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Autore: violet112    04/03/2014    1 recensioni
Storia nei limiti della decenza,che non cade nel volgare.
I cliché saranno tanti e il mio amore per Jane Austen sarà quantomeno evidente.
Elizabeth Brooks,studentessa diciannovenne colta,intelligente e arrogante; William Darcy,professore ventisettenne colto,intelligente e arrogante. Una bomba ad orologeria,dunque.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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Buonasera a voi,lettrici e lettori! Prima di lasciarvi alla lettura del capitolo vorrei conoscere la vostra opinione riguardo l'eventuale creazione di un gruppo Facebook,dedicato naturalmente alla fan fiction. Lì verrebbero pubblicati spoiler,curiosità sulla storia,sui capitoli riguardanti varie opere(Lolita,Romeo e Giulietta,già trattati,e tanti altri) e vari "giochi interattivi" o questionari in cui sarete voi stessi a decidere in parte il prosieguo della storia. Attendo risposta e vi auguro una buona lettura. xx


Capitolo 5 -
Romeo + Juliet

“Le gioie violente hanno violenta fine, e muoiono nel loro trionfo, come il fuoco e la polvere da sparo, che si distruggono al primo bacio”

                                                               Romeo&Juliet, William Shakespeare
 
Mi sono sempre vantata della mia capacità di raziocinio,ostentando sicurezza e gelida razionalità al fine di evitare influenze ormonali che mi impedissero di analizzare ogni situazione e circostanza con la mente ben aperta e il cuore irrimediabilmente chiuso. Non ho mai permesso alle emozioni di prendere il sopravvento,mantenendo costante intorno a me un alone di indifferenza e noncuranza riguardo le irrazionali e fanciullesche questioni di cuore. Questo mi ha permesso di scongiurare le puerili sofferenze che mi avrebbero monopolizzata e controllata,sopraffacendo ogni rimasuglio di razionalità e buon senso. Ma l’altra faccia della medaglia è ben diversa: difatti,benché la mia capacità di criterio e analisi sia rimasta incredibilmente intatta,il mio cuore si è lentamente ibernato,impedendomi di provare emozioni e sensazioni proprie del genere umano. Le mie relazioni si limitavano ad effimere sensazioni e attrazioni unicamente fisiche,senza mai suscitare in me l’emozione per eccellenza: l’amore. Da varie settimane a quella parte,però,sentivo lo stomaco in subbuglio e l’adrenalina in corpo e,sconoscendo le motivazioni di tali inconsueti scompensi ormonali,li attribuivo ingenuamente all’ansia dovuta al diploma e alla scelta del college. La realtà era,ahimè,oltremodo differente; la comparsa di William Darcy,le sue parole,insolenti ma franche,i suoi modi,rudi ma autentici,mi avevano destabilizzato,suscitando una baraonda lì,dove nessuno mai era riuscito ad aver accesso.
Dopo gli strambi avvenimenti della settimana precedente lo evitai di proposito,rifugiandomi nei posti più impensabili ogni qualvolta mi si parava davanti,mantenendo un profilo basso e limitando in aula ogni intervento superfluo. Inaspettatamente,lui non pareva ansioso di tentare un approccio ma,al contrario,sembrava desideroso tanto quanto me di evitare un imbarazzante incontro.

“Cara Elizabeth,hai intenzione di mangiarla quella zuppa o continuerai a fissarla finché non deflagrerà?” chiese mio padre,gettando un’occhiata nella mia direzione.
L’appuntamento fisso con mio padre si svolgeva settimanalmente. Ogni venerdì eravamo soliti passare l’intera giornata insieme. Dopo la separazione con mia madre,infatti,aveva acquistato una piccola tenuta fuori mano,lontana dal caos della metropoli.
Alzai il viso e guardai quello di mio padre,sempre vispo ma oramai segnato dal tempo. “Questa sera il tuo eccezionale padre ti porterà ad una festa. Chissà,magari incontrerai un principe,e tua madre cesserà finalmente di farneticare” proseguì,assaporando con gusto il suo pasto.
“Un principe? Non credi di essere un tantino eccessivo?” chiesi dubbiosa,inarcando le sopracciglia.
“Ebbene si,mia cara: solo un principe potrebbe meritare il tuo affetto. E in fin dei conti,sarà una festa in maschera,quindi corri a prepararti” concluse con un gesto della mano.
“Ti sfugge forse,caro genitore,che non ho un abito da indossare per una festa mascherata. A meno che tu non voglia che mi travesta da punk; in quel caso il problema non sussisterebbe” risposi a mia volta,sgombrando la tavola. Ma subito tacqui. Dalla poltrona del soggiorno rivelò un meraviglioso abito nero con ricami in argento sul corpetto,lungo fino ai piedi e non eccessivamente pomposo,coordinato ad un’elegante maschera dello stesso colore intarsiata di Swarovski.
Senza proferir parola lo abbracciai,scompigliandogli affettuosamente i pochi capelli rimasti,fiera di averlo come padre.

L’ora successiva stavamo già varcando la soglia dell’imponente e maestosa villa seicentesca che avrebbe ospitato la festa.
L’interno era se possibile migliore dell’esterno; migliaia di candele illuminavano la sala principale,creando un’atmosfera antica e sofisticata. Purtroppo l’età media della festa era nettamente superiore alla mia. Malgrado ciò conversai,ballai e mi divertii molto; conobbi perfino la figlia sedicenne dei proprietari,probabilmente assenti.
Ben presto,tuttavia,mi sentii sfinita,e la ricerca di un po’ d’aria parve una lenta agonia. Giunsi sul mastodontico balcone,entusiasta di poter finalmente esalare un respiro,lontana dal trambusto dell’orda di gente mascherata.

“Oh,ma quale luce irrompe da quella finestra lassù? Essa è l’oriente,e Giulietta è il sole. Sorgi,bel sole,e uccidi l’invidiosa luna già malata e livida di rabbia,perché tu,sua ancella,sei tanto più luminosa di lei” recitò qualcuno,immerso nella penombra del giardino sottostante. Mi sporsi appena,seguendo il dolce suono di quella voce; il buio celava però il volto dell’uomo.
Decisi di reggergli il gioco,improvvisando qualche passo dell’opera shakespeariana.
“Chi sei tu che difeso dall’ombra della notte entri nel mio chiuso pensiero?” chiesi,beandomi dell’aria fresca e pungente che mi sferzava il viso.
“Con un nome non so dirti chi sono. Odio il mio nome che ti è nemico,straccerei il foglio dove vi fosse scritto” disse ancora avanzando di qualche passo,mostrandosi a me avvolto in un completo scuro e coperto in volto da un’elaborata maschera color oro.
“Chi ti ha guidato in questo luogo?” proseguii,ponendo le mani sulla ringhiera.
“Con i miei occhi,amore m’aiutò a cercarlo. Conosce tutti i passi di Shakespeare,mia signora?” mi domandò,simulando un breve inchino e mostrando un sorriso familiare.
“Non per nulla il secondo nome che porto è Juliet,mio Romeo” risposi,imitandolo e sollevando l’orlo della gonna.
Sorrise ancora “Il mio cuore aveva mai amato? Occhi rinnegatelo,perché non ha mai conosciuto la bellezza fino ad ora” continuò,inginocchiandosi “Mia adorata Giulietta,deponete la maschera e mostrate il vostro meraviglioso volto”
In lontananza udii dei passi e la voce di mio padre che chiamava insistentemente il mio nome “Elizabeth? Elizabeth” mi affrettai allora,per impedire al mio interlocutore di svelare la mia identità.
“Devo andare” confessai al mio bel Romeo,arretrando di un passo.
“Ve ne prego,ditemi chi siete” insistette,deliziandomi un’ultima volta con la dolce melodia della sua voce.
Sorrisi,guardando i suoi begli occhi nascosti dalla maschera e le sue labbra socchiuse,carnose e rosee.
“Buonanotte,buonanotte! Separarsi è un sì dolce dolore,che dirò buonanotte finché non sarà mattina” conclusi guardandolo mentre sparivo all’interno della villa.

Insieme al signor Brooks mi diressi verso l’uscita,ma poco prima di abbandonare definitivamente l’enorme palazzo fui bloccata da qualcuno che,ansimante,mi pregava di aspettare.
Romeo.
Al contempo i centinaia di invitati si affollarono verso l'uscita,impedendomi di raggiungere il giovane. E in quell’andirivieni accadde qualcosa che mi avrebbe inaspettatamente permesso di scoprire chi fosse il mio cavaliere: persi il cellulare.
Mio padre mi convinse ad attendere il giorno successivo per tornare alla villa a cercarlo ed eventualmente sporgere denuncia; così,dopo varie proteste e altrettanti lamenti,accettai di farmi accompagnare a casa e affrontare il problema alla luce del sole.
Quella notte mi immersi nel magico mondo shakespeariano; sognai di essere Giulietta e,naturalmente,sognai il Romeo conosciuto poco prima. La mattina seguente,tuttavia,il mio umore era inversamente proporzionale alla bellezza del sogno: a dir poco pessimo.  
  
“Ti ho chiamato una decina di volte,Lizzie,che succede?” chiese Charlotte,incrociandomi lungo i corridoi del liceo.
Sbuffai apertamente “Perso” biascicai,riprendendo a camminare.
“Perso?” ribadì lei,seguendomi come un’ombra ad ogni passo.
“Il cellulare. Perso,andato,caput. Piuttosto prestami il tuo; se qualcuno è riuscito a trovarlo magari risponderà alle chiamate” mi voltai verso di lei,porgendo una mano nella sua direzione.
Portai il cellulare all’orecchio,in attesa,continuando a camminare e urtando accidentalmente qualcuno.
“Miss Brooks” mi salutò il diretto interessato,nonché mio peggior incubo.
“Mr Darcy” ricambiai,evitando come di consueto il suo sguardo magnetico e glaciale.
Intanto qualcosa nella sua tasca anteriore prese a vibrare; lo estrasse velocemente,assumendo un’espressione dubbiosa,e fu allora che lo riconobbi.
“Il mio cellulare” sussurrai,scettica.
Entrambi alzammo lo sguardo simultaneamente,incastrandolo l’uno con l’altro.

Romeo.

 
  
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