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Autore: Internettuale    07/03/2014    8 recensioni
Percy era un ragazzo solo alla ricerca del vero significato della vita.
Annabeth era una ragazza sola che si fidava unicamente del suo diario e del suo vocabolario.
Una storia che narra di due ragazzi alla ricerca della vita,della bellezza delle cose, del giusto e del sbagliato, di amicizie e dell'anima gemella, senza rendersi conto, infine, di avere tutto lì a due passi da loro.
Dal testo:
Il silenzio altalenò tra i due per tutto il viaggio di ritorno, finché, sotto casa di Annabeth, Percy fece il primo passo.
-Diamine Annabeth, Dio solo sa quanto io desideri baciarti in questo momento. Perché mi hai trascinato con te nell’oblio dell’amore. Un luogo tremendo da dove nessuno fa mai ritorno. Un luogo che i vecchi rammentano e che i bambini non comprendono. Un luogo dove la malizia e la passione si fondono con la purezza. Un luogo dove solo chi è accompagnato da un’altra persona che corrisponde il suo sentimento può sopravvivere. Perché io ti amo Annabeth Chase. Ti amo.-
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                      A Mariateresa, che mi ha ascoltato e consigliata, sempre.
                                                A Roberta che mi ha rimproverato per la mia malvagità.
         A Luigi, che mi ha parlato così bene dell’amore, che non vedo l’ora di conoscerlo.
 
E a voi, che mi regalate le vostre lacrime e i vostri sorrisi, rendendo il mio  mondo un posto meno merdoso.
 
Tutto era silenzio.
Neanche i pettirossi che poggiavano sui rami secchi, di quel settembre così freddo, canticchiavano.
La tensione si percepiva sulla pelle, e tremante Annabeth contava le gocce del medicinale per la cervicale.
Sedeva sulla parte sinistra del letto, le spalle nude che voltavano alla finestra e i capelli biondi che le ricadevano sulla schiena liscia.
Nonostante sentisse freddo, preferiva rimanere con addosso unicamente la biancheria intima, mentre sorseggiava a occhi chiusi l’acqua mischiata al medicinale.
Erano le sei meno venti, e tutto era silenzio. 
Si voltò per ammirare la parte destra del letto : le lenzuola bianche non erano spiegazzate, ma ben tirate verso l’estremità, il cuscino non presentava depressioni e tutto era perfettamente ordinato.
Quella parte del letto era riservata a Percy. Anche se Percy non esisteva più.
Era da ben vent'anni che questa storia andava avanti.
Provava a curarsi, ma con la consapevolezza che quella malattia, che risiedeva nel suo cuore ormai di ghiaccio, fosse terminale. Quella malattia che la consumerà fino a farla arrendere, anche se lei non vuole.
Quella malattia era l’amore di Percy.
 Si alzò fiaccamente dal letto, cosciente del fatto che il dodici settembre fosse arrivato, e s'indirizzò  verso il bagno.
Si osservò allo specchio, e riuscì a distinguere le prime rughe che si formavano sul suo volto, anche se Thalia continuava a dirle che quelle erano rughe di espressione; cercò di evitare il suo stesso sguardo spento, ma non ne fu capace: gli occhi grigi avevano perso la loro vitalità e attiravano a loro la triste verità che risiedeva in quell'esistenza.
Si sciacquò la faccia sporca di mascara, e si lavò i denti.
Con passo leggero arrivò in cucina e bevve la sua solita tazza di caffè, mentre gli occhi vagavano sull'ambiente spoglio di quell'appartamento. Notò un bigliettino giallo appeso al frigo, su cui erano appuntate queste parole : “Fare visita a Sally e Paul.”
Si diede uno schiaffo leggero, come per rimproverarsi, e decise di portare il bigliettino con sé nel tal caso se lo dimenticasse un’altra volta.
Poggiò il caffè nel lavabo sporco, e volse lo sguardo alla libreria dove erano poggiate alcune foto : Thalia che teneva in braccio Luke, un bambino dai capelli neri e ricci con un sorriso bianco come la neve, ed entrambi che sedevano su una barca che galleggiava su un placido lago; Annabeth con toga e cappello il giorno della sua laurea; Annabeth e Percy sdraiati sul divano venti anni fa.
Decise di distogliere lo sguardo da quelle immagini che delineavano così tanta allegria, e scelse di vestirsi.
Aprì l’armadio e tirò fuori giacca, pantaloni e camicia, pensando a quei giorni tanto lontani.
 
Il parlottio delle persone, riguardo le fresche notizie di giornata, la disturbavano. L’aria chiusa che si respirava in metropolitana la disgustava, così come le persone che vagavano senza sapere dove mettere i piedi e alla ricerca di guai.
 I suoi passi erano agili e veloci, e cercava di muoversi fluidamente in quel caos che la opprimeva per raggiungere il treno che sarebbe partito tra cinque minuti.
Un passante dal cappotto nero le andò incontro dandole una spallata, facendo così cadere la borsa di pelle color cioccolato, contenente i vari documenti scolastici.
Nervosa si piegò per terra e frettolosamente raccolse la varie carte scritte, anche se alcuni passanti non la notavano e finivano per schivarla all'ultimo momento irritandola sempre di più.
-Vuole una mano?- domandò un ragazzino dall’aria gentile, proprio mentre si toglieva le cuffiette per la musica.
Annabeth non rispose inizialmente, poiché il cervello non rispondeva ai comandi, per la sorpresa.
Era un ragazzo identico a Percy : moro, con gli occhi svegli color verde mare, e un sorriso da combina guai.
-Certo- rispose con voce rauca, ancora sconvolta dentro di se.
Il ragazzo l’aiutò a mettere i documenti dentro la borsa, e sorridendole se ne andò rimettendosi le cuffie nelle orecchie.
Annabeth guardò l’orologio, e con l’immagine di quel ragazzo ancora nella mente si diresse verso il treno che stava per partire proprio in quel momento.
Spinse il bottone e le vetrate si aprirono.
Diede un’occhiata veloce ai sedili e notò che erano tutti occupati, così poggiò la mano a un sostegno e fino al tragitto verso scuola non pensò che a quel ragazzino, e a quanto fosse somigliante a Percy.
***
-Svegliati!- disse sua madre strattonandolo per un braccio.
Si rigirò nel letto, e immerse la testa nel cuscino soffice e tiepido.
-Non voglio andare a scuola…-
-E’ sempre la stessa storia! Non c’è giorno in cui tu non lo dica!- lo rimproverò la madre, sollevandogli le lenzuola e lasciandolo infreddolito.
Dicendo così se ne andò sbattendo la porta.
Si alzò malevolmente e si stiracchiò come un gatto. Attraversò il corridoio buio, e intravide ,dalla porta socchiusa della camera da letto di sua madre, un uomo che tentava di scappare dalla finestra, attraverso le scale anti incendio.
Zoppicava, poiché la gamba sinistra gli si era addormentata: - Mamma…-
-Dimmi- disse sua madre guardandolo negli occhi.
-Mi prepari i pancake?- domandò sconfortato.
-Assolutamente no. Fra pochi minuti inizia il mio turno, e fra venti inizia la scuola. Perciò preparati immediatamente e fai colazione lì. –
Odiava sua madre, la odiava con tutto il suo cuore. Non aveva mai avuto una figura paterna o materna a cui rivolgersi nei momenti di bisogno, e perciò si rinchiudeva in se stesso non rendendo partecipe il mondo che lo circondava.
Si alzò di scatto, e per poco non cadde per la gamba addormentata.
-Smettila di fare lo stupido, e vai in camera tua a prepararti!-
Ecco cosa era : un bambino nato dall'errore di un contraccettivo che non aveva funzionato a dovere.
Canticchiava tra sé il motivetto di “I want to break free” dei Queen, mentre saltellava e si infilava tra la gente, con la cartella blu che gli pesava sulle spalle, e intanto che i passanti correvano veloci verso le proprie partenze, e gli regalavano gentili spinte.
Da lontano notò una donna che poteva possedere all’incirca trentacinque anni, che si chinava per terra per raccogliere dei fogli bianchi sparsi per il pavimento.
Indossava una camicia bianca e turchese a righe, abbinata a dei pantaloni beige e a una giacca blu; ai piedi portava delle ballerine color caffè come la sua borsa. I capelli erano biondi e raccolti in una lunga coda, e sbuffava nervosamente quando le persone cercavano di investirla.
Rise divertito, e decise di aiutarla :- Vuole una mano?-.
La donna inizialmente non rispose e lo guardò visibilmente confusa, ma poi con voce rauca rispose: -Certo- .
Prese tutte le cartacce, e intravide un diario rosso che per poco non veniva schiacciato da un quarantadue di scarpe. Fulmineo lo prese in mano e lo infilò nella tasca della sua felpa verde.
Si rimise le cuffie nelle orecchie, e sorridendole, la salutò.
Entrò in tempo nel vagone, e occupò l'unico posto libero, accanto a una vecchietta  che sonnecchiava tranquillamente.
Aprì a caso una pagina di diario, che notò sorpreso risalire a esattamente venti anni fa, e diede inizio alla sua lettura :
 
27 maggio
Caro Diario,
Aspetto ancora una sua risposta. Gli squilli del telefono sono un eco senza fine, e sento che l’oblio mi sta inghiottendo senza pietà.
Non piango, perché le lacrime non servirebbero a farlo ritornare qui con me.
Rileggo queste pagine, perché so che mi aiutano a sopportare.
Non posso vivere nei ricordi, ma non posso vivere neanche nel presente.
Non ho forza, non ho coraggio, non ho il mio eroe.
Mi sento come un bambino che ha appena imparato a nuotare, ma solo con il proprio salvagente al suo fianco. Sento che il mio salvagente mi è stato portato via dal mare, e che ora annaspo alla ricerca di un appiglio, ma non c’è nessuna boa che mi aiuti a galleggiare. E quindi sprofondo, sprofondo nell’oscurità più totale, dove il freddo mi congela le vene e l’aria mancante da fuoco ai miei polmoni. Sento le vene gelare, sento la morte sulla mia pelle.
Solo i ricordi mi aiutano a sopravvivere, i ricordi sono i miei appigli nel mare infinito.
Perché solo ora ho capito come gira il mondo, e come funzione l’amore, che è la linfa vitale di questo giardino immenso.
Ci si confida e ci affeziona, fino a diventare amici. Ma non è la solita amicizia, perché tu gli vuoi bene più che ad un normale fratello, e allora la sola presenza di un'altra persona che ostacola il vostro rapporto ti infastidisce e improvvisamente diventi gelosa. E sei ubriaca del suo amore, vuoi i suoi baci e le sue carezze. Fino a che l’orgoglio non rovina tutto, magari ti senti rifiutata, e quindi hai troppa fiducia in te stessa per cederne un po’ anche a lui. Ma poi capisci di aver sbagliato, e gli confessi le proprie colpe, anche se hai ancora paura di un suo rifiuto. Ma ti sbagli, perché l’altro ti confermerà il suo amore con un bacio, e capirai che la tua vera famiglia non sono i tuoi genitori, che ti hanno abbandonata, ma coloro che ti amano e che rischierebbero la vita per te, comportandosi da eroi. E lui per te è un eroe, un eroe che riesce ad alleviare tutto il tuo dolore con un suo sorriso. E ti sembra un sogno. Ma i sogni finiscono, ti svegli e tutto si è dissolto.
Tutto è morto, come te.
E capisci che potrai continuare a vivere, ma che una parte di te è volata via, perché lui era parte di te.
E ora ti senti a metà, e non riesci a non colmare il vuoto dentro te stessa. E capisci che solo i ricordi potranno regalarti ancora felicità, ricordi che regalano amore, e quindi gioia.
Mi ha insegnato ad amare.
E non posso che ringraziarlo.Ti ringrazio, Percy..
Perché noi ci ameremo, ogni giorno che verrà.
 
Con amore, Ananbeth.”
 
 
 
***
La campanella  suonò fragorosamente, e Annabeth si sedette alla cattedra mentre aspettava vigile i suoi nuovi alunni.
Era una professoressa di Storia dell’arte, e ne andava particolarmente fiera.
Quando faceva visita a Thalia , raccontava al figlio di lei, Luke, storie riguardanti le sette meraviglie del mondo, e il bambino la ascoltava affascinato, come sempre.
Lentamente tutti i ragazzi entrarono in classe, e Annabeth li osservò con curiosità, e con un sorriso stampato in faccia.
Quando tutti si furono seduti ai propri posti, Annabeth diede inizio all’appello.
La procedura era la stessa ogni anno : nome, cognome, da dove vieni, passioni e sport.
Tutti i ragazzini gli rispondevano cordiali e anche un po’ in soggezione, ma dopo un po’ si ambientavano e diventavano iperattivi da un momento all'altro, senza un minimo di preavviso.
- Allora… Peter Jonhson… Dove sei?-
Un ragazzino che sedeva in fondo alla classe rispose : - Qui.-
Annabeth non riusciva a vederlo, perché si era seduto proprio dietro ad una mastodontica ragazza che le ricordava Clarisse La Rue.
Peter si alzò, e Annabeth rimase senza fiato. Era lo stesso ragazzino di quella mattina, e gli occhi le divennero lucidi.
-Ciao a tutti, sono Peter Jonhson, come ha detto la Professoressa… Ho dodici anni e vengo da Manhattan, mi piace nuotare e pratico, appunto, il nuoto.- disse imbarazzato il ragazzo.
Annabeth gli sorrise incoraggiante e con gli occhi lucidi, il ragazzo le rispose con un cenno del capo.
Lesse ai ragazzi il regolamento d’Istituto, spiegò il proprio metodo di lavoro e infine gli disse che erano liberi di socializzare tra loro.
Si sedette alla sedia, e mise la mano nella borsa alla ricerca del diario rosso, che da sempre le faceva compagnia nei momenti più mesti, ma non lo trovò.
Si agitò immediatamente, e subito immaginò di averlo perso alla stazione.
Prima che i suoi alunni la vedessero piangere il primo giorno di scuola, la campanella la salvò donandole gratitudine.
Tutti i ragazzi si congedarono con dei saluti gentili e imbarazzati, e lei si alzò per sgranchirsi momentaneamente le gambe, e per scaricare tutta quell'angoscia.
Passò cinque minuti sulle scale della scuola, inspirando e espirando e ripensando al proprio diario e a quanto Peter assomigliasse a Percy.
Poi tirò a sé la porta di vetro, e percorse in solitudine il corridoio deserto. Non le importava che i suoi alunni fossero già in classe, gli avrebbe detto che era andata in bagno.
-Signorina Chase!- urlò la voce di un ragazzo alle sue spalle.
-Signorina Chase si fermi!- ripeté.
Annabeth si voltò, proprio mentre si asciugava le lacrime che le solcavano il viso, e vide Peter che ansimava.
-Professoressa, volevo dirle che le è caduto questo.- disse porgendole il diario.
Annabeth lo prese in mano, e guardò riconoscente Peter.
-Grazie, ma ora ritorna in classe, sei in ritardo.- lo ringraziò scompigliandoli i capelli.
Il ragazzino si voltò per andarsene, ma poi si bloccò.
-Signorina Chase?- la chiamò titubante.
-Dimmi, Peter-
Il ragazzo si voltò e la guardò spaventato negli occhi.
-Signorina Chase, vi amate ancora, lei e Percy?-
Il corridoio era vuoto, e le voci di alcuni ragazzi provenivano dall'aula accanto. Annabeth sorrise commossa, e poi gli rispose: - Ogni giorno che verrà.-
 
Peter le sorrise con gli occhi, e la donna ritornò nella sua classe pronta ad affrontare una nuova giornata in compagnia dei propri ricordi.
Anche se era sicura che quel bambino l’avrebbe aiutata a lasciarsi dietro i propri fantasmi, e a rincorrere la felicità.
 
 
 L’unica luce proveniva dallo schermo del proprio computer, che era impostato sulla pagina bianca di un foglio di Word.
Si sentiva immersa nell'oscurità, e vulnerabile a ogni emozione.
L’unico rumore proveniva dalle dita che ticchettavano sul mouse, alla ricerca di un inizio.
Un silenzio incoraggiante le occupava la mente, e poi decise di lasciarsi andare ai ricordi.
E così rammentò quel dodici settembre di ventiquattro anni fa, e diede inizio alla sua storia:
 
Voce del verbo amare,tempo presente, seconda persona plurale.
 
Capitolo uno : Amicizia.
*Quattro anni prima*
 
 
La sveglia suonò con il solito fragore che destò Percy dal suo sonno agitato.
Percy aprì gli occhi e sbuffò, si guardò intorno e notò la cartella rossa appoggiata al muro, i jeans stracciati e la felpa blu sulla sedia, le converse rosse appena lavate e improvvisamente capì.
Era il primo giorno di scuola.
La notizia, se così si può definire, gli piombò addosso come un acquazzone inaspettato nel bel mezzo del tuo compleanno ad Agosto.
Ma non era semplicemente “Il Primo Giorno di Scuola” era il 
primo giorno di scuola.
Nuovi compagni, nuovi Professori, nuovo armadietto.
La cosa che più gli doleva lasciare della sua passata vita scolastica era il suo armadietto. Quel parallelepipedo di freddo metallo dove i bulli della scuola cercavano di rinchiuderlo, era l’amico più caro che avesse mai trovato.

Amico pensò Percy. Non ne aveva mai avuto uno…
 
 
 
Ecco l’epilogo tanto atteso, spero che vi sia piaciuto, lo spero davvero.
Quando ho cliccato sul quadratino con su scritto “Completa”, mi è scesa una lacrima, perché sono arrivata alla fine, e questa storia mi ha sottratto tempo, ma mi ha regalato anche tante gioie.
Come nella dedica, ringrazio i miei amici per avermi ascoltata e consigliata. Ringrazio Luigi, mio migliore amico, per avermi descritto nei dettagli il momento del bacio, perché io non ho ancora baciato nessuno. E’ un segreto, silenzio.
Un grazie a voi, che siete meravigliosi in tutte le vostre sfumature.
E quindi ringrazio tutte le quarantaquattro persone che seguono la mia storia, le sette persone che la hanno messa tra le ricordate, le ventiquattro persone che la hanno messa tra le preferite, e chiunque abbia recensito questa fan fiction.
Un grazie particolare va a chi ha recensito assiduamente, perché mi ha dato la forza di continuare.
So benissimo che i “Grazie” non bastano, ma non saprei che altro dirvi. Vi ho donato tutto l’amore che possedevo in corpo attraverso i miei capitoli, e spero che possiate capire.
Non voglio dilungarmi oltre, ritornate alla vostre faccende.
Grazie.
Un bacio, Internettuale <3
  
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