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Autore: blaithin    08/03/2014    6 recensioni
Ed eravamo così ridicoli, io e te.
Ci guardavamo da lontano, con un sorriso timido dipinto sulle labbra e le guance arrossate dalla differenza di temperatura. O dall’imbarazzo, forse, da parte mia.
Me la ricordo ancora quella mattina, sai? Nonostante siano passati tutti questi anni, mi sembra ieri di averti incontrato sulla metro.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata a Valeria e al suo incredibile amore per Louis.
 
Metro
 
Ed eravamo così ridicoli, io e te.
Ci guardavamo da lontano, con un sorriso timido dipinto sulle labbra e le guance arrossate dalla differenza di temperatura. O dall’imbarazzo, forse, da parte mia.
Me la ricordo ancora quella mattina, sai? Nonostante siano passati tutti questi anni, mi sembra ieri di averti incontrato sulla metro.




Sbuffai mentre correvo giù per le scale mobili, con la borsa che sbatteva sul fianco e gli occhiali che scivolavano dal naso. Quattro minuti e sarebbe arrivata la metro per andare a scuola, tre minuti e sarei arrivata in ritardo, due minuti e Anne mi avrebbe uccisa, un minuto e… «Ehi! Fai attenzione, cretino!» gridai inferocita dopo essermi beccata una spallata.
Tutti sanno che il lato sinistro deve essere lasciato libero per chi è di fretta, nessuno si permette di bloccare il traffico sulle scale mobili. Tutti lo sanno, tranne quel deficiente.
Sentii una risata alle mie spalle, ma lasciai stare masticando qualche insulto per lo sconosciuto. Stavo per perdere la metro, non potevo arrivare di nuovo in ritardo, sarei finita dal preside. Corsi nei vari corridoi sotterranei per poi arrivare ai binari con il fiatone e le guance arrossate dallo sforzo e dal troppo caldo: si soffocava lì sotto.
Uno stridio lontano e sorrisi soddisfatta di me stessa. ‘Finalmente l’allenamento sta dando i suoi frutti’ pensai.
Mi preparai mentalmente alla guerra contro le vecchiette per prendere un posto a sedere, come ogni mattina. La borsa pesava fin troppo con tutti i libri, eppure mi ostinavo ad usarla al posto dello zaino. Un altro stridio e la metro si fermò aprendo le porte e facendo riversare all’interno tutte le persone della fermata, compresa me. Uno spintone di qua, una gomitata nello stomaco di là e finalmente riuscii a scaraventarmi su una poltroncina sospirando di sollievo per il dolore alla spalla. Massaggiai quest’ultima con una smorfia e con l’altra mano tirai fuori le cuffie intrecciate all’iPod.
La metro partì facendo sobbalzare tutti i passeggeri e facendomi finire addosso una bambina con neri capelli ricci. Sussurrò un timidissimo ‘scusa’ e le sorrisi dolcemente scuotendo la testa. Le accarezzai lievemente una guancia e le chiesi se volesse sedersi sulle mie ginocchia, fino a quando non sarebbe dovuta scendere. Sorrise timidamente e accettò.
Sentii una fastidiosa sensazione allo stomaco, la stessa che mi prendeva quando qualcuno mi fissava. Mi girai e, mentre tenevo ben salde le mani sui fianchi della bimba, trovai due occhi color ghiaccio ad aspettarmi. Abbassai lo sguardo arrossendo, mentre cercavo di nascondermi dietro la figura di una signora, inutilmente. Con la coda dell’occhio notai un sorrisetto divertito crescere sulle labbra del ragazzo dagli occhi chiari, e posso giurare che già in quel momento seppi di essere fregata.




Non so bene cosa sentii quel giorno, non lo seppi per mesi di fila, fino a quando Anne non venne a dormire da me e la mattina seguente prendemmo la metro assieme.




«Valerie, te lo giuro! Dovevi vedere la faccia di quella stronza di Amber quando Claire le ha rovesciato in testa il succo di mirtillo dandole della puttana!» disse Anne asciugandosi le lacrime dalle troppe risate. Io la seguivo a ruota, incurante degli sguardi poco amichevoli che la gente attorno ci riservava. La finezza della mia migliore amica era qualcosa di inesistente, non si faceva scrupoli a inserire parole poco carine nelle frasi, e tanto meno a dire le cose come stavano. Una persona senza peli sulla lingua, a cui molte volte le erano costate delle amicizie e, in un caso particolare, una relazione.
Ero rimasta a casa un paio di giorni per un’influenza, portandomi dietro i suoi postumi: raffreddore e mal di gola. La mia voce era rauca e bassa, mentre il naso rosso fuoco e le labbra screpolate facevano da cornice al tutto. Ero impresentabile, ma non me la sentivo proprio di rimanere a casa a discutere con mia madre sulla borsa di studio per l’università, nonostante fossi all’ultimo anno di liceo.
Sentii quella fastidiosa sensazione allo stomaco che mi saliva quando qualcuno mi fissava. Mi girai e trovai il ragazzo dagli occhi di ghiaccio che guardava nella mia direzione. Gli sorrisi timidamente e arrossii, come sempre. Lui ricambiò con tutto l’entusiasmo possibile, trasmettendomi quella forza che necessitavo per passare quella terribile giornata.
«Valerie, chi cazzo è quel figo che sta guardando nella nostra direzione?» disse Anne un po’ troppo ad alta voce. Il ragazzo in questione sorrise ancora più ampiamente, mentre si vedeva che tratteneva una risata divertita. Diventai un peperone e tirai uno schiaffo –abbastanza forte, aggiungerei- sulla fronte della bionda accanto a me, che si lamentò rivolgendomi parole davvero poco carine.
«Scema, non gridare! Oh dio, che vergogna, ti ha sentito! Anne, io ti uccido!» piagnucolai a bassa voce, sprofondando nella sciarpa di lana morbida regalatami dalla nonna per Natale. Teneva caldo, e non permetteva al vento di intrufolarsi fino ad arrivare al collo. Insomma, perfetta per una che ha sempre perennemente freddo.
La metro si fermò e fece scendere i passeggeri che, di corsa, si dirigevano alle scale mobili dirette all’esterno. Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio si avvicinò nella nostra direzione spettinandosi i capelli imbarazzato, mentre un leggero colorito roseo gli colorava le guance. Mi si mozzò il fiato a quella vista: semplicemente bellissimo.
«Emh… ciao! Ho notato che hai il raffreddore e un po’ di mal di gola. Io ho delle caramelle alla menta che aiutano molto più delle medicine, se vuoi possono offrirtene un paio.» disse acquistando più sicurezza verso la fine della frase. Lo fissai imbambolata: davvero mi aveva rivolto la parola? Quando mi accorsi che si stava imbarazzando per la mia mancata risposta, arrossii.
Balbettai qualche parola di ringraziamento con la voce graffiata e accettai le caramelle. Le tirò fuori dalla tasca del cappotto e me le posò sul palmo della mano sfiorandolo con le dita. La differenza di temperatura tra me e lui mi fece venire i brividi di piacere lungo la spina dorsale, che tentai di nascondere con non poca difficoltà. Aveva le mani calde e morbide.




Me lo ricordo ancora quel giorno, sai? Il tuo sorriso imbarazzato mentre Anne mi tirava gomitate sul fianco con fare malizioso. E’ stato uno dei giorni più belli della mia vita, mi avevi rivolto la parola per la prima volta.
Mi ricordo anche che nei giorni seguenti non feci altro che fissarti mentre guardavi nel vuoto, perso in chissà quali pensieri.




Gli occhi vedevano ma non guardavano, le orecchie sentivano ma non ascoltavano. La gamba la muoveva nervosamente, le pellicine delle mani torturate dai suoi denti. Che gli prendeva? Continuavo a fissarlo, volevo entrare nella sua testa e capire che gli stava succedendo, volevo comprenderlo.
Valerie, smettila di fare la stupida. Smettila di fissarlo come si fissa il fiore più bello, smettila di osservarlo come se fosse un quadro di grande prestigio, smettila di ammirare quei due ghiacciai di fuoco. Smettila, ti farai male’ una vocina sussurrata nella mia testa, che non faceva altro che ripetere quelle frasi ancora e ancora e ancora. Non volevo ascoltarla, non dovevo.
Alzò gli occhi nella mia direzione e solo allora mi accorsi di due scure e pesanti borse che gli incorniciavano il viso, assieme alla leggera barba incolta e ai capelli più scompigliati del solito.
Un’ombra di un sorriso si aprì su quelle labbra che tanto avrei voluto sfiorare, che tanto avrei voluto baciare. Arrossii per il pensiero appena fatto, come se fosse uno dei più terribili peccati mai commessi. Vidi il sorriso allargarsi leggermente divertito, mentre una me color pomodoro cercava di sprofondare nella sciarpa. Mi aveva beccata alla grande.
Abbassai lo sguardo sulle mie mani che giocherellavano con il filo delle cuffie, nervosa e in imbarazzo. Vidi un paio di Vans nere di fronte alle mie All Star usurate dal tempo. Oh, no.
Qualcuno mi sfilò con fare gentile una cuffietta e un «Ciao Val.» arrivò alle mie orecchie, assieme allo stridio delle rotaie e ad alcuni schiamazzi da parte di un gruppo di bambini lì vicino. Deglutii e alzai lo sguardo verso… Niall?!
«Horan, che ci fai qui?» chiesi leggermente spaesata e delusa. Dov’era finito il ragazzo dagli occhi di ghiaccio? Mi guardai attorno quasi in preda ad un attacco di panico, ma mi accorsi che ormai era sceso. Non c’era più.
«Volevo farti un po’ di compagnia dato che ti vedo sempre arrivare da sola e… Val, ma mi stai ascoltando? Che guardi?» si girò confuso cercando di capire cosa avesse attirato la mia attenzione. Scossi la testa e arrossii per non essermi resa conto del mio silenzio.
Maledetta pelle diafana e maledetto imbarazzo.’ pensai scocciata.




Quando arrivò Niall quel giorno, gli rivolsi tanti di quegli insulti nella mia mente. Mi aveva fatto distrarre, ti avevo perso di vista.
E ricordo ancora che gli raccontai tutto ciò che ti riguardava. Ricordo che ti descrissi in ogni più piccolo dettaglio, mentre a lui spuntava un sorrisetto divertito, come se sapesse di chi stavo parlando. Lo sapeva benissimo, soprattutto quando due pomeriggi più tardi decise di accompagnarmi al parco per un gelato.




«Val, quando arriviamo? Sono stanco e ho fame, voglio il gelato che mi hai promesso prima!» piagnucolò Niall, mentre trascinava i piedi a terra e si attaccava al mio braccio come se fosse in fin di vita.
«Pappamolle.» dissi tra me e me, sicura che non mi sentisse. Cosa del tutto errata, dato che mi concesse uno sguardo di fuoco per dopo sorridere in una maniera piuttosto spaventosa ed inquietante. Allungò le mani verso i miei fianchi per poi cominciare a farmi il solletico, sapendo perfettamente dove andare a toccare.
Era il mio migliore amico per qualcosa.
Riuscii a scappare dalle sue grinfie per poi cominciare a correre lungo la riva del lago, mentre sentivo dietro di me le minacce del biondo che non facevano altro che aumentare le mie risate. Le persone ci guardavano divertite: in fondo, stavamo dando spettacolo pure ai più piccoli che ridevano insieme a me e alle vecchiette sedute sulle panchine, poste di fronte alla riva del lago.
Mi nascosi dietro ad un albero con il fiatone e aggiustandomi gli occhiali, mentre Niall correva avanti gridando minacce degne di un bambino dell’asilo. Gli volevo bene per quello.
Mi sedetti a terra e cominciai a guardarmi attorno, mentre il cuore cominciava a rallentare e il respiro si stabilizzava. Sorrisi quando vidi dei bambini giocare e rincorrersi tra loro come se fosse l’unica cosa importante nella vita, senza costrizioni dettate da niente e nessuno. Sorriso che sparì non appena notai il ragazzo della metro mano nella mano con una ragazza. Era mora, alta, bella.
Magari è la sorella’ pensai. Una scusa debole, un tentativo per convincermi che non era quello che pensavo veramente. Il colpo di grazia lo ricevetti quando lui la tirò verso di sé per baciarla, piuttosto appassionatamente.
Fu allora che il cuore si ruppe definitivamente in mille pezzi.
Salì il nodo alla gola, stringendola in una morsa dolorosa, mentre gli occhi cercavano di trattenere le lacrime. Alzai gli occhi al cielo, non permettendo a quelle gocce di scorrere fino a non finire. Non dovevo piangere, lo sapevo. In fondo mi ero creata da sola castelli di carta, era colpa mia se mi sentivo in quel modo schifoso, era stata solo una mia fantasia spazzata via da una folata di vento.
Finii schiena a terra mentre qualcuno mi gridava nell’orecchio. Niall. Lo strinsi forte a me cercando di non piangere, mentre lui smise di ridere e cominciò a chiedermi che stesse succedendo, accarezzandomi i capelli come faceva sempre. Ci mettemmo a sedere e mi spostai sulle sue gambe seppellendo il viso sul suo collo, con le sue braccia che mi circondavano e domande preoccupate sussurrate nell’orecchio.
«Sto bene.» mormorai con voce tremolante, tradendo la falsa verità. Merda, ora mi avrebbe fatto il quarto grado.
«No che non stai bene. Ora mi racconti che è successo, chiaro? Nessuno si mette a piangere per un nonnulla, specialmente tu. Parla.» disse duro. Sapevo che stava usando quel tono solo per cavarmi le parole di bocca, come sempre. Non mi avrebbe lasciato andare finché non gli avrei raccontato tutto, come sempre. E come sempre un fiume di parole uscì da solo, mentre Niall ascoltava in silenzio e mi accarezzava i capelli per tranquillizzarmi. Finito il racconto, il biondo stava per darmi una delle sue solite dritte, ma una voce squillante lo interruppe ancor prima che iniziasse.
«Ehi, Niall! Anche tu qui?» mi asciugai le lacrime cercando di essere presentabile e mi girai, ghiacciando sul posto: il ragazzo della metro.




Credo che quello fu uno dei giorni più brutti della mia vita. C’eri tu con la tua ex, e c’eravamo io e Niall in una posizione che poteva essere fraintesa da molti, come facesti anche tu. Lo ricordo ancora il tuo sguardo di fuoco che rivolgesti al biondo nonché tuo migliore amico –scoperta che mi costò due pacchetti di caramelle, sotto minacce di Niall-, e ricordo anche la mia acidità nel risponderti. In effetti ero stata piuttosto cattiva, nonostante dietro di me il biondo mi intimasse di smetterla.
Quando il nostro migliore amico scoprì che il ragazzo della metro eri tu, mi scoppiò a ridere in faccia. Andò avanti venti minuti buoni, con tanto di lacrime agli occhi.
Poi c’è stato quel periodo, ma soprattutto quel giorno. Dove tutto ebbe inizio, no? Dove ti decidesti di farti avanti. Non lo scorderò mai, Louis.




Erano passati ormai sette mesi da quando lo conoscevo, due dall’episodio del parco e uno da quando avevo cambiato strada per andare a scuola. Lo evitavo, volevo dimenticarmi di lui. Era fidanzato, con una bellissima ragazza per giunta. Perché doveva pensare a una come me? Una con gli occhiali, bassa e con qualche chilo di troppo. Una con gli occhi di un banale marroncino terra, una la cui timidezza bloccava ogni tipo di relazione sociale se non con persone fidate, una con la pelle tanto diafana da far notare ogni più piccolo cambio di colorito. No, non avrebbe mai scelto me.
Arrivai di fronte al cancello di scuola con un anticipo di venti minuti, come facevo da un mese a quella parte. Sbuffando mi tolsi gli occhiali e cominciai a pulire le lenti con l’apposito tessuto, mentre un venticello primaverile mi scompigliava i capelli, facendomeli finire in bocca.
Ci vedevo poco o niente, ormai non potevo stare senza occhiali che diventavo automaticamente una talpa. Riappoggiai la montatura sul naso e scavai nella borsa alla ricerca del pacchetto di sigarette.
«Ciao, Valerie.» sobbalzai per lo spavento e mi girai verso la voce che mi aveva chiamata. Sgranai gli occhi: il ragazzo della metro. Feci scena muta mentre aspettava una risposta, anche un semplice accenno da parte mia. Inutile, dato che ero completamente ferma ed immobile a fissarlo come se fosse un fantasma.
«Ecco… ho parlato con Niall. Mi ha raccontato un po’ di cose, e beh… emh… volevo chiederti se per caso ti andasse di uscire con me, uno di questi pomeriggi. Magari andiamo a prenderci un gelato, oppure un caffè da Starbucks.» mi disse balbettando leggermente e facendo colorare appena le guance, mentre con una mano si grattava il collo nervoso. Spalancai ancora di più gli occhi, cercando di connettere i pochi neuroni che funzionavano ancora. Aveva chiesto a me di uscire? Non era un sogno?
«Emh… o-ok, per me va bene. Ma la tua ragazza non sarà gelosa se usciamo assieme?» gli risposi acquisendo un po’ di sicurezza, usando un leggero tono di sfida. Mi guardò per secondi infiniti, fino a quando non si avvicinò e, giuro, in quel momento il mio cuore si fermò.
«Quale ragazza? Quella che ho lasciato due giorni dopo il nostro incontro al parco?» mi sussurrò all’orecchio. Arrossii per la figura appena fatta, mentre abbassavo la testa dalla vergogna.
«Io anche ci esco con te, ma almeno dimmi il tuo nome. Non posso continuare a chiamarti ‘il ragazzo della metro’ o ‘il ragazzo dagli occhi di ghiaccio’, non mi sembra corretto.» replicai sorprendentemente. E quella spavalderia da dove usciva fuori?
«Louis Tomlinson al suo servizio, signorina.» mi disse, facendo un inchino puramente teatrale. Soffocai una risata ricevendo in risposta un sorriso mozzafiato.




Te lo ricordi, Louis? E’ stata una delle giornate più belle della mia vita. Mi avevi convinto a marinare la scuola e mi hai portata ad Hyde Park, a mangiare un gelato. Che tra l’altro faceva pure schifo, ma non te lo dissi mai per non farti rimanere male.
E dopo fu tutto un susseguirsi di avvenimenti senza precedenti. Ricordo che andammo avanti per mesi con quell’amicizia assurda che di amicizia non aveva proprio niente. Eravamo inseparabili, sempre assieme. Ogni scusa che tiravi fuori era buona per farti abbracciare, anche se la maggior parte delle volte non ti credevo proprio per niente. Ma per stare bene anche solo per un paio di secondi, le tue scuse le accettavo senza replicare.
Stare nelle tue braccia era come tornare a casa dopo un lungo viaggio, e trovare la mamma pronta ad accoglierti a braccia aperte. Stare tra le tue braccia, Louis, per me significava vivere.
E ora sono qui, distesa sul divano a scriverti questa lettera che non leggerai mai perché nascosta nei meandri di un cassetto chiuso a chiave, mentre giochi con il nostro bambino di appena quattro anni.
Il mio marmocchio’ lo chiami sempre. Ha i tuoi stessi occhi color ghiaccio, e non ringrazierò mai abbastanza Dio per avergli donato le tue e non le mie iridi. E’ la tua copia sputata, diventerà bello come il papà.
Ti sei appena girato e mi hai sorriso, facendo sparire tutto ciò che mi circonda.
Sei bello come il sole estivo che accarezza le foglie verdi e rigogliose, sei il mio sole, Louis. Hai illuminato la mia vita, e donandomi il nostro piccolo Dan non hai fatto altro che rendermi ancora più felice. E, nonostante adesso tu non lo sappia, il tuo marmocchio avrà un fratellino o una sorellina da proteggere.
Ricordati che noi siamo meglio dell’amore di Romeo e Giulietta, non dimenticare mai che tu sei le nocciole e io la cioccolata fondente.

Ti amo.

Per sempre tua,
Valerie.
 

 

  
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