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Autore: Fanny Jumping Sparrow    08/03/2014    4 recensioni
Tutti quanti conosciamo l’eccentrico ed affascinante Capitan Jack Sparrow, ma poco o nulla sappiamo delle sue origini.
Chi erano i suoi genitori? Come si sono conosciuti? Quanto hanno inciso i loro caratteri e la loro storia d’amore sul famigerato pirata che ha conquistato i nostri cuori?
Con questa breve long-fic proverò a dare risposta a questi spinosi ed enigmatici interrogativi, usando molta fantasia, qualche dato certo e parecchie speculazioni personali.
Buona permanenza a chi vorrà imbarcarsi!
La terra arsa poteva conciliarsi con l’intemperanza del mare?
Poteva trattarsi di un sofferto addio, oppure del nodo definitivo di un cappio di fuoco che non si sarebbe spento nemmeno con la forza di mille maree future.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Capitan Edward Teague, Jack Sparrow
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Buona sera, mie adorate donzelle e piratesse! E tanti auguri!
Anche se pensavo quasi di non farcela, alla fine invece sono riuscita a concludere questo penultimo - stavolta è sicuro - capitolo di "Accalappiati" e ve lo dedico con tutto il mio affetto, sperando che vi sarà gradito.
Vi premetto che è il più lungo in assoluto che abbia scritto: purtroppo l'ho revisionato più volte, ma non sono riuscita a fare grossi tagli. Mi piaceva così com'era e spero che per voi sarà lo stesso.
Ho voluto dare spazio a tutti i personaggi principali, e stavolta anche trattare il punto di vista di Jack bambino.
Mi auguro di non aver ecceduto con le stupidaggini, col romanticismo e con le scene troppo calde ^.^
Il titolo mi è stato ispirato da una omonima canzone dei Doors di stile e tematica marinaresca (per chi la volesse ascoltare http://www.youtube.com/watch?v=QQ2--okSzMc).
Ulteriori annotazioni le trovate come sempre a fondo pagina.
Grazie a tutti coloro che hanno messo questa storia tra seguite, preferite, ricordate, e a chi la sta leggendo.

Al prossimo approdo!)




VI – LAND HO!


Riempì il quinto boccale di ginger rum, desiderando scomparire insieme a quelle bollicine senza che nessuno di quella squallida congrega di avventori si riprendesse dalla sbronza, la riconoscesse e si rivelasse tanto demente da importunarla con le solite noiosissime ciarle.
A procurarle un pessimo risveglio aveva già provveduto ampiamente la sua svergognata sorellastra, piombando in piena notte a scassinarle la porta di casa e sfidandola in un acerrimo confronto di ingiurie, coltelli e pugni.
Centellinava la zuccherata bevanda sbirciandola con profonda ripugnanza dal fondo verde del bicchiere, mentre si sbottonava il corsetto e offriva la mammella gonfia di latte alla piagnucolante creatura che reggeva sulle ginocchia. L’incorreggibile aveva ben pensato di figliare pure con l’ultima sua improbabile fiamma, il Capitano di una feluca spagnola che contrabbandava tabacco e spezie, e che se n’era tornato vigliaccamente in Catalogna mollandola ben prima che partorisse, partendosi da lei con la classica inaffidabile promessa da pirata. Aveva maturato un tale menefreghismo per quel genere di fatalità che le implacabili critiche con cui l’aveva denigrata non l’avevano lontanamente scalfita.
Sembrava si fosse prefissata di ripopolare i sette mari, concedendosi a qualunque maschio la corteggiasse o si confacesse allo sfizio del momento. D’altronde se n’era infischiata anche quando era stato suo cognato, il suo uomo, a lusingarla. O era stata proprio lei a persuaderlo a calarsi le braghe, perché aveva sempre avuto la smania di sentirsi bramata e vincitrice.
Non aveva mai voluto sapere tutta la verità, le era bastata l’infame evidenza per giudicarlo colpevole e decidere di assassinarlo. E oramai quella era una questione morta e sepolta, per la quale non valeva più la pena di crucciarsi.
Quick Draw versò dell’altro liquore per entrambe, sporgendosi in avanti con un timbro di voce importunante: - Come va con la piccola principessa delle Indie?
Era inevitabile che con quell’oca linguacciuta la discussione vertesse su quella seccante faccenda. Grace Sparrow trincò con estrema lentezza, sperando di spazientirla e dissuaderla, meditando di scaraventarle il tavolo addosso se avesse insistito con quella farsa della sorella che si interessava dei suoi problemi. Ma aveva trattenuto per così tanti infiniti mesi il bisogno di sfogarsi con qualcuno, che finì per tracimare in tutta sincerità: - Ancora non ho capito che diamine ci abbia visto un ragazzo aitante e intelligente come Edward in quell’insignificante zucca vuota!
La rossa ridacchiò offensivamente, divertita dall’accanita indignazione che l’aveva infiammata nel pronunciare quella calunnia:
- Saprà il fatto suo sul come farlo divagare … - suppose con un’allusiva strizzata d’occhio – E poi che sia insignificante sei soltanto tu a pensarlo, cara. Tutti nella Baia, da quel che ho sentito, non fanno che spettegolare su quanto sia fascinosa l’intoccabile vedova bianca di Capitan Teague!
- Ah! Fanculo! – bofonchiò Grace, fregando l’acciarino sul terzo rocchetto di coca della mattinata, portandoselo alle labbra e iniziando ad emettere sbuffi grigiastri per schermarsi dalla sua stucchevole invadenza.
Era stato veramente un compito ingrato, un disonorante supplizio, quello che il suo snaturato figliolo le aveva assegnato con tanta squinternata codardia: preservare la virtù della sua acerba moglie e aiutarla ad allevare il pestifero pargolo che avevano sconsideratamente generato.
Era stata irretita da una meschina superstizione nell’accondiscendere a quell’assurda richiesta. Non aveva niente a che spartire con l’affetto materno, perché se fosse stata una buona madre, avrebbe dovuto opporsi con più nervo alla follia del suo discendente, da subito, quando gliela aveva presentata e aveva intuito che erano nocivi l’uno per l’altra.
La stralunata ragazzina, tanto per complicarle le cose, riusciva a sottrarsi di continuo alla sua avvilente custodia e ad esporsi ai pericoli di quella scalcagnata oasi di depravazione.
Il suo aspetto esotico e sofisticato, addolcito da quella dissonante venatura infantile, era effettivamente reputato dai più irresistibile. Gli uomini che bazzicavano in città al suo passaggio si davano di gomito e fischiavano, adocchiandola come oggetto di piacere. Per sconsigliare a quei degenerati di molestarla aveva dovuto sporcare più volte le nocche e le lame, impegnandosi a tampinarla nei suoi insofferenti e inopportuni vagabondaggi.
Aveva trascorso il primo mese a struggersi malinconicamente, dileguandosi a ogni alba dal tetto che le aveva dato e girovagando per il porto con quel bambino sulle spalle, attardandosi fino al crepuscolo inoltrato a scrutare un orizzonte ristretto che mai mutava.
Ma il suo sconsolato vagabondare era stato come uno stagionale moto di marea: con le prime correnti fredde la sua penosa frenesia si era affievolita. L’inverno l’aveva paralizzata a letto, in balia di una malattia che alcuni esperti di medicina e la Violenta Visionaria avevano giudicato dal decorso rapido e irreversibile. Tra i più cinici c’erano già state scommesse sulla data della sua dipartita, invece, col ritorno del caldo bayamo1, Ruth era risorta ancora una volta, gioiosa, speranzosa e disponibile con tutti.
Grace stessa ci aveva rimesso del denaro con la sua inaspettata ripresa, ed era tuttora in debito con il Patriarca2a causa sua.
La svampita moretta si era inventata una serie di creative e fruttuose occupazioni, per ingannare il ricatto della Nera Falce, spifferavano alcuni, o per imbrogliare onestamente quell’attesa, affermava con modestia lei. Le maldicenze scaramantiche sulla sua persona si erano sprecate. La veggente Mabeltrude aveva formulato che, durante quello stato di incoscienza, lo spirito della giovane indiana avesse viaggiato nella dimensione sottile e che spiriti ultraterreni le avessero infuso nuova linfa vitale, giacché si era appassionata ai riti esoterici e al voodoo.
Grace non prestava molto ascolto a quelle strambe credenze, eppure neanche lei era riuscita a spiegarsi come fosse sopravvissuta a quella mortale consunzione.
In ogni caso non s’era ravveduta nei suoi confronti: per quanto si fosse dimostrata in possesso di doti e arguzie impensabili, era e restava una testa bacata, incapace di difendersi dai tiri mancini della malasorte.
- E che mi racconti, piuttosto, del soldo di cacio?
Quick Draw la sottrasse al lungo, livoroso e silenzioso rimuginare, scagliandole quella domanda a bruciapelo, mentre continuava a sorseggiare vino rosso e ad allattare la neonata.
La faccia torva della Sparrow parve perdere un po’ di austerità: - Oh, il passerotto non lo si può più tenere tra le mura domestiche, oramai ...


Si schiacciò la lingua tra i denti per la delusione.
Non aveva abboccato nient’altro che un puzzolente ammasso di alghe. Contenne per l’ennesima volta il riflusso di vomito che gli scosse la pancia digiuna e con pazienza liberò il retino dai restanti filamenti marroni e viscidi, quindi si spostò di qualche metro e lo rigettò nell’acqua stagnante, restandosene seduto con le gambe penzoloni sul bordo della banchina galleggiante.
Andava a zonzo tra le stradelle del molo da almeno tre ore, il sole di fine aprile incominciava a picchiare, ma almeno il cappello che aveva raccattato il giorno prima lo proteggeva da un’insolazione. Non era nuovo, anzi aveva pure qualche buco, e la misura era troppo abbondante per la sua testa, ma aveva tre piume colorate di ara macao e gli piaceva tantissimo perché lo faceva sentire più grande.
Jack ricontò il magro bottino, sbuffando insoddisfatto dello scarso risultato, allora si distese per sfruttare al massimo la lunghezza dell’esca, cercando di non poggiarsi più del necessario su quelle assi imputridite dalla salsedine e dal piscio dei gabbiani. Rastrellò scrupolosamente il fondale sabbioso, era sicuro che ci fosse molto di più in fondo a quella laguna. Aveva notato che marinai e donnine allegre perdevano oggetti di ogni tipo quando passavano di lì, e spesso era riuscito a recuperare gingilli interessanti.
La passerella prese a ondeggiare bruscamente per il transito di una frotta di pirati, e dovette aggrapparvisi con tutte le unghie per non capitombolare tra le torbide onde verdognole.
Si rialzò barcollando e sgrassandosi alla bell’e meglio i vestiti, rimproverando la loro poca attenzione. Ma i suoi occhi si incantarono ad ammirare il loro arrampicarsi sulle sartie, le vele che si libravano sui pennoni issati a forza di braccia, le variopinte bandiere agitarsi sulle antenne degli alberi, la schiuma che si formava ai lati degli scafi che sparivano al di là della cavità di quella grande montagna. E chissà in quali fantastici paesi andavano.
Assistere a quello spettacolo giornaliero gli allargava i polmoni e la mente, amava gustarselo finché l’ultimo raggio obliquo non moriva oltre la radura.
Da anni ascoltava storie e canzoni che raccontavano di spericolati navigatori, di favolosi tesori, di mostri terrificanti, di luoghi magici, di violente tempeste.
E si chiedeva se prima o poi avrebbero menzionato anche lui.
Peccato che gli avessero vietato di salire su qualunque tipo di imbarcazione, sospirò strascinando le suole verso un altro punto solitamente pescoso. Si sedette di peso immergendo stavolta un uncino.
Un piccolo bovo3 tinto di azzurro gettò gli ormeggi e cominciò a scaricare casse e barili. Uno tra i pescatori che sbarcarono venne raggiunto di corsa da un gruppetto di mocciosi, li abbracciò uno per uno e sollevò la più piccola, mettendosela a cavalcioni sulle spalle. Poi si incamminarono tutti insieme, sorridendo e scambiandosi festose chiacchiere.
Anche lui aveva un padre da qualche parte, un Capitano molto famoso, coraggioso e rispettato, così gli ripetevano sua nonna e sua madre. A differenza di altri bambini, però, non lo aveva mai visto. Non tornava a trovarli da molto tempo. Non era mai ritornato da quando erano arrivati lì, e lui non se lo ricordava per niente.
Ogni tanto provava a immaginarselo, studiando i suoi stessi tratti bambineschi allo specchio, o quelli attempati della Capitana, oppure osservando i volti abbronzati e sfregiati dei filibustieri che vivevano lì, e nessuno gli pareva corrispondere alla confusa idea che aveva di lui, perché non sapeva comunque come si muoveva, come parlava, cosa pensava, se gli interessasse di lui.
Un nome altisonante e tanti ammirati giudizi, era solo questo ciò che possedeva del suo fantomatico genitore.
A volte era così arrabbiato con lui da pensare che non volesse neanche più conoscerlo.
Lo stomaco emise un brontolamento eloquente. Era ora di pranzo. Strattonò la funicella con poca fiducia, si sorprese però che qualche cosa la bloccasse. E tintinnava.
Raccolse freneticamente la rudimentale attrezzatura da pesca e corse verso casa, col cuore che gli martellava dall’entusiasmo, sgusciando tra pozzanghere melmose e ruote di carri, ampie gonne e spade affilate, sputi di mercanti e burle dei coetanei. Si imbucò nella traversa Bocca di Lupo, poi salì su per il vicolo Barba di Gatto e con un’altra scorciatoia arrivò in una manciata di minuti in via Belvedere4, lasciando fuori l’imperterrito schiamazzo dei vicini.

Le sue dita allenate non interruppero il minuzioso ricamo che stavano ultimando su quella cute dura e rosolata. Non le aveva suscitato alcuna curiosità sapere da dove provenisse quel rozzo e borbottante bucaniere. Dopo che si era seduto e si erano accordati sulla figura, sui colori e sul prezzo, non aveva ascoltato null’altro di quello che le aveva snocciolato con vanagloria.
Non notava gli altri.
Mentre le sue mani lavoravano zelanti, la sua testa vagava sempre altrove. In alto mare.
Era diventata ogni giorno più abile a fingere che aveva accettato quella vita da eremita in mezzo alla gente, che poteva avere un senso anche senza di lui, che non dipendeva da nessuno ed era del tutto in grado di crescere da sola il loro bambino senza fargli mancare nulla.
Si era adeguata presto all’arte di arrangiarsi, d’altronde. A tredici anni era finita sulla strada e aveva appreso tecniche e stratagemmi per sopravvivere alla povertà. Così si era cimentata in alcuni passatempi cui l’avevano educata da bambina, e che le avevano garantito un minimo di autonomia e sostentamento, quando i piccoli furti non bastavano a sfamarla. Non che fosse particolarmente valida o avesse riscontrato molti consensi tra quella cricca di ignoranti e truffaldini, tuttavia aveva provato e perseverato. Aveva dipinto, scolpito, intessuto, trascritto, tradotto, acconciato. Aveva usato la scaltrezza e l’istruzione, la fantasia e l’ingegno, rifiutando di sottomettersi ai compromessi più facili e discriminanti.
Ruth percepì il suono cristallino del Furin5 agganciato all’architrave d’ingresso e un ansioso scalpiccio approssimarsi dal corridoio sottostante, preparandosi a veder sbucare da qualche angolo il suo faccino vispo e ad essere travolta dal suo animato resoconto delle nuove scoperte che aveva compiuto e degli scherzi che aveva architettato.
- Mamma! Mamma! Guarda cosa ho trovato!
Jack irruppe nella stanza spalancando l’uscio con la velocità di una folata di vento, il tizio sobbalzò bestemmiando e l’ago con cui la giovane donna lo stava tatuando gli rimase conficcato nel bicipite.
- Stupida zoccola! Mi hai sfigurato!
Ruth si discolpò umilmente con l’uomo, raccogliendo tutta la calma zen di cui era capace, così come si era esercitata a fare da qualche anno per non impazzire tra quella masnada di irriducibili malfattori. Con delicatezza gli estrasse di strappo il sottile strumento cavo, e con altrettanta cortesia si congedò, si alzò e andò incontro al figlioletto che esibiva con orgoglio un borsellino gocciolante e tintinnante.
Il bambino sciolse il laccetto facendole vedere il degno contenuto: perle e monete di vario valore.
La madre si affrettò a sottrargli il sacchettino e a nasconderlo nel reggicalze.
- Dove lo hai rubato? A chi? – smorzò la voce preoccupata, frapponendosi tra lui e l’estraneo che seguitava a inveire contro di loro, affinché l’ingenua rivelazione non gli svegliasse qualche appetito piratesco.
Jack le lanciò un sorrisetto complice e rovistò tra le tasche colorandosi di un rossore gradasso: - L’ho trovato mammina, insieme a queste altre cosette – ammise entusiasta, uscendo altri manufatti lavorati di metallo e di pietra, frammenti di ciondoli e gioielli per lo più.
La ragazza si chinò sulle gambe notando quanto i suoi vestiti e i suoi ginocchi fossero lordi e impiastricciati, ma le sue pupille luccicanti di genuina e contagiosa allegria la indulsero a perdonarlo e bisbigliargli con un mezzo sorriso un sincero e sofferto complimento: - Bravo.
- Ehy! Bellezza! Pretendo che mi sistemi questa storpiatura!
Ruth fece cenno al figlio di sfamarsi da solo con il canestro di frutta che gli aveva preparato su un tavolo e si rivolse di nuovo alla tavolozza di inchiostri e pennellini, dando un’occhiata meticolosa alle linee che avevano preso forma sul braccio del marinaio. Il bozzo che si era disegnato involontariamente col suo movimento le suggerì la maniera di rimediare lo sbaglio con un accurato inganno: - È una sirena incinta. Non sapete che le donne incinte sono di buon auspicio?
Il furfante indagò con i suoi incavati occhi grigi alternativamente lei e il disegno quasi completo, si torse una ciocca degli unti capelli giallicci e poi sgualcì il viso raggrinzito in una grassa risata: - Beh, allora voglio che le fai anche le poppe più grosse!
Ruth si scostò dalla fronte alcune frange scappate dal fazzoletto color zafferano che le legava e gli annuì con gentilezza, drizzando un discreto ammicco a Jack che spiava la contrattazione mangiando una mela.
Il bambinetto seguiva affascinato i gesti sicuri e sciolti con cui la madre maneggiava quegli arnesi appuntiti e tracciava elaborati ghirigori perforando la ciccia molliccia di quello straniero, che stringeva i denti sbottando una sequela di offese agli dei e nominando altre persone ignote. Più del suo linguaggio scurrile lo infastidiva lo sguardo brutto e insistente con cui la fissava, come se fosse pronto a rapinarla. Pensò che forse avrebbe dovuto filare di sotto a richiamare la Capitana, anche se c’erano già i due sgherri del Patriarca appostati a sorvegliare. Non intendeva disturbarla inutilmente, evitava sempre di farlo, ma aveva un cattivo presentimento, così si avviò sulle punte dei piedi verso la scala interna. Scesi i primi dieci gradini, avvertì un claudicante e nervoso rumore di tacchi, e indietreggiò deglutendo e lasciandola passare.
- Come vi sembra, adesso? Desiderate altro?
Ruth aveva finito di ritoccare il tatuaggio e nel frattempo si era premurata di sfilarsi lo spillone che le raccoglieva parte della capigliatura, accennando a pettinarsi per distrarlo dal notare l’arma.
L’uomo si grattò la barba arruffata e sporca, allungando una mano verso di lei e guardandola di sbieco: - Sì, la tua fi …
Il pugno dell’indiana rimase a mezz’aria nel tentativo di attaccarlo e una punta di pugnale gli si posò sulla giugulare: - I bordelli di Cockstreet sono sempre aperti. Se vuoi ti ci accompagno a calci in culo.
Il bruto inghiottì la bava distendendo i tendini nel riconoscere il cavernoso accento della sanguinaria Grace Sparrow, che gli fiatava intimidatoria sul collo esposto al filo del coltellaccio. Girò le orbite sul lungo arnese acuminato che l’appetibile mora stava impugnando contro la sua tibia e si ricrebbe sull’opportunità di altre avances spudorate.
La Capitana gli diede uno strattone sulla scapola: - Ora sgancia quel che le devi e togliti dalle palle.
L’uomo obbedì in tutta fretta e si precipitò all’uscita, continuando a scusarsi goffamente.
- Così mi farai scappare tutta la clientela – disapprovò docilmente Ruth, dividendo imparzialmente la somma ricevuta con la dispotica tutrice. Aveva preteso il 60% su tutti i suoi guadagni, con la giustificazione che provvedeva costantemente alla loro incolumità.
Grace conservò spilorciamente i soldi senza rispondere alla sua stanca accusa, e si interessò invece al nipote: - Ho sentito casino prima di arrivare. C’è qualcosa che dovrei sapere, cacchetta di cane?
Jack era terrorizzato dal sogghigno tetro di quella donna, ma si obbligò a non tentennare: - Nulla, signora.
- È tutto a posto – intervenne contegnosa la nuora, rassettando gli strumenti che aveva utilizzato con l’aiuto del piccolo. La piratessa non le diede alcun credito, Ruth lo difendeva sempre e comunque. L’avrebbe fatto crescere tra sogni di bambagia. Spettava a lei educarlo agli spietati scogli della realtà.
- Mi pare che oggi ancora non te lo ho date … - sentenziò inesorabile, facendo stridere le unghie sul robusto bastone di legno che portava al fianco, al posto della tradizionale sciabola.
Il bambino si rifugiò dietro la schiena della madre che gli carezzò un polso per tranquillizzarlo, parlando con misurata apprensione: - Ti ripeto che non ha fatto niente. Non è necessario.
All’altra donna brillarono sinistramente gli incisivi dorati, raddolcendo in maniera derisoria l’inflessione: - Gli tocca per principio, piccina mia. Oramai dovresti saperlo. La vita è una batosta, è bene che si rinforzi i reni e impari a prenderle, se vuole riuscire a cavarsela.
Nell’attimo in cui le loro dita si separarono, Jack e Ruth strizzarono le palpebre reprimendo il bruciore che le bagnava.
La prima percossa sferzò l’aria, ma poi uno stridulo lamento coprì i singhiozzi dello sfortunato.
- Sta arrivando! Lui sta arrivando!
Mabeltrude spuntò come un’ombra spettrale, le iridi velate dalla trance, le braccia che si dimenavano a vuoto, camminando in circolo e ripetendo frasi sconclusionate.
- Quel tuo pezzente Cliff non tornerà più, pazza strega! – la sgridò aspramente Grace, menando ancora con la stecca il sedere del bambino che strillava all’unisono con la giovane mamma.
- Ma lui sta tornando, vi dico! – continuò a ripetere l’anziana cugina, guizzando insistentemente gli opachi bulbi dilatati ora su Ruth ora su Jack.
I suoi sproloqui trasmisero ai due una scettica palpitazione: troppe volte avevano penato per lasciarsi consumare dall’ennesima falsa speranza e si imposero di non gioire invano.
La Capitana intercettò la loro corrispondenza di occhiate e si offese per esserne stata esclusa: - Parli del mio diletto? – le domandò gorgogliante, liberando dalla punizione il nipotino che aveva obbligato a mettersi contro un pilastro.
Mabeltrude le afferrò le mani e distese lo smunto volto in un inquietante sorriso di invasamento: - Lo hanno nominato Capitano, lo sai Gracie?
La Sparrow piegò la testa di lato e parve davvero sconsolata: - Sei solo una vecchia palandrana rincoglionita – grugnò scrollandosi dalla sua debole presa, e si dipartì da loro senza altri convenevoli.
Ruth accompagnò la longeva parente ad accomodarsi su una poltrona e riposare, congedando i due taciturni guardaspalle mandati dal Patriarca e barricando i battenti del piano inferiore.
Jack frattanto si massaggiava il fondoschiena un po’ dolorante e la scrutava affaccendarsi a mettere in ordine e dedicarsi a pulizie straordinarie, mormorando una triste filastrocca a labbra chiuse, intanto che sbatteva qualche tappeto o spolverava le superfici di mobili e soprammobili, cambiandogli disposizione e accendeva incensi profumati per propiziare gli dei.
Cominciava con quell’angosciante tiritera tutte le volte in cui qualcuno lo nominava.
Rinviava tutte le committenze e le uscite programmate, e alla fine interrompeva anche le faccende casalinghe che tentava di portare a termine in contemporanea e si eclissava per minuti e minuti nella sua camera. Metteva a soqquadro tutti i bauli, allineava i vestiti più eleganti sugli attaccapanni e li indossava uno dopo l’altro, indecisa su quale scegliere, come avesse ricevuto un invito importante. Concludeva quella minuziosa preparazione tingendosi la bocca e le ciglia e spalmando balsami profumati sulla pelle e i capelli. I suoi passi quasi non posavano più sul pavimento, danzava per ore da una finestra all’altra, aspettando di essere ripagata da quell’anelata notizia che puntualmente non giungeva. E allora dopo cena si lavava il viso e rindossava, insieme agli indumenti meno sgargianti, uno scintillante sorriso che Jack giudicava perfino più bello di quelli veri, e che provava di nascosto a copiarle.
Anche se, quando andavano a dormire, la sentiva rivoltarsi nel letto, tossire e singhiozzare e l'indomani mattina aveva sempre le occhiaie.

Una grossa blatta zampettava lungo una scanalatura del muro. Estrasse la fionda dalla cinta e, non avendo altro, prese un kiwi verde dal cesto sul tavolo. Affilò lo sguardo e scagliò il proiettile. L’elastico nel tenderlo si ruppe rimbalzandogli sul labbro e spaccandoglielo, il frutto rimbalzò sul bracciolo della poltrona in cui zia Mabeltrude continuava a russare, schizzò su un piatto appeso alla parete e si infranse contro un vaso di vetro, mentre l’insetto si rifugiò beffardo in una fenditura.
Ruth accorse dopo qualche secondo, richiamata dal fracasso dei frantumi, e rinvenne il figlioletto con l’arma ancora tra le mani e i cocci che tentava senza riuscita di ricomporre. Non lo rimproverò, piuttosto gli pulì con la punta di un fazzoletto il taglio che si era procurato.
Jack le lasciò tamponare, ma notando il trucco e i vestiti che aveva indosso non le risparmiò il suo critico e rattristato parere:
- Perché ci caschi sempre? A quello non importa un fico secco di noi.
Ruth inspirò lentamente, reprimendo il patema che gli arrecava la sua incolpevole osservazione: - Non parlare così. Tu non sai.
Il bambino si ribellò alla sua accondiscendenza e allontanò le sue braccia: - Non sono stupido!
- Certo che no – gli accarezzò il mento lei, chiedendogli di non sfuggire - Ma non capisci lo stesso.
Il piccolo Jack si leccò una lacrima che era sgorgata importuna. Per lui il comportamento di quell’uomo sconosciuto era indifendibile. E lei era divenuta gradualmente schiava della sua assenza: - Sì, non capisco. Cosa ti da? Cosa ti ha mai dato?
Sui lineamenti di sua madre aleggiò la gravità di quella risposta, reclamò la sua indulgenza invaghendolo a fidarsi: - Te, Jack.
Lo vide balbettare, indicando lo stato pietoso in cui era ridotto e il guaio che aveva combinato: - Appunto! – esclamò perplesso e sbalordito.
Non aveva ancora compiuto sei anni, eppure per la sua età era maledettamente sveglio, oltremodo sensibile ed esageratamente curioso. Si interessava a qualunque cosa, voleva spiegato tutto ciò che vedeva, osservava ogni dettaglio e memorizzava continuamente espressioni e vocaboli forbiti che ripeteva con naturalezza. La sua perspicacia molto spesso la sconcertava.
Ruth gli baciò con affetto la fronte, suggerendogli di approfittare della sonnolenta calura pomeridiana per coricarsi un po’, ma quello preferì uscire sul balconcino e sistemarsi alla frescura dei rampicanti, con la vista appiccata nella cala, mugugnando sarcastico le strofe finali della canzone dei pirati.

Siam canaglie, imbroglioni, dei veri furfanti,
trinchiamo allegri yo oh!
Aye, ma le nostre famiglie ci amano,
trinchiamo allegri yo oh …
 
Ruth ripulì il resto dei frammenti e si preparò un the verde, mettendosi a sorseggiarlo sul suo talamo intatto. Un taccuino, una matita e una mappa sostavano da settimane sullo scrittoio vicino, spettatori inerti dei suoi sonni tormentati. Decise di ridar loro un significato e ricominciò la trascrizione che Ace e Hazel le avevano delegato settimane addietro.
La sua conoscenza di alcuni idiomi orientali e la buona calligrafia si erano svelate delle preziose risorse anche durante la sua permanenza sulla Dama di Nebbia. Suo marito le aveva affidato la traduzione di alcune mappe trafugate negli arrembaggi, e le dettava ogni sera il diario di bordo.
Credeva fossero trascorsi secoli da quei giorni in cui si addormentava nei suoi occhi e divideva con lui il fiato. Si assopì per minuti che si rivelarono ore, destandosi in un meriggio rosa.
Per le strade imperversava la consueta baraonda, la casa invece era vuota.
Si diresse alla finestra che si apriva sul golfo e notò una nutrita folla affrettarsi verso gli approdi.
Le si ingarbugliò il respiro, le ginocchia vacillarono, costringendola a reggersi alla ringhiera.
Una nave stava attraccando nella baia, era un mistico e al cannocchiale appurò che batteva un vessillo familiare.
In preda alle vertigini, eccitata, incredula, confusa, si precipitò a correre giù al porto, così com’era.


Il primo pensiero che lo attraversò fu che tutto in quella sperduta isola di perversione fosse esattamente uguale all’alba in cui era partito. La stessa foschia giallognola solcava le acque immobili e una miriade di lanterne brillava al pari di ammalianti lucciole sospese in un’atmosfera senza moto e senza tempo. Da lontano sembrava proprio un quadro intriso di mistero e magia, solennità. Approssimandosi alla terraferma, tuttavia, lo scenario appariva molto meno nobilitante e molto più ordinario.
Capitan Teague oramai era abituato agli inganni e ai sapori forti che si respiravano nei porti di tutto il pianeta. Non si afflisse per quel contrasto, per la confusione dilagante, né per le trivialità che sentì e vide, quanto per la mancanza, tra le prime file di curiosi assiepati sulla banchina, di coloro che più aveva sperato di ritrovare, e che più aveva cercato di non dimenticare nelle sue esaltanti e logoranti peregrinazioni.
Il rimorso improvvisamente lo aggredì, squartandolo pezzo per pezzo, un morso alla volta, a cominciare dal fegato. I piedi si inchiodarono alla barca, intralciando la discesa dei suoi incontenibili compagni, che lo scavalcarono tuffandosi di buon grado tra le acclamazioni di quel pubblico affamato di racconti strabilianti e ricchi guadagni.
Non appena scese dalla scialuppa, però, Edward capì che la maggior parte dei presenti erano radunati lì soprattutto per il pirata Lord del Madagascar. Se gli uomini, avendo appreso dei suoi successi oltremare, se lo contendevano offrendosi di arruolarsi nella sua ciurma o di entrare in affari con lui, le prostitute competevano accesamente tra di loro e lo tiravano tra le loro braccia per potersi compiacere di averlo sedotto e aumentare così le proprie quotazioni sul mercato.
Per diversi minuti restò intrappolato dall’intrecciarsi di pretenziose richieste, da cui tentava diplomaticamente di liberarsi.
E in tutto ciò ancora non riusciva ad avvistarli.

Era a passeggiare tra le bancarelle di dolciumi, aspettando un attimo di disattenzione del venditore per sgraffignare una ciambella farcita di crema di nocciole, quando si erano sparse le voci dell’ingresso di un immenso veliero nella Gola del Diavolo. E alcuni avevano asserito che fosse proprio la nave del Capitano Teague, di ritorno da mirabolanti imprese nei mari orientali, straricco e in possesso di conoscenze di cui nessun altro filibustiere esistente poteva vantarsi.
Perché si fosse spinto con tanta agitazione fin lì e stesse addirittura sgomitando, poi, a conti fatti nemmeno lo sapeva. Quell’uomo era un estraneo che non si era mai preoccupato per la salute di sua madre o della sua. Nel considerare il suo totale disinteressamento, la demoralizzazione era tale da portarlo a credere che non avrebbe mai voluto averci niente a che fare.
Però c’era un’altra parte di sé che scalpitava per incontrarlo, lo incitava a non scoraggiarsi e ad essere più forte della cocente paura di restarne deluso, o anche peggio, di deluderlo, giacché quel personaggio era tanto osannato.
Jack saltellava sul posto, dannandosi di essere ancora troppo basso per poter scorgere oltre le teste della gente che gli occupavano tutta la visuale, anche se non sapeva come l’avrebbe riconosciuto.
Alzò con ritrosia il capo verso Ruth, che era arrivata poco dopo di lui ed era ancora trafelata e chiusa in uno snervante mutismo. Si teneva sempre tutto dentro. Un fiatone preoccupante le infliggeva il petto, ma una luminosità che non si ricordava di averle mai visto le accendeva gli zigomi.
Intravedendo la bandana scarlatta della Capitana Sparrow e udendo la sua gracchiante risata, il bambino si attaccò alla gonna di sua madre. Non conosceva niente capace di rallegrare una furfante irascibile e selvaggia come sua nonna, salvo la nuova di qualche cataclisma imminente o una terrificante punizione escogitata apposta per lui.
Invece la ragione stavolta pareva essere un tizio dall’andatura rigorosa e un po’ minacciosa che si trascinava a braccetto, intrattenendolo in discorsi per cui riceveva risposte concise.
Di quasi due spanne più alto di lei, aveva un bicorno a falde larghe con piume che al confronto quelle del suo erano foglioline secche, tanto che se ne disfece, gettandolo via. Un lungo tabarro prugna legato attorno alle spalle gli ricadeva fin quasi agli stivali, sopra cui indossava un pastrano nero con ricami argentati. Sotto il farsetto si palesava un armamentario composto da pistole e pugnali di varia dimensione. Si guardava intorno, ammirato ma un po’ scombussolato da quell’accoglienza calorosa. Individuando le loro due sagome sul ciglio del marciapiede si fermò un secondo, lasciando indietro la Capitana, e poi accelerò la camminata leggermente barcollante, bruciando rapidamente quella distanza.
Allora Jack poté vedere per la prima volta i suoi occhi: erano profondi e tenebrosi, ma parvero sciogliersi in un composto sorriso emozionato che gli curvò i baffi verso l’alto.
Sua madre emise un acuto singulto, premendosi le mani sul collo, come le fosse appena balzato il cuore in gola.
Intuì che doveva essere proprio lui.

Edward si inabissò a lungo tra le ombre del suo splendido volto, non capacitandosi di come una creatura libera, pura, incontaminata qual era lei, avesse resistito tra quelle arpie e in quel merdaio e potesse essere ancora così spaventosamente bella, anche se non altrettanto sorridente.
C’era sicuramente qualcosa di diverso in lei, che oltre al trucco più marcato, di un nerissimo sulle palpebre, rosso intenso sulle labbra, le donava una maschera di maturità e drammaticità.
La sofferenza, forse, aveva solo accresciuto la sua innata avvenenza, incupendola. E rodendolo di un pentimento tardivo e infondato. Non poteva smettere di essere un pirata, era un brutale istinto che gli avevano tramandato, il solo modo in cui sapeva vivere. Era sicuro che, tornando indietro, avrebbe compiuto le stesse scelte. Magari non assentandosi così a lungo ...
- Dicono che il ritratto con la tua taglia tappezzi tutti i porti più importanti, da Nassau a Singapore – sillabò con compostezza Ruth, una scintilla di soddisfazione e gelosia a illuminare le iridi buie.
Se fosse stato un altro l’avrebbe stretta per i fianchi e, baciandola con trasporto, le avrebbe confessato che il suo indimenticabile viso aveva tappezzato tutti i suoi cieli stellati.
Invece dalla sua bocca appena schiusa uscì un vile silenzio, e rimase a fissarla corrispondendo il suo stesso trasognante disincanto.
Quel nodo, intessutosi in maniera fortuita alcune lune prima, restando esposto alle trame avverse della sorte si era inevitabilmente allentato. In altri tempi bastava si assentasse poche ore perché lei lo esortasse a farsi coprire di premure e ad annullarsi tra le sue braccia.
- È questo signore il mio papà, dunque? – domandò con un broncio titubante Jack, dondolandosi.
Sentire per la prima volta la sua voce spigliata e scettica gli riaprì una ferita che non sapeva di avere, o che credeva si fosse cicatrizzata con le vittorie per mare. Quando lo aveva lasciato non sapeva emettere altro che versacci e piagnistei, adesso guardandolo si rese conto che era oramai un ometto con due occhietti che sembravano spilli esercitati a pungere. C’erano ammirazione e strafottenza nel suo permaloso modo di squadrarlo. Era passato molto più tempo di quello che si era illuso di avergli rubato, anteponendogli la sua marinaresca carriera.
- Capitan Teague per te, figliolo – gli rispose neutrale, come ritrattando quel legame di sangue che riteneva sarebbe stato una minaccia e uno svantaggio per lui, piuttosto che una protezione. Anche se nel suo cipiglio diffidente e smanioso, nel suo modo scontento e impacciato di mordicchiarsi le guance, nella sua zazzera arruffata, persino nello sporco che gli anneriva le ginocchia e i gomiti sbucciati, e nei taglietti che aveva sulle falangi, e che dovevano essere la conseguenza di un solitario allenamento con lo spadino, rivide indubbiamente una rassomiglianza con il se stesso del passato, irruente e incontinente.
Quello scricciolo, dopotutto, era anche un po’ suo.

Jack lo osservava con l’animo in subbuglio. Quell’interessante signore, proprio come sua madre, non pareva un tipo che gradiva spendersi in molte esternazioni. Trovarsi al suo cospetto lo intimidiva un po’. Ma aveva un’infinità di interrogativi da cui voleva che lo sciogliesse, e non si preoccupò di parlare a sproposito: - Hai ucciso tante persone?
Edward si stupì che non reagisse male alla sua richiesta precedente e che invece spiccicasse quella morbosa domanda. Sbirciò Ruth prima di ammettere spiccio: - Quelle che se la sono cercata.
Il bambino non si arrese alla sua sfuggevolezza, sfoderò il proprio coltellino a serramanico, picchiettandolo contro il fodero della sua sciabola: - Con questa?
Il Capitano sguainò gradualmente l’acciaio, pensando di impressionarlo mostrandogli la sua lunghezza e le tracce della sua usura, ma il figlioletto rimase molto più sereno del previsto. Non era affatto un sempliciotto, sapeva già fingere noncuranza. Che non ci fosse stato quando tutto quello era accaduto, che fossero stati altri ad insegnarli quella simulazione, interiormente lo sdegnò.
- E anche con queste – aggiunse allora con un sogghigno malevolo, aprendo le grandi mani.
Jack si stropicciò i polsini della camiciola, nascondendoli dietro la schiena, ingoiando un gemito. Non seppe più se fosse una buona idea continuare a tediarlo, gli bastavano già le dolorose sberle che gli assestava la cara nonna. Oltretutto quello era assai più giovane e forte di lei, e dal suo atteggiamento rigido e impettito si capiva che aveva il fisico di un uomo rotto alla fatica.
Ma voleva conquistarlo, dimostrandogli che conosceva già tante cose di lui: - È vero che hai combattuto contro gli olandesi e i draghi marini? E che hai scoperto tanti tesori nascosti?
Il suo presunto padre si limitò ad annuirgli con i pendagli che trillavano da sotto il grande cappello.
Eppure non sembrava così cattivo, soprattutto per il modo con cui guardava sua madre.
A dire il vero, non la guardava solamente, come gli altri uomini. La venerava. Da che era arrivato davanti a lei la sua espressione si era rabbonita e non avevano staccato lo sguardo l’uno dall’altra. E lei era rimasta ugualmente imbambolata.
Jack considerò che fossero comunque una coppia molto strana. Sul molo gli era capitato di assistere a scene di ricongiungimento tra mariti e mogli: come minimo si abbracciavano. I suoi genitori invece non si erano sfiorati, non parlavano, quasi si conoscessero a malapena o avessero litigato. Si volevano bene?

- Forza bricconi! Tutti alla Dama Ubriaca6 a festeggiare i successi del nostro Pirata Nobile!
Zia Quick Draw si frappose sguaiatamente tra di loro, afferrando Edward per il collo e stampandogli un imbarazzante bacio con lo schiocco, per poi agganciarsi con eguale foga ad Ismael, che aveva adocchiato come prossima preda, e condurre il resto della ciurma alla taverna gestita dai Seymour. A loro si accodarono altri scioperati che bighellonavano nei paraggi, alcuni semplicemente in cerca di bevute a scrocco, altri confidenti di poter concludere un accordo di prestigio con il comandante della vittoriosa Dama di Nebbia.
Capitan Teague lasciò che quella schiamazzante torma lo precedesse e fu allora che gli occhi attenti di suo figlio colsero un primo contatto tra l’enigmatico filibustiere e sua madre. Lui le si affiancò furtivo e, sollevandole una treccia dall’orecchio, le mormorò qualcosa che non poté origliare, prima che la Capitana Sparrow e il Patriarca lo rapissero insieme a tutti quei marinai questuanti e non potessero più avvicinarlo.
Una fine pioggerellina iniziò a cadere su di loro e Jack con disappunto dovette smuovere Ruth appendendosi al suo braccio, esortandola a raggiungere la locanda dove gli altri si stavano incamminando, scordandosi di loro. Sebbene fosse avvezzo alle sue astrusità, durante la serata si scervellò a ipotizzare cosa mai le avesse detto per provocarle quella reazione, se fosse qualcosa di buono oppure no.

Edward Teague non si vergognava dei tanti misfatti di cui si era infamato o delle imprese terribili che l’avevano consacrato, bensì di avere una moglie e un figlio.
In quella sala così affollata Ruth sperimentò ancora una volta che ci si poteva sentire terribilmente soli in mezzo ad un’orgia di festaioli, trascinati dall’ebbrezza di canti e balli scostumati. Rimpianse la tranquillità del suo piccolo mondo, di quell’equilibrio che aveva faticosamente ricostruito con le sue sole forze. In passato aveva accettato tutto di lui, ma ora spiando il pirata dall’animo nobile, di cui rimpiangeva di essere perdutamente innamorata, allontanarsi nel retro del locale con altri colleghi che gli chiedevano udienza e un gruppetto di cortigiane discinte che li seguivano calici alla mano, si accorse che in fondo, da quando era partito, lo detestava quanto suo figlio e forse di più. Non era più disposta ad accettare di essere la sua ancora di riserva.
- Hai ragione tu, Jack. – esternò d’un tratto con desolante rammarico - A lui non importa un fico secco di noi.


Tamburellò l’indice sul sigaro per rimuoverne la cenere e lo riposizionò tra i denti, senza intervenire nell’animato dibattito politico. Era innegabilmente stanco.
Il maltempo e una serie di screzi tra i suoi compagni di viaggio avevano costellato di traversie la già estenuante navigazione transoceanica. Aveva sperato di ristorarsi, che quella fosse una vera sosta di piacere, invece lo avevano impegolato in un improduttivo discorrere di alleanze, commerci, piani di attacco alla marina di sua maestà.
Sognava di assopirsi almeno una notte, tanto per ricordarsi come fosse, su un materasso meno legnoso e freddo di quello che aveva ospitato le sue ossa provate dalla selvatichezza di tutto quel predare e saccheggiare senza Dio. E continuava a torturarlo l’immagine delle sue labbra che non avevano sorriso e delle sue mani che non l’avevano toccato, rimanendo incrociate sul grembo.
Respinse le ruffiane meretrici che lo attorniavano, incaricò sbrigativo il suo primo ufficiale Ismael, il nostromo Finn e l’economo Nizar ad assumere le sue veci nelle trattative in corso e si fece indicare la via per sottrarsi al putiferio dei brindisi, dei lanci di bottiglie e piatti, e dei canti scostumati, e raggiungere le uniche due persone per le quali era ritornato.
Mentre i due scagnozzi del Patriarca che lo avevano scortato si accomiatarono, Edward appurò che l’abitazione sorgeva in una zona abbastanza salubre, ventilata e con una buona esposizione. Reinserendo le mandate alla porta del piano terra urtò con il cappello una specie di lampadario di cristalli che doveva svolgere la funzione di campanello. Proseguì tastoni sulla prima rampa di scale senza illuminazione, poi notò ciò che rischiarava il tremulo bagliore dei lumicini. Era tutto concentrato in non più di un paio di stanze, ma c’erano tutte le comodità di una vera casa. Pur se la conformazione delle pareti e dei pavimenti conservava la forte impronta di un vascello, osservando gli oggetti piccoli e grandi che lo circondavano, che non sapeva da dove fossero arrivati, in che modo e quando, ebbe la spiacevole sensazione di essere un intruso. Lo smarrimento si placò non appena riconobbe la sua aggraziata posa da cicogna stagliarsi contro la porzione di oscurità celeste visibile dall’apertura del terrazzino.
Non si era spogliata, eccetto le scarpe, ma aveva sciolto i capelli, prima appuntati sulla nuca con delle bacchettine, che adesso le lambivano la vita nel venticello tiepido.
- Te la sei svignata da sola – farfugliò piccato, a metà tra un rimprovero e una neutra asserzione.
Ruth alzò le braccia al di sopra delle spalle, mantenendo i palmi congiunti e restando in equilibrio su una sola gamba: - Jack aveva sonno. L’ho portato al sicuro prima che a qualche ubriacone dei tuoi amici saltasse in testa di usarlo per il tiro al bersaglio.
Edward avvertì in quel suo esprimersi sprezzante e ferito che con la sua negligenza aveva impassibilmente tradito la fiducia di cui aveva goduto. Non era completamente fiero né pago di come si fossero ingarbugliate le cose fra di loro, ma non poteva tollerare che lo reputasse indifferente al loro destino: - Tu credi davvero che glielo avrei permesso?
La moglie gli riservò un’occhiatina irremovibile, alternando il piede su cui poggiava e richiudendo le palpebre, suggerendogli che era cambiato e che la risposta non la sapeva più.
- Avrei fatto saltare le loro teste di cazzo, piuttosto! – imprecò aspramente per sconfessare quel suo umiliante dubbio. Sebbene non riuscisse ancora a comprendere cosa significasse avere un figlio, Jack era qualcuno che apparteneva a lei, e per quanto possibile lo avrebbe protetto, sempre. Credeva fosse sottointeso, che non ci fosse alcun dovere di affermarlo.
Le aveva chiesto di stabilirsi in quel posto che l’aveva allontanata da lui. Era stata in pena e voleva farglielo espiare, poteva anche capirlo. Se ciò implicava che doveva ricominciare da zero con lei, non era in vena, nonostante, dall’istante in cui l’aveva rivista, lo consumasse il feroce desiderio di sprofondare lascivamente sul suo corpo che un tempo era stato l’unico benevolo rifugio dalle sue burrasche quotidiane.
Ruth si era isolata nei suoi inviolabili silenzi e in quella bislacca ginnastica che chiamava yoga, e quella calma lo accoltellava. Voleva che lo rimproverasse, che con la sua onestà lo riconducesse a terra, era stufo di ricevere soltanto adulazioni.
- Insomma, tuo marito torna dopo più di tre anni di trionfi, ed è questa la tua maniera di accoglierlo? – tentò di pungolarla, esasperato da quel suo atteggiamento evanescente.
La forza delle parole non l’aveva mai avuta. Nessuno dei due le sapeva maneggiare, perciò erano lì a inscenare di odiarsi con sguardi crudeli che però esprimevano il bisogno contrario.
Stava per abbandonare quella dimora inospitale, ma la sua replica risuonò con mestizia, e fu come sputasse arsenico: - Vuoi sentirti dire che mi sei mancato? Sì. Atrocemente. Come il mare. Quasi non se ne sente l’odore in questa fogna.
Edward rialzò la fronte, sbatté le palpebre e la scrutò interessato e pensieroso, un’increspatura esitante a lato della bocca contornata da una peluria più folta di quella che soleva radersi e che ora lo faceva apparire un uomo più adulto e vissuto.
Ruth espirò piano per attutire la tensione che non aveva potuto scacciare con la meditazione e che continuava ad accelerare le pulsazioni. Si era ripromessa di mostrarsi cresciuta e soprattutto di non essere sentimentale ma quella corda riprendeva a stritolarle le costole con più recrudescenza, ora che lo aveva di fronte a lei.
- Non c’è stato un momento in cui non mi sia chiesta dove fossi, se fosse il sangue dei tuoi nemici a scorrere o il tuo. Se ci fossero solo i raggi e il vento ad accarezzarti. O le mani di qualcun'altra – glielo aveva sussurrato scossa da brividi di rabbia e disperazione, avvicinando senza consapevolezza i polpastrelli al solco di un sorriso piacevolmente turbato comparso sulla sua guancia spigolosa.
- Non ho avuto nessun’altra – scandì seccamente lui, racchiudendo la sua mano tra le sue e accennando a inclinare la mascella verso il suo mento, ma la giovane moglie si tirò indietro, non confidando nell’infallibile fedeltà coniugale di un pirata: - Non mentire – lo allontanò dura, mal celando l’effetto destabilizzante che le aveva inflitto la sua essenza salmastra ad un soffio dal viso.
Edward si raddrizzò, non sapendo dove far ricadere le braccia con cui avrebbe voluto soltanto stringerla e riassaporare quell’estasi di pace fino al mattino: – Nessun’altra ha avuto me.
Lo aveva confessato con gli occhi patinati di orrore e sale più che con la voce, non era neppure certa di avergli visto muovere le labbra, strette e irruvidite dai baci che non aveva avuto.
Nessuno si era preso cura di lui.
Il cuore di Ruth fece una capriola. Entrambi ne avevano viste e affrontate tante, troppe, più di quanto avessero voglia di raccontare o solo di ricordare. Non poté fare a meno di riavvicinarsi, accarezzando ogni suo muscolo facciale, notando il suo torace gonfiarsi e svuotarsi d’aria ad ogni sfioramento, mentre le dita di lui si perdevano tra i suoi capelli.
Il corsaro si sfibbiò la banderuola con le armi che gli impediva di far combaciare completamente il bacino al suo e la gettò a terra. Lei gli si abbarbicò e iniziò a baciarlo con un contegno che svanì quasi subito, soppiantato dall’urgente frenesia di impregnarsi ogni poro della pelle del suo aroma maschile mescolato a quello del mare che aveva sempre amato, di essere toccata e arsa da quelle sue mani che conservavano la stessa delicatezza, nonostante le avesse usate per uccidere.
A poco a poco il respiro divenne affannoso e le guance si riempirono di lacrime.
Quel male oscuro tornava ad affliggerla, di tanto in tanto, proprio nei momenti in cui era più vulnerabile. Si scollò dalla sua stretta vogliosa, nascondendo la faccia sul suo petto, per soffocare quel rosso presagio di morte che stava riapparendo.
Edward le lisciò le braccia e la schiena: - Su Ruthie. Non è contro il chakra? – la consolò con ignara ironia, accostandole le labbra contro l’orecchio.
Lei tirò su con il naso, asciugandosi con le maniche il kajal scolato: - Il karma … - lo corresse, sentendolo stringersi nelle spalle con indolenza e far scorrere gli avambracci indulgenti sotto i suoi, con cui gli accalappiò la nuca mentre la sollevava.
Accompagnandola verso il giaciglio inviolato che aveva intravisto entrando, gli parve più leggera di quanto non fosse nei suoi ricordi. Il calpestio di una presenza ficcanaso sgattaiolò dal suo nascondiglio, ma il respirò più veloce di Ruth, che iniziava a trafficare con i suoi bottoni, gli solleticò irresistibilmente il collo, persuadendolo ad ignorare la piccola spia. Edward la depose tra le coperte, spogliandosi frettolosamente di cappello, giacca, cintura e stivali, mentre lei, arrivando all’ultima fibbia, ripercorreva con le labbra socchiuse i suoi pettorali, il pomo e le tempie, scompigliandogli la bandana.
Baciava vecchie cicatrici aprendone nuove.
I suoi anelli, risalendo dalle caviglie alle cosce, le smagliarono le calze, insinuandosi fino al fresco tessuto di raso che preservava la carne umida e bruciante dell’inguine. Le sfilò una sola gamba, sistemandosi meglio tra i suoi fianchi ansimanti che lo aggrovigliarono.
- Sono stato in un milione di posti, ma questo rimarrà sempre il mio preferito. – giurò in un torrido mormorio, posando una mano sul suo ventre piatto e poi annegandovi la bocca.
Ruth, continuando a guardarlo dritto negli occhi, lo tirò verso di sé trattenendolo per i lembi della camicia, mordendolo, graffiandolo, e squagliò nell’espandersi dentro di lei di quel suo fuoco lento, ritrovandosi con altrettanto fuoco a perdonarlo per le colpe e le incomprensioni.
L’avrebbe lasciata di nuovo, presto o tardi sarebbe ripartito, e forse l’avrebbe tradita con la spuma del mare o con il nettare di altre donne. Non le importava delle sue scappatelle, perché le piaghe del suo animo si sarebbero rimarginate solo cullandolo fra le sue gambe.
Era ormai mattina e si gingillava ad intrecciargli i capelli sparsi sul suo seno, che si muoveva lieve sotto il suo corpo del tutto abbandonato sul proprio.
- Ci superiamo ogni volta … - sussurrò Edward, tra il malizioso e il deliziato, restando a sonnecchiare su quella pelle che emanava un profumo paradisiaco.
Ruth si rialzò mollemente sul cuscino e incrociò le ginocchia dietro la sua schiena: - Mai come quando abbiamo concepito Jack …
Il marito mugugnò qualcosa di indefinito, strusciando la fronte sul suo addome che ora ondulava con la parvenza di una convulsione trattenuta di riso o di tosse. Si risollevò da lei temendo di soffocarla, e invece fu lui a mordersi la lingua e trasalire, saltando sull’altra sponda del letto.
- Mi porti a vedere la tua nave da vicino?
Il diavoletto di cui poc’anzi stavano ragionando era lì davanti e lo sbirciava con impertinenza, in fremente attesa di essere tenuto in considerazione.
Capitan Teague calò due volte la testa, restando nascosto dietro le spalle della moglie: - Immagino si possa fare, figliolo - balbettò tirandosi le lenzuola fino al naso per coprire la nudità di entrambi.
- Aspettaci di là – lo pregò Ruth, non riuscendo a non sorridere per la divertente situazione.
- E chiudi la porta! – gli ordinò con arroganza Edward, alterato e imbarazzato da quell’intrusione.
Il buon umore del bambino per il benestare ottenuto non si lasciò intaccare da quel rimbrotto. Obbedì giulivo, pur riflettendo che non avrebbe potuto davvero, giacché vi era solo una tenda al posto della porta. Infatti sentiva ancora i loro bisbigli e i cigolii della testiera contro il muro, e aveva il presentimento che avrebbe dovuto riaffacciarsi a richiamarli.
Ma Jack era comunque contento perché quel giorno sarebbe salito per la prima volta in vita sua su un vascello pirata, avrebbe sfoggiato con quel Capitano le sue precoci conoscenze in materia, e magari avrebbe potuto convincere sua madre a lasciarlo partire.
D’altronde lei glielo ripeteva da sempre: quella statica vita di terraiolo non faceva per lui.
Era destinato ad avere un emozionante avvenire.



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1 Bayamo: un vento caldo che soffia nel Golfo dell'America Centro-meridionale, in prossimità della quale sorge l'Isola dei Relitti.
2 Patriarca: è un misterioso personaggio che, stando alle fonti letterarie, si aggira per la Città dei Relitti e rappresenta una sorta di boss del locale; gestisce tutti i guadagni delle ciurme, soprattutto della famiglia Sparrow, ed entrerà in competizione con lo stesso Teague quando questo si stabilirà come Custode del Codice.
3 Bovo: piccolo veliero armato con un solo albero, usato soprattutto da pescatori.
 4 Bocca di Lupo, Barba di Gatto, Belvedere: nomi inventati che ho dato ad alcune strade, prendendo spunto da terminologia marinaresca: il primo è un tipo di nodo, il secondo un angolo di ancoraggio, il terzo un pennone e una vela.
 5 Furin: è il carillon del vento usato nei paesi orientali.
 6 Dama Ubriaca: taverna della Città dei Relitti citata in "Price of Freedom".
 
   
 
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