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Autore: Jo_The Ripper    04/03/2014    0 recensioni
La storia di come è nato e come è andato evolvendosi il rapporto tra Johanna e Finnick, prima e durante i 74esimi Hunger Games, attraverso una raccolta di one shot. Contiene spoiler per chi non avesse ancora letto "Il canto della rivolta".
1. Narciso e l'Amazzone: "In quel momento decise che mai e poi mai un tipo del genere sarebbe potuto diventare suo amico."
2. Imprevedibilità: "Perché lei era Johanna Mason, ed imprevedibilità era il suo secondo nome."
3. Ottone: "Capitol City…quella città era come un ingannevole bagliore dorato, visto da lontano."
4. Lacrime: "Era selvaggia e terribile come una delle dee della vendetta di cui aveva letto in passato."
5. Nome maledetto: "Per lei gli occhi di Finnick non avevano il colore del mare."
6. E se: "Quindi se fossimo venuti dallo stesso Distretto anche noi saremmo stati degli Sfortunati Innamorati?"
7. Il principio delle cose: "Felici Hunger Games, Johanna Mason." - "E possa la fortuna essere sempre a nostro favore, Finnick Odair."
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair, Johanna Mason
Note: Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Nome maledetto

Quando Johanna fece ritorno a Capitol City, la vigilia del 74esimi Hunger Games si avvicinava e, come da programma, tutti erano in fervente agitazione.
Ci sarebbero stati dei volontari combattivi, spietati e pronti ad inseguire sogni di gloria? Quali sorprese ed insidie avrebbe nascosto l’arena quell'edizione?
La triste notizia della morte dei suoi genitori, che aveva suscitato tanto clamore, era ormai un ricordo lontano, soppiantato da più succulente notizie di gossip. Questo fu un bene, dato che quello che lei e Finnick si accingevano a fare sarebbe costato loro la vita, qualora fossero stati scoperti. Finnick, grazie alle sue conoscenze, era riuscito a scoprire l’esistenza di alcuni oppositori al governo, persone di una certa rilevanza che intendevano disfarsi di quella dittatura. Aveva assicurato a Johanna un incontro con uno dei membri e quello era stato l’unico motivo che l’aveva condotta fuori dal suo distretto; con l’attenzione spostata sulla nuova edizione dei giochi, nessuno avrebbe fatto caso a loro.

Si stavano dirigendo verso l’abitazione di un certo Plutarch Heavensbee, un uomo che faceva parte delle alte sfere della città e che, nelle precedenti edizioni dei giochi, aveva collaborato saltuariamente con gli strateghi.
Johanna camminava al fianco di Finnick, in silenzio. Il collo alto del suo vestito le graffiava la pelle e le scarpe cominciavano già a farle male.
“Smettila di essere così rigida, sii meno ingessata e andrà tutto benissimo.” Provò a rassicurarla Finnick una volta entrati nell’atrio del palazzo.
Lei gli scoccò un’occhiata torva.
“Vuoi dirmi che con il mio portamento non sarò la stella indiscussa della serata? Johanna Mason, la neo orfanella che viene ad affogare il suo dolore tra gli amici di Capitol City? Un paio di commenti graffianti e questo tipo mi adorerà.” Replicò con sarcasmo ed il ragazzo sorrise.
“Non hai perso il tuo tocco magico.”
Lei si strinse nelle spalle, poi assunse un’aria seria, abbassando il tono di voce e guardandosi attorno, cauta.
“Credi davvero che questa sia una buona idea?”
“Per adesso è la migliore possibilità che abbiamo, quindi vediamo di giocarcela bene.” Asserì lui convinto.
“Mi stai chiedendo di fidarmi di gente che non conosco ma, notizia flash, io non sono te.” Erano fermi davanti alle porte dell’ascensore e lei l’aveva afferrato per un braccio, costringendolo a guardarla. Finnick lesse chiaramente la preoccupazione in quegli occhi solitamente sfrontati. Dolcemente le posò un dito sulle labbra, tacitando una nuova protesta nascente.
“Non si ha fiducia negli altri perché se la meritano ma perché merita di averla colui che la prova.” Poi si guardò scocciato la mano. “Hai un fazzoletto? Mi hai appiccicato sul dito tutti quei maledetti glitter…” sospirò teatralmente e Johanna storse le labbra con disappunto.
“Ringrazia che non te l’abbia staccato con un morso. Potrai sempre pulirti sul vestito di un invitato.” Suggerì poi con noncuranza ed entrò nell’ascensore, le cui porte metalliche si chiusero con un suono ovattato.

Plutarch Heavensbee fu un ospite accorto, cortese e premuroso: il suo attico fu messo a disposizione degli invitati, i loro calici non furono mai vuoti così come i loro piatti.
Quando si avvicinò con un sorriso sornione, Johanna sentì uno spasmo allo stomaco. Quello sarebbe dovuto essere un alleato? Non poteva certo crederci: aveva lo stesso viso di tutti quei capitolini arricchiti che trascorrevano le loro vite a crogiolarsi nell’opulenza, rinchiusi nella loro bella oasi felice.
“Vi state divertendo?” domandò con quell’accento strascicato ed affettato tipico della città. “Io adoro le grandi feste: sono così intime! In quelle piccole non c’è alcuna privacy, non trovate?”
La ragazza si chiese mentalmente se per caso non fosse ubriaco. Per tutto il resto del tempo che Plutarch trascorse con lei e Finnick, parlò di cose che esulavano palesemente dal punto che le premeva toccare. Divenne impaziente. Soprattutto la irritò la calma con cui Finnick, invece, conversava. Sembrava così a suo agio, sereno e pacato, brillante e carismatico. Plutarch rideva alle sue battute e gli dava gentili colpetti sulla spalla, mentre con un fazzoletto si asciugava una lacrima, il viso rosso per le risa.
Finita la festa, dopo essersi accomiatati alle prime luci dell’alba, Plutarch salutò Johanna dicendole che, il regalo perfetto per una donna come lei, sarebbero state tredici rose rosse.

“Allora, che cavolo era tutta quella farsa?” esordì lei, una volta rientrata nella sua stanza d'albergo con Finnick.
“Di cosa stai parlando, esattamente?” replicò ragazzo e l’insofferenza di Johanna crebbe di una tacca.
“Non fare l’idiota! Mi riferisco a questa serata. Che cos'è che abbiamo concluso effettivamente, a parte parlare di argomenti a caso?”
Finnick sorrise.
“Niente di quello che è accaduto stasera è stato un caso.”
Lei lo fissò, seccata.
“Che ne diresti di rendermi partecipe?”
“Sei entrata nel nostro piccolo club dei ribelli. Il resto te lo spiegherò quando sarai tornata nel tuo distretto. Fino ad allora…” si avvicinò alla sua guancia e vi lasciò un bacio delicato. Si diresse poi verso la porta della stanza ed uscì, lasciandola spiazzata.
“Ehi, ma che…Finnick, torna qui! Aaah, fai un po’ come vuoi!” gli gridò contro, impermalita, per poi buttarsi a peso morto sul letto.

*

Era una mite giornata di fine maggio quando Finnick arrivò al Distretto 7. Riuscì a lasciare i suoi impegni, sempre facendo leva sui numerosi favori che doveva riscuotere (favori che Johanna preferiva definire ricatti), ed arrivò con il primo treno. Lei andò a prenderlo alla stazione e, stando bene attenti ad evitare i luoghi più affollati come la piazza del distretto, si diressero sulle montagne.
Johanna lo portò nel folto della foresta fino a raggiungere una radura circondata da alberi di pino. Si sedette sull’erba e Finnick la raggiunse.
“Vedo che hai preso alla lettera il mio consiglio di trovare un posto intimo dove parlare.”
 Lei inarcò un sopracciglio. “Ti avrei portato a casa mia ma ho sempre la sensazione che sia controllata.”
“Un problema comune, temo.” Le rispose sconsolato.
“Sì, ma adesso basta con queste sciocchezze. Spiegami cosa è successo e alla svelta.” Lo liquidò in tono pratico. Finnick scosse leggermente il capo.
“Va bene, va bene. Come la mia signora comanda. Dunque, come ben sai, nei distretti c’è un malcontento crescente che Capitol City sta faticando a controllare. La situazione precaria delle zone più povere potrebbe essere una scintilla sufficiente a far sì che si ritrovino con una rivolta tra le mani. Ed i giochi non aiutano: il fatto che vengano mandati a morire ogni anno dei ragazzini sta sortendo lo stesso effetto del vento sul fuoco vivo.”
“Quindi il piano quale sarebbe? Svegliarci una mattina e andare a fare la guerra?”
“Certo che no, sciocca! Riflettici bene: le tredici rose di cui parlava Plutarch ti ricordano niente?” lei lo fissò e accennò un diniego con il capo.
“Il Distretto 13. Loro vogliono allearsi con il Distretto 13 e sfruttare le sue risorse nucleari.”
Johanna sgranò gli occhi, incredula. Si alzò in piedi e spalancò la bocca per parlare ma si accorse di non aver prodotto alcun suono.
“Giorno di giubilo! Sono riuscito a lasciarti senza parole!” gioì Finnick in tono ironico.
“Tu devi esserti veramente fottuto il cervello, oltre al resto! Distretto 13…e pretendi che io ci creda? E, di grazia, le bombe nucleari verranno sganciate da asini volanti o draghi?” esclamò tutto d’un fiato, con voce stridula.
“Vuoi smettere di starnazzare, per favore? Questa scenetta deprimente potevi anche risparmiartela! Comunque, ecco a te, mia scettica amica.” Dalla tasca dei suoi pantaloni estrasse un foglio ripiegato e glielo porse.
Johanna lo aprì e lo osservò curiosa.
“Cosa sarebbe questa roba?” chiese continuando a rigirarsi tra le dita quella che sembrava essere una specie di mappa.
“È una scansione termica della zona dove si dice che ci siano solo le rovine del Distretto 13.”
“E allora?”
“Vedi quei colori più intensi nella parte centrale? Bene, significa che c’è calore lì sotto. Che c’è vita.” Spiegò il ragazzo paziente.
“Finnick, sto sul serio provando a crederti ma mi sembra una presa per il culo creata su misura per beccare i traditori del governo, facendogli credere nell’esistenza di un luogo che invece è stato distrutto da un pezzo.” Provò ad assumere un tono condiscendente ma in realtà si sentiva delusa da quella che considerava essere una rivelazione che avrebbe ribaltato le sorti del suo Paese. E la delusione maggiore era che quel fiume di bugie proveniva dalle labbra di Finnick.
“Te lo giuro su Annie.”
Johanna si bloccò: lo sguardo determinato e sicuro del suo amico le instillò il dubbio nella mente. Poteva davvero esistere un Distretto 13 che si sarebbe volentieri alleato con loro per rovesciare Snow? Ogni anno, da Capitol City, rifilavano lo stesso filmato che illustrava come quel luogo fosse stato cancellato da ogni mappa e adesso arrivava lui che le diceva che erano invece tutti sopravvissuti.
Bugia, verità, chi aveva ragione? Si fidava abbastanza delle parole di Finnick, di ciò che gli altri gli avevano confessato? Non avrebbe giurato su Annie se non fosse stato qualcosa in cui riponeva la massima sicurezza.
“Non sei stupida: l’hai capito che sto dicendo la verità nonostante la tua mente stia contenendo due idee opposte allo stesso tempo.” Affermò interrompendo il suo flusso di pensieri contrastanti.
“Finnick, lo so che in questo periodo sono stata una miscela di odio e malessere ma a questo non pensavo si sarebbe sommata anche la pazzia. Perché devo essere diventata pazza sul serio se ho deciso di credere ai vaneggiamenti che escono dalla bocca di un altro matto.”
Quelle parole ebbero il potere di risollevarlo. Il fatto che lei gli credesse gli tolse un peso dall’animo. Si guardarono per un attimo e sorrisero.
Johanna lesse nei suoi occhi la gratitudine e, per la prima volta dopo tempo, si fermò davvero ad osservare uno dei vanti del vincitore del Distretto 4.
Per lei gli occhi di Finnick non avevano il colore del mare: avevano il colore dei giunchi del fiume, delle praterie e delle foglie del bosco in primavera, verdi e brillanti.
Occhi di un uomo ricco dei suoi sogni e del suo amore.
Riprese posto accanto a lui e si sdraiò supina sull’erba fresca. Prese un bel respiro e parlò.
“Parlami di lei. Deve essere davvero una persona speciale se il grande Finnick Odair l’ha scelta tra la schiera di donne che avrebbero venduto l’anima pur di stare con lui.”
Finnick tirò le ginocchia contro il petto e vi posò le braccia.
“All’inizio, quando pensavo che la mia vita sarebbe potuta scorrere tranquilla in un ricco languore, non mi interessava molto di lei. C’erano donne e situazioni più stuzzicanti, Capitol City riservava molte più attrattive rispetto al mio distretto. Prima di scontrarmi con la dura realtà dei fatti, volevo solo continuare a crogiolarmi nella fama. Ero solo un ragazzo, avevo 14 anni.”
Johanna ascoltava in silenzio, interessata.
“Poi c’è stato…lo sai. Gli anni sono trascorsi e mi hanno reso più, confuso, disilluso, spaventato. Dovevo indossare continuamente una maschera da seduttore malizioso e lentamente stavo cominciando a dimenticare chi fosse il vero Finnick. Ed è stato allora che ho ritrovato Annie, quando ero più che mai bisognoso d’aiuto, dopo essere stato segnato dalle esperienze passate, ad un passo dallo smarrire completamente la mia strada, a perdere la coscienza di me stesso. Avevo visto un sacco di donne più belle di lei, ma lei aveva qualcosa di caldo, di attraente nella sua semplicità. Una sua parola, un suo sguardo e le situazioni assumevano una prospettiva diversa. Poi, fu scelta per partecipare ai giochi, cosa che ritengo non sia stata così casuale. Non è mai più stata la stessa da allora ma non potevo certo abbandonarla: lei ha saputo tirare fuori il meglio di me quando credevo che ormai non fosse rimasto più niente ed è per questo che voglio che viva in un mondo dal quale non dovrà più temere alcun male.”
Johanna si sentì improvvisamente una vigliacca. Lei non era spinta da così nobili intenti: non c’era amore nelle azioni che la guidavano. Voltò il capo nella direzione opposta a Finnick e con la mano strappò un ciuffo d’erba con un gesto nervoso.
“Capisco.” Disse secca.
“E tu? Non c’è davvero un posto nel tuo cuore per qualcuno di speciale?”
Johanna ruotò il capo in direzione del ragazzo. Si diede una spinta con il busto e si girò lateralmente, con la mano a sorreggerle la guancia e l’altra stesa lungo il fianco.
“Non credo che faccia parte del destino delle donne con il mio nome, amare qualcuno e uscirne indenni.”
Finnick le agitò una mano davanti al viso.
“Questa è una sciocchezza bella e buona e tu lo sai.”
Johanna lo ignorò e prese a raccontare una storia che aveva letto in un libro, tempo addietro.
“Tanti secoli fa, in una terra chiamata Spagna, esisteva una regina che si chiamava Giovanna di Castiglia. Dal carattere forte ed anticonformista, Giovanna si mostrò poco incline a seguire delle regole religiose che vigevano all'epoca ma, secondo l’usanza politica dei matrimoni combinati, andò in sposa a Filippo d’Asburgo, che fu il suo unico e vero amore. Giovanna era solita respingere il marito quando questo degnava d’attenzione altre dame, riuscendo ad allontanarlo per mesi e a farlo cadere in depressione, mentre lui scatenava drammatiche scene di gelosia.
Con l’aggravarsi dei contrasti per la successione, iniziarono anche i problemi fra la coppia. Reso folle dall'ambizione e dalla sete di potere, Filippo voleva impossessarsi a tutti i costi del trono che spettava legittimamente alla consorte. La loro relazione, però, si mantenne appassionata e salda anche nei periodi di odio grazie al carattere forte di Giovanna e all’affetto cieco ed esagerato che Filippo nutriva per lei. Nonostante i ripetuti tradimenti, quando Filippo si ammalò, lei si rifiutò di abbandonarlo. Quando lui morì, cominciarono le dicerie su una presunta follia di Giovanna causata dal dolore per la sua scomparsa. Fu imprigionata, torturata e condotta alla pazzia. Giovanna dimostrò fino all’ultimo una fermezza e una forza morale che neanche la prigionia, dura, spietata e senza alcun privilegio per la sua posizione regale, riuscì a piegare.”
Finnick stette ad ascoltare, tranquillo.
“È una storia molto triste.”
“Sì, lo è. Quando l'ho letta ho pensato che, in fin dei conti, il mondo è ingiusto perfino
nei confronti di chi dovrebbe essere un privilegiato. Giovanna era regina e guarda che fine ha fatto. La sua ribellione, il suo amore, l’hanno solo portata a soccombere.”
“Io non credo sia così. Fu una donna forte che resistette persino alla prigionia e morì da vera regina. Credo sia un esempio di alti valori morali.” Obiettò Finnick.
“Quelli che a te, evidentemente, mancano.” Lo punzecchiò lei con un ritrovato accenno di sarcasmo.
“Dai, io penso ti somigli nel carattere, Jo.”
“Cioè?” domandò curiosa.
“Vedi questa foresta? Ecco, tu sei come un albero. La prima cosa che si nota in un albero è che è avvolto da una ruvida corteccia ma, strato dopo strato, anello dopo anello, diventa più liscio e nasconde un lato più delicato tutto da scoprire.”
“Ma andiamo! Piantala di dire sciocchezze!” gli diede una spinta con il braccio libero.
“Guarda che non ho ancora finito.” Affermò serio, e lei alzò gli occhi al cielo.
“Il tuo fisico è come uno stelo di bambù, slanciato e sottile, ma che non si piega sotto le sferzate del vento più forte, così come non ti ha piegata Capitol City. Sei forte come le radici di una quercia, profonde e radicate nella terra, e feroce in battaglia, con la tua ascia. Tu hai il potere di infiammare gli animi e di dire le cose esattamente come stanno. Hai il potere di smascherare tutto ciò che è falso.”
Johanna fece vagare lo sguardo nella foresta, osservò gli intrecci di rami e foglie per trovare parole per poter rispondere a quella dichiarazione. Si decise a parlare, in tono amaro, poco dopo.
“Io credo che tu mi stia sopravvalutando. La verità è che io mi sveglio la mattina, guardo il soffitto e non sento niente. Ma proprio niente. Non sono né felice né triste, né serena né irritata. Nulla. Così come Giovanna che ad ogni tradimento di Filippo si sentiva morire un po’ e diventava sempre più indifferente. Il nostro è un nome maledetto. In un certo senso è come se lo sentissi: verrò catturata, imprigionata e torturata e, quando di me non resterà nient’altro, diventerò solo un guscio contenente un animo folle.”
La mente di Finnick si rifiutò categoricamente di dar credito a quelle parole anche se un brivido di freddo poco piacevole gli percorse schiena. Le parole appena pronunciate da Johanna suonavano come una profezia nefasta.
Tempi duri si prospettavano per loro e andavano affrontati con il giusto spirito.
“Smettila di pensare queste assurdità. Hai il nome di una regina sfortunata e quindi? Questo non significa niente. Tu vivrai, continuerai ad essere la solita donna sboccata ed irritante e troverai un tuo Filippo.”
Lei scrollò le spalle.
“Se lo dici tu che sei un esperto in materia...”
“Sì, lo dico e lo confermo. Tu sei un’amazzone e faresti bene a ricordartene ogni tanto.”
Johanna annuì e storse le labbra in un sorriso. Tornò a sdraiarsi supina e Finnick seguì il suo esempio.
Attorno a loro vi era solo un pacifico silenzio.
Un silenzio che non si sarebbero mai stancati di condividere.

***
Un mese, sono una persona orribile e malvagia e avete tutto il diritto di tirarmi virtuali pomodori ed uova marce in segno di protesta. In mia difesa dico che il tirocinio e la preparazione esami mi hanno completamente assorbita e che alle 20:00 ero già in stato comatoso sul letto.
Chiedo il vostro perdono, gentili lettori!
Spero però che, nonostante sia trascorso così tanto, non mi priviate del piacere di leggere una vostra opinione o sapere anche solo che avete dato una lettura alla storia :)
La frase "Io adoro le grandi feste: sono così intime! In quelle piccole non c’è alcuna privacy" è una citazione del Grande Gatsby.
Ci risentiamo il prima possibile, almeno dopo la sessione d’esami che, me tapina, comincia lunedì D:
Fatemi un in bocca al lupo e ci vediamo presto – sempre se sopravvivo alla sopracitata sessione –
Love on ya!

Nota postuma: ho dovuto ripubblicare il capitolo perchè non so per quale assurdo problema, non me lo faceva più visualizzare. Tecnologia del cavolo -.-
  
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