Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: mikchan    07/03/2014    3 recensioni
*SEQUEL DI LIKE A PHOENIX*
Il tempo passa, la vita continua e i brutti ricordi diventano passato. Per tutti è così, anche per Amanda, giornalista in carriera, sfruttata dal suo capo, in crisi con se stessa e con i sentimenti che prova per il suo ragazzo e in cura da uno psicologo. Tutto questo, e Amanda lo sa, è dovuto proprio a quel passato che non l'ha abbandonata, alla perdita delle cose più importanti che avesse al mondo. Ma il passato ritorna, sempre, e per Amanda si ripresenta in una piovosa giornata invernale.
Saprà il suo passato darle un'altra opportunità, oppure è davvero tutto finito?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Like a Phoenix'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Image and video hosting by TinyPic

23- FUTURE

"Un appuntamento a quattro?".
"Mhm, mhm", lo sentii mormorare dall'altro capo del telefono.
Mi accigliai. "Non sei un po' cresciuto per gli appuntamenti a quattro? Tra un po' dovrai organizzarne a tuo figlio".
"Non parlarmene che si è già fatto la fidanzatina all'asilo. Sono così orgoglioso", gongolò.
Scossi la testa, sorridendo. "Alex, non so se è...".
"Alt, non dirlo", m'interruppe. "È un'idea grandiosa fondamentalmente per tre motivi: non ci vediamo da mesi, tra poco partorisci e non avrai nemmeno più tempo per te stessa e Lisa mi stressa perché vuole passare del tempo con te".
"Possiamo andare a prendere un caffé un pomeriggio. Non capisco perché organizzare addirittura una cena in un ristorante", riabattei.
"Lo sai che mi piacciono le cose in grande", disse Alex. "Ti prego".
"Non lo so, devo parlarne con Adam che in questo momento non...".
Il rumore della chiave nella toppa interruppe la mia frase e mi ritrovai a sospirare. Tempismo perfetto.
"Ciao amore", mi salutò Adam, entrando in casa, scrollandosi dal cappotto le gocce di pioggia fuggite all'ombrello.
"Ciao", ricambiai il saluto, ritrovandomi a sorridere quando mi raggiunse veloce, regalandomi un bacio.  
"Come sta il nostro ometto oggi?", mi chiese poi, dando una carezza al pancione.
Sbuffai. "Irrequieto, fin troppo".
"Vuole uscire a giocare con il suo papà".
"Ti ricordo che mancano due settimane, paparino".
"Lo so, ma non vedo l'ora di conoscerlo".
"Amanda! Sei ancora viva?". La voce di Alex attutita dalla cornetta mi riportò alla mia chiamata.
Riavvicinai il telefonino all'orecchio. "Sì, sono viva", sospirai. Odiavo quando Alex insisteva in quel modo, sopattutto perché non sapevo dirgli di no.
"È arrivato Adam?", mi chiese.
Mormorai un sì, guardando Adam sfilarsi il cappotto e guardarmi curioso.
"Chi è?".
"Mio fratello", risposi. "Vuole che usciamo a cena, sabato sera. Convincilo a rimandare".
"Mandy, sai che se non ti va di uscire nessuno ti obbliga", mi disse tranquillo, accarezzandomi la testa.
Sbuffai. "Lo so. Ma non è per quello. Mi fa piacere vedere Alex e Lisa, ma non mi va di andare in un ristorante", spiegai.
"Dillo a tuo fratello", disse semplicemente. "Li invitiamo a cena".
Scossi la testa. "Ha detto che vuole offrirci una cena come si deve in un bel posto, per festeggiare la nascita del bambino".
"Casa nostra è un bel posto", ribatté.
"Prova a spiegarglielo", mugugnai.
"Mandy!", mi sentii richiamare e sbuffai di nuovo.
"Io vado a farmi una doccia", disse Adam. "Decidi tu cosa fare, okay?", concluse, lasciandomi con un bacio sulla fronte e una carezza al pancione.
Io riavvicinai la cornetta all'orecchio. "Anche Adam ha detto che potete venire anche qui, non è un problema".
"E, dai, sorellina. Voglio farti un regalo, lasciati convincere".
Sbuffai. "Non puoi regalarmi un libro o un braccialetto?", mi lamentai.
"No, ti porto fuori a cena".
"Va bene, veniamo", mi arresi. "Però non prenotare tanto tardi, altrimenti poi dovrai sopportare tu tutte le mie lamentele, intesi?".
"Per le sette, va bene?".
"Meglio che niente", gli concessi.
"Ti adoro, Mandy. Ci vediamo sabato sera alle sette, allora".
"Fratello manipolatore", mugugnai. "Ci vediamo".
Ci salutammo e chiusi la chiamata, lasciando cadere il telefono al mio fianco, tra i cuscini del divano. Parlare con Alex era sempre estenuante, soprattutto quando voleva convincermi a fare qualcosa, come quella sera. Ma, in fondo, lo adoravo troppo per rifiutargli un favore e lui lo sapeva bene.
A fatica mi misi in piedi, facendo scorrere come ogni volta lo suardo sul mio corpo. Il seno si era ingrossato parecchio e ormai il pancione era cresciuto fino al suo limite, segno che presto il nostro bambino sarebbe nato. Mancavano due settimane alla data prefissata, ma a parte qualche dolorino ogni tanto, non c'era stato ancora alcun segno dell'arrivo di quel birbante. Allungai lo sguardo, ma come da qualche mese a quella parte, non riuscii a vedermi i piedi. Mi chiesi distrattramente se prima o poi sarei riuscita di nuovo a toccarmi i miei adorati piedini, che in quel momento erano doloranti e gonfi come mongolfiere.
Lentamente, mi diressi verso la cucina, mettendo la pentola con l'acqua sul fornello e iniziando a preparare la cena. Malgrado quello che Adam pensava, non mi dispiaceva occuparmi di quel piccolo rituale ogni sera. Mi rilassava, soprattutto se anche lui era con me e mi aiutava e mi sentivo utile, visto che il resto delle faccende erano diventate competenza di Adam, non di certo per mia scelta, quasi più per obbligo. In fondo, con il pancione e tutto il resto era diventato difficile lavare il pavimento o stendere i panni, ma Adam non si lamentava di quel lavoro in più e, in un certo senso, non mi dispiaceva vederlo sgobbare mentre io ero svaccata sul divano. Era una specie di vendetta preventiva per quello che sarebbe venuto dopo, con il bambino e tutto il resto.
"Cosa ha detto tuo fratello?", mi chiese entrano in cucina.
Mi voltai, sorridendo e arrossendo un poco. Nonostante il tempo passato non mi ero ancora abituata a vederlo girare a petto nudo, soprattutto con quei capelli bagnati e le goccioline che scendevano lente lungo la sua pelle. Nell'ultimo periodo ero diventata molto suscettibile da quel punto di vista e bastava un nonnulla per accendermi gli ormoni. "Mi sono lasciata convincere", dissi schiarendomi la voce.
"Quindi?".
"Quindi sabato sera mangiamo gratis", scherzai.
"Grandioso", esclamò ridendo. "Ma tu sei sicura di farcela?", mi chiese poi, diventando serio.
Sbuffai. "Dobbiamo stare seduti in un ristorante, non correre una maratona", gli feci notare con un'occhiataccia.
"Lo so, ma se non ti senti bene non andiamo, promesso?".
Alzai gli occhi al cielo. Che esagerato! "Promesso", dissi per rabbonirlo. "Ora vieni ad aiutarmi".

"Amanda!"
Sbuffai, ignorando la voce di Adam e concentrandomi sui vestiti che avevo davanti. Il maglione rosa assolutamente no, sembravo una torta alla glassa; la camicia bianca neppure, mi faceva sembrare un enorme gelataio; la maglietta verde...
"Amanda, porco cane! Siamo in ritardo".
"E un attimo", sbottai, mettendomi le mani nei capelli. Accidenti, lo sapevo che ero in ritardo, non c'era bisogno di farmelo notare ogni dieci secondi.
Sentii dei passi salire le scale e, quando alzai lo sguardo, la porta della camera si aprì. Adam entrò, già pronto nel suo elegante completo e mi guardò scettico. "Cosa ci fai ancora in pigiama?".
"Secondo te?", chiesi acida, sedendomi sul letto.
"Hai l'armadio che straborda, non ci credo che non sai cosa indossare", mi sgridò. "Forza, vestiti: saremmo dovuti essere al ristorante esattamente... adesso".
Sbuffai. "Non mi va più bene niente", mi lamentai, indicandogli i vestiti sul letto.
"Non è vero. Questa maglia verde è molto carina e l'hai comprata settimana scorsa".
"Mi fa sembrare un prato", mugugnai.
"Questa gialla?".
"Non sono un canarino!".
"E allora vieni in pigiama", esclamò Adam esasperato.
"Scusa", mormorai, mordendomi un labbro e sentendo gli occhi inumidirsi. Accidenti, stupidi ormoni!
Adam sospirò. "Che ne dici di quel vestito azzurro che ti ha regalato Jamie?", mi chiese, indicando il capo ancora dentro l'armadio.
"Ma è leggero", dissi tirando su con il naso, come se fossi una bambina.
"Sopra puoi mettere il golfino di lana, quello nero", mi propose, ignorando le mie lamentele.
"Sì, ma...".
"Sei bellissima, Mandy. Qualunque cosa indossi. Quindi smettila", m'interruppe, afferrandomi il mento per guardarmi negli occhi e sorridendo.
"Sono una balena", sussurrai.
"Sei la madre di mio figlio, testona", mi sgridò. Poi si allungò per lasciarmi un veloce bacio. "E fidati di me, se ti dico che sei bella".
Sospirai, annuendo. "Grazie, Adam".
Lui sorrise di nuovo, asciugandomi le lacrime con il pollice. "Quanto mi dai da fare", mormorò tra sé. "A volte mi chiedo chi è il bambino, qui dentro".
"Tra tutti e tre", dissi, ridacchiando.
"Forza, vestiti che tuo fratello ci aspetta".
Annuii e mi alzai in piedi, prendendo il vestito dall'armadio e sorridendo. Come avrei fatto, senza Adam? Chi mi avrebbe risollevata ogni volta? Chi mi avrebbe fatto tornare il sorriso? Mi accarezzai piano la pancia. Presto avrebbe dovuto proteggere anche lui, mi dissi, mentre gli angoli della bocca si alzavano.
Mi vestii in fretta ed uscimmo di corsa di casa, dirigendoci verso il ristorante dove Alex aveva prenotato. Il cielo era scuro e cupo e le prime gocce di pioggia stavano iniziando a scendere dalle nuvole minacciose.
"Alex mi ucciderà", mugugnai, stringendomi nel cappotto mentre l'auto procedeva veloce e silenziosa.
Adam ridacchiò. "Ucciderti magari no, però ti tormenterà tutta la sera".
Sbuffai. "Non sei d'aiuto", replicai, sobbalzando quando un lampo squarciò il cielo.
"Siamo quasi arrivati".
Annuii. "In questo momento potevo essere in casa, al calduccio, nel mio pigiamone e invece devo sempre fare contento quell'idiota di mio fratello", mugugnai, incrociando le braccia sotto il seno.
"Non stai bene?", mi chiese invece Adam.
Sbuffai, alzando gli occhi al cielo. "Sto bene. Tranquillo".
"Se non...".
"Sì, sì, lo so. Se mi sento male te lo dico", lo precedetti, lanciandogli un'occhiataccia mentre entrava nel parcheggio del ristorante.
"Lo sai che mi preoccupo", disse solo, abbozzando un sorriso.
Sospirai. "Non voglio sapere quanto diventerai noioso quando nascerà questo bambino".
"Non vedo l'ora di insegnargli a giocare a basket".
"Fidati, è già capace", ribattei, guardandolo eloquente. I calci che tirava ne erano una prova e avevo paura ad immaginare quanto sarebbe stato effervescente una volta fuori dalla mia pancia, libero di muoversi e fare disastri.
Adam rise e spense la macchina. Scendemmo entrambi e ci dirigemmo verso il ristorante a passo veloce, avendo dimenticato l'ombrello ed essendo già iniziato a piovere.
"Secondo te sono già dentro?", gli chiesi.
"Probabile".
"Amanda, Adam!". Mi voltai e incontrai Lisa che ci correva incontro da dentro il locale. La salutammo e poi la seguimmo al tavolo, dove Alex era già seduto e stava sgranocchiando un grissino.
"Finalmente", escamò, alzandosi in piedi. Senza nemmeno darmi tempo di togliermi la giacca, mi strinse in un abbraccio soffocante e mi ritrovai a sorridere.
"Non ti sembra di esagerare, fratellone?", risi.
"Quanto manca al parto?", mi chiese invece lui, sciogliendo l'abbraccio e dando una carezza al pancione.
"Un paio di settimane", risposi tranquilla, lasciandomi sfilare la giacca da Adam e sedendomi accanto a Lisa.
"Avete già deciso come chiamarlo?", mi chiese questa, sorridendo.
Lanciai un'occhiata complice ad Adam. "Segreto", dissi.
"Ma come?", esclamò mio fratello.
"Non vogliamo dirlo a nessuno prima che nasca", spiegò Adam afferrandomi la mano e stringendola.
"Per scaramanzia", aggiunsi, alzando le spalle.
"La solita idiota", borbottò Alex, scuotendo la testa.
"Vogliamo ordinare?", disse Adam, interrompendomi prima che potessi ribattere all'offesa di mio fratello e iniziare l'ennesima guerra. Guardai complice Alex, ridacchiando. In fondo mi mancavano i nostri continui battibecchi.
Lisa chiamò il cameriere che ci portò i menù. Dopo avere deciso cosa mangiare, ci trovammo a parlare del più e del meno, tranquillamente, aggiornandoci su quello che avevamo perso in quel tempo che non ci eravamo visti. Tra il lavoro e Dan, che in quel momento era rimasto con i genitori di Lisa, era difficile riuscire a organizzare un'uscita come ai vecchi tempi e sapevo che l'arrivo di questo bambino ci avrebbe allontanati ancor di più. Abitavamo in due paesi diversi, non molto lontani, ma era comunque problematico riuscire a raggiungere l'altro. In ogni caso mi ritrovai a ringraziare silenziosamente Alex: malgrado tutte le mie lamentele ero contenta di avere accettato il loro invito. Mi serviva proprio una serata di distrazioni, soprattutto con l'imminente parto che, dovevo ammetterlo, un po' mi spaventava. Ovviamente Adam non ne sapeva nulla, altrimenti mi avrebbe fatto una testa quadra con la sua preoccupazione, ma speravo di poterne parlare un po' con Lisa, che aveva già fatto questa esperienza e avrebbe potuto darmi dei consigli.
"Amanda, mi accompagni in bagno?", mi chiese appunto Lisa ad un certo punto.
Annuii, sentendomi un po' come al liceo, quando si andava in bagno sempre in coppia. La seguii attraverso i tavoli, ma solo quando avevamo attraversato tutta la sala mi accorsi di aver dimenticato la borsa al tavolo. Lasciai Lisa in bagno e corsi a riprenderla, fermandomi di botto dietro alla colonna vicino al nostro tavolo quando sentii le parole che Alex aveva appena pronunciato.
"Dovrei riempirti di pugni per quello che hai fatto alla mia sorellina".
"Dovresti", si limitò a rispondere Adam e io incominciai a sentire il cuore battere impazzito.
"Ma...".
"Ma non lo farai, vero?".
Alex rise. "Già. Ma solo perché ci tengo a lei".
"Anche io. Tantissimo".
"Perché credi che ti abbia lasciato tutte le ossa a posto, altrimenti?", chiese Alex retorico.
"Dovrei ringraziarti?".
"Limitati a proteggerla per me".
"Non ho bisogno di farlo per te, Alex", rispose Adam sicuro.
"Lo spero proprio. A quando il matrimonio, cognato?".
Sentii Adam iniziare a tossire e mi lasciai sfuggire un sorriso.
Alex era sempre il solito fratello iperprotettivo e geloso: a quasi trent'anni ancora voleva tenermi chiusa in casa, al sicuro da ogni pericolo. Ma gli volevo un mondo di bene e sarebbe stato sempre così. Adam, invece, mi aveva sorpresa. Nonostante il tempo, infatti, non era semplice per lui esprimere a parole quello che provava. Me lo dimostrava con i gesti, a volte anche esagerati, ma molto raramente lo diceva. E invece quella sera si era esposto e quelle parole erano state le più belle che avessi mai sentito.
Mi appoggiai con la schiena al palo, sapendo che origliare era sbagliato, ma dicendomi che, ormai, avevo sentito abbastanza da poter ascoltare anche il seguito della conversazione.
"Ehi, Amanda!".
Mi voltai verso quella voce e sgranai gli occhi.
"Non è possibile", mormorai, staccandomi dalla colonna.
"Cosa ci fai qui?", mi chiese sorridendo, avvicinandosi velocemente a me. Aveva visto chiaramente il mio sguardo, ma lo ignorò, continuando a sorridere come se avesse visto il suo più grande amico. Io, invece, avrei preferito trovarmi davanti un fantasma piuttosto che proprio lui.
"Cosa vuoi che ci faccia in un ristorante, David?", risposi asciutta.
"Giusto. Beh, vedo che sei veramente in dolce attesa", commentò ricordandosi le mie parole di quel pomeriggio. Quanto tempo era passato? Mesi, di sicuro. E io mi ero decisamente dimenticata di lui e delle sue stupide minaccie velate.
Annuii solo, incerta su come comportarmi. Avrei voluto allontanarmi, ma come ogni volta c'era qualcosa di magnetico nei suoi occhi scuri che mi bloccava al pavimento. Non sapevo se fosse paura, ma non mi piaceva come sensazione.
"Sei da sola?", continuò imperterrito, ignorando il mio cipiglio serio.
"No", mi limitai a rispondere, pregando che accadesse qualcosa che mi salvasse da quella situazione. Alex e Adam erano a due passi da me, ma non avevo il coraggio di richiamarli al mio fianco. Che cosa mi fermava?
"Te l'avevo che ci saremmo rivisti", ridacchiò, passandosi una mano tra i capelli.
"Che gioia", dissi acida, alzando gli occhi al cielo.
"Non mi sembri tanto felice", constatò.
"Che perspicacia", mormorai. "Ora, se non ti dispiace, devo andare", dissi, sperando che si allontanasse invece lui per primo.
"Mi ha fatto piacere rivederti", disse lui.
Annuii di nuovo, senza rispondere. D'istinto, allungai le mani sul pancione e iniziai ad accarezzarlo in un gesto d'abitudine per tranquillizzarmi.
"Amanda!". Mi voltai di scatto, trovandomi davanti la figura di Adam.
Mi lasciai scappare un sospiro di solievo, abbozzando un sorriso.
"Stai bene?", mi chiese, avvicinandosi e avvolgendomi la vita con un braccio.
"Sì".
Poi si voltò verso David e per un attimo mi sembrò di avere già visto una scena simile. "David", disse solo.
"Adam", lo salutò l'altro con un cenno del capo. "E così state ancora insieme".
"A quanto pare", rispose asciutto Adam.
"Stavo giusto chiedendo ad Amanda se le andava di uscire tutti insieme una di queste sere", disse cercando di non mostrare nervosismo Bugia, ma non dissi nulla. Ero troppo concentrata su quella guerra di sguardi che stava avvenendo davanti a me. Adam non mi aveva mai spiegato bene cos'era successo quando si era infortunato e aveva dovuto lasciare il basket, ma dalle sue poche parole e dai suoi sguardi cupi quando tirava fuori l'argomento, era chiaro che David, il suo compagno di squadra ma grande rivale, c'entrava in qualche modo. Eppure non avevo mai insistito: un po' perché volevo tenere David fuori dalla mia vita, un po' perché non volevo obbligarlo a rivangare il passato, soprattutto perché sapevo che ancora ci stava male. 
"Credo che declineremo l'invito, David".
Questo assottigliò gli occhi. "Ce l'hai ancora con me per quello che è successo", sussurrò rivolto ad Adam e non era una domanda.
Adam si limitò a scuotere le spalle. "Non particolarmente. Ma sto decisamente meglio quando non ti vedo".
"Sai che non è stata colpa mia", insistette David.
"Punti di vista", si limitò a dire Adam.
"Vorrei parlarti, appena hai un attimo di tempo".
"Non abbiamo niente da dirci".
"Nemmeno se ti dicessi che si è liberato un posto da allenatore?".
Adam s'irrigidì. "No", sussurrò poco dopo. "Ora ho la mia vita".
"E il basket?", insistette David.
"Si tratta di scegliere delle priorità. E il basket non fa più parte delle mie", rispose Adam semplicemente.
David annuì, facendo una smorfia. "Ripensaci".
"Non ne ho bisogno. Ora, se permetti, noi torniamo al nostro tavolo".
"È stato un piacere incontrarti di nuovo", disse David allungando la mano.
Adam la guardò per qualche secondo, poi allungò la sua. "Certo", rispose solo.
David si voltò e si allontanò, scomparendo in fretta dietro l'angolo.
Tirai un'altro sospiro di solievo, mentre sentivo anche il braccio di Adam rilassarsi intorno alla mia vita. Mi voltai e appoggiai la testa alla sua spalla. "Che giornataccia", borbottai.
"Già. David era proprio l'ultima persona che avrei mai voluto incontrare".
"Sei sicuro di quello che hai detto?".
Adam mi guardò negli occhi, poi annuì. "Sicurissimo. Io ho un lavoro, per il quale mi sono impegnato parecchio. E il basket è ormai solo un sogno. Quando il nostro bambino sarà grande, gli passerò questa passione, ma prima non voglio pensarci".
"Non voglio che tu sacrifichi i tuoi sogni".
"Ma io i miei sogni li ho realizzati", disse accarezzandomi una guancia. "Non posso volere niente di più".
"Ne sei sicuro?".
"Ripeto, sicurissimo".
Sorrisi, annuendo e allungandomi per lasciargli un piccolo bacio. Quando tornai con i peidi per terra, sentii una sensazione di bagnato farsi largo tra le mie gambe e m'irrigidii.
"Piuttosto", continuò Adam. "Tu come stai? Non dev'essere stato bello incontrarlo".
Lo guardai negli occhi, tremante. Ti prego, non ora, pensai, stringendo la presa intorno alle sue braccia.
"Amanda?", mi chiese corrucciando lo sguardo. "Va tutto bene?".
"Io...".
"Mandy, devi dirmi cosa c'è che non va", disse preoccupato, scuotendomi le spalle.
"Io...".
"Amanda!".
"Io..."
"Accidenti, Amanda! Sei impallidita all'improvviso e mi stai maciullando un braccio. Che diavolo sta succedendo?"
"Io... io credo che mi si siano rotte le acque".



CINQUE ANNI DOPO

"Mamma, mamma, mamma. Merenda, merenda, merenda!"
Mi lascia sfuggire un sorriso, vedendo il mio bambino entrare di corsa in cucina con il suo sorriso sdentato e correre intorno al tavolo.
"Merenda, merenda, merenda", ripeté.
"Cosa vuoi oggi?", gli chiesi.
Lui si fermò di scatto, iniziando a pensare. "Gelato", strillò poi, riniziando a correre.
Scoppiai a ridere. "Va bene, ma solo se lo mangi qui seduto tranquillo".
"Ma, mamma", si lamentò, fermandosi di nuovo.
"Niente ma. Mangi qui il gelato e poi puoi tornare a correre".
Lui mi guardò imbronciato, ma tornò a sorridere quando tirai fuori dal frizzer uno dei suoi gelati preferiti, ovviamente al cioccolato. Lo aiutai a sedersi su una sedia e mi accomodai vicino a lui, dicendomi che avrei continuato più tardi le mie faccende.
Mark era nato da ormai cinque anni e ancora non mi ero ancora abituata al cuore che batteva forte ogni volta che lo vedevo ridere o alle emozioni che provavo quando mi abbracciava. Era il mio piccolo miracolo, il bambino che avevo sempre desiderato. Nella mia mente, rappresentava anche quel bambino che non era mai venuto alla luce, ma che avevo amato con tutta me stessa, così come amavo Adam e Mark nel mio presente.
Adam, dal canto suo, era un padre perfetto. Interagiva con il figlio come se fosse lui stesso un bambino e quando si rivolgeva a lui lo guardava con uno sguardo così carico d'amore che mi si chiudeva ogni volta lo stomaco.
"Mamma, adesso posso andare a giocare?". Mark mi riscosse dai miei pensieri tirandomi la manica della maglietta e sorrisi quando incontrai il suo musetto sporco di cioccolato.
Ridendo, mi allungai per prendere un tovagliolo e pulii quel piccolo disastro, mentre lui si agitava e si contorceva per tornare a giocare.
In meno di due minuti era di nuovo pieno di energie e stava ancora correndo come un matto per tutta la casa e tutto il giardino. Amavo vederlo così vitale, sempre agitato, proprio come il padre. Per me significava che stava bene e che era in salute e felice.
Qualche ora dopo, quando Mark si era stancato di rincorrere il niente e si era buttato sul divano per rilassarsi un po' davanti ai cartoni, anche Adam tornò a casa dal lavoro. Per fortuna io ero riuscita ad organizzarmi con la redazione, dove mi recavo solo al mattino, quando Mark era a scuola, in modo da poter poi passare il pomeriggio con lui.
Appena sentì la chiave girare nella toppa, Mark scattò in piedi e corse incontro al padre, che lo prese in braccio al volo scoppiando a ridere.
"Ciao, ometto. Come stai?".
"Papà, papà. Vieni con me a vedere i cartoni?".
Adam annuì, sempre ridendo, e rimise per terra il bambino, rivolgendomi poi un sorriso. Mi alzai anch'io e lo raggiunsi, dandogli un lieve bacio.
"Credo che oggi si sia stancato abbastanza", dissi con un sorriso a metà tra il divertito e l'orgoglioso. "Ha corso tutto il pomeriggio".
"Crollerà dopo cena, tranquilla".
"Speriamo".
"A proposito. C'era un po' di roba nella buca delle lettere", disse passandomi delle buste.
Sbuffai. "Non voglio aprire la bolletta dell'acqua dopo che Mark ha allagato il giardino per riempire la piscina", mi lamentai.
"Guarda bene", si limitò a dire Adam, sfilandosi le scarpe.
"Cosa?".
"Questo", disse, prendendo una busta color avorio, abbastanza spessa e finemente decorata.
"Cos'è?", chiesi curiosa.
"Non lo so, però è rivolto ad entrambi". Il suo tono era divertito, evidentemente lui sapeva di cosa si trattava ma non voleva dirmelo, cosa che aumentava la mia curiosità.
Gli strappai la busta di mano e la aprii in fretta. "Non è possibile mormorai".
"Quindi?".
"Guarda", dissi, girando il cartoncino. "Non è possibile", ripetei. "È l'invito al matrimonio di Charlie e Liz!"



Eeh stop.
Sì, il capitolo finisce così, ma non la storia, tranquilli! Manca ancora l'epilogo che ho già scritto e che pubblicherò in settimana appena ho un attimo di tempo.
Credo di dovervi dare un po' di spiegazioni.
Allora, la storia di David e Adam, ciò che è successo e perché si comportano così non lo approfondita volutamente. Vedete, tutta la storia è in prima persona, quindi dal punto di vista di Amanda, che conosce solo ciò che le succede. E, sinceramente, mi è sembrato un comportamente molto "da Adam" non voler parlare del suo passato, in particolare di quel momento. Insomma, alla fine, se facciamo un paio di conti, tutto questo è successo in un anno (intendo l'incontro tra Adam e Amanda, la loro storia, la gravidanza...) e mi sembrava affrettato fare aprire Adam così in fretta dopo averlo dipinto, nell'altra storia, come una persona piuttosto riservata sulla sua vita privata. Come si dice, la fiducia va riguadagnata e Amanda ha ancora tanta strada da fare!
Secondo punto, il parto. Premettendo che non ho avuto alcuna esperienza diretta e le uniche mie conoscenze in merito si riferiscono ai pomeriggi di noia passati a guardare 16&Pregnant su MTV, ho deciso di saltare quel pezzo piuttosto che scrivere cavolate. In fondo non era così essenziale e lascio a voi il compito di immaginarlo, se volete.
Terzo punto, l'ultima parte. Allora, siamo andati avanti di cinque anni, abbiamo scoperto come si chiama il loro bambino ed è arrivata una misteriosa busta. Tutto si spiega nell'epilogo dell'altra storia, Like a Phoenix. In breve, ho voluto intrecciare le due storie, perché questa si inseriva proprio nel mezzo tra la prima e il suo epilogo, ovvero il matrimonio di Liz e Charlie e il suo scopo era raccontare cos'era successo in quegli anni ai protagonisti, Adam e Amanda.
Okay, io ho finito qui. Se avete domande, richieste o qualunque altra cosa non siate timidi, ho tanto amore da distribuire per tutti!
Ringrazio tutti quelli che mi hanno seguito fino a qui e spero che questa storia vi sia piaciuta, almeno un po'. I ringraziamenti ufficiali e le lacrime le lascio tutte all'epilogo e, mi dispiace, ma questa volta niente spoiler.
A presto
mikchan
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: mikchan