Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
Segui la storia  |       
Autore: Neverlethimgo    05/03/2014    12 recensioni
Era bastata una notte a far cambiare tutto e tre parole a far nascere decine di domande. Era solo un assassino, o era addirittura pazzo?
Dai capitoli:
Erano passati tre anni dall'ultima volta che misi piede fuori dall'istituto, avevo rimosso ogni cosa del mondo esterno, fatta eccezione per la luce del sole, sebbene la vedessi di rado ultimamente.
Sapevo che avrei dovuto trascorrere soltanto altri due giorni in quella prigione, sapevo che mancava così poco alla fine, eppure non percepivo il desiderio di sentirmi libero. Non ero mai stato libero davvero.

A Jason McCann story.
Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jason McCann, Miley Cyrus
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A





Vi consiglio di ascoltare questa canzone mentre leggete.


Capitolo uno: I ain't gonna change.

 
 
 
Tre anni dopo…
 

Mantenni lo sguardo puntato sul muro bianco di fronte a me. Era spoglio e freddo come il resto dell’edificio.
Erano passati tre anni dall’ultima volta che misi piede fuori dall’istituto, avevo rimosso ogni cosa del mondo esterno, fatta eccezione per la luce del sole, sebbene la vedessi di rado ultimamente.
Sapevo che avrei dovuto trascorrere soltanto altri due giorni in quella prigione, sapevo che mancava così poco alla fine, eppure non percepivo il desiderio di sentirmi libero. Non ero mai stato libero davvero.
Ero appoggiato al muro di quel corridoio da ormai dieci minuti, ero arrivato in anticipo, come sempre. Mi avvicinai alla porta socchiusa solo quando fui certo che l’orologio segnasse le tre in punto. Sapevo cosa mi aspettava, ogni singolo giorno ero costretto a recarmi in quella stanza assieme ad una sottospecie di psicologa per malati mentali e, come ogni singolo giorno, le ripetevo esattamente le stesse identiche cose. Ricevevo sempre le stesse domande, pronunciate con la solita voce atona e menefreghista, ma sopportavo e rispondevo.
Chiunque mi avesse rinchiuso lì dentro era convinto che tutto ciò mi avrebbe aiutato, che parlarne mi avrebbe fatto bene; speravano addirittura che ciò potesse cambiarmi, ma non sentivo niente di nuovo dentro di me: solo un vuoto.
Aprii di poco la porta ed incrociai così lo sguardo della Dottoressa Hayes, non era cambiata – a differenza mia – nel corso di quei tre anni, era sempre rimasta uguale, persino i suoi capelli biondi venivano sempre raccolti in uno chignon sopra la testa. Non credevo nemmeno che fosse invecchiata, era rimasta uguale.
Ciao Jason, entra” mi disse, alzando per poco lo sguardo. Annuii e riportò nuovamente lo sguardo sul blocco che reggeva tra le mani. Sebbene non avessi mai visto che cosa ci fosse scritto su quei fogli, ero sempre stato convinto che vi fossero solo ghirigori senza senso, abbozzati per pura noia, e non ciò che i suoi pazienti le raccontavano.
Feci come mi aveva detto e mi chiusi la porta alle spalle.
Siediti” continuò, posando lo sguardo su di me e seguendo ogni mio movimento.
Obbedii nuovamente e mi sedetti sul divanetto in pelle nera di fronte a lei, ma senza guardarla in faccia.
Come ti senti oggi?” mi domandò, come ogni dannato giorno.
Bene.” La mia risposta non era mai cambiata da tre anni a questa parte, avevo sempre risposto allo stesso modo e a lei andava bene così, non le interessava.
Ne sei sicuro?
” risposi con più insistenza, ma non colse il fastidio che provavo.
Tra due giorni uscirai, finalmente” commentò, senza sforzarsi di mostrare entusiasmo, ma non la biasimai, nemmeno io ero solito mostrare le mie emozioni.
Che cosa farai una volta che sarai uscito da qui?” mi domandò dopo alcuni secondi di silenzio.
Non lo so.
Tornerai a scuola, vero?
Ci pensai per qualche istante, ma ricordai ciò che mi era stato detto alcuni giorni prima. Avrei dovuto tornarci, ma la cosa non m’interessava, né tanto meno spaventava.
” risposi poi, senza mai guardarla in faccia, ma sentivo i suoi occhi puntati su di me e tutto ciò m’infastidiva.
Sentii il suono della penna sfregare freneticamente contro al foglio: quel rumore divenne sempre più insistente, tanto da innervosirmi.
Potresti anche conoscere qualche ragazza nella scuola in cui andrai” mormorò, al che sbuffai.
Non m’interessa.
La vidi scuotere il capo e la ignorai, come ogni volta in cui lo faceva.
Hai già deciso dove vivrai?
Chiusi gli occhi e sospirai leggermente. Anche quella era una delle tante domande che mi porgeva ogni giorno, conosceva già la risposta, era stata l’unica cosa che mi ero preoccupato di farle sapere, ma, forse, sperava che cambiassi idea.
Sì, esattamente dove vivevo prima” ribattei, guardandola con la coda dell’occhio.
Intendi nella casa dove vivevi con i tuoi genitori?
Sì.
Un mormorio uscì dalle sue labbra, sembrava piuttosto incuriosita, ma non me ne preoccupai.
Sei sicuro che sia la scelta giusta?
Mi voltai di scatto verso di lei, i nostri sguardi s’incrociarono per diversi istanti, ma aspettai che fu lei a parlare di nuovo.
Non ti mancano i tuoi genitori?
No” risposi a denti stretti, sperando con tutto me stesso che quella seduta finisse al più presto.
Scostò lo sguardo dal mio e lo portò sul suo orologio da polso.
Bene, a meno che tu non voglia parlare di qualcos’altro, sei libero di andare. Ci vediamo domani se vorrai.
Aspettai giusto che terminasse quella frase, dopodiché mi alzai e lasciai la stanza, ripercorrendo ancora una volta quel lungo corridoio spoglio.
Passai davanti a diverse persone, alcune delle quali non troppo diverse da com’ero io, ma ero certo che loro sarebbero rimaste qui più tempo di me.
Non avevo fatto nulla per lasciar intendere che fossi cambiato, per loro ero sempre stato il pazzo criminale che aveva ucciso i suoi genitori.
Ritornai nella mia stanza, non la condividevo con nessuno a differenza di altri.
 
Quasi due anni prima avevo avuto come compagno di stanza un ragazzo poco più grande di me, era pazzo, ma pazzo davvero. Parlava per ore, faceva monologhi senza senso o, almeno, io ero convinto che fosse così. Per i primi due giorni, in cui dalla mia bocca non era uscito nemmeno un suono, credetti di aver a che fare con qualcuno che fosse semplicemente più loquace di me. Di lui non sapevo nulla, nemmeno il nome. Aveva parlato ininterrottamente per due giorni di fila, persino la notte, ed io mi ero sempre limitato ad ignorarlo.
Il terzo giorno, quando rimasi in silenzio di nuovo, m’inveì contro, alzando sempre più il tono di voce e pretendendo che rispondessi, ma non lo avevo fatto. Ero rimasto impassibile fino a che non mi colpì con un pugno sulla guancia. Non risposi a quell’attacco, rimasi a fissarlo, ma ripeté quel gesto, colpendomi di nuovo.
Mi scaraventò contro alla parete, intento a colpirmi nuovamente, ma qualcuno lo fermò.
Qualcuno, al di fuori della stanza, aveva visto tutto. L’uomo che lo allontanò da me era stato lo stesso che quella sera si era presentato a casa mia e mi aveva portato alla centrale di polizia. Dean, si chiamava Dean. I nostri sguardi rimasero intrecciati per alcuni secondi, ma nessuno dei due proferì parola, si limitò soltanto ad allontanare quel ragazzo da me.
Da quel giorno non ebbi più alcun compagno di stanza.
La maggior parte delle persone presenti nell’istituto era convinta che la colpa fosse stata mia, che avessi in qualche modo istigato quel ragazzo ad attaccarmi, ma non avevo mai fatto o detto nulla per convincerli a credere il contrario.
 

Passai i due giorni seguenti chiuso nella mia stanza, non mi recai nemmeno alla solita seduta con la psicologa, ormai era diventata più che inutile e speravo l’avesse capito.
L’ultima notte non dormii affatto, ero rimasto tutto il tempo seduto sul letto a fissare il vuoto avanti a me, avevo visto quella stanza schiarirsi e scurirsi in base alla luce del sole almeno quattro volte. Il tempo scorreva sempre più lento, sembrava lo facesse apposta, quasi come se volesse rendermi impaziente di vivere il giorno in cui finalmente avrei lasciato quella prigione, ma la verità era che non avevo alcuna intenzione di mostrare il mio entusiasmo al mondo.
Rimanere chiuso in quella stanza o ricominciare a vivere non faceva differenza.
L’orologio segnava le otto del mattino quando qualcuno fece il suo ingresso nella mia stanza. Spostai lo sguardo sui due uomini fermi sull’uscio della porta e li fissai fino a che non si decisero a parlare.
Il tuo soggiorno qui dentro è terminato” pronunciò uno dei due, abbozzando un sorriso piuttosto falso e forzato.
Mi alzai lentamente ed afferrai da terra la borsa che avevo preparato il giorno prima. Li raggiunsi e li seguii fuori dalla stanza, mantenendo un passo piuttosto lento fino a che non raggiungemmo l’uscita.
Volsi un’occhiata verso l’alto, il cielo era di un azzurro spento, il sole era pressoché inesistente ed ero certo che di lì a poco sarebbe venuto a piovere.
Li seguii all’interno di una macchina nera, accomodandomi nei sedili posteriori accanto all’uomo che poco prima mi aveva parlato, mentre l’altro prese posto alla guida. 
Prima che il motore dell’auto si accendesse, la voce dell’uomo accanto a me ruppe il silenzio.
E così hai intenzione di tornare a vivere nella casa in cui abitavi con i tuoi, dico bene?
” risposi seccato, detestavo l’insistenza con cui lo domandavano ogni volta.
D’accordo” mormorò, per poi sporgersi verso il guidatore. “L’indirizzo è Hester Street.
Durante quei tre anni avevo rimosso quasi ogni dettaglio del mondo esterno, non ricordavo quasi più nulla della cittadina in cui vivevo, ma mi era rimasta impressa nella mente l’immagine di casa mia. Tentai di immaginare come sarebbe potuta essere adesso, dopo tre anni che nessuno vi metteva più piede. Ero quasi sicuro che non l'avrei riconosciuta, ma, più di ogni altra cosa, ero certo che - nonostante tutto - sarebbe stata l’unica cosa che avrei potuto considerare mia. Non avevo più niente, da tre anni a questa parte io non avevo niente, né tanto meno qualcuno.
Non ricordavo con esattezza quando distante fosse casa mia da quel luogo infelice nella quale avevo vissuto per tre anni, ma non avevo idea che avremmo impiegato quasi un’ora per raggiungerla. Iniziavo a sentirmi in trappola dentro a quell’abitacolo, iniziavo a non sopportare l’idea di rimanerci ancora a lungo, ma improvvisamente imboccammo una strada che mi risultò familiare. Passammo davanti a diverse ville dai colori vivaci, i giardini adiacenti ad esse erano curati ed il tutto sembrava perfetto in quella via, fino a quando non raggiungemmo la fine. Casa mia era l’ultima e non aveva nulla a che fare con quelle che avevamo appena superato. I colori erano spenti, l’erba del giardino era pressoché inesistente e l’atmosfera attorno ad essa sembrava essere ancor più fredda.
Non appena la macchina si fermò, volsi lo sguardo all’uomo seduto accanto a me, sperando vivamente che non avesse più nulla da dirmi.
Sei davvero sicuro di voler restare qui?” mi domandò, volgendo un’occhiata disgustata alla casa alle mie spalle. Annuii lievemente. “Posso andare adesso?
Certo, ricordati solo di non ripetere ciò che è successo, sei schedato ormai.
Lo ignorai, sospirando sonoramente ed uscii da quella macchina, aspettando qualche istante prima che si allontanasse finalmente da lì.
Non c’era nessuno nei paraggi ed ero certo che nessuno si fosse più avvicinato a quella casa negli ultimi tre anni, tutti sapevano cos’era successo quella notte. Tutti sembravano sapere ogni minimo dettaglio meglio di me, i giornali, tempo prima, avevano raccontato la scena in modi che nemmeno io ricordavo, ma ero sicuro che nessuno sapeva che quel giorno sarei tornato.
Non volevo che lo sapessero, non volevo che la gente mi guardasse con aria spaventata. Io volevo che dimenticassero. Non avrei mai voluto dover percorrere i corridoi della scuola con tutti gli occhi puntati addosso, non volevo dare nell’occhio, volevo continuare a vivere nell’ombra.



 
 
Spazio autrice.

Eccomi qui con il primo capitolo!
E' totalmente incentrato sul pensiero di Jason, ma il motivo per cui ha fatto quel che ha fatto lo scoprirete più avanti.
Dal prossimo capitolo in poi inizierà la sua 'nuova vita' - se così la possiamo chiamare -
Molte di voi mi hanno chiesto come incontrerà la ragazza che prende il volto di Miley, portate pazienza, a breve entrerà in scena anche lei :)

Detto ciò, io, davvero, non mi aspettavo di ricevere tutte quelle recensioni al prologo e, soprattutto, non immaginavo v'incuriosisse tanto. Per cui, grazie mille davvero, lo apprezzo moltissimo e spero davvero che anche questo capitolo vi sia piaciuto ♥

Siccome che ormai son fissata, sul nome che precede l'inizio del capitolo metterò sempre una gif (questa volta consigliata da Sara ♥), quindi cliccateci sopra per vederla.

Aspetto di leggere le vostre recensioni :)

Alla prossima!
Much Love,
Giulia

@Belieber4choice
on twittah and instagram          se avete domande, ask me.
   
 
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber / Vai alla pagina dell'autore: Neverlethimgo