Lost in her hell.
Lei se ne stava
lì, seduta sulle
lenzuola stropicciate, sola. Completamente sola.
La sua camera era una gran confusione,
proprio come i suoi occhi. Per non parlare del suo cuore. Del suo
cuore troppo piccolo per un amore così grande.
Sospirò guardando fuori dalla stanza.
La pioggia batteva non troppo ritmicamente sopra il vetro pulito
della finestra da cui non si vedeva altro se non il pensiero di tutte
le vite che continuavano oltre quella casa noncuranti di quanto lei
stesse soffrendo.
Perché era tutto così difficile?
La sua bocca era secca. Ormai da mesi
non toccava quelle labbra rosee, quasi rosse, che sapevano regalarle
la vita in un soffio. Le sue guance erano umide per via di tutte
quelle piccole lacrime salate, che ormai -non se n'era nemmeno resa
conto- non scendevano più. Le sue iridi, una volta castane e
fastidiosamente allegre ora non rispecchiavano niente, riflettevano
il buio. Fra le sue mani, una maglia. Le sue dita non troppo magre ma
elegantemente femminili stringevano con forza il tessuto azzurro di
una comune t-shirt. Se la portò al viso, inspirando.
Dov'era, Harry? Dov'era quando tutto
andava male, quando la corrente la portava via? Da che parte del
mondo la stava guardando? Perché lei lo sapeva, lui c'era.
In tutti i suoi, seppur pochi, diciotto
anni, non aveva mai provato un dolore simile. Le bruciava lo stomaco,
le gambe cedevano, la testa girava.
È un po' come quando ci si innamora,
no?
Quando lei aveva conosciuto Harry era
stato così. E poi che cosa era successo? Dov'era Harry?
Si alzò dolorante, legandosi i capelli
dietro la nuca in una coda scomposta per poi passarsi velocemente e
meccanicamente una mano sul viso. Ma non c'erano più lacrime
da
scacciare.
Ripensò a quei momenti in cui il suo
corpo era stato amato da quello del ragazzo, quei momenti in cui sono
erano una persona sola mentre i loro gemiti e i loro sospiri
riempivano la camera. Quei piccoli attimi quasi incredibili di
felicità, racchiusi nei muri, nella sua mente. Quei
“dimmi che sei
mia” buttati al vento, sussurrati mentre facevano l'amore
senza
pensare al futuro.
Ma se lo ricordava Harry, quel futuro
che le aveva promesso? Quel futuro dove ci sarebbero stati
semplicemente loro due, se lo ricorda?
Si toccò il collo, ricordando come la
sua pelle bruciava a contatto con le mani del ragazzo, come il suo
cuore sussultava a ogni minimo avvertimento.
Le mancava Harry. Il modo in cui le
sorrideva dolcemente prima che lei si abbandonasse al sonno fra le
sue braccia, le fossette che si formavano al lato delle sue labbra,
la maniera in cui i suoi occhi s'illuminavano quando era felice e,
senza che lui lo volesse, anche quando c'era qualcosa che non andava.
I suoi movimenti calcolati per spostarsi i capelli ribelli dalla
fronte, i suoi tatuaggi non proprio da bad-boy e -perchè
no?- le
mancavano anche quei tatuaggi che lui stesso le imprimeva sulla
pelle.
Sua mamma si lamentava troppo spesso
dei suoi comportamenti strani, della sua -ormai inesistente- voglia
di vivere, di come i suoi comportamenti fossero cambiati nel giro di
un annetto, del fatto che non mettesse mai il naso fuori dalla sua
stanza e, soprattutto, del fatto che non riuscisse a reagire alla
scomparsa di quello strano ragazzo dai capelli esageratamente ricci e
scomposti e dall'aria enigmatica eppure affascinante. La donna
gliel'aveva sempre detto che prima o poi sarebbe finita male, quella
stramba relazione, ma lei non le aveva mai creduto. Perché
avrebbe
dovuto? Infondo, lui l'amava. Perché sarebbe dovuto fuggire?
E
invece, era successo proprio quello. Ma lui non era morto in un
incidente o cose simili. No. Lui aveva semplicemente preso la sua
auto e non era più tornato indietro. Ma non l'aveva
lasciata, se
n'era andato senza lasciarla. Quindi stavano ancora insieme, giusto?
Di riflesso guardò la strada,
l'orizzonte. Eppure la
amava,
gliel'aveva detto una volta. E quella volta le era bastata, le era
bastata eccome. Dov'era Harry?
“Perché
sei ancora con me, Harry?
Insomma, tu sai come sono, no? Eppure sei qui che mi stringi a te,
come se niente fosse”.
Il ragazzo dagli occhi verdi la
guardò dolcemente, tirandole la coperta fino al collo e
avvicinandosi ancora di più.
“Perché ti amo, Elizabeth.
Semplicemente perché ti amo”.
Rispose lui con nonchalanche, come
se avesse detto la cosa più naturale che si potesse dire. E
forse la
era. Un 'ti amo' è sempre sincero. Eppure per Elizabeth non
lo era,
nessuno poteva amarla. Lei era complicata. Ed essere complicata
implicava il fatto che nessuno avesse voglia di fermarsi un attimo
per capirla.
Alzò la testa, puntando lo sguardo
dritto nelle iridi di Harry, che sorrise.
“Non puoi farlo, nessuno lo fa”.
Era vero, nessuno l'aveva mai fatto. E nella sua testa, nessuno
l'avrebbe mai potuto fare nemmeno in futuro.
“Ma io vado sempre contro le
regole, dovresti saperlo, piccola”. Detto questo, le sue
labbra si
posarono fulminee su quelle della ragazza, che non ci mise molto per
capire che era tutto ciò che voleva. La sua bocca si
schiuse,
facendo in modo che quel bacio diventasse uno di quelli che ti
conquistano anche l'anima.
La sensazione delle mani del ragazzo
che vagavano libere sul suo corpo alla scoperta di ogni minimo
dettaglio la facevano sentire desiderata, i loro corpi attaccati la
facevano fremere.
Sì, in realtà non le importava
perché l'amasse. Doveva amarla e basta, poi il resto veniva
tutto di
conseguenza.
E lei, lei lo amava?
Sì, lo amava. E
continuava ad amarlo anche ora che era uscito dalla sua vita con la
stessa facilità con cui vi era entrato, lasciandola priva di
ogni
sentimento verso gli altri.
Si guardò allo
specchio, domandandosi cosa c'era di sbagliato in lei. Le sue gambe e
il suo fisico non erano certo dei migliori, ma lui aveva sempre detto
di amarla così com'era. La sua bocca piena era stretta in
una linea
senza espressione, il suo viso era pallido e incorniciato da ciocche
di capelli ribelli che l'elastico non poteva contenere. Fra le sue
mani, sempre quella maledetta maglia.
Portava una felpa
decisamente troppo larga per il suo corpo e un paio di pantaloni
sgualciti e stretti. Perché curare la sua immagine quando
non c'era
nessuno che volesse amarla? Era come stare all'inferno terrestre, un
inferno che solo lei viveva e solo lei poteva sentire. Un inferno dei
sopravvissuti. Senza di lui, la sua vita si era trasformata nel suo
stesso inferno. Nella cosa che l'avrebbe uccisa, logorata.
Lanciò la
maglietta azzurra sul letto, aprì la portafinestra della sua
camera
da letto e uscì senza preoccuparsi del freddo pungente di
febbraio
che la fece rabbrividire. Incrociò le braccia al petto,
poggiandosi
al muretto e continuando a rimuginare su tutto quello che le era
successo.
Il loro non era
stato un amore adolescenziale da film rosa. Non si scambiavano teneri
baci in pubblico, non passavano le loro giornate a dirsi cose
sdolcinate e quando succedeva era una cosa strana per entrambi. Ma in
quel momento lei forse un pochino si pentì di tutti quelle
dichiarazioni tenute strette fra i denti, di tutti quei baci non dati
e di quelle carezze rimaste sulla punta delle dita.
Il loro era stato
un amore di quelli da distruggere il cuore, da preferire l'inferno al
paradiso. Un amore portato dall'odio, un rapporto dettato dalle loro
vite che si erano intrecciate per puro caso in un momento di
sconforto. Ma ora, ora che lei si trovava davvero all'inferno, lui
dov'era?
Chiuse gli occhi e
un'immagine prese forma nella sua mente, senza che lei lo volesse.
Le mani di Harry
erano strette sui
suoi fianchi mentre le sue labbra giocavano vogliose contro il suo
collo e lei non poteva fare altro se non sospirare, sperando che quel
contatto non finisse mai.
Si sistemò meglio sopra il corpo
del ragazzo, lasciandogli dei baci sul viso, seguendo la linea ben
definita della sua mascella fino ad arrivare al suo orecchio e
posarci le labbra sopra.
“Ti odio, Harry”.
“Ti odio anche io, Beth”.
Lo detestava, lo detestava davvero.
Lui la faceva sentire tremendamente debole, nuda, priva di ogni
difesa. Lo detestava perché era stato l'unico in grado di
entrare in
lei, l'unico in grado di amarla. E soprattutto lo detestava
perché
lei non riusciva a fare altro se non amarlo. Amarlo
incondizionatamente.
Infilò la mano
nella grande tasca al centro della felpa e ne estrasse un pacchetto
di sigarette. Anche quelle erano del ragazzo, che le aveva buttate
sulla scrivania di Elizabeth insieme ad un accendino prima di uscire
dalla porta per non entrare più.
Ne prese una fra le
dita, accendendola e portandosela alla bocca per poi inspirare
profondamente. Non aveva mai fumato, non voleva iniziare a farlo.
Allora perché lo stava facendo? Tossì e
guardò il cielo. Quel
cielo grigio e invernale che lei tanto adorava.
Il fumo le bruciò
la gola, facendole strizzare gli occhi e ricordandole il sapore che
avevano spesso le labbra di Harry. Perché continuava a farsi
male in
quel modo?
Non era arrabbiata
con lui. Qualcosa di esterno l'aveva spinto ad allontanarsi, qualcosa
di grande. Più grande di lei, di lui, del loro amore. Ma
Harry
l'avrebbe definito “amore”?
Lei era spaventata.
Spaventata dalla sua esistenza senza di lui, dai gesti che lei
avrebbe compiuto, dalla persona che sarebbe diventata.
Si tirò su il
cappuccio, sorridendo al ricordo del riccio che le diceva
costantemente di quanto sembrasse infantile, insacchettata in quelle
tute giganti. Fece fuoriuscire il fumo dalla sua bocca, guardandolo
mentre si disperdeva nell'ambiente.
Lo squillare
ininterrotto del suo cellulare la fece sussultare mentre stava per
fare un secondo tiro. Non si ricordava nemmeno di averlo, un
telefono. Controvoglia lo tirò fuori e rispose, ma la voce
la bloccò
ancora prima che lei potesse avere la possibilità di capire
chi
fosse.
E il sangue le si
gelò nelle vene.
“Butta via quella
sigaretta, sono tornato”.
Incapace di
realizzare, voltò di scatto la testa verso sinistra mettendo
a fuoco
un ragazzo, fermo, immobile.
In un istante tutto
quello che era stato fino a quel momento si congelò nei suoi
ricordi
e non riusciva a pensare ad altro se non a quegli occhi che, seppur
ancora troppo distanti, la fissavano senza scrupoli. Era davvero lui,
era davvero tornato.
Il suo cuore
assunse un ritmo ormai dimenticato, probabilmente sulle sue guance
tornò uno strano colorito rossastro e nella sua testa ogni
pensiero
si accavallava al precedente senza che lei capisse cosa stesse
succedendo.
Lo aveva trovato,
finalmente era tornato da lei.
Inconsapevolmente
un sorriso prese forma sul suo viso mentre una goccia salata tornava
a scorrere sulla sua guancia. Ora non era più sola.
Rimasero lì, così,
per interminabili minuti.
“Ciao, Beth”.
La voce le morì in
gola, mentre la sigaretta cadeva ai suoi piedi.
“Ciao, Harry”.