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Autore: _Trixie_    06/03/2014    13 recensioni
Quando un cuore si spezza, il mondo crolla lentamente in mille, piccoli pezzi, che non sei più in grado di mettere insieme.
Quando un cuore si spezza, non c’è nulla, che possa aiutarti a sopravvivere.
Quando un cuore si spezza, ogni speranza scivola via, lasciandoti impotente e sconfitta.
Ma, forse, quando un cuore si spezza, hai solo bisogno di ritrovarne l’altra metà, anche se questo dovesse significare attraversare quella sottile linea che divide la vita dalla morte.
[SwanQueen, lievi lievi spoiler terza stagione, seguito di “Quattro volte in cui Emma e Regina furono felici e la quinta in cui non lo furono”].
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Daniel, Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'This is your heart, can you feel it?'
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XII. Epilogo
Doveva solo essere un lieto fine
 
 
Foresta incantata
 
 
 
La brezza primaverile soffiava incessantemente, seppur con delicatezza, facendola rabbrividire.
Indossava solo una camicia da notte, del miglior tessuto in circolazione, certo, ma non sarebbe mai stata sufficiente a ripararla dal freddo.
Nulla, a dire il vero, sarebbe mai bastato a ripararla dal freddo, non se questo nasceva dal suo cuore.
Suo. Una definizione discutibile, considerando le ultime supposizioni.
Regina si strinse le braccia attorno al corpo, muovendo un passo avanti e rabbrividendo al contatto con la ringhiera del balcone, il freddo attraversò la sottile stoffa e si irradiò lungo la sua pelle.
Lanciò solo una fugace occhiata alla foresta sottostante, silenziosa e immobile, uno sterminato tappeto di guglie di legno e foglie,  interrotto qua e là da radure ampie e dalle forme irregolari, dove sorgevano piccoli paesi e anonime cittadine.
Si ricordò, un pensiero fulmineo e subito represso, che una volta tutto quello era stato suo. Un guizzo della mano e l’intero regno si inchinava di fronte a lei.
Era una sensazione inebriante e Regina sapeva che avrebbe potuto conquistare nuovamente quel potere, se solo lo avesse voluto.
Tuttavia non sarebbe mai stata disposta a cedere, in cambio, il prezzo richiesto, che faceva di lei una donna amata e in grado di amare.
Non che le rimanessero molte persone da amare. E quel vuoto altro non era se non l’eredità che scelte avventate le avevano lasciato.
Infastidita, cercando di cacciare dalla mente ricordi di una vita che non le apparteneva più, Regina alzò lo sguardo verso il cielo blu punteggiato di stelle scintillanti, scie luminose di luci bianche e figure nascoste in un ricamo di velluto.
Il vento leggero trasportò lontano il sospiro che sfuggì dalle labbra debolmente dischiuse.
C’erano cose che non cambiavano, né sarebbero mai cambiate.
Quel cielo, ad esempio.
Regina lo conosceva bene, era come una vecchia fotografia conservata con gelosia e affetto per anni. Persino a Storybrooke il cielo appariva identico a quello che stava osservando in quel momento.
E grazie alle ore trascorse ad osservarlo da bambina e fanciulla, sdraiata su alti e morbidi cuscini stesi con fatica di fronte alla vetrata della sua camera, Regina aveva imparato a capirlo e comprenderlo. I lenti moti degli astri, quelle traiettorie millenarie, che non conoscevano sosta né deviazione, erano sempre stati per lei motivo di conforto.
Con un semplice sguardo verso l’alto, Regina avrebbe potuto dire con assoluta certezza che periodo dell’anno fosse, il luogo nel quale si trovava e in quale direzione si stesse muovendo.
Dopotutto, il cielo sapeva dire, di una persona, molte più cose di quante una persona sola avrebbe potuto dirne di sé stessa.
Forse, proprio a causa delle risposte che il cielo sapeva dare a Regina, la Maledizione aveva risposto al desiderio della donna di non perdere quelle stelle e le aveva proiettate sul cielo di Storybrooke, tali e quali erano, con tutte le certezze che sapevano darle.
Al di fuori dei confini della città il cielo poteva anche essere diverso, lei non ne aveva idea. Non lo aveva mai visto.
Regina non aveva mai visto nulla oltre il suo mondo, una prigionia che le era stata inizialmente imposta, ma che poi aveva scelto.
Almeno, quella prigione la conosceva.
 
 
Storybrooke, qualche mese prima
 
L’aria era cambiata.
Non sapeva più di salsedine, né di sangue o bruciato.
L’aria sapeva solo di polvere e chiuso, un vago sentore dolciastro di mele accompagnato a quello di fiori appassiti.
Regina spalancò immediatamente gli occhi. Respirava affannosamente. Intorno a lei, lo scheletro di quella che riconobbe come una teca funebre mandava deboli e sinuosi bagliori dell’oscurità circostante.
Provò a mettersi seduta e sobbalzò appena quando qualcosa le graffiò la schiena. Piccoli cocci e frammenti le ricoprivano il corpo. Tastandoli con attenzione e cautela Regina capì che si trattava di vetro in frantumi.
Nonostante il dolore che infuriava nella sua testa e il vortice di pensieri, sensazioni e emozioni che vi turbinavano incessantemente, Regina capì immediatamente di essere viva e di essere tornata a Storybrooke. Dalle forme vaghe e indistinte attorno a lei e dal profumo, nascosto, ma ancora riconoscibile, sapeva di trovarsi nel suo mausoleo.
Sorrise ed un sospiro di sollievo tintinnò nel silenzio.
Si alzò a sedere di scatto, ignorando i piccoli taglietti che incisero la sua pelle, e riconobbe all’istante la figura di Emma, sdraiata immobile in una seconda teca.
I capelli biondi della ragazza mandavano deboli bagliori, dovuti sicuramente alla polvere di vetro che vi si era posata. 
Emma non si muoveva. E Regina aveva paura, paura che qualcosa fosse andato storto, di non aver preso la decisione giusta nel momento giusto, perché quella delle scelte sbagliate e del mancato tempismo era la storia della sua vita.
Il cuore di Regina iniziò a martellarle nel petto, sempre più veloce.
Un dolore acuto, una debole aritmia nel battito. Strumenti musicali che cercano di accordarsi l’uno al tempo dell’altro, onde che tendono a sincronizzarsi sulle medesime lunghezza e frequenza, ingranaggi che annaspano verso un moto perfettamente armonizzato.
E poi i polmoni di Emma si espansero alla ricerca d’aria e la sua schiena si inarcò violentemente verso l’alto.
«Emma!» chiamò Regina, toccando finalmente terra con i piedi e quasi buttandosi sul corpo dell’altra. Le gambe le dolevano, si sentiva così debole e stanca…
«Emma» disse di nuovo, questa volta la voce ridotta a un sussurro che sapeva di pianto. Se di sollievo o timore, perché ancora Emma non aveva parlato, Regina non avrebbe saputo dirlo.
Forse entrambi.
«Emma, Emma».
Regina appoggiò la testa sul petto della ragazza, di nuovo immobile e supina, cantilenando il suo nome.
Emma, Emma, Emma.
Fu il silenzio a colpirla.
Emma, Emma, Emma.
E poi, timidamente, un battito risuonò nelle orecchie di Regina.
Un altro, Emma, e un altro ancora.
Emma, Emma, Emma.
Il cuore di Emma batteva allo stesso ritmo di quello di Regina, ne imitava i battiti, le pause, il suono.
Regina sussultò appena e rise, come non rideva da molto tempo, non appena una mano gentile si posò tra i suoi capelli.
«Emma!»
La ragazza si mise lentamente a sedere, con cautela, guardandosi attorno con circospezione, senza mai togliere la mano dal viso di Regina.
«Il mausoleo. Siamo tornate» bisbigliò, gli occhi che si illuminavano di gioia mentre la comprensione si faceva strada dentro di lei. Regina annuì.
«Siamo tornate».
Emma si sporse con slancio verso l’altra donna, baciandone le labbra appena salate a causa delle lacrime. Sentì i muscoli nel corpo di Regina sciogliersi appena, le mani della donna afferrarle i fianchi e avvicinarla.
Si adattarono l’una al corpo dell’altra e interruppero con rammarico il bacio quando i polmoni reclamarono ossigeno.
«Ti amo, Regina Mills, io ti amo. Ti amo!» disse Emma, quasi urlando, stringendo tra le mani il volto della donna, che si era persa in quell’intenso verde che erano gli occhi colmi di speranza e di vita, di amore e di promesse, di Emma.
Regina rise, baciando di nuovo l’altra, ispirandone a fondo il profumo.
«Ti amo anche io, Emma Swan».
 
«È la fine di gennaio» disse Regina dopo qualche secondo, con il viso rivolto al cielo.
Emma, non aveva colto il significato di quelle parole, rapita dal modo in cui la luna illuminava la figura di Regina.
«Come?» domandò la giovane non appena si riscosse.
«È la fine di gennaio» ripeté Regina, spostando finalmente lo sguardo su Emma.
Si trovavano fuori dal mausoleo, che sembrava essere stato abbandonato da anni, e Emma non riusciva a spiegarsi perché si fosse risvegliata lì, e non nella loro camera da letto, dove si era addormentata.
«Oh, e da cosa l’hai capito?» domandò Emma, sorpresa, avvicinandosi alla donna e cingendole un fianco. Era un sentimento strano, quel continuo bisogno di contatto fisico.
Non che prima non desiderasse sentire il corpo di Regina vicino al suo, ma da quando si erano, per così dire, risvegliate, sembrava una necessità più vicina alla follia che alla razionalità.
«Dal cielo» rispose laconicamente Regina, volgendo di nuovo il viso verso l’alto. «Il cielo ha sempre molte risposte e purtroppo non mente mai».
«Purtroppo?» domandò Emma, confusa, prima che le sue orecchie percepissero un rumore di passi sul terreno gelido. Guardò nella direzione da cui proveniva il rumore e si mise istintivamente di fronte a Regina, la quale, pur mettendosi inizialmente sulla difensiva, si era rilassata.
«Emma, mi so difendere da sola. E comunque non c’è motivo di preoccuparsi, ora» disse Regina, afferrando l’altra per un braccio.
«Come puoi esserne certa? Potrebbe essere chiunque. C’è qualcosa di strano, qui».
«Hai ragione, ma si tratta solo di quell’idiota di Tremotino, quel sudicio bast-».
«Regina, vacci piano con gli insulti, la tua signora può sentirti!» la interruppe il signor Gold, la cui figura si delineò chiaramente non appena uscì da una zona ombreggiata e venne rischiarata dal chiaro di luna.
«Non avevi alcun diritto di fare una cosa del genere, Gold. E lo sai» disse Regina, alzando un dito accusatore verso Tremotino.
«Ma tutto è bene quel che finisce bene, non credi?»
«No, Gold, non credo affatto! Non avresti dovuto insegnarle nulla! C’è un motivo se la Magia non può riportare i morti alla vita, c’è un motivo se quello che hai consigliato a Emma di fare è contro natura, Gold! Se non mi fossi trovata in un limbo, ma nel Regno degli Inferi…»
«Ma fortunatamente non eri morta. Non nel senso letterale del termine, almeno» la interruppe Tremotino.
«Non potevi saperlo! Avresti distrutto questo mondo!» urlò Regina, come se stesse parlando con qualcuno di molto più ignorante in fatto di Magia di quanto lo fosse il signor Gold.
«Oh, andiamo, Regina. Se Emma ti avesse raggiunto negli Inferi tu non le avresti mai permesso di recitare quell’incantesimo, l’avresti convinta a tornare da Henry. Volevo solo-»
«Cosa?» si intromise Emma. «Se si fosse trovata negli Inferi non avrei potuto salvarla? Mi hai preso in giro?! Ma a che razza di-»
«Tempo» disse Tremotino, alzando un mano in aria come per fermarle. «Volevo dare a Regina il tempo di spiegare la ragione del suo comportamento e a te quello di accettare un’eventuale perdita. E poi, mi erano giunte notizie di questa Euridice e del suo strano… come l’hai chiamato? Limbo? Più che altro è una dimensione intermedia o, meglio, un’interferenza tra il nostro mondo e quello degli Inferi. Ora, comunque, le anime dei cuori spezzati cadranno immediatamente nelle mani di Ade. Non che ci sia da lamentarsi, pare che lì non ci sia mai questo genere di freddo».
Regina, gli occhi ridotti a due fessure, fece schioccare la lingua pericolosamente, mentre Emma aveva uno sguardo minaccioso.
«Ad ogni modo, signore, bentornate» sorrise amabilmente Gold. «Purtroppo, i vostri problemi non sono finiti. L’hai già capito, vero, Regina?»
La donna annuì, mentre Emma spostava il proprio sguardo, ora confuso, sull’altra.
Il signor Gold si lasciò sfuggire un sospiro malinconico.
«Oh, ho sempre trovato affascinante questa tua predisposizione all’astrologia, mia cara».
 
«Sette anni».
La voce di Emma sfumò nel salotto debolmente illuminato del signor Gold e di Belle.
«Sono passati sette anni».
Belle annuì, stringendo con tenerezza la mano della ragazza per un momento.
Regina si alzò in piedi. Sembrava sul punto di distruggere qualcosa, qualsiasi cosa, ora che la rabbia, che aveva continuato a crescere mentre Gold e Belle raccontavano loro cosa era successo durante la loro assenza, e quanto tempo era passato, aveva raggiunto il limite di sopportazione della donna.
L’aveva capito subito, nel momento esatto in cui aveva scrutato il cielo, che doveva essere passato molto tempo. Ma aveva deciso di ignorarlo, pensando che, dopotutto, poteva anche essersi sbagliata.
Gold, però, non poteva sbagliarsi.
Gli occhi dei presenti erano tutti puntati su Regina, ma l’unico sguardo di cui alla donna importava era quello di Emma, ferito quanto il suo.
Perché sapevano entrambe che sette anni erano davvero tanti.
E che per sette anni, il loro unico figlio, Henry, era stato costretto a crescere senza di loro.
Ma soprattutto che avevano fallito come madri e lo avevo costretto a sentirsi orfano, come loro si erano sentite.
Regina strinse le mani a pugno e il vaso accanto a lei esplose.
Belle sussultò e lanciò un urlo strozzato, mentre Emma e Gold si limitarono a chiudere gli occhi ed esalare il respiro che avevano trattenuto.
Regina aveva rilasciato quella Magia in eccesso, nel suo cuore, che avrebbe potuto fare danni ben maggiori di un vaso rotto.
«Scusate» mormorò appena, stringendo la mano che Emma le porgeva.
Ma nessuno poté rispondere alla donna.
«Mamma?»
Regina e Emma si voltarono di scatto verso il nuovo arrivato, per ritrovarsi di fronte un piccolo ometto dai capelli ramati che trascinava dietro di sé un orsacchiotto.
«Aiden» sorrise Belle, alzandosi e prendendo in braccio il piccolo, che nascose il viso nell’incavo del collo della ragazza. «Non essere timido, su».
«Lui è..?» chiese Emma, guardando Gold.
«Nostro figlio, sì» concluse l’uomo, mentre Belle riprendeva posto accanto a lui con Aiden tra le braccia.
«Oh… insomma… congratulazioni» balbettò Emma, mentre Regina si limitava ad osservare il bambino con tenerezza. Ma c’era qualcosa, nel suo sguardo, che Emma stentò a comprendere.
Anche il signor Gold sembrò notarlo e, quando incrociò lo sguardo di Regina, annuì. La donna sembrò rilassarsi visibilmente. A Emma quest’intesa non fuggì, ma decise di non fare domande, almeno per il momento.
«Loro sono Emma e Regina, tesoro» stava dicendo Belle, nell’orecchio del piccolo. «Sono le mamme di Henry».
Aiden non rispose e Emma e Regina si limitarono a sorridere.
«Anche Henry era molto timido, a quell’età» commentò Regina. «E mi piacerebbe conoscere meglio Aiden, ma dobbiamo andare da nostro figlio. Questa storia è durata fin troppo».
«Ruby ha un fagiolo. Per i casi di emergenza. Vi accompagnerò da lei» disse Gold, alzandosi in piedi. «Voi provate a dormire, d’accordo?» aggiunse l’uomo, guardando moglie e figlio.
Belle annuì, mentre Aiden, finalmente, si mosse tra le braccia delle donna solo per chiedere silenziosamente un bacio a Gold, che l’uomo fu ben felice di dargli sulla guancia morbida.
«Buonanotte».
«’Notte» rispose in un sussurro il bambino, prima di nascondere velocemente il viso nel collo di Belle.
«Bene, signore, andiamo» annunciò Gold, dirigendosi verso la porta preceduto da Emma e Regina.
Non appena il piccolo Aiden udì la serratura scattare, guardò Belle negli occhi.
«Sentito, mamma?»
«Cosa, tesoro?»
«Un cuore non c’era».
 
 
Foresta Incantata
 
Regina non si era nemmeno accorta di quelle lacrime che scivolavano silenziose lungo il suo volto.
Stringeva convulsamente la ringhiera tra le mani, tanto che le nocche rilucevano di un bianco più puro dell’avorio.
E nel suo animo si agitavano ricordi e emozioni che credeva di aver sepolto, turbinando in un vortice confuso, un tornado di pensieri privi di tempo e spazio, che si contaminavano l’un l’altro, facendo perdere a Regina il senso di una realtà che faceva ogni giorno più male.
 
 
 
Foresta Incantata, quarantanove anni prima
 
Fu la prima volta in cui pensò che, dopotutto, si trattava solo di cadere, cadere per qualche secondo, e poi aspettare che il cuore smettesse di battere.
Si era avvolta in un mantello pesante, nonostante l’aria notturna di quell’estate non giustificasse affatto il freddo che provava. E comunque, quel mantello era appartenuto a Daniel. Se chiudeva gli occhi ne sentiva ancora il profumo e poteva anche fingere che lui, il suo Daniel, fosse ancora accanto a lei.
I suoi piedi, nudi, avevano lasciato un sentiero di impronte sul pavimento di marmo del balcone e attorno a lei cadeva, come grosse e rade gocce di pioggia, l’acqua che scivolava lungo i suoi capelli sciolti e il suo corpo nudo, andando a colpire violentemente il terreno.
Alcune di quelle gocce erano lacrime.
Sii una buona e brava moglie, Regina, in tutto e per tutto, e governerai il re, non solo il regno, le aveva detto sua madre.
E lei, durante la sua prima notte di nozze, non aveva saputo fare altro se non quello, essere una buona moglie, e lasciare che Re Leopold ottenesse ciò che desiderava.
Non era stato violento e non era stato insistente, anzi. Sembrava sinceramente interessato a Regina, allo stato d’animo della ragazza, al suo volere.
Sii una buona e brava moglie, Regina, in tutto e per tutto, diceva Cora, in continuazione, nella sua testa.
Ma alla fine Regina non aveva saputo fare altro se non sdraiarsi in un letto troppo grande e freddo, cercare un luogo sicuro, nella sua testa, dove rifugiarsi, e fingere.
Quando Leopold aveva lasciato la sua stanza sorridendole e baciandole la guancia come se non ci fosse nulla di sbagliato, in tutto quello, nulla di raccapricciante e sporco, Regina era balzata fuori dal letto e aveva chiamato le cameriere perché le preparassero un bagno.
Si era immersa nell’acqua fredda, non aveva avuto la pazienza di aspettare che venisse scaldata, e poi le aveva cacciate brutalmente.
Sii una buona e brava moglie, Regina, in tutto e per tutto, diceva sua madre e ora lei si ritrovava sospesa.
Cadere.
Penseranno a una tragica fatalità. Il pavimento bagnato e la disattenzione, e il regno sarà di nuovo senza una regina.
E governerai il re, non solo il regno.
Quella fu la prima delle tante notti in cui Regina si addormentò accanto alla ringhiera del proprio balcone, solo un mantello a coprirla, mentre il mondo continuava a girare senza sosta, mutando e rinnovando le proprie forme, e il cielo rimaneva immobile sopra di lei. E se uno poneva solo domande, l’altro aveva risposte inadeguate.
E nulla e nessuno aveva conforto per lei.
 
 
 
Foresta Incantata
 
Si era sdraiata a terra, supina, il cielo sopra di lei che seguiva impercettibilmente il proprio corso.
Era confusa. Il passato e il presente si confondevano, sovrapponendosi l’un l’altro, ma il dolore era lo stesso.
C’era un vuoto, nel suo cuore.
E non si era nemmeno accorta dell’arrivo della ragazza se non quando Emma si era sdraiata accanto a lei, stendendo su entrambe una coperta bianca.
Regina ruotò lentamente la testa nella direzione della ragazza, trovandone gli occhi chiari e scrutando in essi.
«Torna dentro o ti ammalerai» disse.
«Meglio questo che sentire la tua mancanza in quel letto» rispose Emma, voltandosi per osservare il cielo. Sotto la coperta, la giovane cercò la mano di Regina e la strinse.
Emma aveva perso il conto delle notti in cui si era svegliata e si era trovata sola, a letto, e nonostante da lì riuscisse a vedere chiaramente Regina in piedi accanto alla ringhiera o sdraiata a guardare il cielo, Emma non riusciva comunque ad addormentarsi, senza la donna accanto.
All’inizio, per qualche notte, aveva resistito all’impulso di raggiungerla, temendo di disturbarla. Evidentemente, Regina aveva bisogno di tempo e spazio.
E per quanto sarebbe durato, il bisogno di Regina, Emma non ne aveva idea.
Ma una notte aveva preso la coperta e si era accoccolata accanto a Regina, scaldando l’altra con il calore del proprio corpo. Erano rimaste in silenzio fino all’alba e Emma non si era nemmeno accorta di come Regina si fosse addormentata appoggiata alla sua spalla.
Così, era diventata una routine. E avevano iniziato a parlare.
Regina le stava insegnando a capire il cielo, come diceva sempre, ma Emma non riusciva ad essere intuitiva e attenta quanto lei. In ogni caso, amava sentire la voce della donna parlare di stelle e seguire la linea affusolata del braccio di Regina, che tracciava linee immaginarie tra gli astri.
Spesso finivano persino con il fare l’amore, così, sotto le stelle. E Emma ringraziava chiunque avesse costruito quel castello per la riservatezza che l’altezza offriva.
Comunque, quelle erano le uniche occasioni in cui, in qualche modo, riuscivano a dimenticare il dolore sordo delle loro anime.
Una sofferenza continua e incessante.
«Domani pioverà» disse Regina, strappando Emma ai suoi pensieri.
«Come lo sai?» domandò la ragazza, girandosi verso la donna e puntellandosi su un gomito, in modo da sostenere la testa.
«Non lo senti?»
Regina la guardò a sua volta, facendo un gesto vago con la mano libera.
Emma scosse la testa.
«Questo profumo, Emma. L’aria profuma di tempesta».
 
 
Storybrooke & Foresta Incantata, qualche mese prima
 
«Non ho mai incontrato un bambino come tuo figlio» disse Regina, mentre si dirigevano verso l’auto di Gold.
«Oh, no, non credo proprio, cara. Ma io sì. L’intensità della Magia che sprigiona… Se la memoria non mi inganna, tu non eri da meno alla sua età» rispose l’uomo.
«Cosa?» domandò la donna, confusa e colpita.
«La tua Magia era ben diversa, te l’assicuro. Il tipo di Magia che mio figlio possiede, comunque, è identico a quello della signorina Swan».
«Cosa?» disse Emma, con le stesso tono usato da Regina.
«Gold, cosa sai veramente di tuo figlio?»
«Ogni cosa a tempo debito, mia cara» tagliò corto il signor Gold, sbattendo violentemente la portiera dell’auto e avviando il motore.
 
Era stato difficile convincere Ruby.
Sembrava non voler credere ai propri occhi, sembrava che sospettasse Gold di qualche tiro mancino e che non si fidasse delle parole dell’uomo o delle tue donne.
Solo dopo quelle che a Emma e Regina parvero ore, Ruby si convinse finalmente che si trattava davvero di loro e che erano tornate sane e salve.
In tutto quel tempo, Regina aveva perso la pazienza più volte, ma, con gran sorpresa di Emma, non aveva mai minacciato la ragazza lupo, né a gesti né a parole.
Dopotutto Ruby le stava tenendo lontane da Henry e Emma stessa sentiva dentro di sé uno strano impulso, così estraneo al suo cuore, che la spingeva a schiaffeggiare Ruby ogni qual volta rimaneva in silenzio ad osservarle, indecisa sul da farsi.
Infine, Ruby aveva acconsentito ad aprire il portale verso la Foresta Incantata usando il fagiolo magico che Biancaneve le aveva affidato.
Il signor Gold, con un sospiro, era finalmente tornato a casa dalla sua famiglia. Inaspettatamente, aveva stretto il braccio di Regina e, affiancandola, le aveva sussurrato parole veloci nell’orecchio. La donna aveva accennato un sorriso, prima di annuire, ma non aveva detto nulla e Emma decise di non indagare in quel momento.
Alla ragazza lupo era servito altro tempo, troppo, a parere di Emma e Regina, per parlare con Granny che raggiunse le nuove venute, spinta dal desiderio di riabbracciare Emma.
Principessa, l’aveva chiamata. E, sentendosi etichettata in quel modo, Emma non poté trattenersi dal rabbrividire.
«Immagino che Biancaneve ora governi il regno che fu di suo padre» commentò con tono neutro Regina.
Granny aveva annuito.                  
«E chi amministra Storybrooke?» domandò Regina, guardando impaziente la porta dietro la quale Ruby era sparita qualche minuto prima, dovendo prelevare il fagiolo magico dal suo nascondiglio.
«Un consiglio eletto e nominato dal re e dalla regina» spiegò l’anziana donna con evidente orgoglio. Era chiaro che lei ne facesse parte.
La comprensione di Emma ci mise qualche secondo per maturare e rendere chiaro che i regnanti cui Granny si stava riferendo non erano altri che i suoi genitori.
Regina sembrò sul punto di dare una risposta tagliente, ma l’arrivo di Ruby mise fine alla discussione e Emma gliene fu immensamente grata. Per quanto ne sapeva lei, Regina, essendo ancora in vita, rimaneva la legittima sovrana e Emma sperò che non si mettesse in testa di riprendersi il trono, perché altrimenti sarebbero sorti nuovi e complicati problemi.
Inoltre, per quel poco che Emma conosceva di araldica e successioni al trono, non era più nemmeno tanto sicura che la prossima in linea di successione fosse sua madre. Non sapeva nulla delle leggi della Foresta Incantata, ma nel caso in cui la successione dinastica privilegiasse i figli maschi, allora Henry, in quanto figlio maschio di Regina, avrebbe avuto diritto al trono.
D’altro canto, Henry era anche figlio di Emma e, in quanto tale, nipote di Biancaneve e la giovane non era sicura dell’eventuale presenza di clausole in caso di adozione di un erede.
In ogni caso a Emma non importava nulla, di successioni, principesse o re.
Le importava di Henry e di Regina. Le importava di suo figlio e della donna che amava. E tutto il resto era secondario oltreché superfluo. I suoi genitori potevano continuare a tenersi il loro regno fino a quando lei avesse avuto la sua famiglia.
Scattò verso Ruby non appena la ragazza lupo mostrò il fagiolo tra le dita lunghe e affusolate, che a Emma ricordarono la forma di artigli.
Regina la affiancò e le strinse la mano.
Entrambe guardarono Ruby e annuirono.
«Sarò di ritorno il prima possibile, nonna» disse la ragazza lupo, un istante prima di gettare il fagiolo a terra e aprire un portale nel quale le tre donne scomparirono.
 
I problemi erano iniziati nel momento esatto in cui le porte del castello si erano aperte per farle passare. I nani di guardia, tra cui Leroy, non sembravano particolarmente entusiasti di vedere Regina, ma la presenza di Emma li aveva rincuorati.
Biancaneve e il Principe erano nel cortile d’ingresso pronti ad accoglierle e Emma si sentì soffocare dall’abbraccio dei genitori, coperti solo da un mantello pesante sopra la camicia da notte, quando la strinsero a loro.
Biancaneve singhiozzava senza sosta e David si tratteneva a malapena, ma a nessuno importava, perché Emma era tornata.
Oscillando tra il pianto e i sorrisi, Biancaneve chiedeva in continuazione alla figlia cosa fosse successo e perché ci avesse messo così tanto, prima di balbettare che per questo ci sarà tempo dopo. Ma dopo un nuovo singhiozzo, o forse un grido di gioia, Biancaneve chiedeva di nuovo spiegazioni e poi  si scusava dicendo che l’importante era che Emma stesse bene e che fosse tornata. E di nuovo singhiozzava e sarebbe andata aventi all’infinito, con questa litania, se Leroy non fosse intervenuto, consigliando loro di rifugiarsi nel castello, perché le notte era fredda e le nuove arrivate, coperte da indumenti leggeri, rischiavano di ammalarsi.
Biancaneve annuì vigorosamente, lasciando che Ruby, dopo uno sguardo di intesa lanciatole da Leroy, la prendesse sotto braccio guidandola verso la porta del castello. La regina, comunque, non lasciò mai la presa dal braccio di Emma.
David alzò gli occhi su Regina, che fino a quel momento era rimasta un passo indietro rispetto a Emma.
E Regina stava già per dire che avrebbe lasciato quel castello e persino il regno, se loro avessero voluto, ma che almeno le permettessero di vedere suo figlio, quando David le sorrise.
Stupita, la donna ricambiò istintivamente e il principe, no, non il principe, il re, le porse il braccio.
In quel momento Emma riuscì finalmente a divincolarsi da Biancaneve e raggiunse Regina, passando accanto al padre senza notare quel braccio sospeso e afferrò la mano dell’altra, sorridendole.
David si avvicinò alla moglie, rimasta incantata di fronte al comportamento della figlia, e le cinse le spalle con un braccio.
«È tornata» le sussurrò l’uomo.
«Ed è davvero innamorata di-».
«Tesoro, ti prego. L’hai detto anche tu. Per questo ci sarà tempo, ora pensiamo solo al fatto che sia tornata e che sta bene. Che entrambe le madri di nostro nipote stanno bene» disse David, muovendo il passo e guidando la donna dentro il castello, dove Emma e Regina erano già sparite.
«Hai ragione» commentò risoluta Biancaneve, accelerando il passo, prima di fermarsi nuovamente. «Ma, David, davvero nostra figlia e Regina st-»
«Stanno andando da Henry e sarebbe meglio precederle prima che a nostro nipote venga un attacco di cuore» tagliò corto l’uomo, trascinando di peso la donna sulla scia della figlia e di Regina.
Ruby e Leroy, dietro di loro, chiusero la porta del castello.
 
Henry era sveglio.
Aveva sentito degli schiamazzi nel cortile e, a giudicare dal cielo, era quasi l’alba, ma non si era alzato per controllare cosa stesse succedendo.
Forse, i nani avevano alzato un po’ troppo il gomito. A volte succedeva.
E poi aveva altro a cui pensare.
Da ore si girava e rigirava nel letto, il pensiero del calore sprigionato dai ciondoli con i ritratti di Emma e Regina lo tormentava.
Per quale motivo era accaduto proprio quella notte? Era successo qualcosa?
O, forse, la magia che in qualche modo vi era conservata si era semplicemente esaurita, producendo quell’ultimo bagliore di luce e calore, prima di trasformare le collane in due semplici e anonimi anelli di metallo?
Henry non ne aveva idea e non aveva il coraggio di controllare, aprendo di nuovo quel carillon.
E così rimase lì, sdraiato nel suo letto, fino a quando un lieve bussare alla sua porta lo fece sussultare.
 
«Cosa?! Voglio vedere mio figlio!»
Regina era sconvolta e Emma poteva capirla.
Condividevano, entrambe, una rabbia e uno sconcerto che mai in vita loro avevano provato.
«Regina, Henry non-»
«Cosa gli hai detto? Gli hai detto che siamo tornate, che siamo vive e stiamo bene?» intervenne Emma, afferrando il braccio che Regina aveva alzato e cercando di rimanere calma. Ma dentro di lei la rabbia ribolliva.
Biancaneve annuì e questa volta fu David a parlare.
«Ha detto che ormai è cresciuto e che…» l’uomo esitò, guardando la moglie.
«Cosa ha detto?» incalzò Regina.
Biancaneve scosse la testa e David sospirò.
Devono provare a capirlo, mimò con le labbra, guardando la moglie.
«Capire cosa, esattamente?» domandò Regina, cogliendo il messaggio di David.
Emma guardò suo padre, poi spostò lo sguardo su Biancaneve.
C’era una supplica, in quegli occhi, una richiesta di aiuto così dolorosa, che l’anima di Biancaneve pianse quella sofferenza.
«Ha detto... Ha detto che potete tornare da dove siete venute. Che non ha bisogno di una madre, che è cresciuto, senza di voi, e che può continuare a farlo come ha sempre fatto. Henry ha detto…» le parole di Biancaneve si tramutarono in singhiozzi e la donna abbassò lo sguardo, incapace di sostenere quello della figlia.
«Henry ha detto che lo avete abbandonato. E che non forse non riuscirà a perdonarlo, di nuovo. A nessuna delle due» concluse David, con tono tetro.
«No…» fu il bisbigliò che sfuggì alle labbra di Emma. «No!»
La ragazza stava per fare un passo avanti, il volto contratto dalla rabbia, ma Regina la bloccò, stringendola a sé.
Lei, Regina, era già passata attraverso tutto quello.
Non era la prima volta che suo figlio la rifiutava e la respingeva. E per quanto male facesse, per quanto dolore provasse, in quel momento, sapeva che la cosa migliore da fare era lasciare che Henry accettasse il loro ritorno.
Si era sentito abbandonato. E tanto Emma quanto Regina sapevano quanto potesse essere orribile.
«Lasciami! Voglio vedere mio figlio» urlò Emma, cercando di divincolarsi.
Ma Regina non allentò la presa e pregò che non fosse necessario ricorrere alla magia. Non l’avrebbe mai detto, ma quando incrociò lo sguardo di Biancaneve, vi vide uno specchio.
Stavano soffrendo, amando le stesse persone.
E Regina pensò quanto fosse crudele che ad unire quella che avrebbe potuto essere una famiglia, una famiglia vera, fosse sempre e solo il dolore.  
«Emma, Emma» diceva ogni tanto, Regina, senza alzare la voce. «Emma, tesoro, ti prego… Emma».
«Voglio vedere mio figlio» singhiozzava la ragazza. «Portatemi Henry, voglio… voglio vederlo».
Emma non urlava più.
Emma lasciava che a sostenerla fosse Regina, perché i singhiozzi erano così violenti da non lasciarle le forze di fare altro.
Aveva abbandonato suo figlio, di nuovo.
Lo avevano fatto entrambe, aveva ferito di nuovo Henry, allo stesso modo in cui loro erano state ferite.
Erano un fallimento. Lei era un fallimento.
«Voglio vedere Henry. Portami da Henry, Regina, portami da nostro figlio, Regina. Regina, ti scongiuro».
Dagli occhi di Regina scivolarono grandi e grosse lacrime.
«Emma…»
«Non volevo fargli del male. Voglio vedere Henry» ripeté Emma, come se Regina le stesse vietando di vedere suo figlio.
«Lo so, ma non possiamo, Emma, anche io vorrei, ma non…»
Regina non aveva più la forza di parlare e le gambe iniziavano a cederle.
Guardò David e Biancaneve, pietrificati dal dolore, chiedendo aiuto con lo sguardo. Non l’avrebbe mai fatto, se fosse stato per lei. Ma non si trattava solo di sé stessa, si trattava anche di Emma. E per Emma avrebbe fatto tutto.
Biancaneve annuì e si avvicinò cautamente alla figlia.
«Emma» la chiamò, ottenendo l’attenzione e uno sguardo supplichevole dalla figlia. «Emma, andiamo a dormire. Domani…»
«No. Io voglio vederlo ora, ti prego, mamma».
Biancaneve non rispose.
Afferrò un braccio di Emma e lasciò che Regina sorreggesse la ragazza per i fianchi.
«Nella… nella tua vecchia camera. Può andare bene?» bisbigliò Biancaneve, guardando Regina, che si limitò ad annuire.
«Vado… io… accendo il fuoco» disse David, superando le tre donne e incamminandosi, quasi correndo, in quella che era stata la vecchia stanza di Regina.
Fu con molta fatica che Biancaneve e la sua matrigna riuscirono ad adagiare Emma a letto, mentre la ragazza ripeteva in continuazione il nome di Henry e, ogni volta, Regina sapeva che non era solo la voce della donna che amava a riecheggiare nei corridoi del castello, ma anche la sua.
 
Prima di lasciare la figlia, Biancaneve e David avevano atteso che Emma si addormentasse. Dalle sue labbra, comunque, scivolava in continuazione il nome di Henry, riempiendo la stanza di sussurri e stille di dolore.
«Se ha bisogno di qualcosa mandami a chiamare» disse infine Biancaneve, quando Regina accompagnò i regnanti alla porta perché potessero dormire almeno qualche ora.
Regina si limitò ad annuire, sotto lo sguardo indagatore di Biancaneve.
«In ogni caso, per qualsiasi cosa, mandami a chiamare. E non…» la giovane donna esitò, prendendo un profondo respiro. «Non lasciarla sola, per nessun motivo. Per favore, Regina, ti chiedo solo questo, prenditi cura di lei».
Anche questa volta, seppur dopo una lunga pausa, Regina si limitò ad annuire alle parole concitate di Biancaneve.
Questa annuì e fece per allontanarsi, abbracciata dal marito, quando sembrò ricordarsi improvvisamente di qualcosa.
«Anche per te» disse esitante. «Voglio dire, se tu hai bisogno di qualcosa… Mandami a chiamare».
Gli occhi di Regina si riempirono di nuove lacrime, nonostante credesse di averle ormai esaurite, e, di nuovo, annuì.
La porta si chiuse.
E Regina scivolò a terra, piangendo il nome di suo figlio.  
 
 
Foresta Incantata
 
Emma si chiedeva sempre se Henry guardasse lo stesso cielo che lei e Regina si ostinavano a scrutare ogni notte. O se, almeno ogni tanto, pensasse a loro con affetto.
A volte passavano del tempo insieme, Henry, Emma e Regina, ma le donne sentivano quanto forte fosse l’astio e il risentimento che il giovane provava nei loro confronti, nonostante lui provasse a superarlo e nasconderlo.
Provava a perdonarle, ogni secondo della sua vita, e questo loro lo sapevano, ma non era facile.
«Mia madre dice sempre che ha il tuo stesso modo di aggirarsi nel castello» disse Emma, dopo qualche minuto di silenzio. «Quando eri giovane, intende»
Regina sorrise. Sapeva che l’altra stava parlando di Henry.
«Giovane? Guarda che sono ancora giovane, mia cara» specificò Regina. «E che genere di modo sarebbe, il mio?»
«Leggero. Elegante. E… attento. Dice che conosce tutti, nel castello, indipendente dall’età o dal ruolo che occupano» spiegò Emma, ricordando le parole della madre. «Ma anche che ha il tuo sguardo… lo sguardo di chi ha perso ogni cosa».
L’altra non rispose, continuò a guardare il cielo sopra di lei.
«Un giorno ci perdonerà, Emma» disse Regina.
«Ci credi davvero?»
«Sì».
«Il nostro doveva solo essere un lieto fine».
«Lo sarà, Emma. Te lo prometto».
 
 
 



NdA
Ultimo capitolo.
Leggermente più lungo rispetto ai precedenti e ho anche considerato l’ipotesi di spezzarlo, ma… no, meglio tutto insieme.
Allora, le nostre donne sono tornate, sane e salve, ma non è stato un rientro facile.
Henry non è facile da gestire.
Per non parlare degli altri problemi che sembrano sorti, come il figlio di Tremotino, che è abbastanza inquietante anche per me, lo ammetto!
Comunque, i programmi sono di scrivere una terza storia e concludere tutte le questioni in sospeso :D O aprirne altre… u.u
 
E forse non è esattamente un lieto fine, questo finale, ma considerando che la storia precedente si è conclusa con la morte di Regina, qui c’è stato un bel miglioramento! Sono tutti vivi u.u
Insomma, il punto è che spero di rimanere viva per scrivere il seguito di questa storia (Dopey, mi rivolgo a te in modo particolare), e che vi sia piaciuta.
E grazie ai magnifici recensori e ai lettori <3
Spero di rivedervi presto con il seguito,
 
Trixie.

P.S. Avete presente quel pezzo in cui si dice che “spesso finivano persino con il fare l’amore, così, sotto le stelle”, ecco, potrei avere in programma di scrivere la cosa nei dettagli u.u
Così, giusto per farmi ancora più male! 
13.08.2014 - Finalmente sono riuscita a pubblicarla: Il buio, le stelle e ogni altra cosa :D
   
 
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