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Autore: timeaftertime    08/03/2014    1 recensioni
America, 1850. Nel piccolo paesino di Mayford le quattro sorelle White, rimaste orfane, cercano di andare avanti in un mondo dove il denaro conta più delle persone. Una storia che parla di amore in tutte le sue diverse e meravigliose forme, di famiglia, di amicizia e di donne che superano ogni difficoltà con le loro forze. E che scoprono che l'amore non è come lo si immagina...ma spesso è molto meglio.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Ciao a tutte! Scusatemi se vi scrivo soltanto nel secondo capitolo, ma nel primo ero così ansiosa di pubblicare che mi sono dimenticata di tutto il resto! Dunque, nelle righe seguenti vedrete che la storia comincia a prendere forma un po' meglio. La mia mente malata è piena di idee e di scene che vorrei inserire, così come di una marea di intrecci e di personaggi ancora da sviluppare. Ovviamente so benissimo che questo non è il romanzo del secolo ma solo una storiella stupida, però spero quantomeno che possa servire a qualcuna di voi per passare dieci minuti del suo tempo in maniera diversa. A me serve per sfogarmi e per concentrarmi sulla vita dei miei poveri personaggi così da non pensare alla mia. Mi farebbe molto piacere se qualcuna di voi volesse recensire e dire cosa ne pensa, dandomi anche suggerimenti, perché no. Accetto ogni critica come deve essere fatto, ma vi prego, abbiate pietà! Sono una persona sensibile :( A presto con il prossimo capitolo!            -timeaftertime



La mattina seguente Sarah scese a colazione di pessimo umore a causa di un terribile mal di testa.

“Oh, perfetto, sembra anche che il cielo prepari un bell’acquazzone!” disse con voce seccata. Dalla finestra infatti si vedeva un cielo scuro, e i raggi solari cominciavano a sparire dietro grossi nuvoloni.

“Buongiorno anche a te, splendore!” disse sarcastica Lily, guardando la sorella da sopra la sua tazza di latte. Julia e Hannah cominciarono a ridacchiare, ma lo sguardo di Sarah le fulminò. Hannah giudicò più saggio ritornare a concentrarsi sullo schizzo che stava realizzando sul suo album da disegno.
Julia invece guardò la più grande delle sue sorelle con tenerezza e preferì dire con tono dolce:

“Ogni stagione ha il suo momento, ed era anche ora che arrivasse l’inverno. E poi dici sempre che il caldo ti soffoca! Piuttosto, hai l’aria stanca. Qualcosa non va?”

“Ho solo un po’ di mal di testa, sta’ tranquilla…passerà durante la giornata. Sempre che le gemelline non siano in una di quelle giornate in cui sono più intrattabili di un branco di scimmie sudamericane! Quanto vorrei poter rimanere a casa, almeno oggi. Sono stanca di dover sempre lavorare”

“Non dire così. Sai bene che queste bambine sono state una benedizione per la nostra famiglia.”

Julia era sempre molto sensibile riguardo al suo lavoro, anche se non era esente dai rimpianti della sorella. Quante volte aveva visto le ragazze del paese passare il tempo solo a divertirsi, mentre lei era costretta a passare tutte le mattinate ad insegnare, anche quando era troppo stanca persino per tirarsi su dal letto!

“Hai ragione. E poi, non sia mai che si dica che le uniche donne lavoratrici del paese si lamentano della fortuna che hanno!”

“Beh, però Rebecca Rayles non lavora e non sembra affatto infelice…” disse Hannah con un vocino sottile.

“Questo è solo perché è troppo stupida per immaginare che al mondo ci sia qualcosa oltre alla scelta delle stoffe più costose da mettere sul conto di papà. Noi, ringraziando Dio, siamo ben diverse e ne dobbiamo andare fiere!”

Julia aprì bocca per rimproverare Sarah dell’epiteto rivolto ad un’assente; ma poi si ricordò del suo ultimo incontro con la signorina Rayles e concluse che per una volta, tutto sommato, poteva anche lasciar correre. Invece preferì prendere i libri che le servivano per la lezione e, dopo aver salutato con un bacio tutte e tre quelle ragazze che erano ciò che di più caro aveva al mondo, uscì.

Sarah, dal canto suo, preferì fare colazione con molta calma cercando di distrarsi e farsi passare il mal di testa. Si mise perfino a discutere con Lily delle ultime sue scoperte, ma ad un certo punto furono interrotte da Hannah che chiedeva alla sorella come mai era ancora a casa. Sarah guardò il vecchio orologio del salotto e per poco non le venne un colpo: era in ritardissimo! Gridando un saluto mentre chiudeva la porta d’ingresso si catapultò fuori e cominciò a correre come una forsennata lungo la strada che portava a casa delle gemelline. Mentre girava l’angolo, però, finì addosso a qualcosa…anzi qualcuno.

“Ma che mattinata…” mormorò rialzandosi. Ci mancava solo che avesse travolto il suo datore di lavoro, il signor Harrys, il nonno delle gemelline. Era tanto anziano che anche un colpo di vento poteva buttarlo giù. Mentre rifletteva se travolgere una persona correndo potesse essere considerato omicidio, il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da una voce maschile colma di irritazione.

“Ma dico, vi sembra il modo?!”

Sarah tirò su la testa di scatto: non era la voce del vecchio signor Harrys. Quello che si trovò davanti era un ragazzo sulla ventina, alto, con folti capelli neri e una barbetta non molto lunga. Ma quello che più colpì la ragazza furono gli occhi: puro ghiaccio, e riempiti di un’alterigia che le diede subito sui nervi.

“Vogliate scusarmi, ma andavo di fretta” disse con tono glaciale.

“Non è un buon motivo per travolgere i giovanotti a passeggio! A meno che, certo, questo non fosse un tentativo femminile di attirare l’attenzione”

Questa affermazione, che avrebbe dato fastidio a qualunque donna, ebbe sull’animo fiero e femminista di Sarah l’effetto di un’esplosione.

“Ma come vi permettete? Non so che razza di donne abbia conosciuto, ma di certo ho di meglio da fare che finire in terra per attirare l’attenzione del primo che passa! E vi informo che a differenza di certi nullafacenti, c’è gente che la mattina va a lavorare invece di passeggiare!”
E se ne andò sdegnata, lasciando dietro di sé il ragazzo, che la fissò esterrefatto fino a che la figura snella di Sarah non scomparve dietro il cancello di casa Harrys.



Nel frattempo, a casa Redford, Julia cercava di far ripetere le tabelline alla piccola Clara, che non amava la matematica.

“Juliet, non ci riesco!” disse la bambina usando quel soprannome che da sempre aveva scelto per la sua adorata istitutrice.

“Ma certo che ci riesci, tesoro. Hai solo bisogno di un po’ di esercizio. E poi, se sarai brava, canteremo un poco”.

Julia sapeva che la sua piccola allieva amava la musica, e infatti lei si impegnò moltissimo da quel momento in poi. Alla fine, dopo averle fatto molti complimenti (era una maestra convinta dell’efficacia delle ricompense), si diresse verso il salone della musica e aprì il pianoforte. La signora Redford non sapeva suonarlo, ma lo aveva voluto a tutti i costi per poter organizzare balli e ricevimenti degni di questo nome. Aveva poi chiesto a Julia di insegnare a Clara qualcosa, e lei ne era ben felice: la musica era una delle cose che più amava, una passione ereditata da sua madre. E proprio come faceva sua madre con lei, aveva insegnato a Clara molti brani in cui poteva accompagnarsi con il canto. Quella mattina la bambina decise di mostrare i suoi progressi con un brano abbastanza difficile e lasciò a Julia la gioia di cantare.

“Mi piace tanto la tua voce, Juliet. Quando sarò grande voglio cantare proprio come te!”

“Ma canterai di certo molto meglio, ma petite. E ora fammi sentire quanto sei brava su quella tastiera, su!”

Le note cominciarono a risuonare e Julia guardò con orgoglio la sua piccola allieva. C’erano delle imprecisioni, certo, e mancava una profondità emotiva che poteva derivare solo da una maggiore maturità, ma Clara era brava e migliorava a vista d’occhio. Poi, Julia cominciò a cantare. Aveva una bella voce, su questo la bambina non aveva mentito: dolce, ma decisa e non troppo acuta come molte ragazze che ai ricevimenti amavano farsi notare e definivano “bravura” lo strillare note sempre più alte. La sua bravura consisteva invece nel dare un senso ad ognuna delle note, comunicare qualcosa.

Love is like a high mountain
Love is like a lost island
Kissed by wind and sun
And never to be undone


“La tua voce sta diventando sempre più simile a com’era quella della mamma”, le aveva detto Sarah con le lacrime agli occhi qualche sera prima. E anche lei aveva pianto, quella notte. Però non davanti alle sorelle: non lo faceva mai. Piangeva raramente, e solo quando nessuno poteva vederla. Lei era di fatto il capofamiglia, non poteva mostrare debolezze. Ma mentre cantava la mente vagava lontana, immaginando una vita diversa. Senza preoccupazioni continue. Una vita in cui non dovesse mai sentirsi sola.

Poi la musica finì. Julia aprì la bocca per complimentarsi con Clara, ma fu interrotta da un applauso proveniente dall’altra parte del salone.

“Matty!” gridò la bambina correndo verso il ragazzo, che la accolse in un abbraccio sollevandola da terra.
“Che bello! Sei già a casa! Allora vieni, devo presentarti la signorina più stupendissima di tutta Mayford!” e detto questo lo trascinava verso Julia, che guardava tutti e due con aria confusa. Che lei sapesse, Clara era orfana e non aveva fratelli.

“Juliet, questo è il mio cugino preferitissimo, Matty!”

Il ragazzo si mise a ridere, poi prese la mano di Julia e vi depositò un bacio, inchinandosi e dicendo:
“Matthew Kraus, signorina, sono onorato di fare la vostra conoscenza”
Quando si risollevò la guardò negli occhi e Julia si perse per un secondo. Poi però si ridestò e cercò di ricomporsi.

“E’ un immenso piacere conoscervi, signor Kraus. Non sapevo che Clara avesse cugini”

“E io non sapevo che avesse un’istitutrice con una voce tanto meravigliosa” Julia arrossì a quel complimento inaspettato, ma fortunatamente Clara richiamò il cugino per mostrargli tutti i brani che ormai sapeva suonare e così il contatto visivo che si era instaurato nuovamente tra i due fu interrotto. Mentre la bambina chiacchierava senza prendere nemmeno fiato, Julia si concesse di osservare con più attenzione questo nuovo arrivato. Dal nome e dall’accento dedusse che doveva essere tedesco: anche l’aspetto lo confermava. Alto, ben impostato, sapeva proprio di una persona su cui poter fare affidamento. Aveva i capelli biondi e leggermente lunghi e una barbetta appena accennata con un principio di basette; gli occhi invece erano verdi, profondi, dolcissimi. Ma dopotutto, che le importava del colore di quegli occhi? Doveva concentrarsi, stava lavorando. Subito il senso del dovere ebbe la meglio e dopo aver salutato il signor Kraus lei e Clara ritornarono, tra le proteste di quest’ultima, a studiare matematica.


A casa, mentre aspettava che le sorelle tornassero da lavoro, Hannah guardava fuori dalla finestra il cielo che si faceva sempre più cupo. Quella cassapanca davanti alla finestra era il suo posticino preferito: lì poteva disegnare e sognare un mondo diverso. Non le piaceva lamentarsi e cercava di non farlo mai, ma anche lei aveva le sue preoccupazioni e i suoi sogni, che ogni giorno le sembravano più lontani. Amava profondamente le sue sorelle, ma vivere sempre alla loro ombra l’aveva fatta diventare sempre più insicura. Non aveva la maturità e la forza interiore di Julia, né tantomeno l’intelligenza e la decisione di Sarah o la genialità precoce di Lily. Era invece timida, fragile, insicura. Anche nell’aspetto fisico si considerava inferiore a chiunque: era bassina e formosa, con capelli ricci e scuri indomabili e gli occhi grigi.
“Proprio come sono io” pensava lei “Grigia, invisibile al mondo”.
E così s’intristiva. A che le serviva essere tanto brava a disegnare se poi non aveva nessuno a cui importasse?
“Agli altri importa solo la bellezza” pensava “e io non ce l’ho”.
E inevitabilmente il pensiero volava verso l’unica persona per la quale avrebbe voluto essere bella…ma lui non sapeva, né avrebbe mai saputo. Lei era solo la sua carissima amica, quella che sarebbe stata in prima fila a vederlo sposare un’altra, pur di vederlo felice. Quella che era destinata a perderlo, perché non era abbastanza bella da tenerlo.

“Se mi sentisse Sarah! Fare questi pensieri è davvero molto poco femminista. E Julia! Di certo cercherebbe in tutti i modi di farmi capire quanto io sia bella e brava in realtà. Care sorelle! Come sono cattiva a pensare certe cose! La cosa più bella della mia vita sono sempre loro!” e così ritornò a disegnare con animo più sereno. Ma lui rimase tra i suoi pensieri, come una costante, come sempre.
  
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