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Autore: Calenzano    05/03/2014    2 recensioni
Keana, intellettuale del distretto 5, introversa e inquieta. Con tanta passione per i grandi ideali quanta sfiducia in sé stessa. E con il tacito desiderio di una sorella minore. Non certo il tributo ideale per i Giochi. Ma quando Capitol City va a colpire nel profondo, non può più permettersi di restare a guardare.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Certo, il cuore, chi gli dà retta, ha sempre qualche cosa da dire su quello che sarà.

Ma che sa il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto.

(A.Manzoni, “I Promessi Sposi”)

 

 

Il portone blindato del palazzo si chiude con un tonfo alle nostre spalle. Io e Codrina ci guardiamo in silenzio, le parole ferme in gola. Vorrei spiegare, vorrei rassicurare, ma non riesco a dare ordine ai pensieri, e, prima che possa aprire bocca, due addetti dei Giochi, un uomo e una donna, ci sospingono in un corridoio poco illuminato. Brevemente ci spiegano che più tardi riceveremo le visite di congedo dei parenti che ne faranno richiesta, e che la partenza per Capitol City è prevista per il pomeriggio. Prima che possa dire qualcosa, l'uomo mi fa entrare in una stanza, e quando mi volto, Codrina è già sparita, condotta dalla donna verso un altro locale più avanti. La porta si richiude, e in trasparenza intravedo l'ombra di un Pacificatore che vi si piazza davanti.

Sento alcune voci in corridoio ancora per un po', poi più niente. Il silenzio mi ronza nelle orecchie, mentre resto in piedi in mezzo alla stanza. Non molto ampia, è spartanamente arredata con un ampio tavolo, tre sedie, e quello che sembra un divanetto basso. La luce del pallido sole filtra dalla finestra, che però non si può aprire.

La confusione che fino a un attimo fa mi regnava sovrana in testa lascia pian piano il posto alla consapevolezza di ciò che ho appena fatto. Mi sono offerta volontaria. Agli Hunger Games.

Devo ripetermelo più volte, perchè per ora non ha molto più senso di “dieci elefanti si dondolavano sopra il filo di una ragnatela”. Ho le vertigini. Fermate questa cosa, riavvolgete il nastro, voglio tornare indietro, indietro nel tempo. Cosa ho fatto??? Io non sono un tributo, l'arena è un macello, io non ho la minima possibilità! Forse potrò dire che è stato un errore...? Io non ho fatto niente, è stato qualcosa, qualcosa che non mi appartiene che mi ha spinto mi ha fatto parlare io non...

Mi lascio cadere su una delle sedie, perchè le gambe sembrano improvvisamente di ricotta. Riesco appena a tirare il fiato, e un altro pensiero è un altro pugno nello stomaco: i miei genitori. Io mi sono offerta, senza pensare, senza riflettere. Loro hanno visto tutto. Come si sentiranno in questo momento? Il senso di colpa va a unirsi alla paura, pungente come un ago. Mio padre è forte, ce la farà. Ma mia madre? Il suo incubo si è avverato, e l'ho fatto avverare io...

Sento gli occhi che pungono al pensiero del loro dolore, ma mi freno a fatica pensando che qualcuno potrebbe entrare, e non voglio farmi vedere in questo stato. Allora mi alzo, e mi avvicino alla finestra murata, e mi metto a fissare lo spicchio di cielo. Penso a Codrina, mi chiedo cosa starà facendo. Solo adesso mi rendo davvero conto dell'enormità del bene che sento di volere a quella ragazzina gentile, in cui rivedo me stessa alla sua età. Non l'ho certo fatto per me, no. Avrei dovuto lasciarla andare nell'arena sola e spaventata, con un senior sconosciuto, che avrebbe pensato solo a salvare la propria, di pelle? O che magari l'avrebbe venduta per un tozzo di pane? L'ho già visto fare, il sistema a due categorie mira proprio a indurre i più deboli a cercare alleanze con i più forti, a scapito della solidarietà di distretto. E lei, mite e delicata, non è certo una che possa far gola agli altri tributi, e agli sponsor. Già, perchè io, invece, sono il loro sogno segreto.... penso, e mi ritrovo a ridacchiare istericamente. Un'intellettuale introversa e impacciata, che non ha mai fatto del male a niente di più grande di un ragno. Contro i Favoriti dell'1 e del 2, che imparano a usare le armi prima che a camminare. Che si offrono volontari dopo anni di addestramento. E che ammazzano come respirano. Per la prima volta, mi trovo a corto di citazioni.

 


L'ora dei colloqui arriva fin troppo presto. Non piangere, mi ripeto, tutto ma non piangere. Niente emotività. Devo farmi vedere calma e determinata. Naturalmente i miei buoni propositi vanno in fumo già dal momento che la porta si apre ed entra mio padre. Il Pacificatore avverte, secco: “Avete tre minuti”, prima di ritirarsi in corridoio. L'espressione di mio padre è già abbastanza dolorosa, ma è l'assenza di mia madre a farmi sentire peggio che mai. Capisco al volo, non c'è bisogno di parlare. Non se l'è sentita neppure di vedermi un'ultima volta.... Scambiamo poche parole, la voce mi trema, abbasso lo sguardo sul tavolo, lo faccio vagare sulle pareti. Esiste davvero un mondo dove dei ragazzi desiderano tutto questo, e i loro genitori vengono a incontrarli solo per poche, fredde parole di incoraggiamento? Vorrei raccomandare a mio padre di stare vicino a mia madre, vorrei affidargli tutto ciò che per ombrosità o sciocca cocciutaggine di adolescente non sono mai riuscita a dire loro, vorrei che le ultime parole che porterà con sé nel ricordo fossero d'affetto, ma è come avere qualcosa incastrato in gola, e i secondi scorrono via. Il Pacificatore rientra: “Tempo scaduto.”

La porta si è appena richiusa dietro mio padre, che entra Baria. E' sconvolta come non l'avevo vista mai, lei sempre così tranquilla e sicura. “Sei impazzita?” Mi fa.

Tento con un: “Probabile.” Ma il nodo alla gola mi strozza la voce, e di fronte al suo sguardo non riesco più a reggere. In un attimo mi ritrovo ad abbracciarla convulsamente, mentre le lacrime rompono gli argini. “Ho paura, Bari.” mi sfugge, quasi incomprensibile.

Restiamo a lungo così, poi lei mi lascia, si asciuga gli occhi a propria volta, e mi guarda fisso. “Ce la fai.”

“Sì, come no.” Rido, amara.

“Ascoltami.” Parla veloce, il tempo concessoci sta per finire. “Sei molto più intelligente di quei pompati dell'1 e del 2. Sai un sacco di cose, tirale fuori da quei cavolo di libri che ti leggi mattina e sera e mettile in pratica.”

“Sì, li ammazzerò a colpi di Critica della ragion pura! Un paio di pagine, e scapperanno chiedendo pietà.”

“Veramente, Kea! Quelli là sono forti solo perchè tutti li temono. Smontali, fagli vedere che non hai paura di loro, e vedrai che strizza. Tornerete a casa tutte e due. ” La porta si apre: “Tempo.”

“Capito?” Esclama mentre viene spinta fuori. “Mettigli il fuoco al...”

“Naso”. L'anticipo con un sorriso smozzicato mentre la porta si richiude. Ma una volta sola, le lacrime riprendono il sopravvento.



 

 

Rivedo Codrina solo nel pomeriggio, sulla vettura che ci porta al treno per Capitol City. Sembra più tranquilla, ma mi accorgo del suo sollievo al vedermi. Con noi c'è anche il presentatore, Janus. Adesso, privo di un microfono e delle luci, sembra assai meno spumeggiante. Anzi, non ci rivolge quasi la parola, e tiene gli occhi chiusi per tutto il tragitto, abbandonato sul sedile. Torna a illuminarsi giusto al momento di imbarcarci, a beneficio della piccola folla raccolta sulla banchina e soprattutto delle telecamere. Io, impacciata come al solito di fronte a tanti sguardi, scorgo a fatica Baria in mezzo alla gente, tenuta a debita distanza dai Pacificatori. Fa appena in tempo a farmi un gesto di incoraggiamento, poi la perdo di vista. Codrina fa cenni a un'altra ragazzina mora, immagino sia Litia, la compagna di classe di cui a volte mi ha parlato. Le porte del treno si chiudono con uno sbuffo, e dopo pochi istanti prendiamo velocità. Guardo dal finestrino le ultime immagini del nostro distretto che sfilano. Non l'ho mai giudicato bello, con le sue file di piloni d'acciaio, incombenti sulle case, che collegano le centrali di produzione, e il cielo ingabbiato in mezzo ai cavi, ma è pur sempre il posto dove sono nata e cresciuta, e ora sento una fitta acuta quando realizzo con improvvisa lucidità che probabilmente questa è l'ultima volta che lo vedo. Penso, col cuore pesante, alle persone che ne fanno parte: i miei genitori, gli zii, Baria, il professor Willow, mio insegnante di letteratura alle superiori, che mi ha fatto innamorare della lettura, la nostra anziana e gentile vicina di casa, la fornaia del quartiere che quando ero piccola mi regalava i biscotti appena sfornati. E Codrina, che ora però è qui, e guarda anche lei fuori, silenziosa come sempre, ma con gli occhi tristi.

Tu lascerai ogne cosa diletta

più caramente...

Mi balena in mente, e anche se non riesco a ricordare come prosegue la terzina, le parole del Sommo Poeta mi fanno sentire un po' meglio.

Janus ci sospinge per i corridoi, e io rivolgo a Codrina un'occhiata che spero incoraggiante mentre ci fa entrare in un ampio scompartimento, con ampie e soffici poltroncine rosse, in pendant con la lussuosa tappezzeria, e diversi vassoi di stuzzichini. Sarebbero pure invitanti, ma ho lo stomaco chiuso, e una donna su uno dei sedili attira subito la nostra attenzione. Ha un'età indefinita, forse sui quarant'anni, corti capelli neri e mossi e ci guarda intensamente, cosa che di regola mi mette subito a disagio. Ci fa avvicinare, lei fa segno di sederci. “Bene, vi lascio fare conoscenza.” dice sbrigativo Janus, ed esce. C'è un momento di silenzio impacciato, almeno da parte nostra.

Poi la donna rompe gli indugi. “Sono Elder, la vostra mentore.” Ha una bella voce, calma e ferma. “Sapete chi è il mentore, vero?” Entrambe facciamo segno di sì. “Bene. Allora, ditemi un po' di voi. Devo conoscervi bene per sapere come dobbiamo muoverci. Cosa sai fare bene?” Si rivolge prima a Codrina, e mentre questa parla, un po' esitante come di consueto, io approfitto per guardare meglio Elder. E' vestita completamente di nero, con una giacca alla coreana e pantaloni aderenti che sottolineano le gambe lunghe e snelle. Più di tutto mi colpisce il suo modo di fare: non spreca né una parola né un gesto; mentre ascolta attentamente ho l'impressione che non le sfugga nulla di ciò che accade. Mi sento in soggezione, e mi chiedo cosa posso rispondere. Non ricordo quale edizione abbia vinto, probabilmente ero appena nata o giù di lì, ma vedendola non dubito neppure per un attimo che se dovesse gareggiare oggi, vincerebbe di nuovo.

La sua voce interrompe i miei pensieri: “E tu? Keana, giusto?” Annuisco, la bocca secca. “Cosa sai fare bene?”

Esito. Vorrei tirar fuori qualcosa che possa impressionarla favorevolmente, ma ho la mente penosamente vuota. “So declamare per intero la trilogia dell'Orestea, so dire come avviene il processo di individuazione nella psicologia analitica di Jung e cose del genere. Niente che possa essere molto utile nell'arena.” Mi limito a dire, le mani serrate. Elder non fa commenti, e sembra aspettare qualcos'altro. Ha uno sguardo incredibilmente penetrante, e fatico a pensare. Improvvisamente mi torna in mente una cosa, e ci ci aggrappo. “Anni fa” balbetto “ho frequentato una persona che conosceva le arti marziali e l'uso della spada. Mi ha dato delle lezioni, più o meno. Però è passato diverso tempo, e non.... Niente di che, insomma.”

“E' un inizio.” Commenta lei asciutta. “Sai diverse cose, mi pare. Sai anche cosa dice Debord dello spettacolo?”

“Lei sa tutto, è una specie di enciclopedia.” Interviene Codrina.

Il suo complimento mi fa ovviamente piacere, ma non capisco dove Elder voglia andare a parare. Annuisco, perplessa. “Sì, ne parla a proposito della separazione tra immagine e realtà. Lo spettacolo legittima sé stesso, presentandosi come intrinsecamente positivo, al fine di garantire la conservazione dello stato sociale.”

“Molto bene, e i principi della dinamica, li conosci? ”

Cos'è, un'interrogazione? Sempre più stranita, rispondo incerta: “La fisica non è il mio forte... Comunque sì, all'incirca.” Vedendo la sua espressione di approvazione, trovo il coraggio di chiedere: “Ma... scusi...”

Lei mi interrompe con un gesto. “Niente formalità, per favore. Non hanno senso.”

“Sì... Scusa, ma che c'entra questo?”

“C'entra. Nell'arena non basta saper maneggiare un'arma per vincere. Altrimenti vi darebbero una spada e vi metterebbero tutti dentro un recinto. Non è la mattanza pura e semplice che vogliono, ma emozione. Per questo serve strategia, serve versatilità. Serve saper pensare in tutte le direzioni. Chi conosce i principi della dinamica può tradurli in pratica, per esempio costruendo una trappola, o individuando il modo migliore di sfruttare una posizione. Tutto quello che sai ti viene in aiuto, anche in modi che ora non ti aspetteresti.”

Devo avere un'espressione abbastanza scettica, ma lei continua. “E anche Debord c'entra. Se conosci le dinamiche su cui si basa lo spettacolo, puoi capire come influenzarlo. Ma c'è un'altra cosa che ti voglio chiedere. So che ti sei offerta volontaria, e credo sia la prima volta, nel nostro distretto. Non penso che non sapessi a cosa andavi incontro. Ho sentito quello che hai detto alla Mietitura. Le vuoi davvero così bene?”

Mi sento gli occhi di Codrina fissi addosso. “Sì.” Dico, con semplicità. Anzi, ora mi è più chiaro quello che intendo fare, e voglio farlo sapere anche ad Elder. “Non so che succederà là dentro, non so cosa faranno i Favoriti e gli altri, ma una cosa la so: lei, nessuno la deve toccare. Nessuno la toccherà.” La voce è incredibilmente ferma, sono proprio io ad aver parlato?

Elder annuisce, senza smettere di fissarmi. “Perfetto.”

 

Quando Elder esce dallo scompartimento, poco prima dell'arrivo a Capitol City, io e Codrina restiamo sole per la prima volta dalla Mietitura. Evitando il suo sguardo, dico “Forte, vero?”, alludendo a Elder. Lei fa segno di sì, ma prima che possa dire qualcosa, io la anticipo: “Siamo fortunate, una così ci indirizzerà al meglio. Dovremo farci spiegare bene tutto, e metterci d'accordo sulla linea da seguire... Intanto assaggia qualcosa, già che ci siamo.“

Con la scusa di guardare dove siamo, mi alzo e vado al finestrino. La sento prendere qualcosa dai vassoi, e il resto del viaggio trascorre in silenzio.



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E.N.P.
Ok, in teoria i mentori dovrebbero essere due. Ma con il diverso sistema mi pareva non fosse necessario, e poi mi piaceva l'idea del mentore unico (stile Haymitch, per dire)....

 

 

 

 

 

  
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