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Autore: Denisedecline_    07/03/2014    4 recensioni
Rosso.
Rosso è il colore che vorrei che i miei capelli avessero. Quei capelli che tengo stretti tra le dita nei momenti di panico.
Rosso è il sangue che ho trattenuto dentro quando i morsi che mi davo sulle labbra erano troppo forti.
Rosso è la macchia sul mio passato e rosso è il colore che dedico a lui.
Il più grande stronzo mai visto sulla faccia del pianeta: Tommaso Sparvieri.
Genere: Comico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Quindicesimo capitolo.


A Chiara, che mi regala sorrisi.



La flebile luce del sole oltrepassa le finestre e le tende con le principesse Disney nella cameretta di Sofia.
Sono sveglia da una mezz’ora o poco più, ma la voglia di lasciare questo nido d’ingenuità deve avermi abbandonata nell’esatto momento in cui ho varcato la soglia della camera, ieri sera.
La piccola Sparvieri dorme serena, sono ancora le sette del mattino, ed io la osservo navigare in quel mondo che troppo presto mi ha rispedita su quello vero, il mondo dei sogni.
Alla fine, nei miei, non c’è stata nessuna Alice piena di vita pronta a tendermi la mano per portarmi con lei, nessun coniglio bianco mi ha illusa di essere in un posto meraviglioso e nessuna regina ha provato a dichiararmi guerra.
Sono rimasta semplicemente nel mio piccolo guscio di calma apparente, mi sono addormentata sperando di poter vivere, almeno nel mondo di Morfeo, un’avventura fantastica e mi sono svegliata pensando al mare, quel mare che tanto amo, burrascoso e arrabbiato come me, la maggior parte delle volte.
Sposto gli occhi sul soffitto, le stelle che stanotte lo illuminavano, quelle fluorescenti, si sono spente sotto il risveglio di un’altra luce.
Siamo un po’ tutti così.
Ci ritroviamo a brillare di luce propria per una sera o per un giorno, per un pomeriggio o una notte, e poi veniamo colpiti da un’altra fonte luminosa e ci spegniamo, piano, come se non ci fosse fretta e volessimo restare ad emanare luce per altre sette notti o per tutta una vita.
Poggio i piedi scalzi sul pavimento freddo e faccio una coda alta, per evitare di ritrovarmi i capelli sulla faccia ad ogni movimento.
Volto lo sguardo sul comodino, accendo la abat-jour solo per osservarmi meglio davanti al grande specchio davanti a me e non rimango stupida nel constatare che il trucco è leggermente colato e il vestito spiegazzato.
Affianco al libro delle favole, quello che avevo usato la sera precedente per trovare una storia che andasse bene a Sofia, c’è un piccolo bigliettino che deve aver sicuramente vissuto tempi migliori.
Lo prendo per semplice curiosità e lo giro tra le dita, sorridendo per aver avuto ragione: qualcuno, due sere prima, deve essere andato al cinema e questo è il biglietto d’entrata.
Il film in questione è: Tutta colpa di Freud, quello uscito da poco, che non so bene di cosa tratti e, affianco al titolo, rimango basita nel leggere anche il mio nome che arriva a ripetersi anche sul retro del biglietto.
Una grafia sicura ed elegante accompagna una serie di frasi che mi fanno rimanere ancora più stupita: “Cristal, spero che tu nota questo insulso biglietto. Chiamami appena ti svegli, per favore, Filippo.”
Deglutisco a vuoto e scuoto la testa, mentre rileggo la frase.
Filippo, devo chiamare Filippo.
Rido, cercando qualche indizio che mi scagioni e che quindi mi lasci libera di non dover chiamare nessuno e stringo i denti quando mi accorgo che questo, evidentemente, non c’è.
Lascio un bacio sulla guancia di Sofia e striscio i piedi per non far rumore, guardandomi intorno una volta fuori dalla stanza.
So che dovrei trattenermi e non pensare troppo a Tommaso, ma sono in casa sua, che sembra tanto silenziosa quanto deserta e, quindi, in conclusione, vedere se lui è tornato, non sarà poi un male.
Attraverso il lungo corridoio e apro prima una, poi due, tre ed infine quattro porte, ma di lui non c’è traccia.
Alla fine mi ritrovo ad aprirle tutte, tranne l’ultima, che Tommaso non mi ha voluto far vedere, e riesco a capire che, molto probabilmente, non è tornato a casa stanotte.
Conficco le unghie nei palmi delle mani e scendo frettolosamente le mani.
Pensarlo con un’altra è a dir poco fastidioso.
Con chi sarà stato? Con una Bianca o forse una Giulia? Con una Fabiola o un’Elena?
Mi mordo le labbra tanto forte da poter sentire il gusto del sangue scivolarmi dentro la bocca e chiudo gli occhi, cercando di spostare i pensieri su un qualcosa di decisamente più utile, come trovare le mie scarpe e la mia borsa, che alla fine della scala non ci stanno più.
Giro intorno al tavolino posizionato al centro del salotto e sposto le poltrone, ma di loro non c’è nemmeno l’ombra.
Cammino verso la cucina, rassegnata all’idea che, a questo punto, l’unico posto dove io possa realmente trovarle, sia esso.
L’odore di pancake mi invade le narici e volgo il mio sguardo verso il tavolo, ricolmo di tutte le squisitezze che io abbia mai visto.
Marmellata di ciliegie, di albicocche, il burro, la nutella che campeggia al centro della tavola e che guardo come se fosse acqua nel deserto, biscotti, fette biscottate e almeno dieci pancake uno sopra l’altro.
Li osservo come se non vedessi dei dolci da tempo e sento una voce divertita, alle mie spalle, interrompere i miei pensieri.
- E’ il tipico modo di sdebitarsi dei fratelli Sparvieri, ma, stavolta, credo che quella che debba sdebitarsi, sia anche io. – una voce femminile e, all’apparenza, non più molto giovane, mi colpisce alle spalle, mentre mi volto colta alla sprovvista.
Rivolgo un’occhiata curiosa alla donna che mi sta davanti, pensando di averla già vista, ma non riuscendo a fare mente locale per arrivare alle mie conclusioni.
- Ti starai chiedendo se ci conosciamo, probabilmente, – mi sorride rivolgendo poi il suo sguardo ad un’altra serie di pancake in padella – la verità è che io ieri sera mi sono fatta travolgere dal sonno e tu ti sei presa cura di Sofia al posto mio. – ed ora capisco, finalmente, dove l’avevo vista.
E’ la donna che la più piccola della famiglia Sparvieri chiama tata e che ieri sera giaceva sonnecchiante sul divano.
- Sofia mi ha parlato di te, dice che sei la tata. – sorrido, mentre mi guardo intorno.
- Preferirei che mi chiamasse zia Anna, perché ci conosciamo davvero da parecchio tempo, ma ha ragione lei, sono la tata. – ricambia il mio sorriso, prestando attenzione a ciò che sta cucinando.
- Per chi sta preparando tutto questo? – domando, badando poco a ciò che ha detto prima e dando voce alla mia voglia di sapere.
- Per te, per Sofia e anche per me. Te l’ho già detto prima, questo è il tipico modo della famiglia Sparvieri di sdebitarsi. – mi ripete, poggiando su un secondo piatto i dolci fumanti.
- Non credo che ci sia qualcosa per cui la famiglia Sparvieri debba sdebitarsi, non con me, almeno. – arriccio il naso, osservando pigra, nuovamente, tutto ciò che mi circonda.
- Io, Filippo, Sofia e Tommaso ti siamo debitori di parecchie cose. -  Anna sposta lo sguardo su di me, riprendendo a parlare – Io e Filippo, per come ti stai occupando di quelle due pesti scalmanate dei più piccoli di questa casa – afferma e mi ritrovo a pensare che Tommaso sia tutto, tranne che piccolo – E, proprio quest’ultime, per le emozioni e per come curi loro le ferite lasciate dal tempo. -
Abbasso lo sguardo sulle mie mani e scrocchio le dita lentamente; è una cosa che mi ha sempre aiutata a mandare via l’ansia e il fiotto di nervosismo dalle vene.
- Ci tieni tanto a lui? – domanda ancora la tata di Sofia.
- Quanto basta per sapere che perderlo equivarrebbe ad un malessere interno senza precedenti. – rispondo di getto, senza pensare a ciò che in realtà sto dicendo. Ho appena ammesso la mia più grande paura.
- Sei una brava ragazza. – è tutto quello che risponde Anna, lasciandomi una carezza sui capelli e un sorriso a metà.



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Ho telefonato Filippo due minuti dopo aver vestito Sofia e mangiato la colazione.
Proprio Sofia, ora, è con me, in attesa che il primo dei suoi fratelli esca da una riunione e venga a pranzare con noi in un piccolo locale vicino al liceo classico che frequento io.
Nel frattempo ho avvisato Carolina e mia madre, che mi avevano chiamata almeno cento volte entrambe.
- Ma Fili quando viene? – ripete sbuffando una piccola Sofia che guarda con aria sognante il cibo che esce dalle cucine del locale.
- Tra un po’, credo. – le sorrido mettendola sulle mie cosce, mentre lei si diverte a tirarmi una ciocca di capelli.
- Speriamo presto, mi brontola il pancino. – sussurra, facendomi scoppiare in una risata.
Un Filippo in forma smagliante entra mezz’ora dopo nel ristorante.
Capelli scompigliati dal vento leggero, camicia, giacca e cravatta.
- Ed ecco le mie signorine! – annuncia aprendo le braccia e accogliendo in un abbraccio caloroso la sorella, mentre si sporge in avanti per dare due baci sulle guance a me.
Mentre Sofia continua a fargli le feste, Filippo mi lancia un’occhiata preoccupata che non capisco e non so definire.
- Che c’è? – domando mentre l’ansia ricomincia a farsi spazio dentro me.
- Sofia, che ne dici di andare un po’ fuori insieme a me e Cristal?  Ci sono i giochi. – le sorride debolmente e mi fa cenno d’alzarmi prima ancora che la sorella risponda.
- Va bene! – esclama quest’ultima, mentre usciamo nel giardino del locale.
Osserviamo entrambi la piccola correre verso lo scivolo e, inevitabilmente, penso al giorno in cui l’ho incontrata al parco per la prima volta.
- Ti ho chiesto di venire qui per un motivo ben preciso. – Filippo decide di rompere il silenzio.
- E quale sarebbe? – lo guardo perplessa.
- Dobbiamo parlare di mio fratello. – sospira, passandosi una mano sul viso come qualcuno che è sul punto di dire qualcosa, ma non lo fa per paura.
- Non c’è molto da dire, su Tommaso. – passo le mani sul collo e chiudo gli occhi, sentendo una fitta al petto.
- E’ stato più traumatico per lui, sai, – inizia, mal celando un sorriso spento – superare la morte di nostra madre e fare i conti con una vita senza lei. – deglutisce ed io seguo con lo sguardo il suo pomo d’Adamo, consapevole che quello che sentirò da qui a breve mi piacerà ben poco.
- Era abituato a starle accanto sempre, in ogni momento, ogni qualvolta che lei avesse bisogno, lui era lì, pronta a sostenerla. Era una donna forte, ma anche le rocce si frantumano. E’ una cosa che mi ripeto da quando lei non c’è, che anche le rocce si sgretolano sotto l’effetto dell’acqua. Mia madre era stata colpita dalle peggiori delle piogge. Un tumore al fegato aveva deciso di irrompere in lei in maniera così decisa da non lasciarle scampo. – alza lo sguardo, socchiudendo gli occhi e facendosi baciare la pelle dal sole – Fui il primo a saperlo, seguito da Tommaso, che ricevette la notizia qualche giorno dopo di me. Ricordo che quel pomeriggio tornò a casa furente di rabbia, con le lacrime agli occhi, spaccò tutto ed incominciò ad inveire contro chiunque gli venisse a tiro. Non venne a scuola per una settimana – mi volto vero Filippo sbigottita, ricollegando la settimana in cui Sparvieri, due anni prima, era mancato da scuola. Lo ricordo perché ritornò a scuola non curandosi di niente e di nessuno, allontanando gli amici e rispondendo con un tono più altezzoso del solito ai prof – e passò il resto dei giorni della vita di mia madre, a prendersene cura, come se fosse lui il genitore e lei la figlia. Sofia aveva due anni, da quando mamma aveva ricevuto la notizia che le restava poco tempo, iniziò ogni sera a raccontarle favole e a registrarsi, in modo che mia sorella non si dimenticasse mai il suono della sua voce. Io e Tommaso facciamo sentire quelle registrazioni a nostra sorella una sera sì e l’altra no, cercando di non piangere e coccolandola. – un sorriso gli si disegna sul volto, che prima s’era tramutato in una maschera di cera – Non so dirti perché ti sto raccontando tutto questo, molto probabilmente solo per arrivare a dirti che sei la prima che lui fa avvicinare in modo così prepotente e parla di te con un modo così protettivo, Cristal, che io ti chiedo solo di non fargli male. -
- Non.. non voglio fargli male, Filippo, credo che tu abbia capito cosa provo. – la voce rotta dall’emozione mi gioca brutti scherzi e qualche lacrima sfugge al mio controllo.
Filippo mi abbraccia e passa una mano sulla mia schiena, accarezzandomi delicatamente i capelli con l'altra.
- So che non vuoi fargli male, so che quella che tra i due si sta facendo calpestare dal suo carattere autodistruttivo sei tu, ma, ascoltami, aiutalo. – sussurra piano, con voce tremante, allontanandosi di poco da me – Tommaso è un bambino, a volte è egoista, menefreghista e poco affidabile, ma tu prenditi cura di lui. Trattalo come se fosse la cosa migliore che possiedi, - un sospiro – accudiscilo come se non lo amassi da pochi mesi, ma da tutta una vita.- e detto questo, Filippo si stacca definitivamente da me, avvicinandosi alla sorella e portandola dentro, rivolgendomi poi un piccolo sorriso e prendendomi la mano, conducendomi nuovamente dentro il locale e poi al nostro tavolo, mentre prendo la mia decisione.
Avrò cura di Tommaso come ne avevo da piccola per la mia bambola preferita, lo asseconderò nelle buone scelte e mi incazzerò quando sbaglierà.
Non deve perdermi, non voglio perderlo.



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Nota autrice: Sbang! Sono di nuovo qua, bella gente! So che è passato parecchio tempo dall’ultimo aggiornamento, ma nella mia famiglia ci sono un po’ di problemi, quindi colgo l’occasione per chiedere scusa anche a voi per l’assenza.
In questo capitolo la figura di Tommaso non compare, per la seconda volta, sì, ma viene nominato spesso e questo avviene anche per spiegare a voi cosa lo spinge ad essere così chiuso, freddo e distaccato.
Non so cosa aggiungere, dal momento che ho messo anima e corpo nel capitolo, vi prego solo di dirmi davvero cosa ne pensate, perché ho bisogno di leggere qualcosa di costruttivo, che mi aiuti ad arrivare quasi fino in fondo alla vostra anima, in modo da legare un legame forte, seppur attraverso un computer ed una storia.
Spero che il capitolo non vi sia dispiaciuto.
Voglio bene a tutte le anime che mi leggono.
Un abbraccio,
Rossa.


 



  
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