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Autore: holls    04/03/2014    8 recensioni
Un investigatore privato, solo e tormentato; il suo ex fidanzato, in coppia professionale con un tipo un po' sboccato per un lavoro lontano dalla luce del sole; il barista del Naughty Blu, custode dei drammi sentimentali dei suoi clienti; una ragazza, pianista quasi per forza, fotografa per passione; e un poliziotto un po' troppo galante, ma con una bella parlantina.
Personaggi che si incontrano, si dividono, si scontrano, si rincorrono, sullo sfondo di una caotica New York.
Ma proprio quando l'equilibrio sembra raggiunto, dopo incomprensioni, rimorsi, gelosie, silenzi colpevoli e segreti inconfessati, una serie di omicidi sopraggiungerà a sconvolgere la città: nulla di anormale, se non fosse che i delitti sembrano essere legati in qualche modo alle storie dei protagonisti.
Chi sta tentando di mettere a soqquadro le loro vite? Ma soprattutto, perché?
[Attenzione: le recensioni contengono spoiler!]
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
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28. Come un pesce fuor d’acqua
 
 
26 gennaio 2005.
In sottofondo, parole.
Confuse, farfugliate.
Davanti a sé, uno schienale in pelle sintetica.
Come riaprì gli occhi, Nathan si accorse che la sensazione di essere sballottato non era solo frutto della sua immaginazione. E nemmeno l’essere disteso sui sedili posteriori di un’auto che non aveva mai visto.
Subito si rese conto che qualcosa gli impediva di muoversi. Smosse le caviglie, cercando di liberarle, ma erano legate da un qualcosa che non seppe definire. Poi strofinò i polsi e sentì una grossa corda aderire contro la pelle a ogni suo movimento.
Era legato mani e piedi.
La bocca, però, non gli era stata tappata. Poteva ancora parlare, dunque, ma non gli venne in mente niente da dire. Avrebbe potuto urlare, certo, ma chi l’avrebbe sentito? Chiuso in quella macchina, cosa avrebbe potuto gridare?
Cominciò ad agitarsi, perché, privato com’era di ogni sua libertà, non riusciva a pensare ad alcun modo per sopravvivere. Iniziò a pensare che, forse, sarebbe morto sul serio, anche se, ancora, non aveva perso la speranza di un eroe dell’ultimo minuto.
Si chiese se Alan fosse già tornato a casa e se si fosse accorto che lui non c’era. Si domandò se avesse capito cosa era successo e se avesse qualche elemento per cercarlo.
Si rese conto che, se la sua ultima speranza era il salvataggio in extremis, significava che, ormai, la sua unica previsione era una soltanto.
Morte.
Cercò di scacciar via quel pensiero e si tirò su, il tempo necessario per avere la conferma che, al volante, c’era proprio chi immaginava.
Jack.
Si rassegnò all’idea di chiedere aiuto, per il momento, e provò a rendere utili quegli ultimi istanti di vita.
« Dove stiamo andando? »
Intravide Jack spostare lo sguardo sullo specchietto retrovisore, per poi tornare a guardare la strada.
« Di certo non lo dico a te. »
« Perché? Pensi che possa dirlo a qualcuno? »
Jack ridacchiò.
« Non si sa mai. »
Nathan buttò uno sguardo fuori dal finestrino sopra i suoi piedi, e si meravigliò del paesaggio boschivo illuminato dai primi raggi di luna, anche se l’auto sfrecciava così veloce che gli era impossibile distinguere qualsiasi contorno.
« Perché non mi hai ucciso subito? Sarebbe stato più facile. »
« Ma meno divertente. »
Jack ridacchiò e Nathan capì che era tutto inutile. Non gli avrebbe rivelato niente e, anzi, avrebbe cercato di divertirsi con lui fino all’ultimo, di tenerlo sul filo del rasoio il più possibile. Quelle risposte secche e sarcastiche non lo avrebbero portato da nessuna parte.
Cercò di farsi venire un’idea per tirarsi fuori di lì, ma non gli venne in mente niente; in preda allo sconforto, cominciò davvero a pensare a come trascorrere quei pochi momenti che gli rimanevano, non vedendo alcuna via di uscita.
La rassegnazione si era intrufolata dentro di lui.
 
La macchina continuò a sballottarlo qua e là, finché Jack non inchiodò e per poco Nathan non si ritrovò con la faccia sul tappetino. Buttò un’occhiata fuori dal finestrino, ma l’angolazione era troppo ampia perché potesse vedere qualcuno; porse, allora, l’orecchio verso il mondo esterno, ma non udì alcun rumore.
Jack uscì dalla macchina, fece il giro dell’auto e aprì il portellone posteriore, dal lato della testa di Nathan. Respirò quell’aria con tutta la forza che aveva in corpo, solo per sentire quella sensazione di freddo percorrergli per intero le narici.
Si sentì tirare via di peso e, come mise la testa fuori dall’auto, capì subito dove lo aveva portato.
Davanti a lui si stagliavano immense attrazioni, chioschi di patatine e insegne. Ma non c’erano persone, jingle caotici o luci intermittenti.
Coney Island era deserta.
Jack lo tirò su, facendolo mettere in posizione eretta, poi chiuse la macchina.
« È molto più bello quando non c’è nessuno, vero? »
Nathan si guardò ancora intorno, alla ricerca di un’anima a cui potesse mandare un segnale, ma non fu così fortunato. L’unica compagnia che aveva era il suono delle onde e, come si voltò, un’orribile scena si figurò davanti a sé. Sgranò gli occhi, osservando il mare, ed ebbe una terribile sensazione.
« Belle onde, non trovi? » Jack gli indicò il mare. « Hai presente i pesci che si dibattono, quando li porti sulla terraferma? È proprio quello che mi aspetto da te. Sarà davvero divertente vedere come ti agiterai, quando sarai là sotto e non potrai tornare su. Morirai così, come un pesce fuori dall’acqua. »
Complice il freddo, Nathan cominciò a sbattere i denti, in piccoli movimenti convulsi, mentre Jack rideva di gusto. Non pensava che qualcuno avrebbe potuto davvero ridere di fronte a una scena simile; qualcuno sano di mente, almeno. Jack aveva intenzione di andare fino in fondo e niente avrebbe potuto impedirglielo, in quel momento.
Qualcosa di gelido si attaccò alla sua nuca. Gli bastò quel brivido giù per la schiena, per capire cosa fosse.
« Forza, cammina. Altrimenti sparo. »
Nathan si voltò a destra e a sinistra, in cerca di aiuto, ma Jack spinse la canna ancora di più.
« Ho detto cammina. »
Cominciò a muovere piccoli passi, corda permettendo.
I piedi gli affondavano nella sabbia e l’oceano si avvicinava sempre di più. Immaginò il contatore della sua esistenza in procinto di raggiungere lo zero: e non c’era modo di fermarlo, né di allungarne il tempo; doveva solo accettare il suo destino.
Eppure, non ci riusciva.
Arrivò alla riva e, per pochi centimetri, l’onda infranta sulla sabbia non toccò la punta delle sue scarpe. Osservò l’acqua, il cielo, le stelle, forse per l’ultima volta.
Non lo stava facendo davvero. Non poteva star camminando verso la sua tomba. Non stava assecondando i piani di un pazzo squilibrato, no!
« No! »
Quelle parole fecero esplodere tutta la tensione che aveva accumulato, che si sfogò rigando il suo viso di lacrime. Piantò i piedi a terra e si rifiutò di proseguire.
« Non credo di aver sentito bene. E cammina! »
« Ho detto di no! Non morirò per causa tua, non voglio! »
Jack gli si parò di fronte, con un sorriso beffardo sul volto.
« Un po’ tardi per pensarci, non credi? »
Il suo pianto, ormai, era sfociato in una serie di singhiozzi.
« Farò tutto quello che vuoi, davvero. Ma ti prego, lasciami andare. »
« Oh, povero Nathan. »
Jack gli si avvicinò e, con un dito, gli asciugò una guancia. Quel contatto così ravvicinato lo portò a pensare a situazioni con cui mai aveva pensato di scendere a compromessi, soprattutto dopo tutto ciò che aveva vissuto col maniaco.
Era così forte il suo attaccamento alla vita? 
Lo schiaffo di Jack distrusse ogni sua speranza e quasi si vergognò di aver avuto pensieri così poco dignitosi.
« Sei davvero un cretino. Perché l’unica cosa che voglio è vederti morire nel modo più doloroso possibile. E lascia che te lo dica: fai proprio pena. »
Era fallito anche il suo ultimo tentativo. Perché Alan non poteva essere l’eroe che accorreva in suo aiuto?
Alan.
Si rese conto di quanto tutto ciò che lo circondava fosse effimero, pronto a scivolare via dalle dita in un battito di ciglia. Era inutile continuare a pensare al futuro, ai successivi dieci minuti, perché non ci sarebbero stati; e non erano più parole dettate dalla disperazione, ma dalla realtà dei fatti. Il pensiero che la sua vita si sarebbe esaurita lì, che non sarebbe sbocciata ulteriormente, lo fece rabbrividire. Era abituato a pensare alle sue giornate, a quelle dopo ancora, a cosa fare nel tempo libero. Solo adesso si rendeva conto che, quel tempo, avrebbe voluto e potuto usarlo diversamente, che tutti i momenti sprecati dietro a rancori e litigi avrebbe potuto spenderli in dialogo e pace.
Ma era tardi per tutti quei discorsi.
Era tardi per vivere.
L’acqua gli bagnò una scarpa. E, dentro quell’acqua, ci finì pure una sua lacrima. Quel senso di costrizione a cui era sottoposto gli suonò familiare, ma l’esperienza gli aveva insegnato che, per quanto terribile potesse essere una situazione, spesso non vi era modo di sfuggirle. Stava cominciando ad accettare il suo destino.
« Secondo te, è più divertente se ti tiro un calcio o se ti butti in acqua da solo? Me lo chiedo da un po’ di tempo. »
Nella sua mente, avrebbe voluto rispondergli che era solo un bastardo, un pazzo, un malato; e invece si limitò a stare zitto e a contemplare il luogo dove avrebbe riposato per sempre.
Gli fece una gran paura, detto così.
Avrebbe smesso di vivere e il mondo sarebbe andato avanti, senza di lui. Alan sarebbe andato avanti, senza di lui.
Paura, paura, paura e solo paura.
L’oceano, l’acqua, l’aria che mancava.
Alan.
I pesci, forse?
Alan.
E poi? La luce? Il tunnel? Il niente?
Non riusciva nemmeno più a fare un pensiero sensato, nella sua mente. Ormai era tutto annebbiato.
Una voce. Un’anima. C’era qualcuno, oltre a loro.
I pensieri riacquisirono senso. Ripresero lunghezza.
C’era qualcuno, oltre a loro, in quella spiaggia.
Jack lo prese per il collo e gli puntò la pistola alla tempia.
« State indietro! State indietro o sparo! »
Chiuse le palpebre e mitigò le lacrime; poi le riaprì, con lo sguardo puntato su quella che, in quel momento, gli sembrò poco più che una visione.
C’era qualcuno che somigliava moltissimo ad Alan. Un altro che somigliava moltissimo a Hank. E lo stesso poté dire per quelle figurine lontane, che tanto assomigliavano a Madison e Ashton.
Forse era già in acqua e quella era solo una mera illusione? Forse stava sognando tutto quanto?
Il gruppetto venne più vicino, le loro forme si fecero più definite. Sembravano proprio gli originali.
« Un altro passo e sparo! »
Alan alzò le mani e fece un giro completo su se stesso.
« Sono disarmato, Jack. Vedi? »
Il corpo di Nathan aderiva talmente tanto a quello di Jack, da poter sentire il suo cuore battere all’impazzata. Era molto teso e questo, pensò, poteva essere un grande vantaggio. O un grande svantaggio.
Jack indicò Ashton e Hank con un cenno del capo.
« E loro? »
Gli altri tre alzarono le mani, come Alan. Nonostante ciò, Jack fece ancora più forza nella mano in cui teneva la pistola, spingendola ancora di più.
« Non mi spaventi, lo sai? Anzi, non vedo l’ora di sentirti gridare per la disperazione! »
Alan, però, non si scompose minimamente. Continuava a fissare Jack con occhi seri, ma senza alcun velo di rimprovero. Sembrava quasi un padre autorevole di fronte al figlio ribelle.
« Metti giù quella pistola, Jack. Non ci guadagni nulla, da tutto questo. »
Nathan sentiva la pistola muoversi in modo impercettibile, ma frenetico. Immaginò che, dentro Jack, si stesse animando una battaglia piuttosto feroce, dove erano schierati il bene e il male, l’istinto e la razionalità.
« Non ci guadagno nulla? Vederti gridare dal dolore lo chiami ‘nulla’? » Il respiro di Jack si gonfiò, così come il suo tono di voce. « Vederti patire anche solo un briciolo delle mie sofferenze lo chiami ‘nulla’? »
Aveva gridato così forte che la vibrazione della voce aveva scosso ogni parte di Nathan.
« Finirai in carcere, Jack. Lo sai. »
« Non me ne frega niente! »
« E il sacrificio di tuo padre? Ha fatto ciò che ha fatto per darti una vita migliore, per permetterti di non diventare come lui. E tu? Vuoi buttare tutto così? »
La pistola sulla sua testa tremava sempre di più. Sperò solo che Jack non avesse il dito sul grilletto, perché, in un impeto di rabbia, avrebbe potuto premerlo senza accorgersene.
« Stai zitto! Cosa ne sai tu, della mia vita? Cosa ne sai di cosa ho passato? Devi solo stare zitto. Zitto! »
Il petto di Jack si muoveva ad una velocità impressionante, o almeno così parve a Nathan. Finalmente, il suo aguzzino staccò la pistola dalla sua testa. Pensò subito a una liberazione improvvisa, a una redenzione inaspettata, ma, quando si voltò verso Jack, si accorse che non era così.
L’altro lo guardò torvo, poi si voltò verso gli altri – contro i quali teneva puntata la pistola -, per poi girarsi nuovamente verso di lui.
Jack lo afferrò per la vita e lo trascinò, di peso, verso l’acqua. Le scarpe gli si inzupparono completamente e i pantaloni cominciarono ad avviarsi verso la stessa sorte.

Sapeva che quel tratto di spiaggia aveva dei grossi scaglioni e che le acque profonde non distavano molto dalla riva. Ma poi, pensò, gli sarebbe bastato davvero poco per annegare. I pensieri sulla sua morte cominciarono a vagare nuovamente per la sua testa come anime in pena, ma, stavolta, Nathan si sentiva più forte. C’erano ben altre quattro persone lì, oltre a lui e Jack e, si convinse, non l’avrebbero certo lasciato morire. Sempre che Jack non avesse sparato a tutti, ovviamente. Ne sarebbe stato capace? Non ne aveva la minima idea.
Mosse qualche altro passetto, mentre gli altri osservavano attoniti, ma attenti.
L’acqua ormai gli arrivava fino al ginocchio, ma nessuno si era mosso di un millimetro. Ma cosa aspettavano a intervenire?
E poi, successe.
Un calcio sul fondoschiena, le gambe che non gli fornivano più equilibrio e il suo corpo che si immergeva nell’acqua. E, come aveva previsto Jack, aveva cominciato a dimenarsi, ad agitare le gambe come una sirena, con la differenza che, per lui, era totalmente inutile. Muoveva i polsi nella speranza di sciogliere il nodo, faceva sgusciare i piedi sulla sabbia bagnata nel tentativo di fare leva e rialzarsi, e puntava lo sguardo verso il cielo stellato, che ormai non era più in grado di vedere bene, nella speranza di riemergere e respirare.
E poi un rumore secco, ovattato, seguito da uno stridulo e prolungato. Era uno sparo. E delle grida.
E lui, che cominciava a sentire l’aria che mancava, l’acqua che gli entrava dalle narici e scivolava giù per la gola, mangiandosi il poco ossigeno che gli rimaneva in corpo. I polsi avevano smesso di sfregare contro quella corda, le gambe non si agitavano quasi più.
Proprio come un pesce sulla terraferma, stava cessando la sua lotta per la vita.
La vita.
La sentiva scivolar via ogni attimo di più. Gli sembrò quasi di vedere un flusso argenteo uscire dalla sua bocca e innalzarsi verso il cielo, come se qualcuno, lassù, stesse reclamando la sua anima e gliela stesse succhiando via a poco a poco.
Ombre, luci.
Tutto era confuso.
E tutto divenne chiaro.
Il riflesso dell’acqua colpì i suoi occhi, l’ossigeno provò a farsi strada tra i suoi polmoni. Qualcuno lo aveva afferrato ancora per la vita e lo stava tirando fuori dall’acqua. Ma stava succedendo qualcosa.
« Hank! O mio Dio… Ash, bloccalo! Prendigli la pistola! »
Come atterrò sulla spiaggia, vomitò tutta l’acqua che aveva inalato e, per poco, non si sentì soffocare. Troppa l’irruenza di bramare ossigeno e sputare quello che, ai suoi occhi, era come veleno. Tossì ripetutamente, finché non si liberò di quella sensazione di acqua in eccesso.
Un paio di mani riuscirono a liberarlo da quei nodi che tenevano a freno la sua libertà e così fece leva sulle braccia, per voltarsi.
Alan era dietro di lui, con l’orrore dipinto in volto, intento a osservare la scena che aveva di fronte.
Nathan fece lo stesso e, per poco, le braccia non gli cedettero.
Hank era lì davanti, steso a terra, sopra il corpo di Jack. Non parlava e non si muoveva: sembrava ferito. Ricollegò lo sparo e le grida: Hank si era sacrificato per lui. Si era avventato su Jack per salvarlo. Non sapeva nemmeno se fosse vivo o morto e una morsa d’angoscia lo fece cadere in uno sconforto mai provato prima.
Alan gli lanciò un’occhiata, poi si allontanò, correndo verso Jack. Questi si era liberato di Hank e aveva appena tirato un pugno ad Ashton, che, dopo una corsa impacciata, non era riuscito a prendere l’arma. Non ebbe nemmeno il tempo di riprendersi, che Jack gli puntò la pistola davanti.
« No! Jack, fermo! »
Quello era l’inconfondibile timbro di Madison, che, con inaspettato coraggio, si era messa davanti ad Ashton, facendo scudo col suo corpo. La ragazza era in lacrime e scossa da singulti, ma questo non le impedì di parlare.
« Se vuoi uccidere lui, dovrai uccidere anche me. »
Fu solo in quell’istante che scomparve l’aria di follia che aveva albergato in Jack fino a quel momento. Le parole di Madison avevano fatto riaffiorare in lui una sorta di umanità perduta, tanto che si guardò intorno, come se, per tutto quel tempo, avesse agito qualcun altro al posto suo.
« Ti prego, Jack, smettila. Getta via quella pistola. So che hai sofferto tanto, nella tua vita; ci sono tanti aspetti di te che lo raccontano, anche se tu non mi hai mai detto niente. Ma non è così che risolverai le cose, davvero. »
Madison si lasciò andare a un pianto liberatorio e nascose il viso tra le mani.
« Fallo per me, Jack. Non pensi a quanto stia soffrendo, vedendo tutto questo? Tu sei un grande amico per me, ti ho sempre raccontato i miei problemi, mi sono sempre fidata di te. Tu pensi di essere solo, al mondo, ma ricordati che io ti voglio un bene dell’anima, Jack. Quindi ti prego, non fare sciocchezze. Non tradirmi. Mi faresti davvero molto male. »
Col fiato sospeso, attesero tutti una qualsiasi reazione, ma Jack rimase immobile. Teneva gli occhi fissi su Madison, mentre la fronte gli si aggrottava sempre più, in una smorfia di dolore.
Ancora singhiozzante, Madison si avvicinò a Jack a piccoli passi, sotto lo sguardo stupito di tutti. Lui teneva ancora la pistola in mano, ma lo sguardo era ancora dritto su di lei e l’attenzione sulle parole che aveva pronunciato. Non aveva intenzione di spararle. Non avrebbe mai potuto.
Madison si accovacciò, finché i loro occhi non furono alla stessa altezza. Alzò il braccio e allungò la mano verso quella di Jack, fino a sfiorarla. Lui reagì appena a quel contatto e non disse niente quando lei, delicatamente, gli sfilò la pistola dalle mani. Spogliato di ogni violenza, rimase semplicemente un ragazzo impaurito, invischiato in una situazione fin troppo grande, per lui. Madison si alzò, con la pistola in mano, e indietreggiò, finché il suo corpo non si scontrò con quello di Ashton, a cui porse l’arma.
Fu solo allora che Jack si rannicchiò sulla sabbia e riempì l’aria del suo pianto disperato, che ben presto sfociò in grida di dolore e pugni sbattuti.
I due colleghi si scambiarono uno sguardo fulmineo e, dopo pochi istanti, un piccolo gruppo di agenti fece irruzione sulla spiaggia. Tirarono su Jack, il quale non oppose resistenza, e gli bloccarono le mani con un paio di manette. Continuò a fissare Madison, quasi con un pizzico di vergogna e pentimento, finché non lo portarono via; non proferì parola e lasciò che lo caricassero in auto. Non si voltò nemmeno una volta.
Un gruppo di medici, del quale Nathan si era accorto solo in quel momento, constatarono le condizioni di Hank e lo caricarono su una barella. Di istinto, Nathan cominciò a correre verso l’amico, ma la mano di Alan, sulla sua spalla, lo fermò.
« Starà bene, vedrai. »
Nathan si voltò, incrociando lo sguardo dell’altro. E, il momento dopo, si trovò stretto tra le braccia di Alan, che lo abbracciava così forte che, se avesse continuato, avrebbe potuto rompergli un paio di costole.
Fu un abbraccio di ritrovata speranza, un momento che non pensava avrebbe più vissuto. Le sue mani cercarono di tastare la poca pelle di Alan a disposizione, il suo naso volle essere inebriato da quell’odore così normale, ma così speciale, e non poté che essere felice nell’udire il suono della sua voce che lo chiamava per nome. Mai, in tutta la sua vita, era stato più felice di assaporare le piccole cose, quei piccoli gesti che, ormai, pensava di aver perduto per sempre.
Si sciolsero dall’abbraccio e notò Madison e Ashton lì accanto a loro, ugualmente sconvolti. Alan le mise una mano sulla spalla.
« Madison, sei stata bravissima. So bene quanto ti sia costato. »
Lei non disse niente, perché, Nathan ne era certo, quel dolore di cui aveva parlato a Jack non era solo un subdolo tentativo di farlo desistere. Per Alan era solo un ex qualunque, per Ashton il migliore amico della sua ragazza, per Hank addirittura nessuno. Ma, per Madison, l’uomo a cui aveva tolto una pistola di mano era il suo migliore amico.
Il silenzio calò tra i quattro, e fu interrotto solo dall’arrivo di altri due agenti, che si accertarono delle loro condizioni fisiche e psicologiche, e li scortarono verso le auto che, poi, li avrebbero portati in centrale.
 
Nathan era seduto su una sedia d’ospedale, avvolto in una coperta di lana, la testa sulla spalla di Alan. Guardava i medici passare e gli infermieri correr loro dietro, mentre i suoni sembravano solo una caciara confusa, di cui non riusciva ad afferrare il senso. La presenza di Alan e il suo braccio che lo accarezzava erano tutto ciò di cui aveva bisogno, in quel momento.
Aprì le palpebre piano piano e sorrise quando si accorse che, nonostante le avesse riaperte centinaia di volte, la realtà che aveva davanti era sempre la stessa: quella che desiderava. Osservò il muro bianco davanti a lui per una manciata di secondi, dopo i quali, stranamente, tornò a regnare la calma. In quel momento calò uno strano silenzio, riempito dai ‘bip’ dei macchinari e dalle voci di pazienti che parlottavano tra loro.
« Ho avuto paura, Alan. »
L’altro sospirò, poi poggiò la testa su quella di Nathan.
« Anche io ho avuto paura. Quando non ti ho trovato in casa e quando ho visto il sangue, credevo di impazzire. Per non parlare di quando sono arrivato sulla spiaggia. Non appena ho visto che eri ancora vivo, ho capito che non tutto era perduto. »
« Come facevi a sapere dov’ero? »
Nathan lo sentì ridacchiare.
« Forse il destino ha voluto farci percorrere questa strada, prima di farci rincontrare davvero. »
Non capì a pieno il senso di quelle parole, ma non gli importava. Gli bastava essere lì, con l’uomo che amava.
« Pensavo che non ti avrei più rivisto. Pensavo che non avrei più rivisto la luce del Sole. È strano, vero? Un attimo prima sembra tutto così scontato, l’attimo dopo ti accorgi di quanto tutto, intorno a te, sia essenziale. »
L’altro annuì.
« Capisco cosa vuoi dire. » Alan lo abbracciò ancora, stringendolo forte a sé. Gli stampò poi un bacio sulla testa e infilò le dita tra quelle ciocche bionde, massaggiandogli la nuca. « Sei stanco? Vuoi dormire un po’? »
Non ottenne risposta.
In quel momento, a occhi chiusi, Nathan si fece spazio nell’abbraccio di Alan e liberò tutta la sua tensione, come fa un bambino che si rifugia nelle braccia dei genitori, convinto che risolveranno tutto.
E così, lasciò che fossero le parole di Alan a cullarlo e a rassicurarlo che il Sole sarebbe sorto ancora.

 

Eccoci qui, cari lettori. Come avrete intuito un po' dai toni, questa è la conclusione della storia, manca solo l'epilogo. Ma le sorprese non finiscono qui! Ormai mi conoscete, i miei personaggi non possono stare tranquilli troppo a lungo... XD Non vi anticipo altro, però, perché mi conosco e, di sicuro, mi lascerei scappar detto qualcosa di troppo! 
Ringrazio tantissimo Silvia, a cui ho deciso di regalare uno speciale broccolo (u.u), e tutti voi lettori, silenziosi o meno, che mi avete seguito fino qui. Con i vostri commenti mi avete incoraggiata, spronata e mi avete anche aiutato a trovare le pecche di questa storia, che correggerò non appena sarà ultimata. 
Sperando che il capitolo vi abbia regalato la giusta dose di adrenalina, vi saluto.
A presto!
   
 
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