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Autore: rachel_hetfield    06/03/2014    2 recensioni
Presi una boccata d’aria troppo grande, mi girò la testa e mi appoggiai al metallo freddo della capsula. «Come puoi amarmi se mi odi?»
«Non so come dirtelo che non ti odio.»
Lasciai il metallo e mi avvicinai di più a lui. Con la mano destra mi allungai verso il pulsante del timer. Un suono robotico lo fece partire.
«Non fare cazzate» singhiozzò «ti prego. Resta qui. Non ce la farei senza di te.»
Avevo impostato il timer per sessanta minuti, un’ora esatta. Avevo un’ora di tempo per decidere se fare le valigie, o attirare Kevin e rimandarlo indietro, a Oslo.
Evitai le sue labbra che si erano chinate su di me. «Devo... devo restare da sola. Torniamo nella locanda. Devo pensare.»
«Non farlo...» mormorò con la voce strozzata dal pianto.
Scossi la testa mordendomi un labbro. Fortunatamente ero voltata di spalle, perché avevo iniziato a piangere anche io.
«Rachel, ti amo.»
Singhiozzai e mi sentì. Il mio cuore balzò. Mi aveva circondata con le braccia, di nuovo. Solo che stavolta piangevamo entrambi. Il destino ce l’aveva con noi.
«Ti amo anche io, Dan.» [capitolo 16]
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Seduti una di fronte all’altro, scrutavamo il mio analizzatore che leggeva tutti i messaggi telepatici che Kevin si era scambiato recentemente prima di partire nel futuro. In qualche modo avrei scoperto come fosse tornato, grazie a chi, e con quale permesso.
«Trovato niente?» mormorò Dan davanti a me, che fissava lo schermo tridimensionale. Potevamo vederci attraverso. E lo avevo sorpreso più volte fissare me invece che i messaggi.
Avevo già trovato qualcosa di interessante: una conversazione con Kris.
«Aspetta, aspetta, guarda qui» gli presi il polso e lui aprì la mano poggiandola sulla mia, ma decisi di indietreggiare. Ero troppo concentrata sul lavoro per permettermi una distrazione da parte sua, anche se bastava un semplice contatto fisico per mandarmi in panne.
 
“Credo sia giunto il momento, Kris.”
“Per cosa?”
“Non hai capito? Sono uscito di prigione. E ho intenzione di riprendermi Rachel. Ho già provveduto per i consensi di matrimonio e tutto il resto, presto la prenderò.”
“Spiacente dirtelo, Kevin, ma lei non è qui adesso.”
“Cosa intendi dire?”

“Ha usato la macchina del tempo per tornare indietro di circa mille anni. Scordati di andarla a prendere, rimarresti bloccato anche tu.”
“Non dire puttanate, non ho bisogno dei tuoi avvertimenti, so badare a me. Vado a riprenderla, prepara tutto per il viaggio.”
“No, scordatelo. Quella macchina del tempo deve essere sistemata, non posso permettere un altro guaio.”
“Dimentichi che io sono uno scienziato di alto livello.”

 
Strinsi i pugni da sotto al tavolo. Aveva corrotto Kris, e non avevo potuto fare niente perché del fatto che fosse un ottimo scienziato nessuno lo poteva negare. Continuai a leggere sebbene mi stesse salendo la nausea.
 
“Non importa cosa sei e cosa vuoi, pretendo la sua sicurezza.”
“Cosa ne sai di come sta lei?”
“Prima di partire definitivamente aveva detto che era felice lì. Che aveva trovato l’amore. Non ha bisogno di te.”
“Dimentichi anche che mille anni fa, in quel ventesimo o ventunesimo secolo del cazzo erano tutti dei drogati schifosi.”
“Sarà, ma lei pretendeva di tornare. E non ho potuto fermarla.”
“Ti manca?”
“Tanto.”
“Aggiorna i preparativi, parto a riprenderla.”
“A questo punto non posso fermarti.”

 
Battei i pugni troppo stretti che si erano fatti bianchissimi sul legno e Dan sobbalzò. Aveva letto anche lui, ma non capiva quanto per me fosse importante la fiducia che avevo riposto in Kris. E lui l’aveva tradita.
Comprendevo il fatto che gli mancassi, perché mancava anche a me, ma ciò non giustificava il fatto che doveva rovinarmi la vita. Kevin non mi avrebbe mai e poi mai resa felice, nemmeno se non avessi incontrato Dan, nemmeno se non fossi mai venuta nel ventunesimo secolo. Odiavo Kevin come odiavo Kris in quel preciso momento.
«Rachel» mi chiamò Dan.
Alzai la testa per guardarlo. «No, non sto affatto bene.»
«Tu non te ne vai da nessuna parte.»
Scossi la testa. «Ho un conto in sospeso con quei figli di puttana.»
Mi alzai di scatto e lui istintivamente si protese ad afferrarmi il braccio. «Ti prego, non fare idiozie. Sai che sarebbe inutile, ti prenderanno, ti porteranno via, e non tornerai mai più. Resta qui, risolveremo tutto.»
Mi scostai e avanzai verso la porta, ma lui continuava a seguirmi. «Tu non sai quanto ci tengo a Kris! Non puoi dirmi cosa devo fare e cosa non devo fare, non capisci un cazzo di questa situazione e io ho bisogno di tornare! Devo trovare Kevin e arrendermi, altrim-»
Smisi di respirare per un secondo perché lui mi prese per le spalle e mi spalmò violentemente contro il muro di legno. Non mi fece male, ma mi spaventai.
«Chiudi il becco e ascoltami» mi ordinò, e non osai obiettare «lì fuori c’è un pazzo maniaco che ha intenzione di prenderti e di farti chissà cosa. Vuole farti del male, e lì a casa tua c’è una vita del cazzo, priva di emozioni, di esperienze, senza nessuno che può amarti liberamente, e tu non puoi amare liberamente, perciò se te ne vai hai praticamente firmato la tua condanna a morte. Se vuoi tornartene, fallo pure. Non lo dico per me, perché so che senza di te sono praticamente nullo, ma in questo momento devi pensare a te, a di cosa vuoi fartene della tua vita. Vuoi continuare a soffrire e vivere nel terrore? La porta è lì.»
Allentò la presa fino a lasciarmi andare, ma ero priva della concentrazione adatta per sostenere il mio corpo. Un concentrato di parole, fulminee, veloci, che mi colpivano direttamente al cuore frantumandomi, mandandomi come in paranoia. Mi avevano fatto male di più quel centinaio di parole che sbattermi sul muro. Mi avevano fatto male più di qualunque altra cosa. Mi sentivo come se mi odiasse, che se ne fregasse di me, quella era l’impressione. Più lo guardavo negli occhi, spenti e rabbiosi, più mi convincevo che levarmi dalle palle sarebbe stata la soluzione migliore. Per me, per lui, per tutti.
Ancora con la voglia di lasciarlo e fingere che non mi abbia mai detto quanto mi amasse, mi staccai lentamente dal muro. Stringerlo era l’unica cosa che volevo fare. Ma me lo sentivo, era una forza assoluta e incontrollabile quella di scappare.
Mi scivolò l’occhio sull’analizzatore alle spalle di lui, che fissava il vuoto con poca calma, e notai che mancavano quaranta minuti. Mi mossi senza dare nell’occhio e lui si riprese, tornando a posare lo sguardo su di me. Un senso di colpa mi stava rodendo. Avevo troppo bisogno di un suo abbraccio, glielo stavo chiedendo con gli occhi, lo stavo supplicando di avvolgermi, riscaldarmi, dirmi che sarebbe andato tutto bene. Aspettai, ma non accadde. Mi mossi verso l’analizzatore e spensi il desktop tridimensionale. Lo riattaccai al polso e premetti il tasto per la localizzazione. Kevin era alle porte di Congledon. Meno di mezz’ora, e mi avrebbe trovata, localizzata e raggiunta. Il tempo perfetto per decidere se scappare, o fare in modo che se ne vada lui.
La sua ombra, dietro di me, emise un respiro caldo che mi invase i pensieri. Sentivo solo quel respiro. Mi voltai di scatto e pensai “Ora o mai più.”
Gli cinsi il collo, lo strinsi, lui premette le sue labbra sulle mie, il mio cuore iniziò a pompare troppo velocemente da mandarmi in tilt. Le lingue che saettavano con furia e velocità, con desiderio, con la voglia di possedersi ancora una volta, forse l’ultima.
Tornammo su quel muro, quello sul quale Dan aveva scatenato la sua rabbia, ora scatenavamo in sincronia quello che conservavamo da troppi giorni. Quaranta minuti e anche meno era troppo poco tempo a disposizione per una voglia così insaziabile.
Nemmeno me ne accorsi che già stavamo riprovando a fare l’amore, ma quella volta, lo sentii. Finalmente capivo quanto fosse forte, raggiungibile, sentire che vivevo, vivevo per lui, ogni suo respiro affannato era come una vibrazione di vitalità. Contro il muro, a cavalcioni su di lui, un cappotto o una giacca in meno, con le labbra a mordersi e a farsi male, io stavo rivivendo. Volevo capirlo, volevo entrare nella sua testa e sapere cosa lui voleva davvero. Mi ero innamorata così, senza nemmeno pensarci due volte, dalla prima volta che ci eravamo visti in quella stanza che avrebbe dato inizio a tutto, a qualunque cosa. E poi litigavamo, ritornavo io e ritornava lui, facevamo l’amore, ci scambiavamo quei gesti e quelle parole che nessuno mi aveva mai rivolto.
E di nuovo, un altro litigio, altri sbalzi d’umore, la voglia di sparire, la voglia di riempirlo di botte, un suo tocco, e tornavo ad innamorarmi. Ma non avevo mai smesso di farlo, anzi, noi non avevamo mai smesso di fare l’amore, perché nonostante fosse un bisogno fisico, primario, che ogni essere umano aveva, fare l’amore per noi era un bisogno costante, a me bastava una carezza o un bacio, quello era fare l’amore.
Noi in quel momento non stavamo facendo l’amore in senso fisico. Ci stavamo solo scambiando qualche bacio più forte, bisognoso, niente di espansivo. Ci bastava quello, ed eravamo soddisfatti. Le carezze che si trasformavano in graffi sulle braccia, sulla nuca, i capelli che stringevano, nessun accesso all’atto sessuale vero e proprio, per me quello non era fare l’amore, quello era altro, e lo avevamo fatto ben due volte, troppe per me e in quel momento sarebbe stato futile, superfluo, non avrebbe dato ciò che in realtà volevo: volevo sentirmi amata, non sentirmi usata.
Ormai senza fiato decisi che era il momento di fermarci, di pensare, di decidere. E odiavo decidere. Ma il tempo scorreva, e io avevo bisogno di sapere se restare con lui era davvero quello che volevo.
«Dan» sussurrai nella sua bocca che si chiudeva sul mio labbro inferiore «Dan, i-io devo...»
«Tu non te ne vai da nessuna parte» mormorò mordicchiandomi il labbro. Mi fece scendere e mi rimisi in piedi, sempre contro il muro, ma più dolcemente.
«Se Kevin arriva...» non sapevo come completare la frase. Cos’avrei fatto in quel caso? Che fosse arrivato, mi avrebbe presa e portata con lui, o lo avrei convinto che non aveva bisogno di me per andare avanti?
Le parole. Ecco cosa. Non ero brava con le parole, ma lo avrei convinto, glielo avrei detto che non lo amavo, che non mi piaceva e che non ne volevo sapere niente di lui e di nessun altro che non fosse Dan.
«Se Kevin arriva lo riempio di botte se prova ad avvicinarsi a te.»
Sorrisi a fior di labba che lui serrò lasciandomi un bacio fragoroso. Si allontanò di poco e poi andò vicino alla porta a controllare se ci fosse qualcuno. Tornai a sedermi rigirandomi fra le mani l’analizzatore che ormai stava segnando lentamente la mia rovina, la mia sconfitta.
Amavo troppo Dan per separarmene, oppure lo amavo troppo per lasciare che soffrisse per colpa mia, forse volevo davvero tornare a Oslo, a casa mia, da Kris, a vivere una vita come tutte le altre. Tornò verso di me e si sedette esattamente davanti a me. Sollevò lo sguardo, lo guardai negli occhi. Blu. L’oceano. L’infinito. La profondità. Un battito del cuore mancato. Un sospiro. Il suo sorriso. Il mio sorriso.
No, non volevo staccarmi da lui nemmeno per un attimo, senza sapere se ci fossimo rivisti. Lo volevo, mi sarei rifatta una vita.
«Parlerò con Kevin» improvvisai senza lasciare che i miei occhi riemergessero dai suoi, aspettando la peggiore delle sue reazioni che non arrivò mai. Si limitò ad annuire, abbassare la testa. Sussurrare.
«Qualunque cosa accada... che la decisione sia tua o qualcosa vada storto... io non smetterò mai di pensare a te. È una promessa.»
Mi mancò il respiro. Avevo bisogno della sua fiducia più di qualunque altra cosa in quel momento, così in bilico tra il vero inizio e la vera fine. Quella fiducia che aveva tradito poco tempo prima, quella sera in cui ero tornata, lo aspettavo, e lui mi aveva già sostituito con la ragazzina.
Anche se ricordare quanto dolore avessi provato in cinque secondi di sguardi confusi e irritati, mi piaceva sapere che aveva fatto tutto questo per me, dimenticarmi, nonostante si fosse arreso troppo presto, al contrario di me che avevo fatto una sfuriata immensa con Kris pur di stare con lui.
«Io posso solo prometterti...» mormorai «che non amerò mai Kevin. Né nessun altro all’infuori di te.»
Gli sfuggì un mezzo sorriso, di quelli sinceri, che mi riscaldavano il cuore, il mezzo sorriso che tanto amavo.
«Ti ricordi la sera in cui te ne andasti quasi definitivamente nella tua epoca?»
Annuii senza capire dove volesse arrivare.
«Lì mi hai detto per prima che mi amavi.»
«Cos’altro potevo fare? Ero sul punto di esplodere» mi giustificai rossa dall’imbarazzo, anche se essere imbarazzati con lui era più che normale. Riusciva sempre a farmi mettere la testa sotto la sabbia.
«Potevi semplicemente non dirlo... perché io non sono mai stato sicuro di questo. Non sono convinto che tu mi ami. Sono la tua prima vera cotta, sono la tua prima esperienza di amore, di qualunque cosa, invece io di amore ne ho dato e avuto tanto ricadendo sempre per terra, rialzandomi con cosa? con l’alcool. Tu non ne sai nulla di tutto questo, non potrai mai capire se stai con me.»
«E con questo? Non vuol dire che non sia davvero innamorata.»
Scosse le spalle, ma più che dubbioso era disperato, glielo leggevo in fronte, aveva paura. «So che un giorno smetterai di amarmi. Com’è successo con tutte le ragazze che ho avuto nelle loro crisi amorose adolescenziali.»
Mi alzai per sedermi accanto a lui, così da essere più vicini. «Ho smesso di essere adolescente tre anni fa, Dan.»
Disapprovò. «Hai cominciato essere adolescente quando sei arrivata qui, si diventa adolescenti quando finalmente scopri di avere una cotta seria per qualcuno. Credimi, niente di tutto quello che ti aspetti è vero. Non staremo insieme per sempre.»
«Smettila, ti prego» soffiai con il nervoso che stava per esplodere. Lo sapevo che erano tentativi di dissuadermi ad andarmene. Quello che non capivo era che prima quasi mi obbligava a restare, ora in qualche modo mi supplicava di andarmene.
«È la verità, e tu non sei capace di accettarla. Lo sappiamo tutti che finirà prima o poi. Non mi amerai mai quanto io amo te, adesso, dopo, ancora più tardi. Finché le ossa mi reggeranno in piedi, o finché non mi si mozzerà il fiato... insomma, finché non morirò, io non smetterò mai di cercarti, in qualunque modo possibile e immaginabile. Sai, costuirò una macchina del tempo» accennò un sorriso e risi lievemente «la inventerò, verrò nel futuro e ti cercherò, sai che ne sono capace.»
Mi nascosi il viso tra le mani per trattenere la risata, ma lui da un polso le spostò prendendomi il mento tra le dita.
Mi venne in flashback, risalente alla mattina in cui ci ritrovammo svegli nello stesso letto, sconosciuti agli occhi dell’altro, ma già sentivamo che qualcosa si stava accendendo. In me, un fuoco sottile era esploso come se ci avessero buttato della benzina dentro. Ero infatuata completamente, bruciavo, bruciavo solo per lui.
Quella lontana mattina mi chiese se avevo paura che mi baciasse.
Quella notte, o meglio, alba – erano le quattro del mattino – mi chiese se avevo paura che non lo avessi più baciato.
«Sì» mormorai a pochi centimetri dal suo viso «ho paura di non vederti più.»
«È reciproco» mi lasciò un bacio leggero «ma so che se rimani qui, prima o poi accadrà.»
Poggiai la testa sul suo petto, che si alzava e abbassava, rilassandomi. Il timer segnava venticinque minuti dalla partenza. Delle voci da fuori mi destarono dallo stato di pace in cui ero entrata. Mi rizzai a sedere e guardai Dan. Fissava la porta. Stavano entrando. E la mia ansia si trasformò in terrore vero e puro. Poi capii che le voci non erano tante, era una sola, una voce familiare, ma che aspettavo.
La porta in legno si spalancò. Un ragazzo biondo entrò con il volto contratto in una smorfia di rabbia, corrucciato, non era più bello come pensavo fosse. Era diventato un mostro, divorato dalla gelosia, dalla possessività. Ma non ero sua. Non gli appartenevo.
«Rachel, alza quel culo ed entra nella capsula. Sbrigati, manca poco» mi ordinò Kevin con voce rude, ma che aveva smesso di fare paura. Era stanco. E lo comprendevo.
Guardai Dan, teneva lo sguardo basso, come se sapesse che stavo per eseguire il suo ordine, ma non mi sarei arresa, non di nuovo, non per colpa di un altro ragazzo. «Possiamo parlare, Kevin?»
La mia incredibile calma sorprese entrambi. Sia me, che Kevin. Non ero mai stata calma in sua presenza, invece adesso lo ero, gli parlavo come se niente fosse, come i primi due giorni che ci frequentavamo al laboratorio.
Non avevo paura. Sapevo cosa volevo. Cercavo invece di scoprire cosa volesse Kevin.
Lui sospirò, avvicinandosi di pochi passi, ma mantenendo la dovuta distanza da me. «Non credo ci sia tempo sufficiente.»
«Voglio parlarti comunque» avanzai anche io.
Annuì, sedendosi su una di quelle sedie senza schienale di cui ancora non sapevo il nome. «Non sono statao capace di trattarti come dovevo. Mi sento uno stronzo, ho i sensi di colpa fino alla gola ed è una sensazione orribile. Mi dispiace. Scusami, scusami davvero.»
Ad un tratto persi la cognizione del tempo, dello spazio, della parola, di qualunque cosa. Mi stava chiedendo il perdono, sapeva di aver sbagliato. Non c’era modo migliore per finire quell’incubo. Eppure, qualcosa mi faceva pensare che dovevo stare attenta.
«Non voglio rimanerti sulla coscienza.»
Sbuffò. «Ti ho già sulla coscienza! Altrimenti perché non ti sto più ammanettando, cerco di ucciderti? Sono stanco, Rachel. Ho combattuto abbastanza. Ma io ero solo geloso. La gelosia ti divora peggio di un leone affamato. Sono colpevole di tutti i tuoi traumi, le tue paure, la tua isolazione. È colpa mia se non volevi conoscere più nessun ragazzo che Stein o gli altri ti chiedevano di conoscere, con il permesso anche. Sono io il tuo vero problema.»
Mi si bloccarono le parole in gola. «Un conto è essere gelosi, un conto è essere innamorati. Se tu fossi stato geloso non avresti messo a rischio la vita di quattro persone a cui ci tengo. Le uniche persone, all’infuori di te, Kris e Stein, che mi sono permessa di conoscere, non puoi portarmele via e io non posso andare via da loro.»
«Non voglio privarti di nulla, Rach. Io ero solo... sì, le prime volte che ci vedevamo ero solo tentato dall’infrangere le regole, volevo davvero provarci con te, e vedere che mi rifiutavi, che eri insicura e soprattutto spaventata da me mi ha come risvegliato. Quando sono venuto qui volevo solo trovarti e portarti a casa. Mi manchi e ci tenevo a te, e credo di tenerci tutt’ora, non ce la faccio a vedere lui» indicò con un cenno del viso Dan, di cui non badai l’espressione «che abbraccia e bacia te liberamente, al contrario di me, che dovevo starti addirittura lontano. Non ce l’ho fatta e sono esploso tutto d’un tratto. Vedere come scappavi da me, che avevi paura, mi ha messo angoscia. E automaticamente ho sofferto per te. Non posso privarti della persona che ami. Come loro hanno privato me della persona che amo, non farò lo stesso. Non sono così idiota.»
Riflessi nel suo sguardo, grigio con tante sfumature più chiare e più scure, la tristezza. Mi sentivo male a guardarlo. Ero angosciata quasi quanto lui, dovevo pur consolarlo.
«Tu puoi farti una vita, Kevin. Io no. Non ne sarei capace.»
Si alzò. Per un attimo pensai di indietreggiare ma rimasi al mio posto, non dovevo avere paura di lui. Mi prese una mano e me la fece aprire, poggiando sul mio palmo qualcosa di freddo, di metallico. Me la richiuse prima che potessi vedere cos’era e misi l’oggetto in tasca.
Prese un profondo respiro. Era tornato Kevin Mason, il belloccio del laboratorio, a cui aspiravano tante scienziate che spesso gli portavano il caffè, che cadevano nella sua trappola, pazze di lui, che ha smesso si vivere da fuorilegge quando ha incontrato me.
Il timer suonò gli ultimi cinque minuti rimanenti. «Probabilmente un ti amo da parte mia sarebbe esagerato.»
«Non metterti fretta, so che non mi ami. Non dire parole che potrebbero ferirmi ulteriormente» dissi ricordando il ti amo detto a Dan prima di sparire nella capsula.
«Sono stanco di ferirti. Perciò... me ne vado. Ti auguro il meglio e...»
Insiprai profondamente. Glielo chiesi, dovevo. Era il minimo che potevo fare per una persona come lui. Non era cattivo, era solo confuso. E innamorato. Come me.
«Dammi un abbraccio.»
I suoi occhi brillarono. Si passò la lingua sulle labbra. Allargammo le braccia insieme e il suo cuore, strozzato e incapace di amare, riprese a battere velocemente, come se fosse rincorso da una bestia feroce.
Lo strinsi forte, sentendo il suo profumo così nuovo, ma già vissuto.
Meno tre minuti.
«Io... io vado.»
Avrei voluto dirgli grazie, di avermi capita, di avermi lasciata andare, di avermi amata anche facendo pazzie. Ma si era già messo a correre verso la macchina del tempo. Volevo urlarglielo, era stato importante per me, per distaccarmi, per farmi capire che niente era impossibile, nemmeno rischiare la galera, rischiare di ammazzare qualcuno, fare pazzie, essere cattivi, tutto questo perché lo avevo sconvolto.
Sospirai. Mi voltai guardando il timer. Trenta secondi.
Soffocai le lacrime sperando di non darlo a vedere a Dan, rimasto in silenzio tutto il tempo in cui ero riuscita a parlargli.
Tirai su con il naso, e lui parlò. «È un ragazzo nobile.»
Annuii sentendo gli occhi bruciare e inondarsi. Volsi un altro sguardo al timer, quindici secondi. Volarono. Volarono come due lacrime che mi erano scese sulle guance bagnando appena lo schermo illuminato.
«L’ho distrutto.»
Sei secondi.
«Lo so che non lo dimenticherai mai, è parte di te.»
Cinque secondi.
«Non voglio che soffra per colpa mia...»
Quattro secondi.
Sospirò. «Soffrirà solo il primo periodo.»
Tre secondi.
Mi fiondai fuori dalla porta e osservai la capsula che iniziava a tremare e far fuoriuscire i fulmini azzurri, viola, grigi, bianchi. Il timer scattò segnando sei zeri intermittenti. Era andato. La capsula scomparve. E così l’ultimo biglietto di ritorno a casa, l’addio definitivo al terzo millennio.
Mi appoggiai alla porta di legno asciugando le lacrime.
«Sei pentita di non essere andata con lui?»
Scossi la testa. Ero pentita di non averlo capito prima che mi amasse. Ero pentita di essere stata superficiale e stupida.
 
Writer’s wall
No ok gente io non so proprio cosa dire. Sono scioccata, e lo dico io stessa che ho scritto questo capitolo idiota, lo giuro, non immaginavo che andasse a finire così. Che mente drastica che ho.
Non so nemmeno se adesso Rachel contatterà Kris per svignarsela, probabilmente lei se ne andrà nella sua epoca, senza Dan. Alla fine, si nota che lei era legata a Kevin, che ne pensate?
SCHERZAVO! Ovvio che lei rimane lì, non può mollare il suo patato dagli occhi blu. E chissà come finirà la storia chilosascopritelovoi! Ho deciso che il prossimo capitolo sarà il definitivo, il finale l’ho già preparato, quindi state attenti che io sono cattivella.
Come sempre ringrazio le lettrici che recensiscono, che hanno aggiunto la storia ai preferiti e infine le lettrici silenziose, siete assurde tutte quante, 55 recensioni non sono poche per una cagatina come la mia storia! Vi voglio bene a tutte.
 
Comunque volevo ringraziare particolarmente delle persone: Nives (Nives_Bastille), che in assoluto è l’unica che sta ad ascoltarmi sempre, che sopporta quasi ogni giorno le mie sclerate, gli sbalzi d’umore; Maria Luisa, che anche se si è presa un po’ di pausa per colpa dello studio – io al contrario invece haha – so che mi sostiene e che non smette di aiutarmi moralmente e psicologiamente; Lisa (Harold’s Bakery) che ogni tanto mi scrive in chat) e recensisce ogni mio capitolo, e infine Noemi (shesunbroken) che altrettanto mi dice sempre il proprio parere personale.
Ognuna di queste persone fa parte di me e della mia crescita, un motivo in più per lo sviluppo di questa storia maledetta.
Grazie, grazie davvero!
Un bacio e alla prossima, Angelica (e scusate il poema)
  
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