscenza dei suoi genitori. Una volta, si recò di nascosto persino in un altro Stato, con Salvina, Monica e Andrea. Un viaggio al femminile nella capitale spagnola. Non passerà altri fine settimana tanto felici.
Bice sarà la prima a confidarsi, pensando che il modo migliore per spingere gli altri a parlare dei propri affari, fosse rivelando i propri. Non appena cominciò a raccontarsi, si rese conto di quanto da dire avesse taciuto a se stessa. Scoprì cose di sé che ignorava e comprese cosa doveva fare per riempire la sua esistenza.
Il piano funzionò e anche Polly si aprì con Bice. Le parlò dei suoi strambi e pallosi genitori. Le spifferò le sue innumerevoli avventure. Le elencò le sue infinite bugie divenute ormai parte di sé. Cominciava a sospettare che non sapesse più come essere sincera. Era uno dei due motivi per cui, la scorsa settimana, aveva rivelato alla madre la verità, sull’insegnamento mai fatto al catechismo … E lei non l’aveva creduta! Com’era possibile? Forse era diventata troppo brava a fingere, o forse lei stessa era ormai pura finzione. Non riusciva più a capire cosa volesse davvero, sapeva soltanto contraddire il volere dei propri genitori.
Parlandone con Bice, si chiese perché non si fosse mai innamorata. Si divertiva, ma non si affezionava mai davvero. Le ragazze, in genere, sognavano l’uomo che le salvasse dalla propria monotonia, lei no. Lei voleva soltanto evadere, da sola, ovunque, purché lontano.
Bice le scrisse che era giusto, anche lei sognava l’indipendenza prima dell’innamoramento. L’amore non era la via di fuga, era qualcos’altro di più profondo, qualcosa che non doveva salvare, ma completare. Polly concordò e le domandò del rapporto con i suoi genitori. Bice concluse in fretta l’argomento, sostenendo che si volessero bene e che fosse stata fortunata; non aveva nulla di serio da rimproverarli. Erano genitori normali e lei era una figlia … Beh, forse lei non era più una figlia tanto normale.
Bice le parlò dei suoi sogni, mutati dall’incidente. Sognava le poesie. L’affermazione la fece ridere di se stessa. Tuttavia, sognava di vivere in poesia, come se la sua vita fosse un sogno romantico e drammatico, come se non si fosse mai risvegliata dall’incidente, come se non l’avessero rianimata. Non le mancava la vita di un tempo, ma l’attuale non sembrava del tutto reale. Si sentiva felice senza motivo e malinconica per chissà cosa; ma sognava le poesie. Le poesie avevano una parafrasi, desiderava averne una anche per la sua esistenza. Bice sognava anche di avere dei figli, un giorno, per far di loro la poesia che mancava in lei.
Polly trovò molto sentimentale il suo discorso e non s’identificò nell’ultimo punto: non ne voleva di figli! Sarebbe stata una tragedia per la sua carriera: Giuliano l’avrebbe disapprovata e abbandonata. I suoi genitori, oh, loro sarebbero andati di matto! L’avrebbero costretta a crescere quel figlio, sua madre non avrebbe mai consentito ad alternative differenti. Non le avrebbe mai chiesto cosa volesse farne, sarebbe stata lei a decidere per entrambe. Suo padre l’avrebbe obbligata a sposare il papà del bambino, chiunque esso fosse. Non osava immaginare un altro povero bimbo costretto a vivere con i Baricco. Non poteva essere così cattiva da far vivere, a qualcun altro, la propria insopportabile infanzia e adolescenza … Non che la giovinezza fosse tanto migliorata!  
Bice si sentì in dovere d’intervenire e d’esprimere il proprio parere, su ciò che, a suo avviso, avrebbe dovuto fare l’amica. L’analizzò e le consigliò di lasciarsi andare. Innamorarsi era positivo e pensava fosse ciò di cui aveva bisogno. Quando avrebbe avuto un figlio, non ora, ma quando sarebbe arrivato il momento, le sue prospettive sarebbero cambiate. Mise una buona parola per i Baricco: forse inizialmente si sarebbero infuriati, ma poi le sarebbero stati vicino. Perché considerava un bambino un errore a prescindere dalla circostanze?
Criticò il cinismo del suo agente. Non sarebbe stata bella per sempre, un giorno si sarebbe guardata indietro e avrebbe rimpianto di non aver fatto qualcosa che durasse nella vecchiaia. Shakespeare scriveva che la nostra bellezza proseguiva nei figli, lo credeva anche Bice. Era così che si sopravviveva alla morte; così o scrivendo opere di successo, o facendo qualcosa per cui farsi ricordare.
Polly si arrabbiò. Reputò le affermazioni dell’amica delle enormi stupidaggini. Magari non ci sarebbe diventata vecchia! Ciò che le prefigurava, non era la migliore alternativa per Polly, ma solamente ciò che desiderava per se stessa, proiettato negli altri. Era esattamente ciò che facevano i suoi genitori, i suoi professori, i suoi amici, i suoi compagni, il suo fotografo, i suo amanti, il suo agente, Fiorello … E ora anche lei! La rimproverò di comportarsi come tutti gli altri; ovvero, di cercare di rifilarle la propria idea di felicità, non chiedendole quale fosse la sua.
Bice si sentì tremendamente in colpa e capì subito l’errore, ma non ebbe il tempo di scusarsi né di rimediare. Polly si scollegò da facebook e, la notte seguente, saltò il consueto appuntamento delle 3. Le scrisse comunque, anche se non era in linea. Ammise d’aver esagerato e le ricordò che era solo la cronaca ragazza impicciona, del primo giorno, al bagno dei provini. L’aveva perdonata già una volta, poteva rifarlo? Il mattino seguente vide la notifica di lettura di Polly del suo messaggio, ma non ricevette nessuna sua risposta.
Bice pensò che non si meritasse tanto livore, d’altronde, cos’aveva fatto di tanto grave? Le aveva subito chiesto scusa, che altro doveva fare? Polly era semplicemente eccessivamente permalosa, magari le occorrevano soltanto dei giorni per riflettere e calmarsi. Le sarebbe passata, sperò. Poi, rammentò la promessa che si era fatta: aiutarla. Arrendersi al primo litigio, sarebbe stato il fallimento della missione di soccorso, suggerita dal destino.


Capitolo 5
Fuga
 
Polly aveva appena terminato di posare per le foto del nuovo spot, affiancata da Milena, la ragazza presa agli scorsi provini. Milena aveva cercato di fare amicizia, ma Polly l’aveva respinta sgarbatamente. Era di pessimo umore e aveva soltanto voglia di bere. Seguì le sue voglie fino ad un supermercato. Acquistò una bottiglia di vino e se la bevve in auto, non poteva portarla in casa. Guidò pericolosamente fin sotto casa, dimenticò la bottiglia vuota sotto al sedile e salì barcollante al suo appartamento. Le bruciavano gli occhi e le girava la testa, ma non era ubriaca, soltanto un po’ brilla. Poteva nasconderlo ai suoi genitori, lo aveva già fatto altre volte.
Entrando ricevette uno schiaffo dal padre, prima ancora di mettere a fuoco la scena. Erano le 21 passate e vani erano stati i tentativi di Caty, di spostare le lancette dell’orologio. Leo rimproverò la figlia per il ritardo e furente pretese di sapere dove fosse stata, poi sentì l’odore del suo alito.
«Sei ubriaca?», strillò.
«No! Sono solo un po’ brilla … », replicò, stordita.
«Hai bevuto?», urlò a sua volta Caty.
«Ho ventisei anni, posso fare quello che voglio!», si difese in un moto d’orgoglio.
Leo la schiaffeggiò ancora e, per un attimo, ebbe paura del padre, poi non le importò e gli disse tutto ciò che covava su lui da tempo.
«Sì, dai, mandami in ospedale! Ti manca solo questo per rovinarmi la vita!».
«Rovinarti la vita?», gli sbraitò in faccia. «Te la stai rovinando da sola! Sai chi ho incontrato oggi? Quella tua amica universitaria, Martina, dice che non vai alle lezioni da mesi! Tua madre ti difende, dice che c’è un’altra spiegazione … ».
Polly rise.
«Mamma vive in un mondo a parte, come anche tu!».
«Allora, è vero?», s’intromise Caty.
«Domani vieni a lavorare alla Retropensieri. In fondo, l’università che frequentavi è inutile per l’attività che manderai avanti».
«Io non voglio … ».
Leo le chiuse la bocca con la mano.
«Tu verrai a lavorare con me domani e raddrizzeremo la tua vita», ordinò, poi mandò la figlia in camera senza cenare.
Parlerà a lungo con la moglie, quella notte, a letto, prima d’addormentarsi. Ricorderà di quando le faceva fare il trenino; di quando la gettava in aria e la prendeva al volo, e lei rideva tanto; di quando si addormentavano insieme sul divano guardando la tv; di quando la portava alla villa e le spingeva l’altalena … Faceva i capricci anche allora. Non era cambiato molto. Avrebbe risolto tutto. Sarebbe rigata di nuovo dritta. La sua bimba sarebbe tornata quella di un tempo.
Anche Caty ne era convinta, ma, il mattino seguente, quando bussò alla sua porta, per la preghiera del risveglio delle sei, non la trovò nel suo letto. Pensò si fosse già svegliata, ma non c’era in nessun’altra stanza della casa. Aprì l’armadio e urlò il nome del marito che accorse spaventato. Caty indicò in lacrime l’interno dell’armadio: i vestiti della figlia erano spariti. La loro bambina se n’era andata.


Capitolo 6
Troppo tardi
 
Leo era ancora certo fosse uno dei soliti capricci della figlia. Scappare di casa? Andiamo, queste cose si pensavano a quindici anni! Pollyanna ne aveva ventisei e questo era un’evidente segno d’immaturità. Avvisarono le autorità, ma la ragazza era maggiorenne e se n’era andata volontariamente, per cui non avrebbero fatto nulla per ritrovarla. I Baricco si arrabbiarono con l’agente e poi con le leggi italiane e poi tra di loro.
Caty incolpava la gelosia e la severità del marito per l’allontanamento di Polly; viceversa, Leo accusava la moglie per la sua ossessione alla castità e al cattolicesimo, che avevano solleticato la ribellione della loro bimba. Fu in quel momento che Bice suonò alla porta.
Bice era lì per proseguire nella sua missione di soccorso, ma capì subito d’esser giunta tardi. Caty la costrinse a sedere sul divano e a raccontarle dell’amicizia con la figlia, di qualunque dettaglio potesse farle capire dove fosse andata. Fu così che Bice si lasciò sfuggire la verità e i Baricco scoprirono la doppia vita della ragazza.
Bice trovò una leggera soddisfazione, nel gettargli in faccia il loro disastroso ruolo genitoriale conseguito sinora. Pensava di fare la cosa giusta. Pensava che, una volta messe tutte le carte in tavola, avrebbero potuto discutere e appianare le loro divergenze. Avrebbero finalmente potuto comprendersi davvero e migliorarsi. Quasi sempre, i problemi nei rapporti, nascono dalle incomprensioni, dai fraintendimenti e da quello che non si dice.
Bice pensava proprio d’aver fatto un buon lavoro, finché non scoprirono un particolare sulla figlia che anche lei ignorava. Ricevettero una chiamata dai carabinieri: Polly era stata arrestata per guida in stato di ebbrezza.
In pochissimo tempo, la voce si diffuse e la caduta fu dolorosa. La stampa etichettò Polly come un “modello da non seguire”. Tutti dicevano di sentirsi delusi da lei, persino Giuliano si dimise da sua agente, sostenendo di non poter lavorare al fianco di una persona con una così cattiva influenza, l’avrebbe contagiato. Del medesimo parere, dovevano essere le società in cui prestava il proprio volto, testimonial del loro prodotto; la cambiarono immediatamente con Milena e con altre.
La sua carriera sembrava finita prima del tempo e, rinchiusa dal padre nella sua camera, capiva di soffrire ancora di una grave dipendenza dall’alcol. Le sembrava d’impazzire! Disperata telefonò a Matteo con un telefonino di riserva, nascosto dentro al cuscino. Bice, difatti, aveva svelato ai suoi genitori del doppiofondo nell’armadio e questi le avevano sequestrato il contenuto. Bice lo aveva svelato come prova della doppia vita di Polly.
Propose a Matteo di portarla fuori a cena, o ovunque volesse, accettava il suo insistente invito. Lo pregò di venirla a salvare! Matteo si scusò d’avere altro da fare, nei prossimi giorni, o mesi, insomma, la scaricò anche lui. Accettava la sua corte tardi, troppo tardi.
Nel frattempo, Caty e Leo discutevano circa il futuro della figlia. Nonostante tutto, erano ancora convinti ci fosse speranza per lei (che poi, non credevano del tutto a ciò che Bice aveva detto di lei, nonostante la presunta prova del doppiofondo nell’armadio). Pollyanna era ancora la loro bambina capricciosa e sperduta, potevano salvarla, con le preghiere e le giuste regole.
Era un brutto periodo, ma l’avrebbero superato. Caty fece notare che c’era del positivo nella situazione: seppure in modo drammatico, avevano appreso il disagio della figlia e adesso potevano aiutarla a uscirne e a riprendere in mano la sua vita. Leo approvò e aggiunse che fosse tempo per Pollyanna d’assumere il controllo della Retropensieri (forse la responsabilità di qualcosa, l’avrebbe fatta crescere) e di trovare marito (ipotizzò dei possibili ragazzi, figli di alcuni suoi amici, avrebbe potuto organizzarne l’incontro). Sì, c’era molto da fare, ma avevano il vantaggio di sapere esattamente cosa fare, per ritrovare l’equilibro e la felicità!
Bice si sentì di nuovo in colpa, per averla aggredita in Caserma, giunta lì con i Baricco. A Polly avevano sospeso la patente per sei mesi e stava subendo già la collera e la disapprovazione dei genitori, non aveva bisogno di aggiungere anche la sua sfuriata, ma non seppe trattenersi. L’unica cosa che riuscisse a pensare, era il suo incidente, il viso di Sonia prima dell’impatto, il suono delle loro risate, la musica ad alto volume, i finestrini abbassati e il vento in faccia … Poi l’auto di Mercuzio che, inspiegabilmente, si mise nella loro corsia, e l’inutile frenata …
Come aveva potuto mettersi alla guida dopo aver bevuto? Non conosceva i rischi? Avrebbe potuto uccidersi! Avrebbe potuto uccidere qualcuno! Le urlò tutto questo e poi se ne andò, senza salutare nessuno. Corse a casa e si gettò sul suo letto. Pianse e poi si pentì: non era davvero arrabbiata con Polly, ma con Sonia e Mercuzio; e purtroppo, non poteva più prendersela con gli ultimi due.
Il giorno seguente, suonò di nuovo al campanello dei Baricco. S’imbatté in Caty nel portone. Stava uscendo a comprare il pane e qualcos’altro al supermercato. Il marito era alla Retropensieri. Polly era chiusa in camera dalla sera prima. Le aveva lasciato la colazione sul comodino e lei era rimasta ostinatamente in silenzio. Aveva pensato che non fosse il caso di costringerla a pregare, così s’inginocchiò, da sola, ai piedi del letto e pregò per la ragazza.
Gesù bambino e Madonnina buona, oggi le emozioni sono scure e il futuro sembra incerto, ma con il vostro aiuto ci fortificheremo nelle nostre difficoltà. Siamo vivi e abbiamo fede in Dio, questo è tutto ciò che ci occorre per ritrovare il sorriso, recitò, prima di darle un bacio sulla fronte. Polly non si mosse, la osservò allontanarsi con un ghigno di scherno sulle labbra.
Caty diede le chiavi di casa a Bice e la ringraziò dell’amicizia che donava alla figlia. Bice fu felice di salutarla e di svincolarsi dal suo ebete sorriso. C’era qualcosa nel suo ottimismo che le dava la nausea. Mentre saliva le scale, rifletté sulle migliori parole da utilizzare per farsi perdonare e, al contempo, rincuorarla come … Come stavano facendo tutti! E anche lei stava sbagliando, di nuovo, come tutti, insistendo nel trovare ipocriti buoni risvolti nella sua vicenda! Forse non era questo ciò di cui aveva bisogno, o forse sì. Avrebbe dovuto domandarlo a lei: ecco, qual’era la cosa giusta da dirle!
Procedeva lentamente, dandosi il tempo per meditare. Arrivata al secondo piano (Polly stava al quarto) s’imbatté in un anziano signore. Tentava d’aprire la porta e di reggere le buste della spesa al contempo, con enormi difficoltà. Bice si premurò d’aiutarlo.
«Eh, la vecchiaia! A volte mi domando, se non sarebbe stato meglio non arrivarci mai», si canzonò l’anziano.
Bice appoggiò le buste sul tavolo, accettò i suo ringraziamenti e lo salutò. Non appena chiuse la porta dietro di sé, le parole dell’anziano risuonarono sinistramente alle sue orecchie. La mente le ripropose anche una frase di Polly, scritta durante la loro prima lite in chat: “magari non ci diventerò vecchia!”. Magari non ci diventerà … Perché non dovrebbe diventarci? Perché … Improvvisamente si spaventò. Corse su per le scale e aprì di premura e maldestramente la porta di casa Baricco, le chiavi le caddero di mano due volte. Attraversò di corsa il corridoio, urlando il suo nome e si precipitò nella sua camera, sfortunatamente, troppo tardi …


Capitolo 7
Eredità
 
I Baricco arrivarono trafelati all’ospedale di Santa Maria Nuova. Videro Bice e le domandarono della figlia. Bice avrebbe proprio voluto trovarsi altrove e non essere lei a dar loro la tragica notizia. Avrebbe potuto trovare parole confortanti, o meno dirette, meno brusche, per dirgli la verità, ma neppure tentò; una parte di lei, li accusava dell’accaduto e non voleva indorare la pillola.
«è all’obitorio», li informò con voce piatta e spenta.
Caty non volle crederci subito, ma quando la vide, pallida e fredda, non poté alterare la sua concezione di realtà. Caty svenne e Leo restò attonito. Bice fu interrogata, perché fu lei a trovarla. Aveva subito chiamato l’ambulanza e sperato che potessero ancora salvarla, che potessero riportarla in vita come avevano fatto con lei. Perché con lei c’erano riusciti? Perché non anche con Polly? Perché non con Sonia?
Bice aveva trovato una lettera, sul comodino, accanto al letto in cui era distesa Polly, sorridente, coi vestiti inzuppati del suo stesso sangue, che a flotti usciva dai suoi polsi. Erano le sue ultime volontà, che già in ospedale avrebbe dovuto dare ai Baricco, ma non lo aveva fatto. Non uscì la lettera dalla sua borsa, stretta tra le braccia. A casa la rilesse, una, due, sei, dieci, venti volte, finché non si decise a consegnargliela. Sapeva di star sbagliando. Sapeva che le autorità l’avrebbero rimproverata per non averla denunciata subito. Non sapeva, tuttavia, perché l’aveva celata alla conoscenza altrui, ma l’istinto la spingeva a proteggerla.
Suonò, per l’ultima volta, il campanello dei Baricco. Erano distrutti dal dolore. Non si parlavano, ognuno troppo concentrato a compiangersi addosso. Leo ripensava a quando, da piccola, la portava con sé alla Retropensieri. Le piaceva stare con lui alla cassa. Le piaceva consegnare i biglietti. Le piaceva guardarsi gratis e in anteprima i film. Le piaceva stare con lui. Era felice. Sì, lo ricordava! Non era triste. Perché lo aveva fatto? Non riusciva ad accettarlo.
Riflettendo sulla Retropensieri, si rese conto che non sarebbe proseguita con il suo nome. Dopo di lui, nessun Baricco avrebbe fatto sopravvivere la tradizione di famiglia. Il loro nome era terminato con Polly. Quando anche lui non ci fosse stato più, la sua discendenza Baricco avrebbe smesso d’esistere e anche la Retropensieri sarebbe morta. Chissà perché, questa considerazione, gli fece comprendere appieno ciò che era successo; e pianse, pianse per la figlia perduta.
Caty era nella stanza di Polly. Era sul suo letto. Aveva cambiato le lenzuola e le coperte piene di sangue, con altre pulite e profumate. Aveva sistemato la sua camera e anche le altre per accogliere gli ospiti, che presto avrebbero iniziato ad arrivare per porle le condoglianze. Teneva in mano il rosario e pregava come le era stato insegnato da piccola, dalla madre. Anche la signora Louise Fisher era una donna molto credente. Aveva preso da lei quest’aspetto e anche molti altri tratti del suo carattere, che non avrebbe mai ammesso.
Quando suonò il campanello, non si sorprese. Sapeva che presto sarebbero arrivati per farle le condoglianze; e lei aveva pulito e sistemato la casa; e aveva cambiato le lenzuola e le coperte del letto di Polly, perché avrebbero potuto voler vedere la sua stanza. Non sarebbe stato cortese mostrare il sangue perduto, no?
Fu lei a rispondere al campanello, Leo non si mosse dal divano, sembrava quasi non essersi nemmeno accorto del suono. Era Bice. Caty la invitò a entrare con un sorriso dei suoi, quelli che tanto nauseavano Bice. La fece sedere su una sedia, in cucina, di fronte a Leo, sul divano. Lui non ricambiò il saluto, non la considerò minimamente. La tv era accesa e la fissava, ma non sembrava seguirla davvero. Bice tirò fuori dalla sua borsa la lettera di Polly. Si scusò per non averla mostrata prima.
Nella lettera, Polly sembrava serena, per così dire. Era una specie di testamento in cui chiedeva che la sua eredità, quando anche il padre e la madre fossero morti, ovvero la casa e la Retropensieri, fossero venduti e che i soldi, e altro denaro in banca dei genitori, fosse donato ai bimbi delle madri in cura al Ritrovo di Sé, centro per tossicodipendenti e alcolisti. I Baricco non avevano idea di come conoscesse quel centro e Bice non se ne sorprese.
D’un tratto, la prospettiva di Caty mutò in positivo. Ecco, il lato costruttivo della vicenda! Ecco, come ricavare qualcosa di buono da quella tragedia! Ecco, come espiare alle proprie colpe! Propose la sua idea a Leo e, forse fu molto persuasiva, o forse lui non aveva ancora ripreso il contatto con il presente, fatto sta che accettò subito.
Caty non capiva perché dover aspettare la propria dipartita per accontentare, almeno in parte, l’ultimo desiderio della figlia. Leo richiese una pensione anticipata, non era granché, ma con l’aiuto di nonna Luciana sarebbero riusciti a cavarsela. Vendettero la Retropensieri e, come richiesto da Polly, donarono il ricavato ai figli nati al Ritrovo di Sé. Caty cominciò a credere che la figlia non si fosse suicidata, ma bensì sacrificata per un bene superiore. Aveva compiuto un gesto d’incredibile altruismo in nome dell’amore e della fede.
Leo, invece, non faceva che rimembrare i tempi felici, con la sua dolce e innocente bambina. Di quando la portava alla villa, o con sé al lavoro, le spingeva l’altalena, le faceva vedere i film in anteprima, e lei rideva, rideva, rideva così tanto! Lei era felice, sì, lo era stata davvero. Lo erano stati insieme. Era colpa di Caty, se non lo erano stati più, di questo ormai ne era certo. L’aveva costretta a passare il suo tempo libero tra le preghiere, e il catechismo, e le messe, e l’aveva allontanata da lui. Provò a convivere con il suo rancore, ma a dicembre mollò e la lasciò. Tornò a vivere con la madre e a godersi insieme il tempo che gli rimaneva, consolandosi del passato spensierato, con la sua dolce e innocente bambina.
Caty non la prese male, perché anche dalla fine del suo matrimonio, ben presto, riuscì a ricavare il lato positivo. Poteva, finalmente, dedicarsi completamente alla preghiera. Vendette la casa e lasciò che il marito si prendesse metà della quota, per vivere in agio, e l’altra metà la donò al centro, come dal volere della figlia. Si ritirò in convento, con le suore, e lì trascorse il resto dei suoi giorni, in pace e in preghiera, certa che Gesù bambino e la Madonnina avessero previsto tutto per un bene superiore.


Capitolo 8
Al Ritrovo di Sé
 
Fiorello Bianca era il figlio del presidente dell’associazione di volontariato “Come l’enclisi”. Aveva vent’anni e frequentava il secondo anno di Scienze della Formazione. Aveva conosciuto Polly al centro, quando una sua amica universitaria, Martina, la condusse al Ritrovo di Sé con l’inganno. Martina tentò d’aiutarla con l’alcolismo, ma Polly non lo riconosceva come un problema. Si arrabbiò e non parlerà mai più con Martina.
Fiorello, come tanti altri uomini nella vita di Polly, rimase affascinato dalla sua bellezza e dal suo modo di porsi. Nonostante i consigli del padre, l’andò a cercare. Si recò da Martina e lei gli suggerì di provare con lo studio fotografico in cui, in genere, lavorava. Vi andò e lo accolse Matteo, con poca gentilezza e molta gelosia. Polly non sembrava volerne sapere di Fiorello, ma, quel giorno, aveva voglia di svagarsi e lo seguì nella sua camera da studente. Fecero l’amore, e anche il pomeriggio seguente, e anche quello dopo, finché Polly, di punto in bianco, decretò la fine della loro storia.
Non era facile come pensava, perché Fiorello era testardo e si diceva già innamorato. Polly non poteva credere che provasse amore dopo neanche una settimana. Gli disse che era solo un ragazzino e che doveva crescere. Non rispose alle sue decine di chiamate né alla trentina di messaggi “d’amore”. Lei non si legava mai e non avrebbe fatto eccezioni con quel ventenne.
A gennaio scoprì d’essere incinta di tre mesi e andò nel panico. Chiese aiuto a Fiorello e lui girò la richiesta al padre; era bravo in queste cose. Polly non voleva che i suoi genitori lo scoprissero e tenne la gravidanza nascosta finché poté. Del resto, i Baricco si accorgevano soltanto di ciò che erano disposti ad accettare.
Altro problema era la sua dipendenza dall’alcol. Il pensiero di far male al bambino, cedendo, non bastava a farla smettere di bramarlo. Il padre di Fiorello le consigliò di ricoverarsi da loro e lei accettò al quinto mese, quando ormai sarebbe stato impossibile nasconderlo ai suoi genitori, o a chiunque altro. Al lavoro si dava malata ormai da troppo tempo, per evitare le foto, sperò che non sospettassero nulla. Disse ai Baricco che avrebbe trascorso le vacanze estive con zio Alberto e si trasferiva da lui fin da subito. Era aprile quando iniziò la terapia al centro.
Zio Albero non era davvero suo zio. Era un cugino alla lontana del padre, viveva a Latina, aveva trentadue anni ed era sempre stato dalla sua parte. L’aveva poggiata e coperta innumerevoli volte. Se non ci fosse stato lui, non sarebbe mai riuscita a convincere i Baricco a un distacco di mesi. Caty e Leo, col senno di poi, daranno la colpa, della cattiva strada presa dalla figlia, al periodo trascorso da zio Alberto e non lo perdoneranno mai; ma, ad aprile, si fidavano ancora di lui.
Fiorello rassicurò Polly che non gli interessava sapere se era o meno il padre del bambino, si sarebbe preso comunque cura di lui come se fosse suo. Polly gli rise in faccia. Lei non ne voleva sapere niente del figlio, o della figlia, non voleva neppure conoscerne il sesso. Lo avrebbe fatto nascere e poi dato in adozione. Non avrebbe più voluto saperne nulla. Fiorello provò a farle cambiare idea, ma Polly aveva ormai deciso.
Avrebbe dovuto recuperare in fretta la linea, prima che Giuliano, o la stampa, se ne accorgessero. Chissà cosa avrebbero detto di lei! La bellezza era l’unico talento che possedeva, non poteva permettersi di perderlo! Fiorello la contraddisse. Non era vero, lei era molto di più. Era testarda, combattiva, risoluta, intelligente e altruista. Polly non si vedeva allo stesso modo e non era pronta ad accettare il suo punto di vista, non lo fu mai.
Il 1 agosto Polly partorì, subito dopo lasciò il centro e tornò a casa. Era sobria da sei mesi, finché non acquistò la bottiglia di vino, e poco dopo i Baricco la scoprirono ubriaca. Il giorno del provino, piangeva in bagno, ripensando al pesante segreto che si portava dietro; non era come gli altri, era più pesante di quanto non s’immaginasse.
Fiorello raccontò tutto questo a Bice, che spinta dalla curiosità e dalla colpa per non essere arrivata in tempo (magari sarebbero bastati pochi minuti prima per salvarla!), voleva riempire gli spazi vuoti della storia di Pollyanna e pensò di partire dal Ritrovo di Sé, citato nella sua lettera-testamento.
Fiorello le disse che Polly aveva partorito un bambino, che lui aveva chiamato Bruno. Si era preso cura di lui, in attesa del ritorno di Polly, nonostante le avesse promesso di darlo in adozione. Era sicuro che avrebbe cambiato idea, non appena la paura l’avesse abbandonata, era certo che avrebbe voluto tenere imbraccio il suo bambino.
Fiorello non aveva ancora la certezza se fosse davvero suo, ma non gli era mai importato. Suo padre l’appoggiava, come tutti quelli del centro, nonostante temessero per la sua e la propria incolumità, stavano pur sempre nascondendo un bambino; ma era una situazione temporanea, e poi tutti si erano affezionati a Bruno, da non riuscire a lasciarlo andare. Fiorello aveva proprio sperato nel ritorno di Polly e che insieme costruissero una famiglia. Si ripeteva che Polly non fosse ancora pronta ad accettarlo, ma un giorno lo sarebbe stata. Secondo lui, era ciò di cui aveva bisogno. A Bice le parole suonarono terribilmente familiari.
Si era presentato da lei, giorni fa, meditando di confessarle tutto. Non l’aveva trovata in casa e aveva rinviato, troppo a lungo. Quando lesse la lettera di Polly, pensò che forse lei lo avesse sempre saputo, che lui non aveva dato ad altri il suo bambino. Forse sapeva che se ne stava prendendo cura, per questo aveva lasciato tutto in eredità ai figli nati da madri ricoverate al Ritrovo di Sé.
«O forse non lo pensava», commentò sarcastica, Bice. «Nessuno potrà mai saperlo e non perché è morta: chi le ha mai chiesto il suo parere? Chi l’avrebbe mai fatto?».
 
  
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