Anime & Manga > Detective Conan
Segui la storia  |       
Autore: IamShe    06/03/2014    10 recensioni
Shinichi è uscito trionfante dallo scontro con l’Organizzazione, e a distanza di tre anni, si gode a pieno la sua vita di detective nazionale ed ammirato da tutti. Non gli manca nulla, neanche l’amore di Ran. Ma quando tutto sembra andare per il verso giusto, qualcuno sfrutterà l’ingegno della sua amica Shiho per proiettarlo in un mondo che il suo cervello, altrimenti, non avrebbe mai perseguito: quello della criminalità. E non potrà più sfruttare la sua intelligenza, che presto scoprirà arma della sua stessa tortura, ma qualcosa che il suo mito Holmes riteneva stupido e debole, da evitare: le sue emozioni.
- - - - -
Shinichi non seppe come muoversi: sebbene conoscesse a memoria la sua cucina, non aveva la minima idea di dove si nascondessero i criminali che li avevano sorpresi.
«Cosa volete?» chiese, girandosi intorno e cercando di ripararsi. Pensò ad un piano che potesse mettere in salvo tutti, ma il suo istinto lo fece voltare verso la sua fidanzata: Ran giaceva a terra con gli occhi chiusi, respirando normalmente. Questa fu l’ultima cosa che vide.
«Te», fu l’ultima che sentì.
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Heiji Hattori, Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
T o r t u r e d  M i n d

 
Settimo capitolo Seventh chapter Septième chapitre  Oltre l'odore delle cose Séptimo capìtulo Siebten Kapitel 第七章  일곱 번째 장 
 
 
 
Alla fine non aveva chiuso occhio nemmeno dopo esser tornato dalla cantina. Ripensava ancora a quell’odore, e più ci ripensava, più la testa gli faceva male. Il dolore lo martoriava, lo torturava; e non aveva alcuna possibilità di spiegarsi né di capire perché gli accadesse. Con la testa all’in su, pensò all’ultima volta che avesse avvertito quella sensazione. Tralasciando quell’effimera del porto, quando lei l’aveva preso  e baciato, era successo lo stesso quella notte insieme a Midori, nel momento in cui era caduto a terra quel liquore cinese, il Paikal. Ed era esattamente quando ne aveva avvertito l’odore forte, che era cominciato a stare male. 
«L’odore delle cose» disse, tra sé e sé, sgranando gli occhi. «È l’odore delle cose di cui ho ricordo, che mi fa tornare la memoria.»
S’alzò dal letto velocemente, uscendo dalla stanza a passi veloci e spediti. Se ben ricordava, ne aveva vista un’altra in cucina, il giorno prima. Nonostante fossero le otto di mattina passate, per i corridoi ed in salone non incontrò nessuno. Pensò che fosse meglio così, ma quando giunse in cucina, s’imbatté faccia a faccia con Yuri e l’uomo che aveva sparato, giorni prima, alla coscia di Ran.
«Kudo» sillabò la ragazza, con una vena di astio. «Sei sveglio.»
«Così sembra» rispose lui, buttando lo sguardo da uno all’altro. «Gli altri dove sono?»
«Dove potrebbero essere?» I due risero con fragore. Shinichi assottigliò gli occhi, e pensò al ragazzo che aveva animato il suo primo flashback, e alla possibilità che fosse in serio pericolo. Più passava il tempo, più quel pensiero lo disgustava.
«La ragazza dov’è? Non l’avranno presa loro, vero?»
Yuri emise un mugolio strano, «perché? Cosa ti interessa?», poi sorrise: «sarà morta per lo spavento».
“Non potrebbero parlarmi in questo modo se io fossi davvero il loro capo” pensò il detective, ragionando per qualche istante. “Porterebbero più rispetto, come fanno con Akira. È ovvio che qui qualcosa non torna.”
«Voglio parlarle» confessò, giusto per testare le loro reazioni, per scrutare i loro occhi e intravedere i loro pensieri: ed entrambi furono sopraffatti dall’unica cosa che in quel momento lo stava aiutando. L’istinto.
«No. Meglio che torni di sopra» rispose l’uomo, ripensando ai comandi che Midori gli aveva dato quella stessa mattina: controllare Shinichi e tenerlo lontano da quella ragazza, che avrebbe potuto farlo tornare in sé.
«E questo lo decidi tu?» chiese il detective, curvando leggermente le labbra all’in su.
«No, in realtà...»
«Te l’hanno ordinato.» Completò lui, e l’uomo si zittì. «Che strano però. Io dovrei avere voce in capitolo su certe cose.»
Shinichi notò qualcosa di strano nell’atteggiamento della donna, sebbene il suo sguardo fosse rivolto all’altro: Yuri indossava un giacchetto di pelle, ma la sua mano destra era infilata dietro la schiena, sotto di esso, come se stesse impugnando qualcosa. La sua mente focalizzò per qualche istante la situazione: dal modo in cui aveva curvato il braccio, poteva essere o un coltello o una pistola. “Ancora più strano, direi” e sorrise. Non ci pensò molto; aveva intuito che in quel momento sorprenderli fosse la cosa migliore, dato che era lui quello disarmato, ed agì più velocemente che potesse. Afferrò l’uomo, e con forza lo spinse all’indietro, sul corpo della ragazza, che perdendo l’equilibrio, cadde sotto il collega sul pavimento e perse la presa sulla pistola, che roteò un metro distante. Shinichi la recuperò in un baleno, puntandogliela contro.
«E adesso come si fa? Hai perso il tuo giocattolino?» li schernì, mentre i due cercavano di rialzarsi e rimettersi in piedi: Yuri, soprattutto, stava tentando di scrollarsi da dosso il peso abnorme del collega.
«Ma che... che fai? Guarda che noi... siamo tuoi amici eh. Siamo... dalla tua parte» cercò di confonderlo l’uomo, ma la farsa non abboccava più.
«Qualcosa mi dice che chi cerca di calmare qualcuno con una pistola, non ne è proprio un amico.»
«Guarda che sei tu quello che ci sta puntando l’arma contro...» provò Yuri, ma invano.
«Appunto», Shinichi sorrise. «E non mi sento vostro amico.»
E sparò. In alto, verso qualcosa che i due non videro nemmeno arrivare, e che comunque non poterono evitare: il lampadario. Il detective lo colpì e mille pezzi di vetro e una possente struttura in metallo cadde verso di loro, che vi rimasero impigliati dentro. Il ferro colpì in testa la ragazza, che svenne e perse i sensi, e ferì al braccio l’uomo.
«Scusami» gli disse il detective, «fai sogni d’oro.»
E lo colpì alla testa con la canna della pistola, facendolo gemere ed accasciare su se stesso, svenuto. Shinichi sospirò e si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che potesse tenerli a bada: optò per la corda delle tende.
“Così dovrebbero stare buoni” pensò, “ma adesso...”
Rivolse lo sguardo verso le cantine, col cuore che gli batteva forte e violento per ciò che aveva appena fatto. Girovagò un po’ per di lì, alla ricerca di qualche mobile che avesse anche solo il vago aspetto di poter contenere medicinali, ma non trovò nulla. Decise dunque di raggiungerla, prima che potesse arrivare qualcun altro e scoprirlo. L’aveva fatto senza pensarci: non aveva deciso da sé, ma aveva seguito l’istinto, come lei gli aveva suggerito. Lei con quell’odore così particolare, così penetrante e dolce. Aveva ancora voglia di sentire quel profumo di fragola su di sé e sulla sua pelle. Amava come il dolore lo colpisse e lui non potesse farne a meno. Scese da lei velocemente, giunse nella cantina dove lei era segregata in poco meno di un minuto, immettendo il codice sul tastierino velocemente, e spalancando la porta davanti a sé. La vide prima di ogni altra cosa, appoggiata al mobile dove l’aveva lasciata il giorno prima, con le mani ammanettate e legate lì vicino. Aveva gli occhi chiusi ed era raggomitolata su se stessa, come il più bello degli angeli che dorme sulle sue stesse ali. Si sedette accanto a lei, a terra, senza smettere di osservare quelle manette.
“La devo liberare” pensò, “lei non deve stare così”, e provò ad andare a cercare qualcosa che potesse rompere quelle catene. Ma prima che potesse alzarsi, lei si svegliò. Aprì le palpebre velocemente, come se fosse stata colpita da una scossa, ed affondò gli occhi su di lui.
«Shinichi», lo chiamò, sussurrandolo. «Che ci fai qui?»
«Sono venuto a portarti altre robe da mangiare e bere, e...» disse semplicemente. Ringraziò il buio dell’ambiente per mascherargli il rossore che gli prendeva il volto. Ma quando si voltò a guardarla, notò che anche lei era arrossita. «Purtroppo non ho trovato antidolorifici.»
Ran si lasciò andare ad un sorriso, afferrando la bottiglietta. «Grazie, non preoccuparti» disse, «ma non è che ti faranno del male se sanno che sei qui? Non voglio succeda...»
Shinichi sgranò leggermente gli occhi, incredulo. «Ti preoccupi se faranno del male... a me?»
Lei bevve in un sorso metà dell’acqua, poi lo guardò dritto negli occhi: «Se fanno del male a te, fanno del male anche a me, Shinichi.»
Il detective non le rispose subito. Pensò che aveva avuto la stessa idea di lei e di Hattori, qualche giorno prima, quando aveva avvertito sensazione di vuoto glaciale al solo pensiero di perdere lei e di uccidere lui.
«Tu sembri conoscermi bene.»
«Io ti conosco bene» certificò. «E mi fido di te. So che, anche senza memoria, saprai da che parte stare.»
Lui ebbe un fremito. «Qui ti sbagli, io non so chi sono... figurati se so a chi credere.»
«Be’, già il fatto che non ti fidi completamente di loro è qualcosa» suggerì Ran. «Se non avessi dubbi, non saresti qui, vero? Perché non son stati loro a dirti di darmi da mangiare.»
“Io non mi fido di loro, solo di te.” Pensò, ma non glielo disse.
Annuì debolmente, e le spezzò un altro po’ di pane. Seguì qualche attimo di silenzio, rotto solo dal rumore dei denti di Ran.
«Qual è la tua versione?» chiese improvvisamente lui. «Voglio sapere per te chi sono.»
A Ran le si illuminarono gli occhi, mentre il colorito roseo del suo viso tornava per via del pane e dell’acqua.
«Tu sei Shinichi Kudo, figlio di Yusaku e Yukiko Kudo, detective di fama mondiale. Sei colui a cui la polizia faceva riferimento per risolvere i casi più intricati e difficili, sei colui che ha sconfitto una potente organizzazione criminale e ne è uscito vivo, sei colui che sbatte in galera i peggiori criminali, e oltretutto... sei il mio fidanzato.» Disse, poi aggiunse, stizzita: «Non di quella gallina.»
Lui fece un mezzo sorriso. «Lei mi ha detto che sei tu quella ad inventartelo...»
Ran spalancò gli occhi, sbalordita. «Non è vero, Shinichi! Sono io, te lo giuro, sono io quella vera!»
«È quello che dice anche lei» le disse, ma Ran notò che il suo sorriso non scemava. Era come se si stesse divertendo. Così frenò la lingua e pensò. Come poteva dimostrarglielo? Era sicura che, con una prova, il suo animo da detective avrebbe prevalso su tutte le parole false che gli avevano raccontato. Ma ci voleva qualcosa di certo e che, oltretutto, non fosse un ricordo che lui non aveva.
Deglutì, poi lo osservò. «Le cicatrici» concluse poi. «Ne hai tre. Una sull’avambraccio sinistro, dietro il gomito, una dietro la schiena all’altezza dei reni», e sorridendo, gli puntò l’indice verso il bacino basso. «Ed una qui.»
Shinichi l’ascoltò, poi si alzò leggermente la maglia. Prima dalla parte del braccio, e notò la cicatrice dietro il gomito, poi dall’addome, dove vide la seconda. Poi abbassò lievemente i pantaloni e si imbatté nella terza, esattamente dove l’aveva indicata la ragazza.
«Wow» si congratulò a modo suo, poi sorrise. «Questo non me l’aspettavo.»
«So anche che hai una voglia dietro la schiena a forma di stella, ma non so se riesci a vederla adesso» lo informò, considerando il buio dell’ambiente e la posizione della macchiolina.
“Avrebbe potuto vedere tutte ‘ste cose nel periodo in cui m’ha imprigionato” pensò. “Saremmo potuti andare a letto insieme qualche volta,” la osservò con profondità. “Oppure... sta dicendo la verità. La verità...”
«Secondo te come faccio a sapere queste cose?» gli chiese, infervorandosi. Forse sarebbe riuscita a convincerlo almeno da che parte stare.
«E sentiamo...» disse lui, ignorando volontariamente la sua domanda. «Perché avrei perso la memoria?»
Ran ci pensò un attimo su. «Mi pare ovvio che non t’abbiano detto la verità» dedusse. «L’hai persa perché ti hanno iniettato un siero nel cervello, che ti ha fatto dimenticare tutto quello che sei.»
«Niente incidente su moto?»
«No» disse lei. «È quello che ti hanno raccontato?»
“Effettivamente, converrebbe col fatto che non ho né graffi né contusioni” pensò lui. Le idee di quella ragazza si fecero sempre più spazio nella sua mente, martoriandola e contenendosi il posto con quelle che gli avevano insinuato Akira e Midori. Lei gli aveva detto che, per catturarlo, mesi prima lo avevano raggirato in questo modo. Con le parole. Eppure sembrava tutto così giusto, e loro così sbagliati. E quei due, che lui aveva stordito e legato, che adesso testimoniavano ciò che aveva fatto. Lui aveva scelto?
La sua mente ripescò dal nulla una frase che gli sembrava così affine:
“Dopo aver eliminato l’impossibile, tutto ciò che resta, per improbabile che sia, dev’essere per forza la verità.”
Ripensò a quello che era successo negli ultimi giorni: al suo risveglio, a Midori che gli raccontava chi era, ad Akira e alla storia dei suoi genitori, poi ad Hattori, al suo viso felice quando lo vide e a quello incredulo quando notò la pistola puntata contro di lui. Poi ripensò alla ragazza che aveva di fronte, a come si era sentito quando l’aveva vista, e cosa aveva avvertito quando lei lo aveva baciato.
Lei, che aveva la verità su di sé. Sulla sua pelle.
“La verità è sempre una sola”, la sua massima, la sua frase, ciò con cui Heiji aveva provato a farlo ragionare.
«Posso?» le chiese, dolcemente, indicandole il collo. Ran lo lasciò avvicinarsi. Shinichi le poggiò le mani sui fianchi e sfiorò il naso sulla sua pelle. Cominciò ad adorarla lentamente, così che man mano il dolce profumo gli salì dalle narici al cervello. Fu come se un turbine di emozioni si avvolgesse intorno a quell’aroma particolare, familiare e talmente forte che gli lanciò delle fitte al cervello. La testa cominciò a fargli male, ma non volle badarci. Risalendo lungo la sua guancia, le catturò le labbra in un bacio dolce e breve. Ran si lasciò baciare senza alcuna paura, e non esitò a ricambiare. Shinichi si impossessò della sua bocca, fece scivolare la lingua dentro e assaporò la sua saliva. Anche quella sapeva di fragola, come lei. Numerose fitte gli colpirono le tempie, mentre una voce emergeva dall’oscurità della sua memoria. Era poco nitida, ma conosciuta.
«Non va bene, non va bene» , avvertì la sua voce, sfumata di note ilari e divertite. «Tempo fa conoscevo una ragazza molto sincera ed ingenua, che non avrebbe mai mentito ai suoi genitori.» Poi vide un corridoio, delle pareti in legno, l’interno di una casa. Era calda, familiare. E poi una sagoma, che rischiarì debolmente, descrivendo il profilo di una donna giovane e bella, dagli occhi azzurri violacei e dalla carnagione chiara, ma non pallida. Era lei. Bella più che mai: piena di dolcezza, spensieratezza e un pizzico di malizia.
«Ho imparato dal maestro» rispose, sorridendogli. La vide avvicinarsi, cingergli il collo con le braccia e attrarlo a sé: lo stava baciando. Con passione, come se fosse da sempre sua. Poi sia aggrappò a lui.
«Il maestro non inventa scuse banali come Mamma, papà, vado a dormire da Sonoko» sentì la sua voce sfotterla, e lei ridere.
«Disse quello che aveva da risolvere un caso difficile e complicato...» imitò l’ironia lei.
«Era legittima. A te è banale.»
«Cosa vuoi farci, siamo molto amiche» disse lei, ancora, ormai in braccio a lui, che la stava portando verso di sopra, salendo alcune scale.
Poi le avvicinò le labbra all’orecchio, e le disse: «Anche io e te siamo molto amici» e la baciò di nuovo.
Shinichi si accasciò a terra, con la testa che gli martellava e pulsava sotto i colpi di quella voce e di quelle labbra, quel profumo che gli avvolgeva i neuroni e li stritolava. Gemé di dolore, mentre Ran sussultava dalla paura.
«Shinichi!?» chiese, preoccupata. «Shinichi, che hai!?»
La fidanzata cercò di sporsi verso di lui, ma le manette la trattenevano. Lo vide contorcersi in preda a degli spasmi che lo facevano urlare di dolore. Non sapeva cosa gli stesse accadendo, sperò soltanto che finisse presto.
«Shinichi?!» urlò quasi, lacrimante. «Shinichi, ti prego...»
Lui riuscì a spostare una mano dalla testa sino al suo braccio, e quasi avvertì di nuovo il profumo sconvolgerlo. «Sto b-bene...» balbettò. «Calmati... non urlare...»
«Voglio solo sapere che ti sta succedendo» disse lei, con le lacrime che le bagnavano il volto. «Mi stai facendo preoccupare!»
«Se ti sto vicino...» sussurrò, stringendo i denti ed allontanandosi leggermente da lei. «Se ti sto vicino, mi sento male. Il tuo profumo... mi fa stare male.»
Da quella distanza le fitte passarono, e il profumo scemò dalla sua mente, così come le immagini che si erano formate davanti ai suoi occhi dal nulla.
«Cosa?» chiese, incredula.
«Ma allo stesso tempo, il tuo profumo mi fa ricordare delle cose...» le rivelò, con gli occhi rossi e stanchi. Si alzò con flemma, e camminò di nuovo verso di lei. Le si inginocchiò di fronte, col respiro pesante.
«Stammi lontano, se devi stare male, stammi lontano!» lo pregò lei, ed una lacrima precipitò dalle palpebre fermandosi sulle sue labbra. Shinichi gliel’asciugò con le dita, facendo scivolare il dito sulla curva della sua bocca, per poi percorrere la sua guancia. Ran rabbrividì, preoccupata ed angosciata, ma gioiosa di gustarsi per qualche istante l’edenica sensazione di avere quelle mani sul suo viso.
«Stammi vicino» lo sentì sussurrare, oltre il fremito di un brivido, «perché se devo morire, morirò di te.»
 
§§§
 
«Un caffelatte, grazie.» Kazuha posò le monete sul bancone del bar, facendo scivolare lo scontrino di fronte agli occhi del cameriere. L’uomo le lanciò un’occhiata, poi indietreggiò verso le macchine. La giovane stiracchiò le braccia con stanchezza, guardandosi per qualche istante intorno. Era al bar dell’ospedale, dopo una nottata tremenda passata su una sedia; senza alcuna possibilità di tornare a casa, di riposare o risolvere la situazione. Sbadigliando, appoggiò la schiena al bancone, fissando un gruppetto di ragazzine ad un metro da lei. Sembravano sovraeccitate: erano ridenti e parlavano con uno strano intercalare.
«Mi ha detto che è all’Haido Hotel!» urlò una di loro, con un sorriso ampissimo. «Ci devo assolutamente andare! Non posso perdermelo!»
«Ma a che ora!?» le chiese un’altra, con gli occhi luminosi come lampioni.
Kazuha si interessò più di quanto volesse alla conversazione, dato che le ragazzine gridavano come pazze. Il cameriere dietro di lei le passò il caffelatte, richiamandola a bassa voce. Ma lei non ci prestò attenzione, dato che le ragazzine avevano approfondito la questione:
«Ma è vero?»
«Sì, me l’ha detto mia cugina!» ribatté quella. «Shinichi Kudo è all’Haido Hotel!»
Alla giovane di Osaka si fermò il cuore dalla sorpresa.
«Ma siete proprio sicure?»
«Scusate, ragazze?» s’avvicinò velocemente a loro, ignorando completamente il caffelatte fumante sul bancone, ed il cameriere che le urlava dietro.
Quelle si girarono, come interrotte dal più grande sogno che avrebbero potuto fare.
«Kudo è all’Haido Hotel?» chiese conferma, esaltata. Forse avrebbe trovato finalmente una pista per aiutare Heiji nelle ricerche. «L’avete visto?»
«No, però...» rispose una tra le tante, alzando la voce. «Dicono che c’è stato un omicidio, e che lui sta risolvendo il caso.»
«Oddio!» sbottò, per poi fuggire verso la sala d’attesa dell’ospedale. Salì velocemente le scale, ritrovandosi di fronte al reparto di ricovero d’urgenza. Entrò velocemente e raggiunse la stanza dove riposava Megure, fuori dalla quale era seduta Shiho, rannicchiata su se stessa.
«Heiji?»
La biondina alzò le spalle. «È sceso un po’ di tempo fa. È scomparso con Takagi.»
«Sai dov’è andato?»
Lei scosse il capo. Kazuha recuperò il cellulare e, digitando il numero del fidanzato, provò a chiamarlo. Ma il suo telefono squillava ininterrottamente, senza risposta.
«Dannazione», si morse un labbro, esasperata. Se avesse aspettato ancora, Shinichi sarebbe potuto andare via. E l’avrebbero perso di nuovo. Senza contare tutte le possibilità che avrebbero avuto di ritrovare anche Ran, di metterla in salvo da quella banda di criminali. Fece qualche passo indietro, riprovando di nuovo a chiamare il suo ragazzo.
«Kudo è stato visto all’Haido Hotel» disse frettolosamente alla ramata. «Vado lì. Avvisa Heiji, se lo vedi.»
Indietreggiò e cominciò a correre verso l’uscita, ignorando completamente Shiho che le gridava dietro.
«Toyama!» la chiamò, alzandosi velocemente dalla sedia. Ma Kazuha era ormai poco più di un’ombra, e le sue parole ridotte a poco più di un fremito.
«Potrebbe essere una trappola» avrebbe voluto dirle, ma non ci riuscì. Si guardò intorno, e scontrando con la spalla un poliziotto che era appena entrato, la seguì.
 
§§§
 
«Dove sei stato!? Aveva ragione lui... tu mi osservi da lontano e ridi di me che mi preoccupo per te, vero?», capì che i suoi occhi erano sempre stati così, che non era una sua impressione. Azzurri da sembrare viola. E nell’incantarsi a guardarla nel ricordo, una fitta gli colpì la testa, costringendolo a gemere.
«Sciocca... quando si tratta di te, come stai... lo capisco dal tono della voce», e sentì se stesso svanire nel nulla, e il profumo della giovane farlo tornare al presente.
«Adesso basta» si era staccata Ran, con gli occhi lacrimanti, «non posso farti soffrire in questo modo.»
«Non m’importa di soffrire» replicò lui, afferrandole il polso. «Voglio soltanto ricordare.»
«Shinichi...»
Il ragazzo le si avvicinò di nuovo, stavolta afferrandole direttamente le labbra e unendo la bocca con la sua. Avvertì la solita sensazione che la stanza gli stesse girando intorno, come se avesse bevuto litri di liquore, e la scena davanti a lui sbiadirsi per illuminare quella che gli suggeriva il cervello. Eppure quella volta si sentì diverso; il dolore riuscì a sopportarlo, e le uniche fitte che lo colpirono furono quelle al cuore. Le labbra di Ran lo tennero stretto al concreto, nello stesso momento in cui il suo odore alla fragola gli suggerì cosa era successo tra loro molto tempo prima. Si strinse ancora di più a lei, accarezzandole la schiena ed alzandole leggermente la maglia. La ragazza rabbrividì, e sebbene preoccupata per lui, non lo fermò. Fece scivolare le braccia intorno al suo collo, facendo aderire con più forza i loro corpi. Da quanto tempo non erano soli, non si dedicavano più a loro? Da quando aveva saputo che lui non ricordava più nulla di lei, aveva avuto paura che momenti del genere non avesse più potuti averli. Ma Shinichi aveva ricominciato a ricordare, in un modo tutto suo, ciò che erano stati. La uccideva vederlo stare male, ma ogni gemito di dolore era un passo in più verso la verità, verso di loro e verso di lei.
«Tu sei come un caso difficile e complicato! Mescoli talmente tante emozioni, che anche se io fossi Holmes, per me sarebbe impossibile capirti...», era di nuovo la sua stessa voce a parlare, e nuovamente di fronte a lui aveva lei. Le lacrime le bagnavano gli occhi, ma la moltitudine di colori e luci che li circondava, le faceva brillare come diamanti al sole. «...il cuore della donna che amo... come potrebbe essere oggetto di deduzione?»*
«Holmes?» chiese improvvisamente, interrompendo il loro bacio. Ran era sul punto di chiedersi cosa c’entrasse il detective in un momento come quello, ma poi realizzò che la sua amnesia gli aveva cancellato anche quella stupida, eppure così sua, mania. E se lo ricordava...
«Ti ricordi di Holmes?» si accese lei, sorridente.
«Sì, cioè... no» spiegò, poi avvertì le sue stesse guance divenire calde. Stava arrossendo. «Ehm... siamo stati a Londra, per caso?»
«Sì!» squittì la giovane, aggrappandosi a lui. «Ci siamo andati un paio di anni fa. Ricordi la bomba? Il Big Ben!?», Shinichi dondolò per un po’, ma si lasciò abbracciare.
«Ho un’idea!» disse lei, staccandosi leggermente. «Andiamo a casa tua, lì ci sono i libri di Sherlock Holmes, c’è tutta la tua vita, sono certa che ricorderai tutto.»
Il detective esitò per qualche istante, poi annuì.
«Aspetta un attimo che ti libero» le disse, e si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che potesse riuscirci, ma non trovò nient’altro che bottiglie di vetro. Decise di sceglierne una abbastanza grossa che avesse potuto almeno rompere il legno a cui era attaccata, ma un rumore secco e profondo lo fece sobbalzare. Ritornò velocemente da lei, preoccupato, quando la vide vicino alla porta d’entrata, finalmente libera.
«Ma come hai fatto?» le chiese, sbalordito.
«Sono una karateka, Holmes» gli fece l’occhiolino, sorridente. «Spero tu riesca a ricordarlo.»
Shinichi era esterrefatto, e non fece nulla per mascherarlo: «Dunque avresti potuto liberarti fin dall’inizio?» domandò, e lei annuì.
«E perché non l’hai fatto?»
«Avevo paura che se mi avessero trovata libera avrebbero dato la colpa a te, e ti avrebbero fatto del male...» disse, arrossendo vistosamente.
Il detective avrebbe voluto dirle qualcosa, ma le parole gli morirono in gola. Quella ragazza era ciò che più somigliava ad un angelo, le mancavano soltanto le ali bianche e piumose. Ma aveva la stessa bellezza, la stessa dolcezza o lo stesso amore di una creatura ultraterrena.
«Scusa... forse avresti preferito mi fossi liberata prima? È che...» cominciò lei, ma lui la zittì, attirandola a sé e baciandola.
«No» disse, sorridendole. «Va tutto bene. Tutto bene.»
 
§§§
 
«È assurdo», Heiji attraversò l’ingresso principale dell’ospedale buttando in un cestino una lattina di caffè freddo. «Io devo aiutarlo, Takagi. Non posso rimanere qui con le mani in mano... ad aspettare... che lo arrestino!»
«Dovremmo trovare delle prove che accertino che lui non abbia fatto nulla, e che soprattutto non era loro complice.»
Il detective sorrise, sarcastico. «Vuoi una prova? Lui è Shinichi Kudo, non ucciderebbe mai nessuno.»
I due entrarono in ascensore e pigiarono il tasto corrispondente al piano dove era stato ricoverato Megure. Heiji guardò la sua immagine riflessa nello specchio, e per qualche istante provò ad immaginare come potesse sentirsi se non sapesse chi fosse. Guardare se stesso e non riconoscersi, non sapere a chi credere, non capire da che parte stare. Doveva essere tremendo. Le porte dell’ascensore si aprirono di fronte l’entrata al reparto d’urgenza. Percorsero il corridoio velocemente, notando due agenti posti davanti alla porta della stanza di Megure. Heiji si guardò intorno, alla ricerca di Kazuha e Shiho, ma non le vide.
«Ah, Hattori, sei qui» disse uno dei due, assottigliando gli occhi e accentuando un brutto sorriso. «Pensavamo fossi andato a farti sparare dal tuo amico criminale.»
«Cosa hai detto?!» sbottò, scagliandosi contro di lui ed afferrandogli il colletto. Heiji lo sbatté al muro, ma l’intervento dell’altro poliziotto e di Takagi lo fermarono. Il fidanzato di Sato, soprattutto, lo trattenne in modo da farlo indietreggiare abbastanza.
«E voi?» domandò poi, leggermente irritato. Alla sua destra, Heiji, aveva gli occhi in fiamme.
«Che ci fate qui?»
«Ci hanno mandato per sorvegliare Megure» rispose l’altro, sbadigliando. «Non sia mai Kudo si ripresenti di nuovo e faccia una strage.»
Il detective strinse forte i pugni e i denti. «Ma volete capirlo che è senza memoria? Vorrei vedere voi, imbecilli!»
«Hattori, senza offesa, Kudo potrebbe anche uccidere qualcuno... ma tu sarai sempre qui pronto a difenderlo» confessò il poliziotto, seccato. In centrale, Shinichi ed Heiji non erano i beniamini di tutti. Vi era anche chi li odiava, chi li invidiava, chi non vedeva l’ora cadessero, fallissero, per poi approfittare e vivere dei loro sbagli. Per alcuni poliziotti era ridicolo che due detective privati avessero più rilievo di loro nelle indagini. «E non mi pare che l’assenza di memoria sia una giustificazione valida per compiere assassini.» 
«Lui non ha ucciso nessuno», Heiji si impose l’autocontrollo, così come gli diceva sempre l’amico. Ma fu più difficile del previsto trattenere la voglia di romper loro il naso con un pugno in faccia.
«Non ancora» ribatté l’altro, ricambiando l’occhiata ostile. Takagi si interpose tra i due e tentò di allontanarli di nuovo con le mani, ridacchiando nervosamente.
«Piuttosto, dato che siete qui...» spezzò il discorso, guardandosi intorno. «Avete visto le due ragazze?»
Hattori riuscì a calmarsi solo in quel momento. Anche lui, all’entrata, ne aveva notato l’assenza.
«Mmh?» mugugnò quello.
«Le ragazze» rispose Heiji. «Una biondina e l’altra mora, magre... erano qui, l’avete viste?»
«Ah sì», indicò l’uscita il poliziotto più altro, dai tratti tipicamente orientali. «Le ho sentite dire qualcosa sull’Haido Hotel, su un omicidio, e le ho viste fuggire verso là. Una delle due mi ha anche urtato senza chiedermi scusa.»
Heiji corrugò la fronte, insospettito. «Haido Hotel?»
Il poliziotto scrollò le spalle, come a volergli dire che non se ne importava molto di dove fossero andate. Il giovane lo ignorò, per la prima volta. Afferrò velocemente il cellulare e chiamò la fidanzata. Il suono muto dello squillo lo snervò, fin quando lei rispose, con la sua solita voce squillante.
«Si può sapere dove sei!?» la rimbeccò lui, adirato.
«All’Haido Hotel!» rispose con tutta sincerità lei, quasi urlando. «Ho avuto una soffiata che Kudo era qui. E dato che tu eri perdevi tempo...»
«Cosa!? Kudo?!» chiese, sorpreso. Takagi lo osservò con fare preoccupato, mentre gli altri due poliziotti si accesero dalla gioia. Heiji assottigliò gli occhi, pensando che dopotutto lui non era andato a farsi una semplice passeggiatina. «E chi diavolo te l’ha detto?»
«Una ragazzina al bar» confessò, «e le sue amichette. Dicono sia qui per un caso.»
«Ti rendi conto che potrebbe essere di nuovo una trappola, vero!?» le urlò contro il fidanzato. «Torna immediatamente indietro!»
«Ma He...» era sul punto di dire lei, ma la chiamata si interruppe.
«Kazuha?» la chiamò, agitandosi. «KAZUHA!?»
«Hattori...?» gli si avvicinò Takagi, impaurito.
«Dannazione!», Heiji sbatté il telefono a terra e cominciò a correre. Solo prima di svoltare l’angolo riuscì ad urlare all’amico poliziotto di chiamare rinforzi e di dirigersi tutti lì: all’Haido Hotel.
 
§§§
 
Shinichi e Ran riuscirono a fuggire dalla villa senza particolari problemi, considerando che le uniche persone che erano state messe a guardia del detective erano svenute e legate in soggiorno. Quando varcarono il cancello d’entrata, i due notarono una macchina avvicinarsi verso di loro. Si nascosero alla svelta dietro ad un cespuglio, quando l’auto li superò non curante, ignorando la loro presenza. Shinichi fece in tempo a scorgere il volto dell’autista, ormai fin troppo conosciuto. Era Midori, e pareva anche abbastanza agitata.
«Andiamo via, presto» disse alla ragazza, aiutandola ad alzarsi e scappando verso il cancello della villa, ormai aperto. Camminarono per circa venti minuti. Incredibilmente, riuscirono a trovare velocemente la metropolitana per raggiungere Beika e casa di Shinichi. Ran comprese che, alla fine, la villa dove avevano tenuto prigioniero il suo fidanzato era a pochi quartieri da quello natale. Quando scesero a Beika, Shinichi si osservò un po’ intorno, alla ricerca di qualcosa che riuscisse a scuotere la sua memoria.
«Mai possibile io sia vissuto qui e non ricordi nulla?»
«Sono sicura che ricorderai tutto prima o poi», allargò le braccia lei, superandolo e posizionandosi di fronte ad un edificio. Con un sorriso, glielo indicò: «questo è il Teitan, dove abbiamo frequentato le superiori.»
Shinichi lo osservò con un sopracciglio incurvato e le labbra storte in una smorfia. Aveva le mani nelle sacche e il portamento serio e composto, proprio come quando si incamminava la mattina per raggiungere quell’edificio. Ran ebbe l’impressione di rivederlo di nuovo con la divisa azzurrina, la cravatta lievemente allentata e la camicia bianca leggermente sbottonata al collo, come se non fosse passato neanche un attimo da quei giorni passati a dare un calcio ad un pallone e a risolvere casi, che poi gli sarebbero costati la vita.
«Insieme?» chiese poi, osservandola.
«Sì, siamo stati sempre in classe insieme» gli rispose, con un evidente tono entusiasta.
«Ci conosciamo da molto, a quanto pare» dedusse lui, avvicinandosi a lei. Aveva uno strano brillare negli occhi che lo rendeva ancora più affascinante del solito.
«Da sempre» annuì lei. «Talmente tanto, che non ricordo neppure quando ci siamo conosciuti...»
«Neanche io» disse lui, leggermente seccato: «ma d’altronde non ricordo neanche l’altro novanta per cento della mia vita.»
Ran non rispose nulla, e lo trascinò dritto verso casa sua, abbastanza lentamente da permettergli di perdersi un po’ nella fisionomia di quei luoghi, nella familiarità di quella strada e nella moltitudine di luci e colori che la caratterizzavano. Ma non vi erano profumi particolari che potessero risvegliare la sua memoria, né avvenimenti decisivi che sapessero sfiorarla. Lui non disse nulla per tutto il tragitto, abbassò soltanto il capo, leggermente sconsolato. L’unica ancora che lo tratteneva alla sua vita era quella ragazza che aveva davanti, con quei lunghi capelli castani e le movenze dolci e leggiadre. Forse non aveva neanche più senso tornare a ricordare, quando c’era lei che col suo profumo gli regalava ogni volta un momento diverso della sua vita, come la pellicola di un film che poteva rivedere tutte le volte che voleva.
Lei era la depositaria della sua vita. Un fruscio di foglie attrasse l’attenzione del detective, quando la karateka si fermò di fronte ad un cancello in ferro battuto, alto e possente.
«Shinichi» lo richiamò, facendolo voltare. Dietro di lei si ergeva maestosa la villa dei Kudo, nella sua totale bellezza e splendore.
«Bentornato a casa.»
 
 
 
* Traduzione libera by quella rompi di Pri <3  
 
Me:
Eccomi qui! E siamo arrivati a due capitoli dalla fine! Finalmente si è chiarito ciò che faceva tornare la memoria al nostro bel detective, ovvero gli odori - diciamo che credo che il profumo di ciò che ci appartiene ci rimarrà per sempre attaccato addosso, non so se vi è mai capitato, ma io di alcuni ricordi riesco ancora a percepire distintamente gli odori (meglio se sono gradevoli eh eh xD) e non le immagini! - e l'ho portato (Ran l'ha portato ahah XD) nel luogo dove ritengo ne abbia di più di cose da ricordare... casa sua. Mi è piaciuto particolarmente descrivere la parte con Shinichi che scopre la verità, o almeno decide di fidarsi, attraverso Ran e attraverso quello che sente sulla sua pelle :) La sua memoria è parzialmente tornata, vedremo se la sua maestosa villa riuscirà a completare l'opera iniziata dalla sua karateka. Infine, Kazuha si caccia nei guai, perché come una polla crede a ciò che le dicono le ragazzine, o comunque a ciò che sente in giro, e fugge all'Haido Hotel...
Cosa succederà lo scoprirete la settimana prossima, il 13 marzo, col penultimo capitolo! :D
Vi lascio allo spoiler, e vi ringrazio come sempre per le recensioni, per i preferiti e per i seguiti! Un bacione a tutti!


Capitolo Otto: Il luogo dei ricordi
«Ma non è un insulto» pensò lei, come a volerlo zittire ma non ci riuscì. Stava anche indietreggiando senza rendersene conto, con lui che la inseguiva verso il muro. Vi si fermò dopo qualche secondo, appoggiando la schiena al caldo legno intarsiato.
«Neanche antipatico lo è» disse lui. «È piuttosto un’azione-reazione.»
«Che?» chiese lei, divertita, quando le labbra del fidanzato si fermarono a pochi centimetri dalle sue. Shinichi appoggiò le braccia al muro e si strinse verso di lei, imprigionandola sotto il suo corpo.
«Se ti zittissi», e le soffiò sulla bocca, per poi baciarla. «Io diverrei incredibilmente simpatico.»



Tonia


 
 
   
 
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Detective Conan / Vai alla pagina dell'autore: IamShe