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Autore: SparklingLetters    06/03/2014    0 recensioni
[Stable Queen]
Regina non ha vita facile, tra il complicato rapporto con la madre e l’isolamento dal resto del mondo. Poi, un giorno, fa amicizia con un ragazzino di nome Daniel…
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cora, Daniel, Henry (Padre), Regina Mills
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2
A Stable Friendship

Incurante di tutto, corre attraverso la sporcizia, il fango, e la pietra, finché non viene colpita dall’odore inconfondibile del miscuglio di fieno, sudore e letame; i suoi piedi l’hanno automaticamente portata alle stalle. Lei si guarda attorno e individua immediatamente Contessa e Barone, i cavalli della carrozza della mamma, intenti a bere acqua fresca dall’abbeveratoio.
Corre verso di loro, apre la porta tirando il chiavistello, e s’infila nel box. I cavalli sbuffano con apprezzamento mentre lei li accarezza, anche se in modo distratto, ancora senza fiato per la corsa.
Riesce a passare tra di loro e si siede su una fresca balla di fieno nell’angolo più lontano del box. Abbracciando le proprie ginocchia, posa la fronte sulle proprie braccia.
C’è qualcosa di bagnato sulle sue ciglia che lei sa non essere né fango né acqua di pozzanghera; una goccia solitaria le scivola lungo la guancia, disegnando un chiaro percorso sul suo viso sporco, e dà un sapore salato alle sue labbra.
Prima che lei ceda completamente alle lacrime, arriva di punto in bianco la voce di un estraneo, e il suo cuore manca un battito.
«Speravo trovassi la strada per entrare… Ho lasciato la porta aperta per te».
La testa di Regina si tira su allarmata. Lei si guarda selvaggiamente attorno, ma in un primo momento non vede nessuno. «Dove sei? Fatti vedere!» Sente la propria voce tremante.
Il fieno sparso sul pavimento fruscia mentre nei paraggi si spostano dei piedi. C’è qualcun altro proprio lì nel box con lei, realizza Regina. «Non avere paura» dice la voce in mezzo al fruscio incessante del fieno sotto i piedi dello sconosciuto. «Puoi nasconderti qui».
Un’ombra emerge da dietro l’enorme posteriore di Barone. Un ragazzino di circa la sua età, o forse appena più grande, con capelli castano chiaro, una spazzola in una mano e un pezzo di stoffa nell’altra, si trova davanti a lei. «Io… io non mi sto nascondendo!» protesta Regina, spingendo una ciocca di capelli inzaccherati via dal proprio viso.
Il ragazzino le dà uno sguardo indagatore. «Ecco, puoi pulirti un po’». Le offre lo straccio.
Dopo un momento di esitazione, Regina lo prende abbastanza cautamente, ma ricambia comunque il suo sguardo con un pizzico di diffidenza.
«Perché sei qui? Non dovresti aggirarti attorno ai nostri cavalli in questo modo» chiede sospettosamente mentre inizia a pulirsi il viso dal fango.
«Mio papà è uno stalliere, così in un certo senso sono cresciuto nelle stalle. Mi sto prendendo cura dei vostri cavalli mentre lui parla di affari là dentro».
Indica la spazzola nella sua mano mentre parla, e accenna in direzione della locanda.
Gli occhi di Regina si allargano. «Allora tuo papà sarà il nostro nuovo stalliere? Quello vecchio se n’è andato l’altro giorno».
«Forse. Così non dovremo essere più in viaggio tutto il tempo. Così lui sarebbe meno malato».
Lei è ridotta al silenzio all’inaspettato frammento di informazioni personali e dimentica momentaneamente la propria pena. Una frazione di secondo più tardi, i suoi occhi si illuminano. «Ma hai l’occasione di stare molto coi cavalli, giusto?»
«Sì. Ti piacciono i cavalli?»
«Li amo!» esclama lei, radiosa, mentre continua a sfregarsi distrattamente il viso con lo straccio. «Ma la mamma dice che non dovrei andare molto alle stalle. Credo non le piaccia l’odore. Però io penso sia buono». Abbassa la voce involontariamente. «Io vengo qui di nascosto abbastanza spesso».
Poi, come timorosa di aver rivelato troppo, distoglie lo sguardo da lui.
Il ragazzino rimane dov’è, esaminando Regina con una calma curiosità.
Regina finisce di sfregarsi il viso e passa a riordinarsi il vestito. «Oh…» sospira piano.
«Che cosa c’è?»
Lei si gira senza parole, distendendo la gonna del vestito affinché lui veda. Oltre la moltitudine di macchie sporche, c’è anche uno strappo aperto sul davanti. Il labbro inferiore di Regina trema quando alla fine lei dice: «La mamma si arrabbierà molto».
Il ragazzino rimane in silenzio per un po’. «Hai giocato davvero bene, là fuori» dice infine in un sincero sforzo di tirarla su di morale. «Avresti potuto chiedere loro qualcosa, sai, dopotutto hai vinto la scommessa».
Tuttavia, le sue parole hanno esattamente l’effetto opposto a quello voluto: il ricordo del pessimo gioco di mosca cieca fa nuovamente riempire di lacrime gli occhi di Regina.
«Non piangere per colpa loro, sono cattivi solo perché sono spaventati».
Regina lotta per trattenere un singhiozzo. «Io non volevo niente. Volevo solo giocare con loro. Proprio come tutti gli altri bambini. Non ho nessuno con cui giocare». La sua voce si spezza.
Lei abbassa la testa per nascondere l’inarrestabile torrente di lacrime appena traboccate.
Il ragazzino le si avvicina e le mette una mano sulla spalla. Lei rivolge il proprio viso sorpreso e rigato di lacrime verso quello di lui, gentile e solenne. «Giocherò io con te» dice lui, semplicemente. «Mi chiamo Daniel».

«Daniel! Sono tornata! Daniel!» Una vocetta vibrante risuona dall’esterno. La porta pesante si spalanca e dentro irrompe un vivace groviglio di ondeggianti capelli corvini e uno svolazzante cappuccio celeste. Senza fiato e ansimando un po’, lei si volta rapidamente per chiudere con uno spintone la porta dietro di sé prima di girarsi verso l’interno delle stalle con l’aspettativa impressa sul volto.
«Prendi una spazzola». Il ragazzino dai capelli castani, il cui viso si è illuminato al suono della sua voce, fa un gesto ampio, la mano con la spazzola sospesa a mezz’aria sopra il dorso della cavalla grigia.
Lei si muove rapidamente e con sicurezza – evidentemente non per la prima volta. Si toglie la mantella riccamente intessuta mentre si sposta e la getta a casaccio su uno dei chiodi ruvidi sulla parete. In breve, è al fianco di Daniel. Entrambi i bambini stanno ora spazzolando il cavallo con movimenti esperti, sincronizzati, un identico bagliore cospiratorio nei loro occhi e un ampio sorriso sui loro volti.
Lui ricorda ancora come lei è venuta alle stalle per la prima volta dopo che suo padre è diventato il nuovo stalliere dei Mills: allora la sua eccitazione era molto più contenuta, come se lei si aspettasse una delusione di qualche genere. Le sue guance erano arrossite di gioia quando lo aveva visto trascinare un pesante secchio d’acqua appena prelevata verso uno dei grandi abbeveratoi.
«Allora è vero!» aveva esclamato. «Mia mamma ha assunto tuo padre! Adesso possiamo essere amici… non è vero?» Aveva esitato, piena di entusiasmo ma al contempo timidamente.
Daniel aveva sorriso, contento che lei non intendesse tirarsi indietro dalla loro amicizia recentemente stretta.
Poi la disillusione era comparsa sul suo viso. «Adesso non posso giocare» aveva detto. «Devo prima finire tutto il lavoro».
Lei avrebbe capito? O si sarebbe arrabbiata o altrimenti abbattuta? Con suo grande sollievo – e sorpresa – un sorriso raggiante si era diffuso sul viso di lei.
«Perfetto» aveva respirato Regina. Poi, quasi incespicando sulle sue stesse desiderose parole: «Mi insegnerai?»
E lui l’ha fatto; e lo fa ancora. Regina è un’apprendista zelante, il suo zelo non diminuisce di una briciola col tempo, e Daniel è arrivato a comprendere che il suo amore per i cavalli è genuino e il suo dono con loro eccezionale.
Il lavoro non sembra affatto noioso e prendersi cura dei cavalli insieme diventa una vera usanza, una cosa loro che possono condividere e da cui trarre diletto.
Un intero pomeriggio può facilmente andarsene senza che loro si dicano più di poche parole, la maggior parte legate ai cavalli; eppure il silenzio non lascia mai nulla a desiderare.
Nessun altro ne è al corrente, certo; questo è il loro piccolo segreto, e a loro piace così. Regina ancora non dovrebbe passare troppo tempo alle stalle, così evitano lo sguardo di Lady Cora. Daniel sospetta che suo padre potrebbe averlo notato ma è sicuro che lui non ponga alcun pericolo. Il loro interesse comune, così come il segreto che condividono, ha creato tra loro un genere speciale di legame, tutto a loro insaputa.
Poi un giorno, Regina non arriva.
Daniel finisce il lavoro da solo, con la mente alla grande villa Mills – non troppo lontano ma comunque completamente fuori dalla portata del giovane stalliere. Lui continua a guardare furtivamente in quella direzione ma non vede nessun segno di lei; nessun ciuffo di capelli scuri, nessun lampo di stoffa blu, nessuna voce argentina.
Non c’è nessun segno di lei nemmeno il giorno seguente; né il giorno dopo quello, né il giorno dopo quello. Poco a poco, lui smette di aspettarla.

La mattina è fredda e cupa, con nuvole pesanti che si raccolgono dalla direzione della Collina delle Lucciole. Entro il pomeriggio, il giorno diventa notte troppo presto. Tutti i cavalli vengono radunati dai pascoli e ricondotti nelle stalle, con l’eccezione dei resistenti cavalli da carrozza, Contessa e Barone, che sono richiesti per una delle misteriose escursioni di Lady Cora; sembra che persino l’imminente acquazzone e la tempesta incombente non possano far nulla per impedirle di seguire i suoi interessi. Anche il padre di Daniel è richiesto, così sarà Daniel a rimanere coi cavalli sino al giorno dopo, come presenza tranquillizzante per quando alla fine arriverà la tempesta.
Quando arriva, arriva improvvisamente, e arriva violenta. Secchiate d’acqua ghiacciata si riversano dal cielo scuro e grigio come il piombo. I fulmini solcano l’orizzonte a perdita d’occhio, e tuoni assordanti li accompagnano.
La calamità all’esterno non disturba Daniel. Dentro le stalle, l’aria è ancora calda e profumata. I cavalli sono un po’ tesi, agitano le criniere e sbuffano di tanto in tanto, ma la presenza familiare del ragazzo sembra avere l’effetto desiderato su di loro. Daniel è proprio sul punto di ritirarsi con una coperta spessa in un box appena pulito, disseminato di paglia, quando una folata di vento e uno spruzzo di gocce di pioggia si fanno strada attraverso la porta che si apre.
Una figura scura, zuppa, si infila nel varco e chiude la porta con un grande sforzo, soffocando una potente folata di vento. Mani emergono da sotto il mantello – completamente zuppo così che il suo colore è davvero indiscernibile – e spingono via il cappuccio dal suo viso.
«Regina!»
È proprio lei, eppure è quasi irriconoscibile, i capelli che cadono flosci e grondano acqua, formando piccole pozzanghere ai suoi piedi. Lei s’illumina vedendolo. «Daniel, io volevo venire, lo volevo davvero, ma la mamma…» dice ansimando, e un’ombra le attraversa il viso.
Daniel la fissa per un momento finché la realtà della sua presenza non viene recepita. Le corre incontro e le getta la coperta pesante attorno alle spalle. «Ti ammalerai!» Aggrotta le sopracciglia, preoccupato. «Non saresti dovuta venire con questo tempo!»
«Pensavo che saresti stato contento di vedermi» dice lei, suonando ferita.
«Certo che lo sono» replica lui seriamente e lei non può che credergli. «È solo che non voglio ti accada niente. Ecco, vieni a riscaldarti qui dentro».
Entrambi si accomodano sulla paglia morbida nel box che lui ha preparato così accuratamente. Per un momento, nessuno dei due dice una parola, si limitano ad ascoltare il rumore della tempesta che risuona all’esterno.
«La mamma non è a casa adesso, così sono riuscita a uscire di nascosto» offre Regina alla fine. «Non mi è più permesso venire qui». Deglutisce a fatica. «Ho chiesto… Ho chiesto se potevo imparare a cavalcare. La mamma pensa che sia troppo pericoloso e per niente proficuo per una… giovane lady» conclude amaramente. «Non penso che sappia cos’abbiamo combinato ma mi è comunque del tutto proibito venire qui».
Regina abbassa la testa e le sue spalle tremano appena. Le sopracciglia di Daniel si corrugano. Queste sono proprio cattive notizie.
«Ehi…» mormora lui, cercando la cosa giusta da dire, la cosa giusta da fare. «Forse… Forse tuo padre potrebbe aiutare?»
Regina si limita a scuotere la testa, senza alzare lo sguardo.
«Regina… Sono sicuro che penseremo a qualcosa».
Di nuovo, Regina si limita a scuotere la testa. «Tu non conosci la mamma. Quando decide qualcosa niente può farle cambiare idea».
Lei seppellisce il viso nelle proprie mani.
Daniel sente un piccolo singhiozzo scappare dalla massa fradicia di capelli e coperta che è la sua amica Regina. Le si avvicina furtivamente e le mette un braccio rassicurante attorno alle spalle.
Senza che nessuno dei due l’abbia notata, la tempesta si è calmata, la pioggia che batte un ritmo regolare mentre continua a colpire il tetto.
La pioggia picchietta confortevolmente e gli occhi di Daniel iniziano a chiudersi. Regina siede immobile, la testa poggiata sulle braccia avvolte attorno alle ginocchia. Potrebbe persino essere addormentata. Daniel muove un poco il braccio – solo un poco, non vuole svegliarla. Una ciocca di umidi capelli scuri si incolla al suo palmo. Lui si domanda se adesso dovrebbe lasciar chiusi i suoi occhi – la tempesta sembra essere finita, i cavalli staranno bene, il pericolo è passato e adesso riposarsi è sicuro. Decide di lasciare che i suoi occhi rimangano serrati e ascolta le gocce di pioggia battere forme irregolari mentre il vento ronza attraverso le crepe nelle assi.
Un nuovo strumento si intromette nell’orchestra della natura. Un ticchettare regolare di metallo sulla pietra, un suono che si affretta, che romba sulla strada d’accesso. Un fruscio di frustino. Uno sbuffo. Gli occhi di Daniel si spalancano – qualcosa è fuori posto. Incontra lo sguardo allarmato di Regina… quindi anche lei lo ha notato. Uno sbuffo sommesso arriva da uno dei box, e un altro segue il primo. Daniel capisce – un saluto. Qualcuno sta arrivando, e chi potrebbe essere con questo tempo, a questo momento del giorno, se non la padrona di casa?
«Devo andare!» geme mestamente Regina, incespicando in fretta sui propri piedi. Si libera della coperta lanuginosa, lancia a Daniel uno sguardo di allarme e disappunto e una silenziosa, immotivata scusa, e corre verso la porta.
«Regina, aspetta… il cappuccio!»
Vuole che lei lo abbia perché è freddo là fuori, e anche perché non deve essere trovato alle stalle, dove Regina non dovrebbe mai più mettere piede. Lei lo strappa dalla sua mano tesa, senza guardarlo di nuovo, incespica nella notte scura, piovosa, fredda. Daniel tiene la porta socchiusa dietro di lei, scrutando l’oscurità da cui è presto inghiottita. Sente la carrozza fermarsi in lontananza, dove sa che si trova l’entrata principale della casa. Spera che Regina ce la faccia ad arrivare alla sua camera in tempo. Lo spera per il bene di entrambi ma specialmente per quello di lei – ha sentito della presunta severità di Lady Cora, naturalmente. Per quanto ne sa apparentemente lei non è così malvagia come tutti dicono ma sembra comunque piuttosto severa. Rigida e implacabile, così dicono gli altri servitori.
Realizza che non ci sono più suoni oltre il ticchettare della pioggia. Chiude la porta con un sospiro e torna al suo letto di paglia. La coperta lanuginosa giace lì tutta spiegazzata, proprio dove è atterrata quando Regina l’ha fatta cadere in tutta la fretta. Lui si distende sul pavimento e tira la coperta sopra di sé. In qualche modo il conforto della paglia calda, asciutta, profumata, la pioggia che cade incessantemente, e il respiro calmo dei cavalli è privo di fascino questa volta.

Regina esce incespicando nell’oscurità e corre, corre più forte che può, tanto cautamente quanto osa, perché tutto è pioggia e fango e buio. Raggiunge il muro massiccio della casa, e ora può correre avanti più rapidamente perché c’è un viottolo di pietra. Il suo cappuccio, zuppo sino all’ultima fibra, pende mollemente dalla sua mano perché non ha avuto tempo di indossarlo, e il suo orlo raccoglie ancor più fangosa umidità mentre striscia dietro di lei. È quasi arrivata, è quasi sicura di potercela fare prima che la mamma abbia abbastanza tempo per uscire dalla carrozza, entrare in casa, e forse raggiungere la stanza di Regina per controllarla. Quasi sicura, il ché non va abbastanza bene. Sarà nei guai se verrà scoperta. Anche Daniel sarà nei guai. In qualche modo, questo è persino più spaventoso.
Regina continua a correre, lasciando ora il viottolo di pietra perché ha bisogno di scivolare attorno all’angolo e verso la propria stanza attraverso una distesa d’erba. È una via abbastanza breve ma la pioggia è stata così abbondante che i suoi piedi continuano a impantanarsi nel fango, rallentandola, producendo un cic-ciac che lei non può sentire a causa del vento e della pioggia ma che può comunque immaginare abbastanza bene. Una finestra si materializza di fronte a lei, emergendo dall’oscurità. Solo pochi passi ancora… Lei fa un balzo per raggiungerla e scivola, e atterra sulla schiena nell’erba fangosa. Non si fa male, ed è un atterraggio molto morbido grazie all’acqua. Si spinge in piedi e finalmente si avvicina alla finestra. Adesso deve solo spostare il chiavistello che ha usato per chiuderla dall’esterno. Se solo se sue dita non fossero così intorpidite dal gelo! Fallisce per un momento o due, poi finalmente riesce ad aprire la finestra. Le tende si gonfiano nel vento, sbattendo contro il davanzale. Regina lancia il cappuccio all’interno, si solleva sul davanzale e si arrampica dentro.
Atterra con un lieve tonfo – in qualche modo è riuscita a ricordarsi di rimuovere la moquette lussuosa da sotto la finestra prima di andarsene, ed è stata una buona idea, cosicché adesso sarà in grado di pulire le eloquenti tracce di fango che gocciolano da lei. Chiude la finestra con una spinta. Le tende tornano alla loro posizione normale, con solo poche tracce di pioggia ad inumidirle. Regina si guarda attorno concitatamente. Il cappuccio deve sparire o altrimenti la mamma capirà. Lo prende dal pavimento e si asciuga con esso dal fango in eccesso, successivamente lo usa persino per strofinare il pavimento, e alla fine dispone della cosa inzuppata, sporca, senza vita – non è davvero più degno di essere chiamato un cappuccio – seppellendola in fondo ad una delle adorne cassapanche. Le coperte del suo letto a baldacchino sono gettate di lato proprio come lei le ha lasciate. Ripensandoci, corre indietro alla finestra per spingere la moquette al suo posto. Guardandosi attorno selvaggiamente e non trovando niente fuori posto – eccetto lei stessa, naturalmente – Regina salta nel letto e si imbacucca nelle coperte. Le tira tanto in alto quanto possono arrivare: nasconde al di sotto i suoi piedi congelati, la camicia da notte fradicia, le spalle tremanti, i denti che battono, persino i suoi capelli bagnati.
Solo adesso che è tornata al sicuro nel suo letto lei realizza quanto freddo ha. Sta finalmente cominciando a calmarsi, a respirare meglio. Se la mamma verrà, aprirà silenziosamente la porta, esaminerà mutamente la sagoma dormiente – o fintamente dormiente – di Regina, e se ne andrà tanto silenziosamente quanto è arrivata in primo luogo. Non vedrò i capelli bagnati di Regina grazie alle lenzuola, e nemmeno scoprirà della sua piccola avventura sentendo l’umidità della sua pelle al porre una mano o un bacio sulla sua fronte – semplicemente perché è qualcosa che non fa mai. Lei non accarezza, non bacia, non rimbocca le coperte – Regina lo sa, e al momento, ne è lieta. La mamma viene sempre solo per controllare che le regole non siano state infrante. Be’, anche se è successo, questo non è il momento in cui mamma lo scoprirà, Regina sorride a se stessa mentre si rannicchia sotto le lenzuola per tenersi più calda.
















Prossimo aggiornamento: giovedì 13 marzo.
  
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