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Autore: IlrespirodelleOnde    06/03/2014    1 recensioni
I padri non sanno nulla dei loro figli.
Né i figli dei loro padri.
Dal testo:
“Lilith” la chiamò l’unica voce che voleva sentire, “bambina, ascoltami.”
“Ti prego, papà, non lasciare che lo facciano.”
“Lo faranno, principessa, e io e te non possiamo fare nulla. Non serve credere alle favole quando vivi nella realtà, ma io ti ho fatto una promessa, te lo ricordi?”
Lilith annuì, cercando di stringere le mani di suo padre dietro il vetro.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Tornata nelle sue stanze, Lilith chiuse a chiave la porta e vi si sedette contro imponendosi la calma, mentre goccioline di sudore le imperlavano la fronte bollente. Aveva caldo nonostante l'unica cosa che indossasse fosse una tunica di seta bianca, che fu costretta a cambiare poichè madida.

Di che energia andava parlando Loki? Un'energia forte, l'aveva definita, ma più di questo non sapeva nulla, se non che lui l'aveva percepita subito.
Loki era un bugiardo, certo, ma anche abile nell'uso della magia più di chiunque altro Lilith conoscesse, quindi non aveva alternativa. Se prima era decisa a parlarci, ora la sua curiosità aveva di gran lunga vinto il buonsenso, ma si costrinse comunque ad aspettare qualche tempo.
Odino avrebbe rinchiuso il dio nelle prigioni, allora lei vi si sarebbe recata al più presto per interrogare il prigioniero sull'energia che pareva possedere.

Le mani le pizzicavano come se tanti spilli vi fossero stati conficcati sottopelle e, cosa ancor più strana, erano avvolte dalla luce blu che aveva fatto scomparire il portone della Sala del Trono permettendole di vedervi all'interno. Il bagliore le accarezzava le dita ondeggiando dolcemente a destra e sinistra senza che lei lo percepisse fisicamente. Di quella luce le arrivava solo il formicolio fastidioso alle palme delle mani, niente di più, ma lei sapeva, forse per questioni di sesto senso, sentiva, che quell'energia era in tutto il suo corpo e che in quel preciso momento scorreva nelle sue vene.
Non voleva provare a riutilizzarla, né pensava ci sarebbe riuscita senza un aiuto. Forse Loki avrebbe potuto spiegarle, oltre a cosa fosse, a come utilizzarla. In fondo lui era l'asgardiano più istruito su certe cose...

Perchè?”

Strinse entrambe le mani in un pugno nel vano tentativo di bloccare la sensazione di prurito che si stava impossessando persino delle sue braccia e capì che c'era qualcosa che non andava.
C'erano cose che lei non sapeva ed erano troppe, ne era certa, cose che nessuno aveva mai voluto spiegarle che ora la opprimevano. E Lilith capì essere le domande che l'avevano assalita quando la sua gola era tornata di un bianco pallido dopo lo scontro con il Gigante di Ghiaccio.

Non fatevi toccare!” aveva gridato qualcuno mentre un guerriero cadeva a terra sotto i suoi occhi per essere stato sfiorato dalla mano di uno di quei mostri.
Si era voltata di scatto pugnalandone uno all'altezza del cuore e poi una morsa d'acciaio le aveva stretto la gola, sollevandola a tre piedi dal suolo.

Fece scattare la serratura e uscì dalle sue stanze sotto lo sguardo attonito di Vin, che le stava venendo a portare nuovi medicamenti e dell'acqua immaginandola debole e malata. Lilith sfilò davanti a lei senza concederle nemmeno un'occhiata prima di sparire lungo il corridoio che portava alle prigioni. Se Loki non fosse stato ancora lì lei lo avrebbe aspettato.
Scese a due a due i gradini che portavano alle segrete immergendosi in un buio denso e tetro squarciato dal fuoco delle fiaccole appese lungo le pareti.

Non era mai stata in quella parte dei sotterranei, Thor non glielo aveva mai permesso perchè pieno zeppo di individui malvagi e dall'aspetto sgradevole, o almeno questa era la scusa da lui utilizzata quando aveva a che fare con la Lilith bambina. Ora, l'unica cosa che la preoccupava erano le guardie, le quali avrebbero di sicuro avvertito il dio del tuono della sua presenza nelle prigioni.

Si disse che non aveva altra scelta se non quella di mentire e così si apprestò a fare mentre percorreva il corridoio stretto che portava alle prigioni di massima sicurezza, ovvero quelle limitate dalla magia oltre che da semplici sbarre di metallo. Loki sarebbe stato rinchiuso lì di sicuro, poichè, nonostante privo della sua malia, Odino conosceva bene la sua astuzia.

Le prime guardie erano appostate in quattro ai lati della breve scalinata verso le prime celle e nel vederle Lilith provò una stretta allo stomaco: non le piaceva mentire, né era certa di saperlo fare.

“Madre mi ha raccomandato di non fare parola con nessuno della mia visita” disse risoluta sforzandosi di sembrare convincente, “non le sembra conveniente dare ulteriori preoccupazioni a Padre e Thor in questo momento.”
Ringraziò mille volte l'oscurità delle prigioni per celare il sudore sulla sua fronte e il rossore delle guancie e, dopo quello che le parve un secolo, la prima guardia le rivolse un breve inchino.

“Come vuole, Lady Lilith.”
Si incamminò tra le prime celle senza guardare le creature che la fissavano da dietro un vetro mettendola in soggezione, soddisfatta dell'effetto della sua bugia.
Le voci ovattate dei prigionieri erano trattenute da un sottile specchio avvolto in un alone giallastro, dello stesso colore delle pareti e delle rifiniture. Faceva freddo, là sotto, tanto che il respiro era visibile sottoforma di nuvoletta di vapore, che svaniva a contatto con il calore emanato dalle fiaccole.

Camminò ancora per qualche metro finchè la voce grave di Odino la raggiunse facendola sussultare; si nascose dietro ad una colonna e ascoltò in silenzio le parole del Padre degli Dei.

“Non posso più sopportare la tua arroganza, Loki” diceva cupo in volto, pensò Lilith, per nascondere la stanchezza che da qualche tempo lo seguiva ovunque andasse, celandosi nel suo sguardo, “né sono disposto a farlo – fece una pausa – poiché, per quanto mi sforzi di vedere in te mio figlio, io non vedo altro che un traditore e ingrato.”

Si era aspettata quelle parole; persino lei, al posto di Odino, avrebbe parlato tanto duramente a Loki. E ciò per cui si crucciava era, ancora una volta, perché? Cosa aveva fatto Padre per meritarsi tanto disprezzo da parte del figlio?

Trattenne il fiato come sott'acqua fin quando il re non se ne fu andato e pregò ancora una volta gli dèi perché le guardie non facessero parola con lui della sua visita. Aspettò qualche secondo ancora per assicurarsi di essere rimasta sola con i prigionieri, allora uscì.

Il cuore pareva scoppiarle nel petto tanto batteva forte e Lilith temette di doversi fermare a respirare per non cadere a terra. In quella breve distanza che separava lei e Loki, doveva riordinare le domande che le soffocavano il cervello, ma erano troppe. Ogni volta che le sembrava di aver trovato il quesito più urgente da porgli, ecco che ne sorgeva un altro che bramava di ricevere risposta.

Il passo seguente smise di pensarci e lui la vide, malcelando lo stupore e qualcos'altro che Lilith lesse nei suoi occhi come ammirazione, ma non poteva esserne certa.
Si fermò ad osservarlo a pochi metri dal vetro trasparente e non poté fare a meno di notare il suo portamento fiero che nemmeno le prigioni gli avrebbero strappato, o almeno così credeva.

Indossava vestiti leggeri, non più l'armatura nera e verde intarsiata d'oro, e sorrideva sornione alla figlia, stando a debita distanza dalla luce giallastra.
Nessuno dei due aprì bocca per molto tempo e Loki pensò fosse per paura, quella che lui stesso aveva provato la prima volta che aveva lanciato un incantesimo e per mesi non ne aveva fatto parola con nessuno. Lui sapeva di essere diverso, lo aveva sempre saputo, fin da bambino, ma riceverne la conferma lo aveva distrutto tanto intimamente da fargli tornare i brividi ogni volta che si rivedeva davanti al Tesseract, con quello che aveva sempre chiamato padre accasciato a terra.

Paura di essere denigrato, di non potersi mostrare per quello che si è.
Delusione, per aver buttato via anni della sua vita a rincorrere un trono che mai sarebbe stato suo.
Rabbia verso chi gli aveva mentito e chi aveva scelto per lui cosa fosse meglio, quando non spettava a nessuno della casa di Odino farlo.
Ma più di tutto il dolore, perchè Loki era stato ingenuo. L'amore che provava verso la sua famiglia, o quello che aveva creduto esserlo, gli aveva impedito di vedere chiaramente come stavano le cose. Era stato lui a rendersi cieco nutrendo se stesso di illusioni e sempre lui ad essersi costruito un castello di falsi miti dov'era il figlio amato, dove nessuno voleva ferirlo.
Il dolore che gli schiacciava il cuore perché non vi era nessun'altro da incolpare se non Loki, il bugiardo, l'assassino, il traditore.

“Vattene.” si spense il sorriso sulle sue labbra, turbato da questi pensieri, e si voltò dandole le spalle.
Lilith non si mosse, o meglio, fece un passo verso di lui, i battiti che impazzavano nel suo petto avevano di poco rallentato la loro corsa.

“Voglio farti delle domande.” disse lentamente, come per accertarsi che lui capisse e desse il giusto peso alle sue parole, ma Loki rimase impassibile. Sembrava più concentrato sul tavolino ai suoi piedi che alla ragazza.

“Ti ho detto di andartene.” ripeté deciso, alzando il capo.

“Perchè io non...”
Prima delle parole di Lilith arrivò il colpo di Loki al vetro trasparente che la fece risplendere di tanti quadratini dorati e di una luce abbagliante che accecò la ragazza per un'istante. Il rumore fu forte, ma la parete rimase intatta.

“Vattene!” urlò il dio in contemporanea, occhi accesi da una scintilla che Lilith non gli aveva mai visto in viso: frustrazione, rabbia, dolore insieme. Era qualcosa di terrificante.
Lo spavento fu tanto che cadde a terra, colpendo il pavimento con la schiena all'altezza dell'osso sacro talmente forte che le mancò il respiro. Trattenne le lacrime per il dolore lancinante al fondoschiena e stropicciò con un gesto veloce le palpebre chiuse.

Entrambi erano tesi come corde di violino, Loki consapevole di aver esagerato, lei di essere la causa del dolore che leggeva nei suoi occhi.
Questo pensiero la allarmò, gli aveva fatto del male. Si alzò da terra a fatica, spaventata, pronta a correre nelle sue stanze e rimanerci fino alla fine dei suoi giorni.
Con lei anche Loki si rilassò e maledisse la barriera che li separava per non poter andare a prenderla e farla restare.

“Risponderò alle tue domande.” disse a voce abbastanza alta perchè lei potesse sentirlo, ma Lilith era già due celle più avanti alla sua e, seppur sentendolo, continuò a camminare spedita, la vista offuscata dalle lacrime.

I contorni di tutto ciò che la circondava erano sfocati e lontani. Riusciva a distinguere le alte colonne e gli arazzi che tanto l'affascinavano e rapivano ogni volta che passava di lì, ma nulla le interessava adesso; la sensazione soffocante di aver ferito Loki, la consapevolezza di averlo fatto, ancor di più della prima, la costrinsero a fermarsi a metà della strada verso le sue stanze.

Non le importavano più le domande, che andassero tutte ad Hel, maledette. La curiosità e la sete di sapere erano svanite in lei quando aveva incontrato gli occhi del padre, tristi e vulnerabili. Lei non era come tutti gli altri asgardiani e uno dei motivi per cui era sicura di ciò era che lei non odiava Loki, a differenza loro, e per lui, ne era certa, avrebbe combattuto anche tutta la vita. Nessuno doveva permettersi di fargli del male, pensava, e pianse lacrime amare ignoiandole tutte al pensiero di essersi contraddetta poco prima, nelle prigioni.

Chiuse le mani attorno al viso, incapace di alzarsi da terra, quando una voce familiare le giuse alle orecchie, roca e cavernosa: Volstagg; seguita da altre due voci maschili e il tintinnio dell'elsa della spada di Sif contro la sua corazza di metallo.
Prima di riuscire ad asciugare le guancie umide saltò in piedi e corse silenziosamente per tutta la lunghezza del corridoio fino a rintanarsi nella camera e chiudersi la porta alle spalle.

L'idea di piangere ancora le faceva venire il mal di testa, solo pochi minuti prima aveva replicato la patetica scena di adesso e non ci teneva ad aggiungere voci alla lista dell'autocommiserazione.
La prima cosa che fece fu applicare i medicamenti che Vìn le aveva portato sulla ferita, che, nonostante avesse smesso di sanguinare, era rossa e gonfia.
Spalmò una crema di colore giallastro lungo tutto l'avambraccio e decise lì per lì di lasciarlo libero dalle bende per farlo respirare. Quando ebbe terminato di giocare all'infermiera si voltò stando seduta sulla sedia in modo da scrutare la libreria a muro dietro di lei in cerca del volume che facesse al caso suo.

L'ordine maniacale era sempre stato il suo pregio e difetto (più quest'ultimo, in effetti), così che trovò velocemente quello che stava cercando, anche se non poteva dirsi certa che quelle pagine ingiallite avrebbero risposto alle sue domande.
Si alzò facendo attenzione a non sporcare di crema il vestito e raggiunse con molta calma gli scaffali ricoperti da libri e libri e un sottile strato di polvere. Quello era l'unico posto cui Vìn non poteva mettere mano nemmeno per dare una ripulita veloce.
Scorse con l'indice le copertine spesse rovinate dal tempo, soffermandosi in particolare sul libro di fiabe che Frigga le leggeva quando era bambina, o Thor per lei, anche se quest'ultimo non poteva dirsi affine alla lettura. Ricordò a malincuore le notti fredde in cui se ne stava avvolta nelle coperte e la testa persa nel cuscino morbido mentre la voce dolce della donna la cullava nelle braccia del sonno. Ricordava bene anche la neve, le rare volte che l'aveva vista e si era alzata a metà racconto dal materasso sotto lo sguardo intenerito della Madre degli Dei.

La neve.

La guardava posarsi leggera sui tetti della Cittadella Celeste assaporandone il bianco splendore.

Tornava a letto sorridendo senza distogliere lo sguardo dai fiocchi candidi, desiderando ardentemente di poter essere come loro, un giorno: tutti diversi tra loro, ma tanto simili, anche.

Ad Asgard non si era mai sentita così.

Un rumore di passi nel corridoio la svegliò dal ricordo, riportandola alla copertina verde scuro posata sullo scaffale liscio. Estrasse il volume con delicatezza meravigliandosi di trovarvi un segnalibro a forma di fata all'inizio di quella che ricordò essere stata la sua fiaba preferita.
Si intitolava 'Il Bosco dei Giganti' e Mamma Frigga gliela leggeva molto spesso.
Lilith non conosceva altre storie che magnificassero i Giganti di Ghiaccio in quel modo, descrivendo il colore blu della loro pelle come la cresta del mare al sole e non come un cielo oscuro in tempesta. Il racconto esaltava la loro forza e, soprattutto, la lealtà innata che dovevano ai loro simili.

Le pagine erano ruvide al tatto, una sensazione vagamente piacevole, ma non la stessa di molti anni prima, quando le sue dita erano troppo piccole persino per reggere in mano l'interno libro.
Sorrise tra sé e sé leggendo una riga dal testo, sbiadita ma ancora leggibile: “...allora Enik strinse con vigore la sua ascia e la scagliò contro l'invasore che aveva colpito suo fratello.”
Lei non ce lo aveva un fratello, ma le sarebbe piaciuto; in realtà anche una sorella le sarebbe andata bene, però non le risultava che Loki avesse altri figli all'infuori di lei.
Continuò a leggere con un sorriso ebete stampato sulle labbra.

Emek, più giovane di Enik di qualche luna, stava bene, ma lo scontro lo aveva sconcertato e fu così che mai più alcuno lo vide con un'arma in mano, mentre altri lo videro dilettarsi con delle erbe per curare la ferita eterna che l'aggressore gli aveva inferto.”

Chiuse il libro, non era ciò che cercava, ma le fece piacere scoprire che la frase seguente era già nella sua testa, tornata da tempi antichi.
Recitò a memoria riponendo l'oggetto tra altri due uguali: “Fu così che Enik combatté sempre, e ancora combatte, per salvare i suoi fratelli dagli invasori. Il Gigante della Guerra. Mentre Emek cura gli sventurati e coraggiosi che vengono feriti nella lotta. Il Gigante della Medicina.”

Pochissime erano le persone convinte che, su Jotunnheim, esistessero dei giganti fatti a specchio degli dei, ovvero, come detto nel racconto, un Gigante della Medicina, uno delle Arti, magari persino uno dell'Inganno, come lo era suo padre.
Frigga lo credeva, o almeno, non gliene aveva mai parlato apertamente, ma glielo aveva ben lasciato intendere attraverso le parole lette nelle fiabe e altre che Lilith aveva scoperto essere state aggiunte dalla dea Madre, poichè inesistenti su carta.
Le aveva detto, una volta, che la magia dei Giganti delle terre del ghiaccio era tanto forte da poter distruggere un mondo intero, per questo motivo Odino e tutti gli Aesir li allontanavano e schernivano in quel modo.

Alzò lo sguardo impaziente tutt'ad un tratto, desiderosa di trovare le risposte per le quali si era scomodata dalla sedia. Vagò per una decina di minuti in cerca di qualcosa, finchè non giunse ad un volumetto di venti pagine e anche meno, senza titolo né disegni in copertina. Era rilegato in cuoio, leggero come una piuma e incredibilmente raffinato nelle venature dorate che lo ornavano.

Lilith si sedette sul letto, convinta che, se non si fosse trattato di ciò che andava cercando, in ogni caso non c'era altro nascosto tra i libri. Sospirò, rendendosi conto che l'agitazione le era montata in corpo disturbando la sua attenzione.
Non sfogliò le pagine. Rimase ferma, il piccolo oggetto tra le mani.

C'era qualcosa di sbagliato, si sentiva parte di un mosaico che pareva completo, ma in realtà mancante di una piccola tessera al centro. Chiunque avrebbe osservato si sarebbe accorto della mancanza, lei la percepiva.
Non fece nulla, il silenzio l'accompagnò per molti minuti, in attesa, come lei, di una risposta che piombasse dal cielo.

L'assenza di rumore pareva essersi estesa anche al di fuori della sua camera, i passi delle ancelle si erano arrestati, le guardie che sorvegliavano le stanze accanto alla sua avevano messo fine al tintinnio metallico e vagamente fastidioso delle loro else di spada contro la cintura.
Forse si trattava solo di una sua impressione ma vide davanti a lei, chiari ed espressivi, gli occhi di suo padre. Fece cadere il volume che teneva tra le mani e chiuse il viso per l'ennesima volta tra le mani, tremando.

Quando si risollevò non c'era più nulla attorno a lei, solo buio e una coinvolgente sensazione di pace. Si meravigliò dei piccoli consueti rumori che avevano ripreso a riempire la sua camera e l'interno castello, ma non riusciva a collocarli nello spazio. Si affollavano circolando alcuni lontani altri più vicini a lei. Sbatté le palpebre disorientata prima di riacquistare la vista e rendersi conto che il piccolo libro nero era volato fino alla scrivania.
Non riuscì a sollevarsi dal letto finché la mano leggera di Vìn batté contro la porta. I suoni erano tornati ai loro posti, il volumetto no.

“Signorina” udì la voce timida della donna, “è permesso?”

Fosse stata sfacciata e arrogante la metà del padre avrebbe liquidato l'ancella in due parole, ma nutriva rispetto per lei e per tutti gli abitanti di Asgard. Comportarsi con loro come faceva Loki significava per lei toccare il fondo. Come puoi vivere con la coscienza impregnata degli insulti della gente (soprattutto se sai di meritarteli)?
Invitò Vìn ad entrare con un cenno del capo, presente con il corpo ed altrove con la mente. Avrebbe voluto non essere scappata dai sotterranei, ma ormai era passato, ora doveva concentrarsi sul presente, poiché la sua vita, come quella di tutti, era il presente, non il futuro né il passato.
Lanciò uno sguardo preoccupato al libro nero per un'ultima volta prima che l'ancella le si avvicinasse con cautela, stranita dal silenzio della ragazza, per, novità, occuparsi della poltiglia che Lilith si era spalmata sul braccio.

Nessuna delle due aveva voglia di parlare, stettero in silenzio finché Vìn le diede un bacio sulla fronte sfiorandole la pelle con i lunghi capelli biondi raccolti in una crocchia dimentica di qualche ciocca ribelle. Profumava di sole ed erba appena tagliata. Era troppo giovane per essersi presa cura di Lilith da bambina, ma la conosceva bene e l'amava come una figlia. Seppe leggere nel suo sguardo che c'era qualcosa che non andava, ma ebbe la riservatezza del silenzio, congedandosi dalle stanze della ragazza con un piccolo inchino.

Lilith, da parte sua, non pensò a nulla in quei pochi minuti se non al padre, rinchiuso come un mostro dietro sbarre di luce ed energia, lontano da lei. Forse lontano lo sarebbe stato comunque anche trovadosi al suo fianco, ma così era diverso.

Le domande che avrebbe voluto porgli volteggiavano sopra la sua testa, pronte a piombarle addosso da un momento all'altro, per questo era necessario che lasciasse stare il volumetto almeno per un altro po'. C'era qualcosa in quelle poche pagine che la obbligava a tenersi a debita distanza, la stessa forza che le aveva fatto girare la testa e provare le vertigini al solo sfioramento della copertina in pelle.
A mente lucida realizzò che non poteva essere altro che un incantesimo, restava solo da scoprire di chi. Fu molto più facile di quello che si aspettava.

Chissà per quale motivo non aveva visto l'incisione sul dorso del volumetto. Ora pareva risplendere di un bagliore identico a quello che le aveva avvolto le mani, ma di una curiosa tonalità verde. Stando ferma riuscì a vedere la scritta: si trattava di un alfabeto, molto probabilemente runico, formato da diverse lettere.Assottigliò gli occhi per vederci meglio, allungando anche la testa. Erano simboli, decisamente rune.

Le lesse e un brivido le attraversò la schiena: Diario di uno Jotun.





 

 



angolino autrice

Il mistero s'infittisce...
Un bacio,

Layla <3

Ps. Aspetto i vostri pensieri a cuore aperto :)

  
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