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Autore: And123flick    08/03/2014    2 recensioni
Lei è Jasmine, e tempo fa aveva una sorella.
Una sorella triste, depressa, violentata, suicida.
Jasmine le vuole ancora bene, la va a trovare tutti i giorni, al cimitero.
A undici anni dalla morte di Lilith, Jas non riesce ancora a capacitarsi di come, sebbene quando accadde lei avesse soltanto cinque anni, non fosse riuscita a capire prima che la sorella stava male, male davvero.
Nella lettera che Lilith lascia a Jasmine, la più piccola viene pregata di non fare la stessa fine della maggiore, ma Jasmine si è permessa di ignorare quella parte.
Adesso anche a lei Poncho, il loro persiano bianco, lascia graffi sulla pelle.
Adesso anche lei si permette di stare ore in bagno dopo i pasti.
Adesso anche Jasmine, come Lilith prima di lei, capisce che la violenza esiste, e che il trucco è che fa male sia fuori, che dentro.
||ATTENZIONE: PRESENTI TEMATICHE DELICATE QUALI AUTOLESIONISMO E SUICIDIO||
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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˷ La sorella suicida ˷
« Mamma, vado a trovare Lilith », avvertì Jas, prima di chiudersi la porta alle spalle.
I genitori di Jasmine Rivers erano sempre stati fieri di lei: i professori si complimentavano con loro, informandoli di quanto Jasmine fosse brava in letteratura, storia dell’arte e algebra, per quanto, purtroppo, ogni tanto si distraesse in classe.
Ma non la biasimavano, cercavano di capirla. Dopotutto, dopo che Lilith non viveva più con i Rivers, Jasmine si era spenta un poco alla volta.
Anche il professore di pianoforte si complimentava con i genitori di Jas. Diceva che la sua bravura innata per la musica non era solo una passione, ma un dono, e non andava sprecato.
I nonni l’adoravano. Mangiava tutti i dolci che la mamma del suo papà preparava, portando in quella casa tanta soddisfazione.
Lo zio anche le voleva un mondo di bene. Quando Jasmine andava dal fratello della mamma, infatti, quest’ultimo si divertiva un mondo a giocare con la wii a Mario Kart, nonostante i suoi quarant’anni passati; e si divertiva a vedere la sua nipotina storcere il muso quando la macchina virtuale dello zio superava la sua.
Ma loro, tutti loro, ignoravano ciò che Jasmine Rivers era in realtà.
Era vero, a scuola era brava, ma solo nelle materie che amava e che le portavano più soddisfazione, e faceva in modo che i genitori non avessero colloqui con i professori che insegnavano ciò che invece, a Jasmine, non piaceva per niente.
Non ci provava nemmeno, a farselo piacere. Non era brava, e basta.
Il pianoforte era tutto ciò che trascinava la sedicenne fuori dai suoi problemi. Quando suonava si concentrava talmente tanto sulle note che aveva composto Yiruma che il resto passava in secondo piano. Anche Lilith.
I nonni non sapevano che dopo che la loro graziosa nipotina mangiava i dolci della mamma del papà andava in bagno a vomitare, e vomitava anche l’anima se necessario.
Per carità, i dolci le piacevano, ma non ne aveva proprio voglia. Le dispiaceva.
Lo zio non sapeva quanto quella smorfia di disapprovazione si rivolgesse, in realtà, alla risata spensierata di lui. Jasmine amava suo zio, era la persona che, insieme a Lilith, l’aveva fatta più divertire quando era piccola. Ma allora perché, da quando Lilith non giocava più insieme a loro, lui non si sentiva vuoto come si sentiva lei?
Quando uscì dal palazzo dove abitava sua madre una pioggia forte la investì, e lasciò semplicemente che il vento le sferzasse il viso, scompigliandole i capelli castani.
Sospirò mentre si incamminava verso la zona della città meno frequentata.
Mentre si faceva una coda alta, pensò a quanto banali fossero i suoi capelli lisci e castani in confronto al rosso ambrato di Lilith.
I loro occhi azzurri, però, erano uguali. Chiunque avesse visto Lilith e Jasmine Rivers l’una accanto all’altra non avrebbe esitato a definirle sorelle. Avevano lo stesso viso affilato, la stessa espressione seria ma tremendamente dolce.
Se le avessero sentite cantare, poi.
Jasmine amava la voce di Lana Del Rey, era cresciuta cantando le sue canzoni, e ormai aveva la voce bassa abituata a cantare quei brani che ormai sapeva a memoria, mentre la sorella maggiore aveva perennemente nelle orecchie la dolce voce di Taylor Swift.
E così, quando cantavano insieme, era qualcosa di splendido.
Da quando Lilith aveva abbandonato quella casa, cioè esattamente undici anni prima, Jasmine non cantava più.
Non cantava da quando aveva cinque anni, nonostante la signora Rivers le dicesse sempre che aveva un dono, come diceva il professore di pianoforte quando la ragazza suonava Yiruma.
Jas faceva sempre questi paragoni fra lei e la sorella. Si era sempre ritenuta inferiore a lei, lei era sempre stato il suo idolo.
Quando doveva prendere una decisione non riusciva a far a meno di pensare ‘Cosa farebbe Lilith se fosse al posto mio?’, e sorrideva, incontrollabilmente.
L’amava ancora, nonostante avesse deciso di lasciarla e ricominciare da qualche altra parte.
Ogni giorno la andava a trovare. E quel pomeriggio in cui non poteva, si sentiva tremendamente in colpa, e ventiquattr’ore dopo era lì, in ginocchio, davanti a lei, a chiederle perdono, piangendo disperatamente.
Ma i suoi occhi azzurri erano sempre sorridenti, sembravano perdonarla sempre.
Jasmine avrebbe voluto più contatto fisico, ma semplicemente non poteva.
Arrivò a destinazione e attraversò il cancello.
Fra l’erba bassa, la trovò. Sua sorella, Lilith, la splendida, dolce, innocente Lilith.
Non meritava quello che le era accaduto, non lo meritava proprio.
Fu così che Jas pianse, anche quel pomeriggio di fine Febbraio. Pianse tanto, tantissimo, fino quasi ad urlare, compiaciuta che quel giorno, quel pomeriggio di fine Febbraio, al cimitero, non ci era andato nessuno.
Lilith Rivers era morta undici anni prima, quando Jasmine Rivers aveva solo cinque anni.
Ma aveva quei cinque anni necessari per capire che sua sorella non stava bene, affatto.
Una volta Lilith tornò a casa piangendo, e Jas cercò di consolarla, invano. Le chiese cos’era successo, cos’era quella macchia rossastra sulla guancia, e la sorella maggiore le rispose, singhiozzando, solo un ‘non dirlo alla mamma’, e la piccola ubbidì, perché di Lilith si fidava.
Era o non era il suo mito da seguire?
Non l’avrebbe mai tradita dicendolo alla mamma, mai.
Se solo avesse saputo…
Ma Lilith peggiorava. Non fu solo un pomeriggio, fu una serie di serate a distruggere, pian piano, tutte le certezze di Jasmine riguardo la sorellona.  Perché ogni volta tornava a casa piangendo con una nuova macchia sul viso? Perché stava le ore in bagno, e quando ne usciva i lividi erano coperti da strati e strati di trucco? Perché non lo diceva alla mamma? Perché Jasmine stessa non glielo diceva?
Perché Lilith non voleva aiuto?
Una bambina di cinque anni, queste cose, non può saperle. Se non gliele voleva dare sua sorella, le risposte che cercava, forse non era nulla di grave.
Forse, era solo un periodo.
Ma Lilith iniziò a chiedere a sua sorella i temperini in prestito, e quando glieli ridava non c’era più la lama. Erano rotti, tutti quanti, e Jasmine piangeva, perché lei non sapeva che cosa succedesse a sua sorella.
Lilith Rivers non era mai stata una ragazza disordinata, né casinara o problematica. Non nei primi quattro anni di vita di Jas.
« Lilith, sei arrabbiata con me? », le aveva chiesto, una volta, entrando nella camera della sorella.
Ma lei non la sentì, non le rispose, gli auricolari nelle orecchie, gli occhi chiusi e il corpo supino sul letto.
Allora la piccola Jasmine si era avvicinata al materasso, vi era salita sopra e aveva sfilato le cuffiette dalle orecchie della sorella, svegliandola.
« Che c’è Jasmine? », le aveva domandato, stancamente.
Aveva gli occhi tutti rossi. Ce li aveva così da quando, sempre all’oscuro di mamma, fumava cose strane in balcone, che puzzavano e alla piccola non piacevano. Ormai ben poche cose che Lilith faceva piacevano a Jas.
« Sei arrabbiata con me? », aveva ripetuto lei, con lo stesso tono supplicante.
La maggiore aveva scosso la testa. « Perché? »
« Perché hai rotto tutti i temperini che ti ho regalato. L’hai fatto apposta? »
Fu a quel punto che scoppiò in lacrime. Abbracciò la sorellina, stringendola forte a sé come poche volte nella sua vita aveva mai fatto. Fu un abbracciò troppo duraturo per essere scambiato per una stretta intenerita dall’innocenza della bimba castana.
Ma a cinque anni, Jas non ci aveva fatto caso.
« No, piccola » L’abbraccio si era sciolto, Lilith si era asciugata le lacrime dal viso, adesso sporco di mascara e con i lividi più evidenti sul viso: aveva un occhio nero, il segno di una manata sulla guancia e una macchia viola sul mento.
Soffriva, gridava, in silenzio. Nessuno sembrava sentirla.
« Perché hai le braccia tagliate? »
« È stato Poncho. Sai com’è fatto, l’ho stuzzicato un po’ troppo e mi ha graffiato »
La bimba aveva scrollato le spalle, sorridendo. Il loro persiano bianco era sempre stato facilmente irritabile, e forse era vero che Lilith non aveva prestato abbastanza attenzione nel giocarci.
« Perché ultimamente vai a scuola senza lo zaino e senza i buonissimi panini della mamma? », aveva chiesto la piccola Jasmine poi.
Lilith aveva sospirato, scompigliandole poi i capelli sulla testa. « Fai troppe domande, piccola »
Si era lasciata andare sul materasso e si era infilata di nuovo gli auricolari nelle orecchie, chiudendo gli occhi.
Jasmine era rimasta infastidita dal non ricevere una risposta concreta, ma poi aveva dato un bacio sulla guancia alla sorella e si era accoccolata fra le sue braccia, addormentandosi con lei.
Il giorno dopo, Lilith non si era svegliata quando la signora Rivers era andata a svegliare le figlie per mandarle a scuola.
E nemmeno quello dopo.
I due giorni successivi, Lilith li aveva trascorsi ricoverata in ospedale, e dopo qualche ora la mamma aveva annunciato, piangendo, la morte della maggiore alla piccola Jasmine.
A cinque anni, una bambina non sa cos’è il suicidio. Non sa cos’è l’autolesionismo. Non sa cos’è la violenza, e probabilmente non lo vuole nemmeno sapere.
A cinque anni le fate esistono, come esistono anche gli orchi, che vivono nello stesso pianeta degli umani. Gli umani devono salvare gli altri umani dagli orchi.
Gli orchi sono i cattivi, gli umani i buoni.
Semplice, no?
Una bambina di cinque anni non arriverebbe mai a pensare che c’è un orco dentro ogni umano, che oltre al nero e al bianco c’è anche il grigio, che a volte, per sentirsi vivi, bisogna cercare la morte.
Dopotutto, non ci arriva nemmeno chi è più grande.
Nessuno biasima nessuno.
Jasmine, quel giorno di fine Febbraio, piangeva sulla tomba della sorella, sdraiata in una cassa tre metri sotto terra, gli occhi chiusi e le braccia incrociate al petto.
Gli occhi sorridenti di Lilith la fissavano dalla fotografia attaccata alla lastra di pietra, che recitava:
Lilith Cassie Rivers
Studentessa
Ragazza autolesionista uccisasi , picchiata per anni dall’ex geloso,
il 31-07-2020
Quelle parole, nonostante Jasmine le vedesse tutti i giorni o quasi, mettevano sempre i brividi.
Tirò fuori dalla tasca del giubbotto la lettera che Lilith aveva lasciato sul comodino prima di morire, ingerendo una manciata di pillole per il sonno.
Voglio iniziare chiedendo scusa. Sarebbe banale, lo so, ma è solo quello che voglio dire.
Scusatemi.
Scusa, mamma, per non averti dato ascolto. Avevi ragione tu, Lucas non era quello giusto, Lucas era pericoloso. Sai quando me ne sono accorta? Quando mi ha dato il primo calcio, sulle dita delle mani.
Mi ha fatto male, ma quella sofferenza è niente in confronto a quella provata quando mi ha buttata a terra, in mezzo a quella strada deserta.
Mi si è sbucciato un ginocchio, ricordi? Mi hai chiesto il perché, e io ti ho detto che ero semplicemente scivolata.
Ma no, non è andata così. Lui mi ha spinta. E una volta a terra ha continuato, solo perché io l’avevo lasciato e accanto a me, in autobus, si era messo un altro ragazzo, con cui non avevo nemmeno scambiato una parola.
Ma lui era geloso, fottutamente geloso, e così mi ha presa a calci una volta scesi dal veicolo.
Perché è così che si risolvono le cose, no? Picchiando. Sfogandosi.
Ed è così che io ho sbollito la mia rabbia per un po’: sfogandomi, ferendomi.
Qui inizio col dire scusa a te, Emma, per tutte le bugie.
So che volevi aiutarmi, sei sempre stata la mia migliore amica, ma ho scelto di mentirti lo stesso.
Scusami, scusami davvero. Ti voglio bene. Te ne vorrò sempre.
Ricordi quando mi hai chiesto dei tagli? Era stato Poncho, vero?
No, vero un corno. Ero stata io, credo che tu lo sapessi, ma col fatto di non accettarlo hai deciso di non volerlo sapere, di voler allontanare quel pensiero dalla tua testa.
E ti ha fatto male, giusto? Lo vedevo.
Non sono mai stata cieca, come la società lo è ultimamente.
Scusami, Jas. Sei la mia vita. Sei tutto quello per cui ho combattuto fino ad adesso, sei stata quella luce che mi ha illuminato la vita, sei stata fondamentale, sei stata mia. Eri l’unica persona ad essere veramente mia.
Non ti avrei mai lasciato, se fosse dipeso da me, lo giuro.
Mi suicido, comunque.
Mi suicido perché non ce la faccio più, perché è meglio finirla qui piuttosto che ricevere altre botte, altri pugni, altri schiaffi, altre umiliazioni.
Tu, mia piccola Jas, non voglio che finisci come me.
Mi suicido perché io sono piccola, questo mondo per me è troppo grande. Davvero troppo, ho rischiato troppe volte di perdermi, ma grazie a te, amore mio, Jasmine, ho sempre ritrovato la strada.
Adesso ti guardo, e sei fra le mie braccia. Sei bellissima, e così tenera, dolce.
Sii forte, okay? Sempre, perché tu meriti il meglio, e forse lo meritavo anche io. Io l’ho ricevuto quando nostra madre ti ha messa al mondo. Sei la mia vita.
Mi dispiace.
Mi suicido perché, davvero, forse è giusto così.
Mi suicido perché la violenza che ricevo ogni giorno è troppa e troppa insieme, troppo veloce, non riesco a reagire, non posso reagire, non voglio reagire, non devo reagire.
Altrimenti lui si arrabbia, sai?
Diceva che ero la sua bimba, ora dice che sono una bimba cattiva, e che vado punita.
Mi suicido per questo, perché vado punita, e voglio che a punirmi sia io, e non lui, non più.
Mi suicido per te, Jasmine, per tutte quelle attuali bambine e future donne che comporranno la società del domani. Mi suicido così che più avanti nessuno possa essere debole come lo sono stata io. Mi suicido perché le donne meritano di essere amate, e io non lo sono mai stata, se non da te, mia piccola Jas.
Ricorda, Jasmine, ti amo.
Tua per sempre,
Lilith.
  
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