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Autore: a_marya    09/03/2014    1 recensioni
Alexis ha una missione da compiere, affidatagli dal padre naturale: recuperare i capitoli di una storia scritta dallo stesso, prima che fosse assassinato. Quella storia, infatti, contiene informazioni preziose che qualcun altro, da qualche parte nel mondo, intende usare per smascherare l'Organizzazione, un gruppo di fanatici responsabili di molti omicidi, tra cui quello del padre di Alexis. Ma recuperare quelle pagine è tutt'altro che semplice: con l'Organizzazione sulle sue tracce, Alexis deve fare di tutto per restare nell'ombra, se vuole proteggere se stessa e coloro che le vogliono bene. Ma restare nell'ombra non sarà più possibile, quando l'enigmatico Alex e il brillante Giulio entreranno a far parte della sua vita e allora non le resterà che lottare per difendere se stessa e la memoria dei suoi genitori naturali...
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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6 MARZO 1996
Quando la sveglia suona sono immersa in un sonno profondissimo e ci metto un po’ per sentire il suono più odiato del mondo. Lancio un’occhiataccia alla radiolina vicino a me, sperando di spaventarla con il mio sguardo minaccioso ma lei se ne infischia e continua a suonare. Con un sospiro alzo la mano e la spengo, cercando le forze per rimettermi in piedi. Più che camminare, mi trascino fino alla cucina e cerco tentoni la scatola dei cereali, perché non ho ancora trovato la forza di aprire gli occhi.
Prendo la tazza, la riempio di latte e la infilo nel microonde, poi preparo il caffè. Mentre la mia colazione continua a riscaldarsi, vado in salotto e prendo la posta, decidendo che forse è ora di aprirla. Sono a un passo dalla porta a scegliere la posta interessante quando qualcuno suona al campanello.
Mi giro verso la porta con aria interrogativa, come se la porta potesse dirmi chi è senza sforzarmi di aprire ma intuisco subito che non lo farà. Togliendomi un ciuffo fastidioso dalla faccia mi avvicino strascicando alla porta e guardo dallo spioncino, per essere certa che non sia ancora Alex che ha deciso di perseguitarmi.
No, non è lui, è un ragazzo che non conosco, con un buffo cappello in testa. Ma tutti i malati di mente hanno deciso di riunirsi a casa mia?
Ormai però chiunque sia il matto di turno mi ha vista, non posso ignorarlo, quindi apro la porta ma lascio il ferretto, decisa a capire cosa vuole prima di aprire del tutto.
- Consegna per lei signora. Deve firmare qui – mi dice il ragazzo strano senza nemmeno salutare, masticando una gomma con aria stanca.
Ora ho capito il perché di quel cappello. È l’orribile divisa del servizio consegne della mia strada. Perché poi qualcuno dovrebbe mandarmi una consegna? Non aspettavo nessun pacco…
Ancora un po’ stordita firmo dove mi indica il ragazzo, non più buffo ma maleducato, e quello mi consegna un pacchetto, quindi sparisce.
Fisso il pacco, cercando di capire qualcosa di tutta la faccenda ma il mio cervello non funziona ancora a pieno ritmo e non riesco a capire, così lo porto in cucina e lo lascio sul tavolo. Lo aprirò dopo aver fatto colazione con la speranza che gli zuccheri mi sveglino un po’.
Il latte è pronto ma il caffè non ancora. Guardo ancora il pacco e mi chiedo di chi è, il tizio maleducato non mi ha detto il nome del mittente e non c’è scritto sul pacco. Lo prendo e lo rigiro per un po’ nelle mani, poi mi decido ad aprirlo, tanto non ho niente da fare finchè il mio latte non è caldo al punto giusto.
Lo scarto con cautela, nel caso ci fosse qualcosa di fragile all’interno, ma non appena ho tolto la carta marrone del servizio consegne mi trovo un’altra carta, carta regalo questa volta, piegata anche male.
Per caso è il mio compleanno? No, vorrebbe dire che ho dormito per più di cinque mesi e sarebbe preoccupante davvero. Qualche anniversario allora? No, non che ricordi…
Lo scarto sempre più curiosa e finalmente riesco a togliere tutta la carta. Il mio regalo consiste in due scatole, una sull’altra. Quella più sopra è sottile e quadrata, completamente bianca, sembra molto elegante; l’altra è invece più voluminosa, più rettangolare e di un colore giallo vivo, allegro. Sul fianco della scatola grande c’è stampata una scritta color oro, “Benny’s”. La conosco, è il nome di una pasticceria in centro, un posto da ricconi.
Mi sento ancora più confusa. Nessuno di quelli che conosco è abbastanza ricco da frequentare un posto così raffinato, tantomeno mandarmi un regalo inaspettato.
Prendo la scatola sottile ma mentre la alzo per aprirla, un foglietto svolazza sul tavolo. Poggio la scatola e prendo il bigliettino, un cartoncino bianco come la scatola ma decorato con raffinati ghirigori argentati. Sul biglietto, in una calligrafia elegantissima e sconosciuta, c’è scritto:
 
“Mi dispiace per ieri sera, di aver rovinato i tuoi programmi. Anche se non eri impegnata in giochi perversi, di certo avevi altro da fare. Grazie per avermi dedicato il tuo tempo. Spero che la crema ti piaccia, mi hanno detto che è il bar migliore della città e che apprezzerai la buona musica.
Spero anche di poterti restituire il favore, quando l’appartamento sarà in condizioni di ricevere ospiti se avrai voglia di parlare. Tuo debitore, buona colazione.”
 
Rimango a fissare quelle poche righe allibita. Alex, è stato Alex a mandarmi il regalo. Rileggo di nuovo il biglietto e poi un’altra volta ancora, incredula, poi guardo di nuovo le sue scatole sul tavolo e non posso fare a meno di sorridere.
E io che l’avevo creduto un pomposo figlio di papà. Sarà anche ricco, ma di certo non è un maleducato. E ha buon gusto quanto a colazione, su questo non c’è dubbio.
Sorrido e apro la confezione di “Benny’s”, già pregustando il miglior cornetto che io abbia mai mangiato. A vederlo è uno spettacolo: è enorme, ricoperto da quantità industriali di zucchero a velo…
Lancio un’occhiata al microonde, per controllare quanto tempo manca prima che il mio latte sia caldo. La lancetta del timer è a meno di un millimetro dallo zero e così decido che per oggi può bastare. Mi alzo e prendo la mia tazza, bollente tanto da scottarmi i polpastrelli, zucchero il latte e verso il caffè caldo nel latte.
Peccato che non sia un cappuccino, farebbe una coppia perfetta con il mio mega cornetto. Mentre aspetto che il latte si raffreddi abbastanza per poterlo bere senza ustionarmi gravemente, comincio l’assalto al cornetto. Ne assaggio un morso e sorrido soddisfatta: non è buono come dicevano… è molto meglio! La pasta è di una sofficità incredibile, dolcissima…
Per un momento quasi scoppio a ridere mentre immagino cosa deve pensare qualcuno che entri in questo momento e mi veda qui a venerare un cornetto, poi il richiamo del cibo divino fa scomparire ogni altro pensiero e continuo a mangiare, gustando ogni morso. Anche perché la prossima volta che mangio le paste del “Benny’s” sarà forse, e dico forse per intendere una più che remota possibilità, alle mie nozze.
Ho quasi finito la mia colazione quando suonano alla porta.
Mi hanno per caso eletta sostituta del papa a mia insaputa stamattina? Passano settimane senza che riceva nemmeno una telefonata e stamattina pare che l’intera città abbia deciso di vedere se sono ancora viva.
Lancio un’occhiata malefica verso la porta, sperando che il visitatore avverta la mia aura negativa e se ne vada ma il campanello suona di nuovo. Lascio a malincuore gli ultimi due morsi di cornetto sul tovagliolo e vado ad aprire, sperando per chiunque sia il disturbatore che abbia un motivo più che valido per venire a suonare alla mia porta a quest’ora del mattino.
Controllo dallo spioncino, chiedendomi se Alex non abbia dimenticato ancora qualcosa. Visto il premio, sono disposta ad accoglierlo in casa ad ogni ora!
Invece è solo Linda. Apro la porta con uno sbuffo.
- Spero che tu abbia un’ottima ragione per essere qui, mia cara – le dico mentre richiudo la porta.
- Buongiorno anche a te! – replica lei con un sorriso, al quale non posso non rispondere. È talmente abituata al mio modo di fare che nemmeno se ne accorge più. Devo diventare più cattiva.
- Vedo che anche oggi il mio raggio di sole splende di allegria! – continua sarcastica e io rido mentre le faccio cenno di seguirmi in cucina.
- Oh cielo, mi sono dimenticata qualche festa? – mi domanda non appena si è seduta, notando subito i pacchi sul tavolo e la carta regalo sulla sedia.
- No, tranquilla. La tua memoria è infallibile come sempre – la tranquillizzo riprendendo a bere il mio latte. Si è fatto veramente tardi, devo sbrigarmi se voglio arrivare in università in tempo.
- Ma allora hai un amante! – esclama estasiata.
- Nessun amante, Linda, non sarei mai così squallida – la disilludo, finendo il latte. Lancio un’occhiata agli ultimi morsi di cornetto poco più avanti, indecisa se essere maleducata con la mia amica o offrirle l’ultimo morso di paradiso.
- Vuoi? Ultimo morso – offro a malincuore, scegliendo la seconda scelta. Linda scuote la testa e io ingoio il resto del cornetto prima che cambi idea, raggiante. La generosità paga, qualche volta.
- Allora è un ammiratore segreto? – mi incalza lei, intuendo che non le racconterò spontaneamente il motivo di quel regalo. Un’altra occhiata all’orologio mi avverte che sono in ritardo pazzesco e così taglio corto e le indico direttamente il biglietto, che è rimasto sul tavolo, poi le faccio segno di seguirmi mentre vado in camera e scelgo dei vestiti per la mattinata.
Mentre apro l’armadio alla ricerca di qualcosa di caldo ma carino, guardo di sottecchi Linda e la vedo spalancare la bocca e guardarmi felice e arrabbiata allo stesso tempo.
- Premesso che sono strafelice per te, tesoro, ti odio – dice infine guardandomi storto e io rido mentre tiro fuori il maglioncino beige e i pantaloni neri, stretti alle caviglie. Li butto sul letto e rovisto ancora un po’, per trovare una camicia adatta sotto il maglioncino.
- Perché non mi hai detto di questo principe? – chiede fingendosi offesa e io rido ancora; la adoro quando mette il broncio, è davvero buffa.
- Perché sai che adoro quando mi tieni il broncio, tesoro – replico io. Esco la camicia nera di raso e la canotta nera e mi volto verso di lei con i due indumenti in mano.
- La canotta, decisamente. Fa più caldo del solito –mi dice lei, intuendo all’istante, senza bisogno che aprissi bocca. Ecco quello che adoro anche di lei: mi capisce al volo, come se leggesse direttamente nella mia mente.
- Non è un principe, solo un riccone americano – le spiego mentre mi cambio.
- Solo? – domanda lei sedendosi sul letto.
- Sì, solo questo. Lo conosci tra l’altro, l’hai visto a una festa si zia Adelaide. Ti ricordi quel moretto straniero, quello con cui mi hanno obbligato a ballare?
Linda spalanca gli occhi e la bocca contemporaneamente. Sembra un pupazzo, di quelli che se tiri una leva aprono gli occhi ed escono la lingua.
- Quel principe? Proprio quello? Quello che è tornato per la madre?
Annuisco mentre mi guardo allo specchio. Sì, può andare. Ora mancano le scarpe.
- Non mi hai detto che vi sentivate ancora – replica lei in tono accusatorio, come se l’avessi tradita.
- Infatti non l’ho più visto da quella sera, né sentito – rispondo, per calmarla.
- Non si direbbe dal biglietto, tesoro – insiste, non convinta.
Io alzo gli occhi al cielo mentre decido per le decolté.
- Mi lasci finire o racconti tu?
Lei si zittisce all’istante e si accomoda meglio sul letto, come se stessi per raccontare il segreto della mia vita e a me viene da sorridere. Se le raccontassi il vero segreto della mia vita, allora sì che spalancherebbe occhi e bocca!
- E’ venuto qui ieri sera perché aveva dimenticato le chiavi di casa e aveva bisogno del telefono per farsi portare il doppione e visto che stavo bevendo il caffè gliene ho offerto una tazza e abbiamo fatto due chiacchiere… tutto qui lo scoop – concludo, mentre vado in bagno. Tiro fuori il fondotinta e l’ombretto e comincio a truccarmi un po’.
- Tutto qui? Tesoro, questo è un riassunto che fai a tua madre, non alla tua migliore amica – mi fa notare lei e io sorrido. Ha ragione, non sono mai stata così concisa nel raccontarle qualcosa. Ma è già tardissimo e non ho voglia di raccontarle i dettagli, sarebbero inutili e rischio di perdere un sacco di tempo, sa essere anche peggio di mia madre se vuole.
- Voglio sapere ogni cosa, ogni più piccolo dettaglio, non te la caverai così – insiste inseguendomi in bagno.
Io controllo il risultato sul mio viso. Non va, manca ancora qualcosa, sembro pallida come un morto. Prendo il fard dal cassetto e ne applico un velo sulle guance. Meglio.
Torno in camera da letto e apro il portagioie scegliendo tra i miei orecchini. Quelli a goccia. Si intonano perfettamente col maglioncino beige. Linda intanto mi fissa, aspettando che riprendo il racconto e io cedo sbuffando. Non smetterà di fissarmi finchè non avrò raccontato tutto, fa sempre così.
- Non c’è molto altro da dire. È stato poco, era già tardi. Mi ha detto che dopo la festa è tornato in America per gli ultimi dettagli e che da due settimane si è stabilito qui, definitivamente. Ah, e poi mi ha detto che ha trovato casa, ha affittato l’appartamento al piano di sopra – le dico in tono casuale, sperando che non afferri il significato di quell’affermazione.
- Vuoi dire qui sopra? Sopra al tuo appartamento? Nel senso che sarete vicini di casa?
- Sì. Be’ in effetti non proprio vicini, lui sta sopra, non qui di fianco – rispondo, cercando di distrarla con una battuta.
Lei mi fissa con aria truce, poi sorride e riattacca la sfilza di domande, come se avesse capito cosa cerco di fare. Dannazione, probabilmente lo ha capito davvero.
Rispondo automaticamente a tutte le domande, ho capito che non riuscirò mai a farla smettere, fino a quando non le ho detto anche da che lato Alex portava la riga, poi finalmente tace, soddisfatta per il momento e mi aiuta a riassettare in cucina.
- E questo? – mi domanda, sollevando il pacchetto sottile, quello che stava sopra la scatola del cornetto. Me l’ero proprio dimenticato a dire il vero.
- Era nel pacco insieme al cornetto. Aprilo, io devo preparare la borsa – le dico correndo di nuovo in camera. Prendo la borsa beige dall’attaccapanni e la riempio rapidamente di tutto il necessario.
- E’ un cd, di musica – mi dice dall’altra stanza.
Che genio di amica che ho. E di cos’altro voleva che fosse il cd, arti marziali? Scuoto la testa sorridendo mentre infilo in borsa il cellulare. È ancora spento ma lo accenderò una volta in macchina, ora non ho tempo. Tanto so già che non mi ha cercata nessuno.
- Potresti essere più precisa? – le domando rientrando in cucina per controllare di non aver lasciato nulla in giro, poi vado in salotto per prendere le chiavi.
- Musica… Canzoni… Sigle dei cartoni animati a dire il vero – conclude lei perplessa.
- Dopo tutta quell’eleganza, non me l’aspettavo proprio da lui. Perché le sigle dei cartoni?
Mi fermo e la guardo, perplessa anch’io. Poi all’improvviso mi torna in mente l’unico dettaglio che avevo omesso del racconto perché mi era proprio sfuggito di mente e allora scoppio a ridere, fino a che mi lacrimano gli occhi.
Linda si avvicina lentamente aspettando che le spieghi, con la faccia di chi sta dubitando della sanità mentale di entrambi, e io le faccio segno di sbrigarsi, senza riuscire a smettere di ridere.
Chiudo la porta a chiave e chiamo l’ascensore sempre ridendo e Linda continua a guardarmi confusa e un po’ dubbiosa, aspettando che mia sia passata la crisi prima di riprendere con le domande.
Quando l’ascensore arriva finalmente le risa si sono calmate in un sorriso molto accentuato. Entro e mi do un’occhiata allo specchio dell’ascensore mentre Linda schiaccia il pulsante giusto.
Le racconto del piccolo incidente dello stereo e a quel punto anche lei scoppia a ridere come una forsennata, al che io non riesco a trattenermi e ricomincio a ridere. Arriviamo alla mia macchina ancora ridendo e ce ne stiamo lì ferme, aspettando di essere abbastanza calma per guidare.
Finalmente riusciamo a riprendere un po’ di controllo. Metto in moto asciugandomi gli occhi umidi e vedo Linda fare lo stesso.
- Quindi ora lui pensa che tu sia una fan di Cristina D’Avena – esclama Linda in un ultimo accesso di risa.
- Non sopportavo quella sua aria da superuomo. Volevo sbalordirlo… in quel momento mi è sembrata una buona idea… - mi giustifico io, immettendomi nel traffico non molto intenso, grazie al cielo.
- Be’ di sicuro l’hai sbalordito. Sono sicura che sei la prima fan di Cristina D’Avena che incontra da almeno vent’anni – replica Linda, raggiustandosi il trucco nello specchietto.
Io mi domando in effetti dove mi sia venuto in mente, ora che mi rendo conto di che figura da stupida devo aver fatto. Eppure lui non ha riso di me, non è fuggito a gambe levate anzi, mi ha persino regalato un cd nuovo di zecca per ringraziarmi.
Sorrido, colpita da quel piccolo pensiero più che dal cornetto. Quasi.
Non deve essere stato facile, tra l’altro, trovare un cd a quell’ora di sera, deve essersi impegnato davvero per trovarlo. E a pensarci bene, deve essersi anche alzato più che prestissimo per avere il tempo di andare da Benny’s, comprare il cornetto, impacchettarlo e portarlo all’ufficio consegne. Sorrido di nuovo, lusingata da tutte quelle premure. Ho proprio sbagliato a giudicarlo. Forato alla grande, mi dico con un po’ di rammarico. Forse mi scuserò con lui per come l’ho trattato e magari spiego anche l’equivoco di Cristina D’Avena.
- Quando vi rivedrete? – domanda Linda, con un sorriso adatto ad una pubblicità di dentifricio.
- E chi ha detto che ci rivedremo? – replico io, senza distogliere lo sguardo dalla strada. In questa città sono assolutamente incapaci di guidare, riescono ad investire la gente persino dentro le case, non ci si può permettere un solo secondo di distrazione.
- Come sarebbe chi l’ha detto? Lui, mi sembra chiaro.
- Non ha mai detto niente del genere e io nemmeno.
Linda mi squadra, indecisa se darmi direttamente un colpo in testa o attaccare con una delle sue prediche. Decide mio malgrado per la predica.
- Alexis, non ti rendi conto che questa tua aura pessimista non ti farà trovare mai un uomo adatto a te?
E chi ha mai detto che non posso vivere anche senza? Sinceramente anzi, trovo che gli uomini in genere siano una complicazione scomoda, da rimandare più a lungo possibile, e nel mio caso poi, sarebbe più che altro una tragedia, una catastrofe da evitare ad ogni costo.
- Il tuo principe ti ha specificato nel biglietto che sei la benvenuta in casa sua, questo è più che esplicito come invito a mio modesto parere. E considerando quanto è dolce, gentile, ricco e tremendamente bello, saresti un’idiota se lo ignorassi, tesoro.
- Linda, è normale scrivere frasi di circostanza in queste occasioni. Il suo non è interesse, solo educazione – le faccio notare aprendo il finestrino. È incredibile come possa essere sfiancante discutere con lei su certi argomenti, sto quasi sudando.
- E tu per educazione dovresti accettare. E poi sarebbe molto maleducato da parte tua non ringraziare per i regali, fargli sapere che hai apprezzato ma che non era necessario, non trovi?
Ora so perché vuole diventare avvocato. Riuscirebbe a scagionare Hannibal Lecter, se lo credesse un buon partito. Fortuna che i suoi principi le impedirebbero di difendere assassini o tra qualche anno in galera metteranno gli onesti cittadini, per proteggerli dai  criminali a piede libero. Certe volte questa ragazza mi fa davvero paura.
- Vorrà dire che gli farò una telefonata allora. Ammesso che si ricordi che esisto.
- Una come te non si dimentica facilmente cara. E poi se ha pensato a te durante i mesi in America, non credo che basteranno due giorni per dimenticare…
Io le lancio rapidamente un’occhiataccia, sperando che la smetta di farsi falsi film. Forse anche la carriera cinematografica non l’avrebbe delusa in effetti. Viene da chiedersi se non sia per caso figlia illegittima di Quentin Tarantino.
- E poi dove gliela fai la telefonata, visto che non ha il telefono?
- Guarda che hanno recentemente inventato un prodigio: il cellulare. E poi non è detto che non abbia il telefono, semplicemente era dalla parte sbagliata della porta chiusa per usarlo, no?
Questa volta grazie al cielo tace, consapevole che non può obiettare a un’ovvietà del genere. Però mi chiedo in effetti come mai un uomo di mondo come lui non si porta sempre un cellulare dietro quando esce. Non posso credere che non ce l’abbia per niente.
Finalmente intravedo l’università tra i vari edifici e comincio a guardarmi intorno alla ricerca di un parcheggio. Trovo un posticino minuscolo tra una Volvo e una Punto e mi ci infilo subito, rigirando il volante per evitare di graffiare le fiancate. Meno male che la mia macchinina è abbastanza piccola o morirei elemosinando un parcheggio.
Attraverso la strada correndo per approfittare del semaforo favorevole e Linda mi segue subito. Appena entrata in università però noto qualcosa di strano. Troppa gente in giro per i corridoi, l’androne è pieno di studenti e professori.
Guardo Linda che mi risponde facendo spallucce e decido di scoprire di che si tratta, anche se probabilmente deve essersi sentito male qualcuno, forse il custode. Non mi meraviglierei se fosse venuto un collasso a quel poveretto, è abbastanza vecchio per aver visto con i suoi occhi la nascita di Gesù.
Vedo poco più a destra Grazia, una ragazza del mio corso e mi avvicino. La saluto e le chiedo se sa cosa stia succedendo.
- E’ per il nuovo professore di Storia antica, pare che sia uno scrittore famoso e sono tutti in attesa di un autografo – spiega lei senza smettere di sollevarsi sulle punte per vedere oltre la massa di gente che la precede.
- Fantastico. Addio lezione per oggi. Ho appena sprecato la mia giornata – borbotta Linda accanto a me e io alzo gli occhi al cielo, perfettamente d’accordo con lei. Non ci voleva proprio, accidenti. Avrei potuto leggere le pagine di papà invece di perdere tempo qui.
- Non del tutto forse. Dicono che sia un affascinante avventuriero. Hai presente Indiana Jones? Pare che anche lui sia stato personalmente a caccia di antichi tesori, di certo sarà una conoscenza interessante… - replica Grazia, rinunciando a sbirciare.
- Un vecchio borioso che non parla d’altro che mummie e vecchi mattoni accatastati? Non è esattamente quello che rientra nel mio concetto di interessante – replica ancora Linda e subito tutte e due attaccano a parlare di ciò che sarebbe davvero interessante, qualcosa che comprenda per esempio tanti soldi e un bel paio di occhi azzurri.
Mi allontano scuotendo la testa, ancora infastidita per aver sprecato una mattinata per nulla, e vado verso il distributore automatico in fondo alla stanza, ho bisogno di un caffè.
Saluto Pollimi, il decrepito custode, che risponde con un sorriso e mi chiede dov’ero finita in questi giorni. Per avere l’età dei tre Magi, ha un occhio impareggiabile il vecchio Pollimi, mi chiedo come faccia a notare tutto e ricordare sempre.
Rispondo sia al sorriso sia alle domande mentre scelgo cosa prendere. Il caffè del distributore assomiglia un po’ al brodo di verdure di zia Adelaide, in effetti, e gli altri prodotti non sono da meno ma ho bisogno di qualcosa di caldo. Opto per il caffè macchiato sperando che il sapore del latte nasconda quello delle verdure… cioè, del caffè.
Mentre aspetto che il mio caffè sia pronto guardo di nuovo in direzione di Linda e Grazia e vedo che la situazione è immobile: la gente è ancora ammassata davanti alla porta e quelle due ridono di gusto, segno che parlano ancora di cose interessanti.
- Mi scusi, signorina, quella è l’aula dove farà lezione il professor Gagliani? Giulio Gagliani?- domanda una voce alle mie spalle e io mi volto.
Un ragazzino, non può avere più di diciott’anni, con i capelli corti, castano chiaro, e un paio d’occhi verdi di straordinaria bellezza, nascosta dietro un paio di occhiali dalla montatura semplice. In effetti, anche il suo abbigliamento è semplice, roba da grandi magazzini, una camicia, un maglione scuro e un paio di Jeans scuri, scarpe da ginnastica e un’anonima borsa di pelle, anche questa nera.
- Non sono sicura del nome ma lì ci sarà il professore nuovo sì, quindi se cerchi lui… - rispondo io, con la voce un po’ infastidita. Non tanto per il ragazzo, più che altro per il professore che ha deciso di cominciare a insegnare il giorno sbagliato.
- E’ normale che ci sia tutta quella gente o è solo per vedere la novità?- domanda ancora lui, fissando quasi inorridito la calca che nasconde del tutto la porta dell’aula.
Io sorrido, capisco che sia scioccato. Si vede che è il primo giorno poverino, e non comincia bene. Non lo invidio proprio anzi.
- Tranquillo, è solo per il nuovo fenomeno da baraccone, la smetteranno tra qualche giorno – lo rassicuro mentre prendo il mio caffè macchiato. Lo assaggio con cautela, preparandomi al sapore radioattivo.  Infatti, fa veramente schifo, anche peggio del caffè alle verdure.
Con una smorfia disgustata butto il restante intruglio nel cestino accanto al distributore. Mai più caffè macchiato. Dovrebbero mettere delle avvertenze su questa macchina, come per i medicinali. Abbiamo il diritto di sapere come buttiamo i nostri soldi.
- Lei non si scioglie al solo pensiero di vederlo? – mi domanda il ragazzino con un sorriso e io faccio finta di sciogliermi sul serio, facendolo ridere. Ma che ci fa un bamboccio in università, ora che ci penso? Non può essere una matricola, è troppo giovane.
- Non mi sciolgo facilmente e un vecchio borioso che parla solo di mummie e vecchi mattoni accatastati non rientra tra i motivi di svenimento – rispondo con un sorriso, ripetendo le parole di Linda.
- Ha già fatto una conoscenza disastrosa? – domanda ancora. Mi viene il sospetto che chiacchieri per ritardare il lancio nella mischia ma non mi dispiace. Lo capisco e almeno passo anch’io l’attesa.
- No, non l’avevo mai sentito nominare. Ha solo scelto il giorno sbagliato per il suo ingresso trionfale.
- Perché? – chiede curioso. Intanto lascia la borsa per terra e si appoggia con la schiena al distributore, incrociando le braccia. Di nuovo mi chiedo cosa ci faccia in università, probabilmente non ha nemmeno diciott’anni.
- Di solito non seguo le lezioni, sono venuta stamattina perché mi interessava una in particolare e adesso grazie al nuovo arrivo le lezioni salteranno tutte per dare a chiunque la possibilità di conoscere questo grande luminare. E io ho appena buttato al vento la mia mattinata.
Lui ride di nuovo e sembra cercare qualcosa nella tasca. Esce infine due monetine sta per inserirle nel distributore.
- Sinceramente, te lo sconsiglio. Avresti appena pagato per suicidarti. Esistono modi migliori per morire, o comunque meno schifosi – lo avverto prima che sprechi i soldi.
- Grazie dell’avvertimento. Non mi sembra gentile morire adesso, rischio di deludere tutta quella calca inferocita e le conseguenze potrebbero essere disastrose – mi ringrazia rimettendosi le monete in tasca e io sento la mia faccia congelarsi in un sorriso appena accennato.
A pensarci bene, non parla affatto come un bamboccio e non sembra così sperduto in un aula universitaria, anche se è solo l’androne. Queste ultime parole poi, mi fanno venire un dubbio atroce in mente.
Lui nota la mia espressione e scoppia in una risata, poi mi porge la mano con un gran sorriso.
- Giulio Gagliani, piacere di conoscerla.
Ma perché non sto mai zitta?
Rimango a bocca aperta, incapace di trovare delle parole adatta a giustificarmi. Per quale stupido motivo l’ho chiamato fenomeno da baraccone? Per non parlare del fatto che gli ho dato del vecchio borioso…
Lentamente porgo la mia mano e biascico il mio nome, con il desiderio di usare un’altra voce e fingermi schizofrenica.
- Non si preoccupi, sapevo già che le foto che pubblicano su di me non mi rendono giustizia – scherza lui, senza l’aria offesa che sarebbe normale.
Io sorrido debolmente, felice che non sembra essersela presa a male ma ancora rossa di vergogna. Ho appena sparato a zero su uno scrittore di successo che sarà anche il mio futuro professore davanti a lui in persona. Accidenti.
- Mi ha fatto davvero piacere parlare con lei, signorina Libuori. Mi dispiace per la sua mattinata ma le prometto che chiederò personalmente di non interrompere nessuna lezione in mio onore, così non avrà motivo di rancore.
Io arrossisco di nuovo violentemente, e abbasso lo sguardo, con la voglia di nascondermi nell’ufficio del vecchio Pollimi. Tra l’altro, la mia imperdibile lezione appena saltata è appunto quella di Storia Antica, la sua. Con che faccia entrerò nell’aula ora?
Lui prende la borsa e si avvia coraggiosamente verso la massa di persone che non si è smossa ne è diminuita nel frattempo. Anche io mi incammino lentamente, ancora imprecando per la figuraccia e raggiungo Linda. Le racconto subito di quello che è appena successo e lei scoppia a ridere. La fulmino con lo sguardo e lei cerca di darsi un contegno.
- Deve essere il tuo periodo no, mia cara – scherza, ancora ridendo.
Di certo non è il periodo sì, considerando che nel giro di poche ore ho convinto il mio affascinante vicino che adoro le sigle dei cartoni animati e il mio professore che sono un’odiosa spara giudizi, superficiale tra l’altro. Niente male no?
Non so come, ma sembra che il professore sia riuscito a raggiungere il suo posto nell’aula, dietro la cattedra, e finalmente la calca inferocita si trasferisce dentro l’aula per avere l’onore di stringere la mano alla nuova star del momento.
Io e Linda invece entriamo e prendiamo subito posto nelle ultime file, approfittando della confusione generale. Almeno seduta qui dietro non dovrebbe vedermi…
Mentre Linda commenta il nuovo prof, io ripenso ai fogli nascosti nella mia stanza e cerco di immaginare cosa ci sarà scritto. Finora ogni capitolo descriveva uno degli omicidi-incidenti ma ora che ci avviciniamo alla fine… dovrà pure aver scritto prima o poi qualcosa di rivelatorio, altrimenti non avrebbe senso tutta questa faccenda.
Cerco di ricordare il prossimo quadro sulla lista, ha un nome strano, qualcosa che somiglia al tedesco, ma non riesco a ricordare esattamente quale. Di sicuro però so che sarà molto più difficile degli altri da trovare. Ormai sono arrivata al culmine della storia, quando il protagonista scopre la verità sul gruppo segreto che lo vuole morto, quali sono gli obiettivi dei fanatici e soprattutto la vera identità del capo della setta, quindi sono certa che mio padre ha nascosto questi ultimi capitoli molto meglio degli altri.
Mi accorgo che Linda ha smesso di parlare con me e sta parlando con qualcuno al telefono. È davvero matta, se la scoprono con il telefono in aula glielo sequestrano e le metteranno una nota di demerito… Ma un’occhiata in giro mi rivela che nessuno guarda dalla nostra parte, sono tutti ancora concentrati sulla fila per gli autografi.
Buffo, il professore non sembra proprio entusiasta della venerazione che sta ricevendo, sembra anzi che si vergogni. Forse è qualche poveraccio di provincia che non avrebbe mai nemmeno sognato un successo simile per il suo libro.
Mi soffermo a guardarlo in viso per un po’, favorita dalla mia posizione in alto che mi fa vedere tutto nonostante la fila di ammiratoti, per cercare di capire quale sia la sua reale età.
È davvero impressionante, non gli darei ancora più di diciannove anni nonostante è seduto sulla cattedra del professore. Di certo sarà giovanissimo, se ha più di trent’anni è un alieno. Uno studente prodigio? Può darsi, ma hanno detto che è un ricercatore oltre che insegnante. Dove ha trovato il tempo per imparare tutto? Più probabile che abbia avuto la cattedra solo per il successo del momento, per dare lustro all’università, anche se è totalmente incapace di insegnare.
Poco male, non è una materia che mi interessa particolarmente. La seguo solo perché ho bisogno di crediti ed è abbastanza semplice. E poi potrei definirmi imbattibile sull’argomento, ormai.
Finalmente sembra che gli autografi siano finiti e tutti cominciano lentamente a prendere posto, mentre il professore tira fuori un portatile dalla sua anonima borsa in pelle con un sospiro. La fama lo strema, poveretto.
Quando finisce di collegare tutti i cavi del portatile si volta verso di noi e passa in rassegna con lo sguardo tutta la classe. È incredibile il silenzio che regna in questo momento, sembra che sta per dire una messa funebre invece di una lezione di storia.
- Solitamente mi presento ai miei alunni, ma in questo caso non mi sembra che ci sia bisogno, perciò andrò subito al prossimo punto in programma – esordisce con un sorriso nervoso.
Come inizio, devo dire che è promettente. Comincia a venirmi il dubbio che insegneremo più noi a lui che il contrario. Linda infatti è così interessata a ciò che sta dicendo il bamboccio lì in fondo che si analizza le punte dei capelli alla ricerca di imperfezioni.
Mentre il professore si impegna a farci capire quanto sia onorato di fare lezione nella nostra università, quanto cercherà di essere un buon professore (avevo ragione, non ha un briciolo di esperienza come insegnante) e sviolinate di questo genere, io e Linda ci mettiamo ad organizzare il prossimo sabato, giorno che per legge naturale si trascorre con le amiche. Decidiamo per cinema, l’attore più affascinante possibile, cena fuori, thailandese probabilmente, e qualche locale tranquillo dove finire la serata in bellezza, certe che anche Paola e Cristina saranno d’accordo. Paola ama il thailandese e Cristina vive per i locali.
Mi volto di nuovo verso la cattedra e mi accorgo che il bamboccio inesperto ha cominciato la sua lezione e sta mostrando alla classe una serie di diapositive che raffigurano simboli.
- Questo è il simbolo che veniva usato a quell’epoca per indicare i ritrovi segreti. Poteva significare allo stesso modo una casa, una stalla, una zona di campagna… qualsiasi cosa, secondo come era stato deciso nella precedente riunione – dice ora il bamboccio. Sembra più sicuro di sé ora. Peccato che la sua aria professionale non dia più credito alle sue assurdità. Quel simbolo non indicava il luogo del ritrovo e non indicava niente di quello che lui aveva elencato. Quello era il segno del “grande capo”, il simbolo che indicava la presenza del profeta alla riunione. Ne ero più che certa, mio padre aveva raccolto informazioni sui simboli del periodo per il suo libro e mi aveva lasciato tutti i suoi appunti in merito.
Non solo il mio professore era un novellino con l’aria da poppante spaventato ma era anche un incompetente in materia. Fantastico. E io che speravo di imparare qualcosa di importante dalle sue lezioni, di poter decifrare quello che non sono riuscita a capire da sola degli appunti di mio padre.
Intanto il bamboccio continua a spiegare le sue bugie sull’origine del simbolo Vega, il segno del profeta, e io cerco di concentrarmi su qualcosa, qualsiasi cosa, pur di non ascoltare. La tentazione di correggerlo è già abbastanza forte, se ascolto qualche altra fesseria non sarò in grado di frenarmi e mi esporrò troppo. Come dico sempre, meglio non sapere. In questo caso né i miei compagni né il bamboccio devono sapere il mio interesse per questo argomento o la mia preparazione. Troppi sospetti, troppe domande seguirebbero e allora sì che sarei nei guai.
- Ma questo simbolo aveva anche un altro significato, uno più nascosto che pochissimi eletti conoscevano – continua il professore incompetente. Ecco, forse ora dirà il vero significato. Non è vero che lo conoscevano solo pochi eletti, ma almeno una cosa giusta l’avrà detta.
- Questo era anche il simbolo della luna, ovvero della donna, Tula.
Ok, questo è davvero troppo. La donna? La donna? Ma dove si è laureato, al collegio per deficienze mentali?
- Ne è proprio sicuro? Molti altri esperti la pensano molto diversamente su questo simbolo – sbotto io prima di rendermi conto di aver parlato.
Nell’aula cala un silenzio tombale, persino il vento fuori sembra zittirsi in quel preciso istante. Maledizione. E ora?
- Ne sono a conoscenza, signorina. Ma la teoria e la realtà non sempre coincidono.
E lo vuole insegnare lui a me? Potrei scriverci un libro su questa frase, mio caro Gagliani.
- Le teorie, quando sono valide, derivano dall’analisi della realtà, dunque coincidono quasi sempre.
Cosa che tra l’altro un professore dovrebbe sapere già.
- Mi sembra giusto. Ma si renderà conto anche lei che sono passati un po’ di anni e la realtà è un tantino cambiata da allora…
Ora fa anche il sarcastico? Ma tu guarda…
- Non mi sembra convinta però. Le faccio notare una cosa allora. Mi dica, qual è l’idea dei suoi teorici?
Non rispondo subito. Non so se sia proprio il caso di fare sfoggio delle mie conoscenze. Ma ormai il danno è fatto e poi Linda mi guarda con un gran sorriso di incoraggiamento, anche lei ha capito che questo qui non sa un accidente della materia.
- Il simbolo Vega era il segno del profeta, colui che avrebbe letto la Parola, non del luogo in sé. Per questa ragione il simbolo non corrisponde a Tula, la luna, che era il segno della donna. Le donne non erano ammesse tra i profeti, come ancora oggi, e non sempre erano ammesse ai riti – spiego senza alzare molto la voce.
Mi sento terribilmente a disagio ora, mi stanno fissando tutti. Peggio, mi sta fissando il professorino con un aria leggermente divertita, come se fossi io la pazza che insiste nel dire assurdità e la cosa mi innervosisce non poco.
- Lei signorina è molto informata in proposito, i miei complimenti. Ma è evidente che la sua è una conoscenza da manuale, un sapere preso dai libri.
Io non rispondo di nuovo. Non perché non so che dire, ma perché tutto quello che potrei ribattere sarebbe offensivo nei confronti di questo cialtrone con l’aria da minorenne.
Lui sorride più apertamente intanto e si allontana lentamente dalla cattedra per salire qualche gradino dell’aula. Arriva fino al secondo banco, al quale si appoggia con una mano mentre il silenzio quasi surreale persiste.
Nessuno accenna un qualsiasi movimento, tutti sono concentratissimi sul dibattito per non perdersi nemmeno una battuta e io comincio a sentirmi come un personaggio del Far West, un pistolero durante un duello, in quel breve momento in cui i due avversari si studiano prima di estrarre le pistole. Che situazione imbarazzante.
- Da cosa riconosce esattamente il simbolo Vega, signorina? Anzi, più esattamente, da cosa lo distingue da Tula?
Io lo fisso per qualche momento perplessa. La risposta è talmente semplice che la domanda in sé è assolutamente senza senso. Tutti però aspettano la mia mossa, quindi rispondo, aspettando di capire dove vuole arrivare Gagliani.
- Vega somiglia ad una zeta, Tula a due clessidre stilizzate unite al centro.
Lui sorride ancora di più, gli angoli della bocca sfiorano quasi le orecchie ormai, e io mi sento ancora più a disagio. C’è qualcosa che mi spaventa un po’ in quello sguardo.
All’improvviso il professore si gira e torna alla cattedra, la supera e arriva alla lavagna. Mentre lo fisso ancora più confusa, lui disegna il simbolo Vega da una parte, abbastanza grande perché lo vedano tutti e poco distante disegna il simbolo Tula.
- Qualcuno di voi vede qualche somiglianza? – domanda poi a tutta la classe. Ovviamente nessuno risponde, anche perché ancora una volta la domanda non ha senso. È più che evidente che i due simboli non hanno niente in comune. Gagliani però non smette di sorridere mentre fa scorrere lo sguardo su tutti i presenti.
- Ora vi insegnerò qualcosa che sui libri non potete imparare. Guardate attentamente il segno Vega. Lo vedete tutti bene? Perfetto. Ora osservate con attenzione il simbolo della luna. Siete tutti certi che non ci sia relazione tra i due?
Nessuno risponde ma tutti allungano il collo verso la lavagna, alla ricerca di qualcosa di nascosto. Io scuoto la testa, questi giochini mi danno un fastidio tremendo. Perché non va dritto al punto?
- Bene, dato che siete tutti assolutamente convinti che siano due cose così diverse…
Lascia la frase in sospeso mentre cancella i due disegni alla lavagna e riproduce nuovamente il segno Vega al centro, grande come prima per permettere a tutti di vedere bene. Io mi sento nervosa, sulle spine, e non capisco il perché, il che mi infastidisce.
È come se qualcosa sia scattato nel mio cervello, come se avessi captato un’ombra che però non riesco a vedere nitidamente. Istintivamente anche io comincio a sporgermi verso la lavagna, fissando intensamente il disegno alla ricerca di un legame che però non riesco a vedere.
- Ora, tutti voi potete ben vedere che questo è Vega, la “zeta” a cui accennava prima la signorina. Ma provate a chiedervi… cosa diventerebbe se noi unissimo questi due lati? E poi questi altri due?
E mentre domanda unisce uno alla volta gli estremi del disegno, tracciando quasi un secondo segno Vega in orizzontale sovrapposto a quello precedente… improvvisamente sotto i nostri occhi non c’è più Vega, simbolo del profeta, ma Tula, la donna, la luna.
Guardo l’aria sorniona del professore che sorride nella mia direzione e per poco non gli scoppio a ridere in faccia. E questo sarebbe il grande mistero? Questa è la meravigliosa intuizione che non potevamo imparare dai libri?
A me l’unica cosa che sembra dimostrare questo giochino è che l’università ha appena buttato i soldi degli studenti in un altro stipendio inutile.
Stranamente però tutti gli altri hanno un’espressione stupita, come se mai in vita loro sarebbero arrivati a quella conclusione, e lui si crogiola dentro quegli sguardi ammirati mentre torna di nuovo verso i banchi. Sale ancora lentamente i gradini, questa volta fino ad arrivare due banchi prima del mio.
- Allora signorina, chi ha ragione ora, io o i suoi teorici? – domanda sorridente.
- I simboli dell’epoca sono tutti semplici, disegnati da persone ignoranti. Tranne qualche eccezione, tutti i simboli precristiani sono formati da un insieme di linee rette, dunque, è possibile creare partendo da un unico simbolo tutti gli altri con il suo metodo. Non significa niente, professore.
Un po’ mi dispiace per lui, è il suo primo giorno di lavoro e già gli ho fatto fare una figuraccia ma in fondo se l’è meritata. Incrocio le gambe e mi sforzo di non distogliere lo sguardo dal suo. Mi sono appena suicidata in storia antica, ma non importa. Se devo seguire le lezioni è per imparare, non per insegnare al professore il suo mestiere.
Eppure deve essermi sfuggito qualcosa perché lui continua a sorridere, anzi, sembra un sorriso ancora più convinto. L’intera classe ha lo sguardo rivolto a noi, in attesa del prossimo contrattacco e io mi sento di nuovo tremendamente a disagio.
- Ne è davvero sicura?- domanda lui, sfavillante. Io non rispondo, mi limito a fissarlo perplessa. Certo che ne sono sicura, lo sono tutti in quest’aula.
- Mi dica una cosa signorina – continua lui senza distogliere lo sguardo. Hanno un potere magnetico i suoi occhi, non c’è che dire. È difficile resistere all’incanto della pacata intelligenza che sembra riempire le iridi castane.
- Sono certo che lei ha studiato ogni dettaglio degli autorevoli teorici, comprese le biografie. E sono certo quindi che sa dirmi con esattezza il loro anno di nascita, o meglio, il periodo storico.
Io rispondo lentamente, senza capire cosa centri ora questa domanda.
- Quasi tutti i maggiori teorici appartengono al ‘700, qualcuno all’ ‘800. Solo due di loro risalgono alla seconda metà del ‘600 ma sono più dei precursori che dei teorici veri e propri. E allora? – domando con voce controllata, come se non mi importasse più di tanto.
Invece sono curiosa, devo ammetterlo, ormai il discorso mi ha coinvolta totalmente e voglio sapere cosa ribatterà. È come essere in un dibattito politico, anche quando il discorso è poco interessante, ti ritrovi ad accalorarti sempre più per difendere il tuo punto di vista.
- Una cronologia perfetta, davvero. E mi dica, ha letto da qualche parte di come sono giunti alle loro conclusioni?
- Più o meno come tutti gli altri studiosi immagino, studiando, osservando…- rispondo, accavallando le gambe. Le sue chiacchiere inutili non le sopporto davvero più. Il tutto poi per non ammettere di aver sbagliato! Tipico errore maschile…
- E’ qui che si sbaglia signorina – ribatte lui in quel tono tranquillo e allegro che comincio già ad odiare profondamente.
- E’ andata benissimo fino a quando ha parlato di osservazione. Se ci pensa, se ci pensate tutti a dire il vero, viene logico credere che queste persone abbiano osservato, visto con i loro occhi le prove di quello che asseriscono. Invece vi posso assicurare che nessuno di questi insigni autori e maestri si è mai mosso dalle sue poltrone comode nelle varie parti del mondo.
Nessuno parla, nemmeno io. A questo punto, è al limite della farneticazione secondo me. Anche se quello che dice è vero, e io non lo credo affatto, non ha nessuna importanza. Se questi nomi sono entrati nella storia, ci sarà un qualche motivo.
- Vi ricordo che stiamo parlando del settecento, al massimo il primo ottocento, nessuno allora intraprendeva viaggi scomodi e lunghi anche diversi mesi solo per guardare da vicino dei segni sulla roccia. Gli esploratori partivano e si stabilivano nelle varie zone del mondo, osservavano, studiavano, poi annotavano tutto su piccoli taccuini su cui disegnavano anche schizzi e schemi e spedivano il tutto alle università “civili” dove ricchi professori pubblicavano le loro idee.
- Questo vuol dire quindi che le loro teorie derivano comunque da dati certi, osservati sul luogo – interviene un'altra voce, un ragazzo in fondo all’aula dal lato opposto al mio. Grazie al cielo, ora il professore non discute più con me soltanto, ma ha cominciato una lezione vera e propria a tutta la classe.
- In un certo senso. Gli esploratori non erano artisti nati, non tutti per lo meno, perciò spesso il disegno che facevano era approssimativo, in qualche caso appena un abbozzo e i teorici si basavano quindi su pochi frammenti dell’immagine originale.
Gagliani si ferma per riprendere fiato e intanto passa ancora una volta in rassegna con lo sguardo tutta l’aula, per essere certo che tutti stiano seguendo. Comincio a credere di essermi sbagliata sul suo conto. È probabilmente un cacciaballe, un teorico con idee strambe fuori dalla dottrina comune, ma non è alle sue prime armi con l’insegnamento.
Per quanto sembra strano a giudicare dall’aspetto giovanissimo, è ovvio che ha già tenuto altre lezioni, sa bene come tenere vivo l’interesse ed è riuscito con molta maestria a trasformare una discussione in una lezione interessante. Forse non tutto è perduto, se sugli altri argomenti è più preparato di questo.
- E dovete anche tener conto di un altro particolare. Due, trecento anni fa non si avevano mezzi di ricerca molto avanzati. Tutti gli strumenti necessari ad un esploratore erano una lampada, un taccuino, una matita, un pennello e un sacco di coraggio e buona fortuna. Tutto quello che quegli uomini potevano fare una volta trovato un reperto era togliere la polvere in eccesso, studiare forme e colori. Nulla di più. Oggi invece con i mezzi moderni possiamo scannerizzare una frazione della roccia, analizzare la sua composizione chimica, capire con che strumento è stata fatta l’incisione, in che anno precisamente, se appartiene a quel determinato luogo o vi è arrivata in un secondo momento… capite?
Tutti annuiscono, decisamente convinti. Devo ammettere che queste sono davvero obiezioni convincenti, reali e concrete. Può davvero essere possibile che gli appunti di mio padre siano sbagliati? In fondo lui non era un esploratore, come me ha imparato tutto quello che sapeva leggendo libri nel tempo libero, senza nemmeno un professore.
- Ora è più convinta della mia professionalità, signorina? – mi domanda intanto Gagliani, strappandomi ai miei pensieri.
Io sobbalzo leggermente, non mi ero accorta che si era avvicinato tanto. Ora è appoggiato con la mano al mio banco e mi squadra dall’alto sempre con quel sorriso smagliante. Ora però è un sorriso più naturale, meno sornione di quello che esibiva durante la spiegazione.
In fondo, questo ragazzino mi sta simpatico. Sa il fatto suo, devo ammetterlo. Potrebbero essere lezioni davvero interessanti da oggi.
Annuisco con un piccolo sorriso.
- Non ho mai dubitato della sua professionalità professore. Ogni argomento ha diverse interpretazioni, ho semplicemente dedotto che lei la pensa diversamente da me.
- Lei ha ragione sulle interpretazioni, signorina, e voglio chiarire che il mio intervento non era rivolto a minare la credibilità dei suoi autori.
- Eppure devo ammettere che ci è riuscito piuttosto bene – replico prima di rendermene conto. Di nuovo. Accidenti, devo davvero smetterla di parlare così istintivamente, ora nascerà un’altra discussione interminabile…
- In questo caso chiedo scusa, non era mia intenzione. Volevo solo mettere in chiaro che non dovete prendere tutto per oro colato, perché il sapere cambia, si evolve. Seguite questo corso per imparare ciò che hanno detto ma anche per imparare a superare le credenze, ad affermare nuove teorie più esatte.
Io annuisco e sorrido, senza parlare prima di dire qualcos’altro di pericoloso. È stata una bella lezione ma se ne comincia un’altra non torneremo più a casa oggi.
- E visto che abbiamo chiarito l’equivoco, cosa ne pensa di venire a cena con me questa sera? È stata una discussione incredibilmente stimolante e mi piacerebbe poter approfondire il discorso. Potrebbe addirittura aiutarmi a programmare le mie lezioni – continua lui, sempre con quel sorriso.
Io lo fisso senza parole. Il mio professore, quello che ho offeso e messo in difficoltà davanti a tutta la classe mi ha appena invitata a cena. Davanti a tutta la classe. O mio Dio. O. Mio. Dio.
Mi accorgo che tutti intorno a noi ci fissano a bocca aperta, qualcuno sorridendo un po’, qualcun altro scuotendo la testa disgustato da questa dimostrazione più che clamorosa di preferenze. Gagliani deve essere totalmente impazzito.
Continuo a restare in silenzio, con gli occhi spalancati, senza sapere cosa dire. Sono davvero scioccata, oltre l’immaginabile. Sento che Linda accanto a me continua a tirarmi calci alla gamba per farmi riprendere mentre annuisce piano, quasi impercettibilmente.
- Questa sera ha detto? Ne è davvero sicuro? Non credo che sia il caso… - comincio io, un po’ balbettando. Spiazzata, ecco l’aggettivo giusto per descrivermi in questo momento. Completamente spiazzata.
- Sì, forse ha ragione, questa sera no. Domani sera va meglio?
Io non so davvero cosa dire, scrollo solo le spalle, ancora incredula. Lui non capisce il mio gesto di confusione e lo interpreta male.
- Va bene allora, ci vediamo domani sera qui davanti, le farò assaggiare i migliori gamberi di tutta la città. Diciamo verso le otto e mezzo. A domani.
Io sono troppo allibita per replicare. Lui mi fa un altro sorrisone, poi si volta verso tutti gli altri e ricorda che la prossima lezione si terrà tra due giorni e assegna una ricerca sui Sumeri, quindi sparisce.
Non appena l’ultimo angolino della sua borsa è scomparso dietro la porta nell’aula si alza un chiacchiericcio sempre crescente, una specie di onda che cresce fino a proporzioni gigantesche. E la cosa peggiore è che so che nessuno sta parlando della lezione, i commenti ormai sono tutti per il mio appuntamento improvvisato.
Con la voglia matta di scomparire, fondermi con la sedia e non staccarmene fino alla fine di questa giornata assurda, mi volto verso Linda, senza parlare.
Lei sta sorridendo apertamente, probabilmente già pensa al riassunto corretto e rivisto della lezione da raccontare agli amici e a tutti quelli che vorranno ascoltare. E anche a qualcuno a cui non importerà assolutamente nulla ma che avrà la sfortuna di capitare vicino a lei nel momento sbagliato.
- Wow. Colazione da un ricco principe azzurro e cena da una star internazionale. Senza offesa, ma ti sto invidiando più di J. Lo tesoro – dice lei senza smettere di sorridere.
Le lancio un’occhiataccia. Non è davvero il momento del suo spirito. Intorno a me intanto comincia a raccogliersi gente, troppa gente, dall’aria minacciosa. Non so perché ma ho come l’impressione che stiano decidendo se linciarmi o inneggiare a me. E sembra che stia vincendo il linciaggio.
- Bene, dato che la tua capacità di linguaggio è andata persa per le prossime ore, propongo di scomparire da quest’aula prima che comincino a piovere le domande. Credo che alla prima risposta mancata sarai il prossimo reperto da archiviare per il nostro bel professore – continua Linda vedendo che non le rispondo. Io mi lascio guidare, approvando in pieno il piano e pregando di poter raggiungere l’uscita prima di soffocare.
Raggiungiamo di corsa il bagno e ci chiudiamo dentro.
- Quel cretino mi ha invitato a cena! – esclamo sedendomi sul water. Finalmente il mio cervello comincia ad elaborare il fatto e a considerare le conseguenze. Le disastrose conseguenze.
- Pare proprio di sì. Se non ne sei sicura, puoi chiedere alle trecento persone presenti in aula in quel momento… - scherza Linda. Alzo gli occhi al cielo.
- Ok, non è momento di scherzare. Ma in fondo non è niente di grave. Quattro chiacchiere, due bicchieri di vino, sei ore nella sua macchina e poi non ti rivolgerà più la parola. Se gli vai proprio a genio, ti concederà una notte nel suo appartamento di lusso e farà finta di non conoscerti la mattina dopo.
Io la guardo con gli occhi spalancati, praticamente in preda al panico.
- Se vuoi puoi saltare le ore in macchina o nell’appartamento ma il risultato non cambierà affatto credimi. Tra qualche giorno sarà tutto normale, lui non ci penserà più e tu tornerai a studiare come un mulo.
Sì, Linda aveva ragione forse, lui non avrebbe più pensato a me dalla mattina dopo la cena. Ma non era questo il punto. Quello che mi preoccupava davvero era che anche se si fosse trattato solo di una cena, tutte le persone presenti nell’aula questa mattina ricorderanno questa storia dell’appuntamento per sempre e mi terranno d’occhio fino a dopo la laurea.
- Se sei preoccupata che gli altri pensino chissà che, spargerò la voce che la serata è stata un fiasco e che lui ti odia. Nessuno metterà in dubbio la validità del tuo esame, sta tranquilla – mi rassicura Linda e io chiudo gli occhi.
Non mi importa se credono che sia la favorita del professore o che sia raccomandata. Quello che mi preoccupa è che ora tutti mi conosceranno e la fama porta sempre brutte sorprese per chi ha un segreto da nascondere. E io ne ho a bizzeffe. E pensare che mi ero impegnata così tanto per restare nell’anonimato più totale! Avevo persino sbagliato qualche esame per non aver una media troppo alta, niente che potesse attirare l’attenzione generale e ora quell’idiota mi invita a cena davanti a tutti.
Ok, è inutile pensarci ormai e soprattutto dannarsi l’anima. In fondo Linda ha perfettamente ragione, questa pagliacciata è solo il capriccio di una sera e poi tutto tornerà normale. O comunque io mi impegnerò perché torni normale.
Gli farò credere di essere fidanzata da cinque anni o malata terminale o una noiosa secchiona sfigata, lui perderà interesse, in classe se ne accorgeranno tutti e tra un mese nessuno si ricorderà di me. Al massimo inscenerò la mia morte e mi auto inserirò nel programma protezione testimoni. Niente che non si possa gestire con la massima calma.
Mi sciacquo la faccia per riprendere il controllo e faccio segno a Linda di darcela a gambe prima che qualcuno decida di venirmi a cercare anche qui per conoscere chissà quale inesistente dettaglio piccante sulla faccenda dell’invito a cena.
Non so come, ma riusciamo a raggiungere l’entrata posteriore dell’edificio e a ritornare incolumi fino alla macchina. Più che entrare in macchina, io mi ci tuffo dentro e chiudo immediatamente la sicura dello sportello, imitata da Linda.
- Erano anni che non seguivo una lezione così eccitante! – esclama lei entusiasta, non appena di è accomodata sul sedile.
Io mi limito a incenerirla con lo sguardo. Cosa ci sarebbe di tanto eccitante in un matto sconsiderato che fa il cretino con le allieve?
- Comunque ce l’ho a morte con te. Perché queste cose a me non succedono mai? – domanda con il broncio ma con gli occhi fin troppo ridenti. Almeno se si fosse offesa sul serio sarebbe rimasta in silenzio per tutto il viaggio.
- A dire il vero, anche io non ci sono proprio abituata, nel caso l’hai dimenticato. E in più, al tuo contrario, avrei preferito che le cose restassero così – replico io acida, mettendo in moto. Non vedo l’ora di chiudermi in casa e ascoltare un po’ di musica rilassante. Una doccia calda non ci starebbe male.
- Sai di essere noiosa vero? Credo di avertelo già detto – risponde Linda seria, aggiustandosi i capelli nello specchietto retrovisore.
Non rispondo e mi concentro sulla strada. Mi trattengo a stento dall’accelerare a tutto gas o strombazzare il clacson per far svegliare tutte le principesse addormentate nelle macchine avanti a me. Possibile che sia così difficile capire la differenza tra freno e acceleratore?
- Cosa ti metterai? Abitino sexy o finto casual? Il classico però potrebbe interessare ad un uomo come lui… - continua la mia amica radiolina accanto a me. A giudicare dalla sua faccia felice sembra che debba andarci lei a cena al posto mio!
- Metterò un pantalone e una maglia. A collo lungo. Grigio topo o qualche colore altrettanto deprimente. Fine dei progetti – taglio corto io. Se comincia a programmare la serata è finita, non smetterà mai più.
- Te lo proibisco. Divieto categorico. Riesci a combinare un appuntamento all’anno, non puoi permetterti il lusso di mandarlo pure a monte, chiaro? – replica lei. Seriamente. Alla fine credo che sia questa la cosa che mi spaventa di più dei suoi discorsi sull’argomento, il fatto che sia seria mentre parla. Crede davvero nelle fesserie che dice in questi momenti.
- E non ti dice niente il fatto che non ne combini mai più di uno all’anno? – rispondo, imprecando contro il pirata che si è appena immesso sulla mia corsia senza rispettare lo stop. Ultimamente credono di stare tutti a Maranello da queste parti.
- Sì. Mi dice che sei spaventosamente acida e asociale e che se non ci penso io a te, finirai come quelle vecchie zitelle odiose che abitano sole in appartamenti pieni di gatti pulciosi.
Sapevo che l’avrebbe detto. Ormai sta perfezionando questa battuta quasi quanto mia madre. Per questo non mi spreco a rispondere, so che sarebbe fiato sprecato, ma l’idea che la mia migliore amica possa somigliare anche solo lontanamente a mia madre in questo campo mi terrorizza più della minaccia delle armi nucleari in Oriente.
Grazie al cielo la lumaca e il pilota di formula uno cambiano corsia per poter girare più avanti e posso accelerare almeno un po’. Casa mia mi sembra sempre più un oasi nel deserto.
- Per favore, te lo chiedo da amica. Sii gentile con quel poverino stasera, simpatica e accomodante. Parla di tutto tranne che di università, sorridi spesso e sforzati di assecondare i suoi istinti maschili, chissà che tu non ricordi dove hai lasciato i tuoi di istinti. Ok?
- Siamo arrivate Linda. E non provare a chiamarmi, tanto stacco il telefono – la saluto sorridente, parcheggiando sotto casa sua. Con un leggero sospiro di sollievo, lo ammetto.
- Ma tu non sai vestirti per queste occasioni! – esclama lei con espressione spaventata.
- Copierò la copertina di Playboy, dovrei averne ancora un numero da qualche parte – le rispondo sarcastica rimettendo in moto. A volte mi viene da chiedermi se Linda non sia la figlia naturale di mia madre.
Guido un po’ più lentamente fino a casa mia, cercando di godermi il breve tragitto. Mi è sempre piaciuto da morire guidare, ha un non so che di estremamente rilassante. O comunque lo aveva finchè la benzina costava meno di un solitario, a dire il vero.
Salgo le scale fino al mio piano, l’ascensore è troppo lento per il mio stato d’animo attuale, ma solo quando sono arrivata sul mio pianerottolo capisco quanto sia stata una cattiva idea. Almeno in ascensore avrei potuto far richiudere la porta e fingere che si era bloccato, fuggire uscendo dal garage… ora sono costretta ad affrontare il mio destino.
- Ciao mamma. Ciao Alex – li saluto non proprio raggiante. Vederli insieme mi mette un po’ d’ansia ad essere sincera, di inquietudine e vederli davanti alla mia porta mi mette un’irritazione spaventosa. La giornata non prevede niente di buono. Comunque vista la colazione di questa mattina, unico elemento positivo della giornata finora, non posso cacciare entrambi.
- Ciao tesoro, finalmente ti sei decisa ad arrivare. Io e il povero Alex aspettiamo qui da quasi mezz’ora. Com’è stata la lezione? – domanda mia madre e io alzo gli occhi al cielo sorridendo.
- Diciamo che non vedevo l’ora di arrivare a casa. Per rilassarmi – aggiungo, sperando che almeno uno dei due capisca l’antifona. Ovviamente è una speranza vana, perché non appena apro la porta entrano tutti e due. Ancora non riesco a capire cosa ci facciano insieme e soprattutto davanti alla mia porta.
- Prego Alex, accomodati in cucina – dice mia madre. Io mi volto e le lancio un’occhiataccia. Da quando è diventata il mio maggiordomo?
Lei intanto si limita a far svolazzare la mano con un sorriso e io sospiro. Avrei fatto meglio a rimanere in macchina mi sa. Ormai comunque è troppo tardi, meglio assecondarli e spedirli fuori di qui entrambi il prima possibile.
- Allora Alex, perché aspettavi davanti alla mia porta? Ancora problemi con le chiavi? – domando cercando di sembrare cordiale. Purtroppo non sembrano aver voglia di andarsene tanto presto.
- No. Ma si tratta comunque di un favore quindi… cerca di essere buona e gentile con me. Credi di potercela fare?
- Dipende – rispondo, sospettosa. Mia madre è dietro di me ma so che sta ridendo. Anzi, peggio, sta sorridendo. E quando mia madre sorride, signori e signore, è il momento di uscire l’artiglieria pesante perché sta tramando qualcosa. Qualcosa al cui confronto l’attacco dell’11 settembre sembra uno scherzo di halloween.
- Non è niente di grave, in realtà, appena un piccolo favore ad un povero straniero sperduto in questa grande città… nonché a tua madre ovviamente. In realtà quindi è un doppio favore, nel senso che con una buona azione farai contente ben due persone – risponde lui.
Io lo fisso con gli occhi stretti, cercando di capire dove sta l’imbroglio. Ha girato troppo intorno alla cosa e sottolineato un po’ troppo il concetto del far felici ben due persone. Inoltre sta di nuovo sorridendo come un’idiota, quel sorriso ebete che sfoggiava alla festa di zia Adelaide la prima volta che ci siamo visti.
- Mamma, in che modo esattamente tu potresti essere collegata a lui? – domando girandomi verso di lei. Come prevedevo ha quel sorriso gentile che è peggio di un’ammissione di colpa scritta e controfirmata dal papa. Infatti, probabilmente le servirà una grazia divina per sopravvivere alla mia vendetta questa volta.
- Di che si tratta? – taglio corto. Meglio togliersi subito il dente e prepararsi alla battaglia.
- Te l’ho detto, solo una piccola…
- Di che si tratta? – ripeto. Mi sta venendo il mal di testa. Ma non so se è colpa dei miei nervi fin troppo tesi o del panico che mi suscitano le idee di mia madre. Alex intanto sorride imbarazzato e colpevole mentre mia madre è soddisfatta, quasi trionfante.
- Ero venuto per chiederti una mano. Ho deciso di aprire un piccolo negozio, una specie di tavola calda e volevo sapere se conoscevi un modo per farlo sapere in città… poi ho incontrato tua madre e mi ha detto che tra qualche giorno ci sarà una serata di gala, al quale parteciperà tutto il paese e allora… – il poveretto sta quasi sudando e io comincio ad avere pena per lui. Comincio a credere che lui non sia d’accordo quanto me su questa brillante idea di mia madre ma è chiaro che non deve aver avuto molta scelta.
- Così mia madre ha suggerito che potrei accompagnarti durante la serata e presentarti qualcuno di interessante per la tua tavola calda, giusto? – concludo io, sentendo uno strano sapore amaro in gola. Credo che sia il sapore della sconfitta. Sono settimane che mia madre fa di tutto per costringermi a partecipare a questa pagliacciata e ora sono costretta ad accettare. Maledizione.
- Be’ sì, in effetti… ma sarei contento anche io se tu decidessi di accompagnarmi. Comunque non sei obbligata, era solo un’idea così, sul momento… - continua lui. Quasi balbetta e continua ad esibire il suo sorriso idiota.
Io sospiro mentre lancio un’altra occhiataccia a mia madre che mi fa quel sorrisetto soddisfatto.
Cosa posso fare? Odio le feste piene di gente falsa e chiassosa e odio ballare. In più, non è bastato un cornetto favoloso a farmi diventare improvvisamente simpatico Alex. Lo sopporto un po’ più di prima ma passare tutta una serata con lui…
D’altra parte mi fa davvero pena in questo momento, seduto nella mia cucina ad implorarmi, per non parlare del tormento che mi darà mia madre se rifiuto… e poi comincio ad avere davvero paura, ora so che è disposta davvero a tutto pur di portarmi a quella dannata festa. Chi altro sacrificherà pur di ottenere i suoi scopi?
Quasi senza rendermene conto annuisco lentamente, già sapendo che è un errore madornale ma pensando che forse una serata di svago mi servirà. Sto lavorando troppo ultimamente e una festa odiosa è sempre meglio che starsene chiusi in casa.
E poi, anche se questo pensiero striscia lentamente appena in superficie, un po’ devo ammettere che non mi dispiacerà poi così tanto dimostrare al mio affascinante vicino che anche io so essere affascinante se mi ci metto. Finora ho dato solo il peggio di me in sua compagnia e voglio rimediare. Chissà che non mi meriti un altro cornetto come stamattina…
- Meraviglioso. Allora, la festa sarà tra una settimana ed è una cerimonia formale, quindi serve un abito da sera per entrare. Vi farò avere i biglietti. Pensate, non dovete nemmeno darvi appuntamento, abitate nello stesso palazzo! – esclama mia madre. Più che parlare, si direbbe che sta cinguettando, sembra una chioccia tutta contenta.
Prima che abbia il tempo di inventare qualche urgentissima commissione per liberarmi di entrambi ora che ho fatto il mio sacrificio, mia madre è già ai fornelli che prepara un caffè ad Alex che mi guarda e sorride, a metà fra il colpevole e il divertito. In questo momento non so chi odio di più.
Probabilmente lui. Mia madre è un osso duro quando decide qualcosa ma è sempre mia madre e le voglio comunque bene. E poi lui è un uomo, dovrebbe farsi rispettare, accidenti! Grazie a lui, mia madre mi ha incastrata.
Per mia fortuna non appena finito di bere il caffè Alex si alza e saluta me e la mamma, dicendo di avere non so cosa da finire per il suo nuovo locale. Io sorrido appena, il mal di testa è lancinante ora e aspetto che la porta si sia chiusa dietro di lui prima di cominciare a fissare mia madre.
- Cos’hai da guardare tanto? È una splendida idea, è perfetto. Almeno uscirai un po’ dalla tua solitudine. E poi Alex è un ragazzo delizioso – si giustifica lei senza che io abbia anche solo aperto bocca. Sono diventata proprio prevedibile, sembra che tutti mi leggano nel pensiero.
- Una splendida idea? Non so ballare, non ho un abito da sera, non sopporto i tacchi e i manichini in smoking. Non sopporto le conversazioni insulse di queste cerimonie né le moine che sfoggiano tutti. E poi non ti è venuto in mente che potrei avere degli impegni?
- Ma sì, certo. Con te stessa magari. O forse con te stessa… sono certa che potrai rimandare. Te stessa capirà tesoro – mi prende in giro mia madre con un sorriso.
Questo è davvero il massimo, mia madre che fa la sarcastica. Credo che stia imparando da me. È troppo brava come allieva, la cosa non mi piace affatto.
Alzo gli occhi al cielo, sembra che non faccio altro negli ultimi giorni, e impreco sottovoce. Accidenti. Come faccio ad arrabbiarmi con le se mi fa quello sguardo da cucciolo abbandonato? E la cosa peggiore è che lei sa che non posso arrabbiarmi e lo fa apposta. Sembra che si eserciti ad imitare Bambi davanti allo specchio quando non ha niente da fare.
- Va bene, tanto so che è inutile discutere con te. Ora piuttosto mi daresti una mano?
- Ti stai arrendendo troppo facilmente. Che c’è sotto? – domanda mia madre sospettosa. Io sorrido: uno a uno.
- Tanto per cominciare, ho un appuntamento stasera, quindi non ho tempo da perdere, ho un mucchio di cose da fare nella giornata – dico in tono casuale, godendomi appieno la faccia sorpresa di mia madre.
- Un appuntamento? Uno vero? E con chi? Una persona? Un maschio? – domanda lei quasi sotto shock e io rido. Potrei anche arrabbiarmi per questa sua incredulità, ma non importa, sono davvero in ritardo.
- E comunque già che parteciperò alla serata di gala, non avrò tempo per aiutarti con i fiori della giornata del tè – continuo sorridendo, evitando di rispondere di proposito. Ora è il mio turno di gongolare, lei è completamente dibattuta.
- E va bene. Ma spero che un giorno tu ti penta di aver tradito tua madre a questo modo. Mi costringi a passare tutto il pomeriggio con quell’odiosa ficcanaso di Felice – mi rimprovera lei fingendo di esserne offesa e io faccio finta di essere sul punto di piangere.
- Il tuo sarcasmo non ti porterà lontano signorina. E comunque se davvero hai tante cose da fare, cosa ne pensi se resto qui oggi e ti aiuto un po’? la tua casa sembra una stalla, non puoi sopravvivere in questo disordine.
Io non rispondo nemmeno, la mia casa è più che sufficientemente in ordine dal mio punto di vista ma lei non è capace di stare in una casa più di tre minuti senza sentire il malsano bisogno di pulire ogni centimetro quadrato. E comunque ammetto che la sua malata ossessione mi fa dannatamente comodo in questo momento, non ho proprio il tempo di mettermi a fare un po’ di grandi pulizie.
Dopo un pranzo veloce ma niente affatto leggero (come sempre quando cucina mia madre) quindi, lei si dedica a una meticolosa ecatombe di innocenti acari e io mi sistemo nella mia poltrona per dedicarmi al mio lavoro, ancora in sospeso. È il capitolo più lungo che mi sia trovata a copiare finora ma mi piace scrivere al mio portatile, mi rilassa e in una giornata come questa ho disperatamente bisogno di rilassarmi.
Quando salvo e chiudo il programma il sole è tramontato da un pezzo e mia madre ha abbandonato le pulizie per concedersi una tazza delle mie tisane alla rosa, che ha diligentemente preparato anche per me. mi avvicino e sorseggio un po’ del liquido caldo, cercando di muovere lentamente il collo e la schiena intorpiditi da tante ore seduta.
- Non manca molto alla fine di questa storia vero? – domanda mia madre all’improvviso senza guardarmi.
- No, ormai sono agli ultimi quadri. Se continuo a questo ritmo avrò finito entro dicembre e potrò davvero brindare a una nuova vita – la rassicuro. Per quanto mi riguarda invece, il pensiero della fine non mi rassicura affatto. Sono cos’ abituata a condurre questo genere di vita che non so se riuscirò ad abituarmi a una più normale.
- E cosa farai quando tutto sarà finito? – domanda ancora, guardandomi questa volta.
- Finirò gli studi e poi… forse cercherò di ottenere una cattedra da qualche parte, oppure cercherò un’associazione privata che ha bisogno di qualche storica o antropologa. Qualcosa tipo quei circoli che gestiscono la biblioteca o il museo o quelle cose per cui la gente ha bisogno di una guida…
Lei sembra pensarci un po’ su, continuando a bere la sua tisana.
- Non ti annoierai?
- Da morire. Ma finirò con l’abituarmi prima o poi. E magari trovo anche il tempo di cercare un marito meno fastidioso possibile.
Come prevedevo l’idea la fa sorridere compiaciuta, credo che organizzare il mio matrimonio sia lo scopo massimo di tutta la sua vita.
- Per questo venire alla serata della settimana prossima è un’ottima idea. Alex è davvero un bravo ragazzo.
Pensare a me ed Alex insieme mi fa quasi soffocare con l’ultimo sorso della mia tisana. Cosa ha fatto per meritarsi tutta questa stima?
- Non lo conosci affatto mamma. È affascinante e pieno di soldi ma questo non fa di lui un bravo ragazzo. Potrebbe essere scappato dall’America perché è un ladro o chissà cosa… o magari ha lasciato moglie e figli. O peggio ha dei figli illegittimi di cui non vuole interessarsi… - le faccio notare, ma lei sorride imperterrita.
- Conosco sua madre ed è una donna adorabile. E poi non ha solo i soldi tesoro, ha eleganza, educazione, istruzione…
Faccio per replicare ma alla fine rinuncio. È assolutamente convinta di quello che dice e non cambierà mai idea.
Venti minuti dopo ho deciso cosa mettere e mia madre mi aiuta con i capelli, che sono più ribelli del solito. Mentre mi trucco leggermente, lei mi trova gli orecchini e la collana di madreperla e me li allinea sul comò in camera, poi mi esce le scarpe. Vedendo la sua faccia disperata scoppio a ridere, non so trattenermi, ma lei si limita a lanciarmi un’occhiata sofferente e si siede sul letto.
Ha promesso a sua madre di convincermi ad innamorarmi dei tacchi alti prima o poi, ma fino ad ora ogni suo tentativo è stato vano. Innanzitutto non mi piacciono, mi fanno sentire tremendamente a disagio e poi non vanno affatto d’accordo con il mio… stile di vita, per così dire.
E poi l’odio è reciproco, visto che ogni rara volta che sono costretta ad indossarli mi distruggono i piedi. È come se si vendicassero del mio malanimo nei loro confronti.
Torno in camera e indosso i miei comodi stivaletti, rigorosamente senza tacco, mentre cerco di infilarmi gli orecchini. Intanto la mamma mi allaccia la collana e liscia la giacca che ho appoggiato sul letto.
- Bene, credo di essere pronta. Devo solo trovare le chiavi – dico, sperando che se ne vada prima di cominciare l’attacco dell’interrogatorio.
- Almeno vuoi dirmi con chi esci? – mi domanda osservandomi con sguardo malizioso.
Appunto. Come non detto.
- Non farti illusioni, è solo un professore. È nuovo e ha bisogno di aiuto per mettere a punto il programma – rispondo, mentre riempio la borsa con tutto il necessario.
- E lo farete davanti ad una cena? – domanda mia madre alzando un sopracciglio. Non la sto guardando, ma so che lo ha fatto dal tono della sua voce.
- Non ho detto che andiamo a cena. Ho detto che ho un appuntamento. In università.
Dal suo silenzio capisco che è indecisa tra il credermi e abbandonare le sue speranze o decidere che sto mentendo per nascondere un amante segreto.
- E visto che il mio appuntamento è tra meno di dieci minuti credo che sia il caso che cominci ad avviarmi. Non credi anche tu? – insisto, accompagnandola gentilmente verso la porta. In realtà non è vero, manca almeno mezz’ora, senza contare l’ovvio ritardo con cui arriverò, ma ho bisogno di qualche minuto di silenzio.
Fortunatamente il saluto dura meno del previsto e dopo qualche raccomandazione (invariata da quando ho compiuto tredici anni o giù di lì) vedo i capelli biondi perfettamente alla moda di mia madre sparire dietro le porte dell’ascensore.
Chiudo la porta e mi ci appoggio contro con la schiena, tirando un sospiro. Che razza di giornata. E pensare che era cominciata così bene, con quella splendida colazione!
Come avevo fatto a passare dal cornetto del “Benny’s” ad un appuntamento forzato col mio professore ad un altro appuntamento forzato con il mio coinquilino? Più che dalla padella alla brace, la mia situazione poteva definirsi dalla brace all’inceneritore.
Mi guardo di nuovo allo specchio dell’anticamera, sperando di aver scelto l’abbigliamento giusto. Semplice ma non trasandato. Troppo sofisticata avrebbe significato che considero la cena importante, trasandato che non me ne importa niente di niente. E visto che è il mio professore dovevo assolutamente trovare una via di mezzo.
Analizzo attentamente la camicia stile cinese, abbottonata fin sotto il mento, i pantaloni stretti semplicissimi, abbelliti solo dalla cinta, la giacca (alla quale tolgo via un fastidioso filo sporgente da uno dei bottoni)… si, credo che non avrei potuto fare di meglio.
Resto comunque qualche altro minuto lì davanti alla porta, cercando di immaginare la serata. Odio quando non posso programmare tutto, nei minimi dettagli e stasera non so nemmeno cosa faremo, dove andremo, di che parleremo. Accidenti.
Chiudo gli occhi e respiro profondamente, cercando di raggiungere lo stato di perfetta calma. Devo sembrare fredda e irraggiungibile, noiosa e…
Qualcuno suona alla porta. Maledizione. Accidenti l’ho già detto.
Stringo più forte gli occhi e sbatto delicatamente la testa all’indietro contro la porta, desiderando di poter urlare e spaventare il visitatore finchè non se ne sia andato.
Il campanello suona di nuovo. Un osso duro direi.
Rassegnata apro la porta, cercando di apparire più scocciata possibile.
Fuori alla porta, con quello stupido sorriso ebete, c’è il mio nuovo vicino, Alex. Di nuovo.
- Ti sei trasferito di sopra o sul mio pianerottolo? – domando, più scortese di quanto avrei voluto. Lui si limita a sorridere ancora di più.
- Ora sì che ti riconosco. Quella versione gentile di te mi ha mandato in confusione – ironizza e io faccio un sorriso sarcastico, trattenendo un gestaccio. Ora sono felice di essere stata scortese con lui.
- Allora? Qualche dubbio sulla serata di gala? – domando, visto che lui sembra essersi incantato a guardarmi.
- Be’ sì, cioè no… sì e no… non proprio…
Ecco un’altra cosa che odio. I balbuzienti. Lo sprono con un’occhiata eloquente.
- Ecco… ero venuto a chiederti se sei sicura che per te vada bene… voglio dire, forse prima non volevi dispiacere tua madre, ma davvero, non sei costretta. Se non ne hai voglia le dirò che ho scoperto di aver un impegno inderogabile proprio quella sera.
Io non rispondo e lui rimane a guardarmi, aspettando che mi decida. Io valuto l’offerta. In effetti, sarebbe perfetto, mi libererei di quell’inconveniente scomodo e mia madre non potrebbe darmi la colpa… però ammetto che mi fa un po’ tenerezza. Un uomo decisamente bello, ricco e gentile se ne sta impalato sulla mia porta perché vuole sapere se io, non lui, non mia madre, se io voglio andare a questa dannata serata.
E poi mi ha portato il cornetto di Benny’s…
- Non preoccuparti, ci vengo. Non dico volentieri perché sarebbe una bugia, odio queste feste formali, ma è una grande occasione per il tuo locale. A che servono i vicini?
Gli sorrido e sono felice di vedere che risponde al mio sorriso. È più che bello quando sorride così, è da mozzare il fiato. In smoking deve essere uno schianto…
- Grazie. Davvero – dice e c’è qualcosa di tremendamente… intimo, nel modo in cui lo dice. Un modo incredibilmente sincero e diretto che mi fa girare leggermente la testa e…
- Ora devo andare. Mi stanno aspettando – dico, un po’ troppo bruscamente. Non mi piace l’effetto che mi fa la sua vicinanza, mi sconvolge troppo. Anzi, non dovrebbe sconvolgermi nemmeno un po’. Specialmente stasera. Mi serve tutta la mia calma.
Lui annuisce indietreggiando di qualche passo.
- Alla settimana prossima allora. E se cambi idea sai dove trovarmi – mi saluta e poi comincia a salire le scale.
Io resto a guardarlo qualche secondo, poi sorrido scuotendo la testa. Che tipo strambo.
Mi decido a chiudere la porta, controllo di avere le chiavi e il cellulare in borsa e scendo per le scale, non ho il tempo di aspettare l’ascensore. Salgo in macchina e metto in moto. Mi sento stranamente nervosa e agitata e la cosa mi infastidisce parecchio. Come al solito la macchina avanti alla mia sembra guidata dal re delle lumache e devo trattenermi dall’uscire e andare a prendere a schiaffi chiunque sia al volante.
Mentre aspetto che il re lumaca capisca che il verde è un colore amico, cerco di capire per quale assurdo motivo sono stata invitata a cena dal mio nuovo professore. Ammetto che ho sbagliato nel criticarlo e mettermi in mostra e che forse me la sono andata a cercare ma un invito a cena non è decisamente il modo in cui avrebbe dovuto reagire Gagliani. O forse la sua idea era proprio quella di spiazzarmi? Be’ ci è riuscito alla grande devo ammettere.
Dopo altri venti minuti di angoscianti interrogativi sono arrivata all’università. Parcheggio proprio davanti all’uscita, sentendomi tremendamente ridicola. Ai dipendenti ancora a lavoro nell’edificio, sembreremo una coppia di amanti in un incontro clandestino e questo mi manda nel panico. Non voglio che circolino voci sul mio conto, di nessun tipo, tantomeno di questo tipo.
Entro lentamente nell’androne e mi guardo intorno, sperando di vederlo lì ad aspettarmi. Non ho intenzione di chiedere all’inserviente se l’ha visto, devo passare più inosservata possibile. Ma lui ovviamente non c’è, deve essere in qualche aula.
Mi avvicino alla porta dell’aula più vicina e controllo se è chiusa. Meglio vedere se riesco a trovarlo da sola prima di chiedere a qualcuno. Profilo basso, devo tenerlo a mente.
La porta non si apre, quindi passo all’altra, anche questa chiusa. Sbruffando mi avvicino alla terza porta, cominciando a perdere le speranze. Accidenti a lui. Non ho mai dovuto aspettare il mio cavaliere, figuriamoci andarlo a cercare. Due donne delle pulizie più avanti, vicino alle macchinette del caffè, mi stanno squadrando e ridacchiano tra loro. Perfetto. Addio profilo basso. Grazie professore.
- Se intende nascondersi è troppo tardi, signorina Thompson – dice all’improvviso la voce di Gagliani alle mie spalle. Mi giro con un sorriso tirato, sentendomi tremendamente consapevole delle occhiate interessate delle due inservienti, ormai alle mie spalle.
- Mi deve scusare per il ritardo, il parcheggio in questo paese è molto peggio di tutti i miei rebus – si scusa sorridendo mentre si avvicina. Io annuisco e sorrido un po’ di più.
- Allora andiamo? Le ore che passo qui la mattina sono più che sufficienti – esclamo a voce forse un po’ troppo alta, per far capire alle due spione alle macchinette che non stiamo per imboscarci in una delle aule chiuse.
Lui fortunatamente sorride e annuisce, precedendomi verso l’uscita. Io cammino dietro di lui, non troppo vicina, e cerco di respirare a fondo. Odio l’agitazione che mi sta quasi soffocando e non mi va che lui mi veda così agitata, potrebbe fraintendere.
- E’ meglio se prendiamo una macchina sola, così servirà un solo parcheggio – dice lui mentre esce il telecomando dell’auto dalla tasca e preme il pulsante facendo suonare l’antifurto.
E chi ha detto che volevo prendere la sua? Comunque ha ragione ed è meglio se la mia macchina resta qui. Così limito il rischio che qualcuno la riconosca mentre andiamo al ristorante.
- Dove andiamo? – domando dopo aver allacciato la cintura. Ci metto qualche minuto perché le mani mi tremano leggermente. Dannazione, non dovrei essere così agitata!
- Un posticino non lontano da qui. Non sono pratico ancora della zona e un amico mi ha detto che è ottimo per una serata informale – risponde, mettendo in moto. Lo guardo per capire come giudicare quell’”informale”. L’ha usato per indicare una serata tranquilla a base di chiacchiere in un’atmosfera rilassata o per indicare una serata del tipo “non sono il tuo professore quindi posso provarci con te?”. Dall’espressione però sembra un “informale” del primo tipo. Sinceramente, non so cosa avrei preferito. Se ci avesse provato avrei almeno avuto una scusa per andarmene subito, invece così…
Comincia a farmi qualche domanda sulla lezione, del tipo quant’è stata interessante, se ha fatto una buona impressione, se ho sentito commenti particolare, quanto il suo metodo è diverso dal professore precedente… tutto come se la sua lezione non fosse partita dal fatto che l’ho criticato e ho messo in discussione la sua competenza.
È proprio la serata dei tipi strani, penso, ricordando Alex nervoso e impacciato sulla mia soglia appena mezz’ora fa. Ma è meglio concentrarsi su un problema per volta.
Quando arriviamo a destinazione vedo che conosco già il posto, ci venivo spesso con un mio ex-fidanzato. Ha ragione Gagliani, o il suo amico, è un bel posto e si mangia bene. Anche se avrei qualcosa da ridire sull’informalità del luogo…
Quando entriamo il cameriere chiede al professore il nominativo e ci conduce subito verso un tavolo nell’angolo, abbastanza lontano dagli altri per permettere conversazioni davvero private ma anche abbastanza illuminato da non sembrare preparato per una dichiarazione d’amore e la cosa non può che farmi piacere.
Non appena ci sediamo un’altra cameriera porta pane, acqua e una bottiglia di vino bianco, oltre ai menu.
- Prendetevi il tempo che serve per ordinare e se volete consigli o chiarimenti, dovete solo chiamarmi – dice la ragazza con un gran sorriso. 
- Probabilmente si è chiesta il perché di questo invito – comincia Gagliani mentre apre il menu. Accidenti, questo sì che è andare dritti al punto. Meglio così, penso, ma non rispondo e aspetto che lui vada avanti. È meglio aspettare e vedere come conduce il discorso: professore-alunna, uomo-donna, esperto-incompetente. Poi mi regolerò di conseguenza.
- Premetto subito che la mia è una proposta interessata ma non indecente – continua e io aggrotto la fronte. Che cosa vorrebbe significare questa frase?
- Voglio dire che le ho chiesto di venire a cena con me perché lei è tremendamente bella, signorina Thompson, e allo stesso tempo intelligente, sveglia e preparata sull’argomento, perciò sarei molto felice se potessimo andare oltre le lezioni – spiega lui senza alzare lo sguardo dal menu.
Non rispondo, non saprei che dire. Non ho mai ricevuto dei complimenti così diretti da una persona tanto inaspettata e quindi aspetto che finisca prima di commentare.
- Tuttavia non è indecente perché non le chiederò favori di nessun genere, non la forzerò né ricatterò in alcun modo e la sua risposta non influirà sulla sua votazione. In pratica, le sto chiedendo di dimenticare che sono il suo professore e considerarmi solo un corteggiatore come gli altri.
Ora finalmente alza lo sguardo dal menu e mi sorride, per farmi capire che è sincero.
Io intanto mi verso un bicchiere di vino bianco con molta lentezza, cercando di prendere tempo. Sono sbalordita da questa premessa e come mi è capitato pochissime volte in vita mia non ho parole.
- Si rende certamente conto, professore, che è una cosa impossibile. Non posso semplicemente dimenticare che è il mio professore. Senza contare che lei è anche uno scrittore di successo e uno storico di fama internazionale. Non sono esattamente quelli che chiamo dettagli – rispondo, dopo qualche sorso. Sostenere il suo sguardo mi riesce tremendamente difficile, quindi fingo di leggere il menu a mia volta.
- Vero. Ma credo che sarà più facile non pensarci se ci diamo del tu, no? E comunque non mi sembra che la mia fama o il mio successo ti abbiano impedito di obiettare in aula, no? – obietta lui, perfettamente tranquillo.
Io alzo un sopracciglio per fargli capire quanto poco condivido quest’idea assurda. Sono situazioni completamente diverse, non sono nemmeno paragonabili. Però sono felice di notare che sono meno agitata. Questa conversazione così “alla pari” in un certo senso, come se stessi davvero parlando con un compagno di corso, mi rende decisamente più tranquilla.
- Sono sicuro che sei una ragazza abbastanza sveglia da capire che non è il successo che rende migliori gli uomini. E comunque i miei libri sono famosi solo per gli esperti, la maggior parte della gente non sa nemmeno che esisto. Scommetto per esempio che tu non hai letto nessun libro dei miei – insiste e io distolgo lo sguardo imbarazzata. In effetti non l’ho mai fatto, nonostante ne ho sentito parlare parecchio.
Lui comunque mi sorride, un bel sorriso naturale e franco, che mi aiuta a rilassarmi un altro po’. Effettivamente, non sembra proprio il tipo che si offende, anzi, sembra disponibile e simpatico, di quelli che non hanno problemi nel mettersi in discussione. Questo gli fa guadagnare qualche punto e gli sorrido, molto più naturale e rilassata.
- Facciamo un patto. Io cerco di essere tremendamente banale per tutta la sera e poi decidi: se mi consideri ancora il professore pieno di soldi e potere, rifiuti il mio prossimo invito e io ti boccio, altrimenti accetti di passare con me un’altra sera e io ti promuovo con il massimo dei voti – propone e io lo guardo diffidente.
- Sto scherzando, ho promesso di non ricattarti. Però per il resto ero serio. Deciderai a fine serata.
Sorseggio un altro po’ il mio vino, indecisa. In effetti ha ragione, mi sono bastati pochi minuti per sentirmi a mio agio in sua compagnia e l’idea di una serata insieme comincia a non dispiacermi. Anzi, sembra interessante. Forse per la prima volta potrò fare una conversazione degna di questo nome.
Accetto la proposta e lui sorride soddisfatto. Senza sapere perché, penso ad Alex, al suo sorriso perfetto, e lo confronto con quello un po’ sghembo di Gagliani. Non saprei proprio scegliere. Uno è meravigliosamente perfetto e rassicurante, l’altro contagioso e… sexy. Sì, credo che sexy descriva bene il sorriso di Gagliani. Scuoto la testa per scacciare questi pensieri assurdi, nonché inutili.
Gagliani comincia a farmi una serie di domande su di me del tipo abiti con i tuoi, cosa vuoi fare dopo l’università, lavori, quali sono i tuoi passatempi… cose così, alle quali rispondo vagamente, il più delle volte mentendo. Nel frattempo la cameriera dal gran sorriso torna per prendere le ordinazioni, promettendo che sarà tutto pronto in pochi minuti, poi sparisce.
- Allora, Alexis, come mai sei così preparata sulla storia antica? – domanda Gagliani dopo che la ragazza si è allontanata, sorseggiando anche lui il vino. Mi aspettavo questa domanda, sono preparata.
- Mio padre era un grande appassionato di storia. Probabilmente me l’ha trasmessa geneticamente. Dopo la sua morte, comunque, quando leggevo i libri di storia mi sembrava che lui fosse accanto a me ed era bello. Poi mi sono appassionata e…
- Capisco. Una bellissima eredità da tramandare – risponde lui con un sorriso al quale rispondo. È bello poter dire la verità ogni tanto. Almeno, quasi tutta.
Da quel momento cominciamo a parlare soprattutto di storia, scambiandoci pareri sui libri letti, i film visti, opinioni personali su alcuni grandi dibattiti ancora in corso tra gli storici. È una conversazione splendidamente fluida e naturale e in poco tempo mi trovo a parlare a ruota libera, come se stessi parlando con mio padre invece che con un professore di fama mondiale.
La conversazione non si ferma nemmeno quando la cameriera porta i primi antipasti. Tra un boccone e l’altro raccontiamo a turno qualcosa, come se recitiamo un copione preparato ed è una bella sensazione. Intanto io noto anche altre cose che mi piacciono di questo Gagliani: non interrompe il discorso degli altri, sembra sempre interessato a quello che dico e non si lascia distogliere dal fondoschiena della cameriera o delle ragazze che passano. Non sfoggia il suo sapere come gli altri e non cerca di mettersi in mostra.
Comincio ad essere contenta del suo invito, anche se mi ha messa in imbarazzo davanti a tutti e farà circolare un sacco di voci sul mio conto.
Quando la ragazza ci porta il secondo abbiamo abbandonato la storia per parlare di altri cento argomenti, assurdamente diversi: il matrimonio, la convivenza, le prospettive di lavoro per i nuovi laureati… Il tutto sempre con una naturalezza sorprendente, senza imbarazzanti silenzi.
In realtà, ogni tanto lui sembra incantarsi su di me e quando cerco di riportarlo alla realtà si giustifica dicendo che ho una bocca troppo ammaliante. Ammaliante? Come fa una bocca ad essere ammaliante? Ogni volta io comunque mi limito a scuotere la testa e a riprendere a parlare, fingendo di ignorare i suoi commenti.
Mi sembra decisamente più saggio, considerando che ho ancora parecchi dubbi sull’idea di vederci anche altre volte. È sempre il mio professore in fondo, anche se  amichevole e di compagnia. Però mi fanno piacere, lo devo ammettere. Sottili e discreti, che non ti mettono in imbarazzo. Non troppo almeno.
La fine della cena arriva prima che me ne accorga. Peccato, stavo bene. Lui si alza e va a pagare il conto, nonostante le mie (finte) proteste per contribuire anche io, poi mi fa un cenno e ci avviamo alla macchina.
Saliamo, ancora chiacchierando, poi lui si zittisce e mi guarda sorridendo. Accidenti. So perché fa quella faccia. Credo che sia arrivato il momento. Devo dare una risposta che non ho. Maledizione.
- Cos’ha deciso signorina Thompson? – domanda. Non mi piace il ritorno al lei. Mi mette agitazione.
Lo guardo senza dire niente, cercando di trovare le parole per dirgli che non possiamo continuare a vederci. È assurdo, impensabile. Soprattutto per me. Non c’è spazio nella mia vita per le complicazioni che verrebbero dal vedersi con un professore, specialmente se giovane e simpatico. Di certo tutte le ragazzine del primo anno faranno la fila per mettersi in mostra tra meno di un mese, non appena si spargerà la voce di com’è davvero.
Lui continua a fissarmi tranquillo e io prendo fiato. Meglio non tirarla per le lunghe.
- Mi farebbe piacere ripetere una serata così. Sono stata bene. Per il resto, vedremo – dico.
Sono impazzita? Sono ubriaca? Come mi è saltato in mente di dire una cosa del genere? Io non voglio ripetere la serata, non devo volerlo. Stavo per dirglielo anche! Accidenti, maledizione, dannazione e tutte le imprecazioni che conosco.
Lui però sorride soddisfatto.
- Allora ti comprerò uno dei miei libri. Non puoi uscire con me senza averlo letto – dice mettendo in moto, poi scoppia a ridere, probabilmente dopo aver notato la mia faccia, tutt’altro che entusiasta.
- Sto scherzando, prometto che non li vedrai nemmeno una volta – mi rassicura ridendo e io faccio finta di asciugarmi il sudore dalla fronte.
- Però questo scommetto che ti interesserà di più. Anche se spero che continueremo a discutere in aula. È stato molto divertente, stimolante litigare con te – continua prendendo un pacchetto dal cruscotto. O mio Dio, non ho mai ricevuto tanti regali in un giorno nemmeno al mio compleanno.
Lo prendo imbarazzata, completamente spiazzata da questo gesto. Decisamente non me l’aspettavo. Lui mi fa un gesto con la mano per dirmi di aprirlo e io lo scarto, titubante. Sono tremendamente consapevole dei suoi occhi incollati a me e per un momento mi chiedo cosa farei se mi baciasse, magari prima di separarci. È assurdo che mi venga anche il dubbio, penso, dopo tutte le volte che ho analizzato questa situazione, decidendone vantaggi e svantaggi. Eppure in questo momento non so davvero cosa farei. O meglio, non credo che rifiuterei.
Quando riesco a liberarmi dalla carta regalo vedo che si tratta di un libro, per l’esattezza di “Vega e Tula. La doppia faccia della stessa medaglia”. Mi volto verso di lui, sorridendo con aria interrogativa.
- Riesco a capire quando convinco qualcuno e stamattina ho visto che non credi nelle mie teorie. Non è per farmi pubblicità ma sarebbe bello sapere cosa ne pensi. C’è sempre bisogno di un critico spassionato. Se riesco a convincere i miei nemici, allora passerò alla storia – spiega, ma non riesco a capire se sia serio o no.
Comunque ha ragione, sono proprio curiosa di leggere meglio la sua idea. Più lo conosco, più non mi sembra proprio un cialtrone. Possibile che mio padre abbia davvero commesso degli errori di valutazione? Per la prima volta non so rispondere. Sono sempre stata assolutamente certa della sua infallibilità ma ora…
- Grazie. È stato un bel pensiero, lo leggerò volentieri. Anche se non credo che cambierò idea, senza offesa – dico finalmente, vedendo che lui aspetta una mia risposta. Non voglio che creda di avermi già conquistata solo con un libro. Eppure, mi sento quasi come se l’avesse fatto. Di certo ci è andato vicino.
È stato un bellissimo pensiero e ha completato magnificamente questa serata, bella nonostante le mie nere previsioni.
Solo ora mi accorgo che abbiamo parlato di un sacco di cose ma non gli ho chiesto niente dei suoi viaggi, così gli faccio qualche domanda. Lui sembra un po’ restio a raccontare le sue avventure attraverso i continenti ma dopo un po’ prende coraggio e mi racconta un sacco di aneddoti divertenti e interessanti.
Sono così concentrata su quello che dice che mi accorgo solo vagamente che non stiamo tornando all’università ma stiamo girovagando a zonzo per la città. Sorrido pensando che di certo non si può dire un uomo privo di iniziativa, ma in realtà non mi dispiace affatto.
Non sono mai stata così bene durante un appuntamento con un uomo e non che non ne abbia avuti, al contrario di quello che sostengono Linda e mia madre.
È che con lui non mi sento un soprammobile, una figura inanimata come solitamente mi fanno sentire gli altri. Con lui è tutto naturale, semplice, diretto. Mi tratta da persona dotata di un cervello oltre che di seno e sedere (anche perché, a dire il vero, non è che siano proprio appariscenti) e la cosa non può che farmi piacere. Niente a che vedere con Alex Buon Cornetto, che continua a trattarmi gentilmente da idiota.
Continuando a raccontarmi delle sue avventure (che sono state incredibilmente tante e ricche, a dispetto della giovane età, che ho scoperto essere di appena ventinove anni) mi porta a prendere un gelato, a fare una passeggiata, quindi torniamo in università e restiamo seduti su una delle panchine all’esterno, dimentichi del tempo che passa.
Quando mi decido a controllare il mio orologio spalanco gli occhi e gli lancio un’occhiataccia: sono già passate le due e da un pezzo. E io che avevo contato di poter tornare a casa piuttosto presto e riposare un po’. Domani sarà un’altra giornata frenetica e avrei voluto essere abbastanza in forze per affrontarla.
- Credo che sia arrivata l’ora di riaccompagnare a casa la mia cenerentola – dice lui alzandosi e mi porge il braccio. Lo accetto sorridendo e di nuovo mi chiedo cosa farei se mi baciasse prima di salutarci. Ancora non ne ho idea.
Ci avviciniamo alla mia macchina e comincio a cercare le chiavi nella borsa. Strano, ma non ho nessuna voglia di tornare a casa. Mi sembra così triste in questo momento tornare in quella grande casa vuota e silenziosa!
- Verrai domattina? – mi domanda Giulio (abbiamo deciso di lasciare i cognomi in università) quando finalmente le mie dita si chiudono sul metallo freddo delle chiavi.
- No. Ho preso alcuni impegni a cui non posso rinunciare. E poi non ci sono lezioni molto importanti. Solitamente seguo solo quelle irrinunciabili, questo edificio mi fa venire l’orticaria – rispondo. Anche se mi chiedo se non si il caso di cominciare a frequentare più spesso le lezioni… potrebbe rivelarsi utile. Per i miei esami, ovviamente.
- Capisco. Peccato. Mi sarebbe piaciuto avere un motivo per arrivare fin qui – replica mentre io apro lo sportello. Dal tono della voce capisco che sorride e sorrido a mia volta ma non mi volto.
- Visto quello che ti pagano per fare lezione, direi che il tuo motivo ce l’hai già – rispondo mentre entro in macchina, ma senza chiudere lo sportello. Lui ride, con quella risata così… caratteristica. È una sorta di marchio personale, la sua firma. È melodiosa e squillante, terribilmente contagiosa. Ha anche un effetto calmante su di me e questo mi piace. L’opposto della risata vibrante di Alex, che sembra sempre entrarmi dentro come un’onda e sconvolgere tutto.
- Tra i soldi e la tua compagnia, io scelgo la tua compagnia se ti va di condividere la mia povertà – risponde in tono melodrammatico mentre si sposta per permettermi di chiudere lo sportello. Io rido mentre abbasso il finestrino. Non credo che mi abituerò mai a questi suoi complimenti inaspettati. Li lancia così nel bel mezzo di un discorso assolutamente neutrale e mi spiazza ogni volta.
- Devo andare ora. Ci vediamo alla prossima lezione – lo saluto mettendo in moto. È davvero tardi ora, siamo l’unica cosa che ancora si muove e parla nei dintorni, come se fossimo rimasti svegli solo noi. E anche questo mi piace, da un tocco di intimo a questo momento apparentemente banale.
Ripenso al probabile bacio, non più chiedendomi come reagirei ma sperando di poterlo ricambiare.
Lui infatti si appoggia con le braccia al finestrino e ora il suo viso è a pochi centimetri dal mio. Lui continua a sorridere ma lo vedo dai suoi occhi che anche lui sa che questo è il momento perfetto. Io mi sento nervosa come una scolaretta, ma stranamente ora la cosa non mi infastidisce, sono troppo concentrata.
- Credo che sia il momento in cui ti do il bacio della buonanotte – sussurra a meno di un centimetro dal mio viso ma io non rispondo e continuo a fissarlo. Credo che la mia voce tremerebbe se cercassi di parlare ora e rovinerei tutto.
Lui sorride appena e all’improvviso un campanello d’allarme sembra risuonarmi in testa. La mia stessa voce mi dice che sto facendo il più grosso sbaglio della mia vita, che questa è un’avventura stupida e assurda di cui potrei solo pentirmi…
Ma proprio ora lui sta avvicinando ancora di più la sua bocca alla mia e io zittisco quel campanello fastidioso e… ne suona uno vero.
Una suoneria bassa e melodiosa che somiglia un po’ troppo alla suoneria del mio cellulare si diffonde nella mia auto. Io faccio finta di ignorarla ma lui si allontana appena e mi indica la borsa con aria rassegnata.
Direi che il momento magico è passato. Grazie signor telefonante, ti ringrazio davvero di cuore, penso, mentre mi volto verso la borsa sul sedile accanto e cerco il telefono. Chiunque sia, ha appena rinunciato al mio regalo per il prossimo natale e se mi sta chiamando per una stupidaggine, sta rinunciando a me e basta.
Finalmente riesco a trovarlo e lo tiro fuori con un gesto stizzito. Sono talmente arrabbiata per l’interruzione che non guardo nemmeno il numero sul display, rispondo e basta.
- Chiunque tu sia spero che la tua ragione per chiamarmi a quest’ora sia più che ottima- dico con voce cupa.
- Avevo voglia di sentire la tua voce amica – mi risponde divertita una voce che conosco già fin troppo bene, nonostante ci ho parlato poche volte. Una voce che odio.
- Che vuoi Alex, specialmente nel bel mezzo della notte? – domando. Non sono nemmeno più arrabbiata, tanto con lui è inutile. È stato creato apposta per dannarmi l’anima. Geneticamente rompiscatole.
- Niente di importante, vedo che hai da fare… - risponde.
- Innanzitutto non vedi un accidente perché siamo a chilometri di distanza. Secondo, già che hai chiamato e hai interrotto una cosa importante, sei pregato di avere un motivo migliore di niente – insisto con la voglia matta di rispedirlo in America. Possibilmente in modo doloroso. Atrocemente doloroso.
- Si, in effetti avevo un motivo ma… va be’ te lo dico un’altra volta. Buonanotte.
Ha chiuso. Questo stupido americano senza un briciolo di intelligenza in corpo mi ha chiuso la telefonata. Dopo aver rovinato il mio momento speciale, mi chiude la chiamata senza dirmi nemmeno perché ha chiamato. Se si potesse elevare al quadrato l’idiozia, Alex ne sarebbe il risultato pratico.
Vedo che Giulio mi guarda con aria interrogativa e sorrido un po’ forzatamente.
- Nessuno. Solo mio cugino. Non è normale poveretto, ha un deficit mentale. È quasi down ora che ci penso, però senza gli occhi storti – spiego, pensando che glieli faccio venire io gli occhi storti quando lo vedo la prossima volta.
Comunque il momento della buonanotte è passato, quindi mi allaccio la cintura.
- Va bene allora… buonanotte. Ci vediamo alla prossima lezione – lo saluto. Non so se essere dispiaciuta per il bacio mancato o no.
- Va bene. Chiederò di fare qualche lezione in più allora, così ci vedremo più spesso. E poi mi hai promesso un altro appuntamento – risponde lui e poi si incammina verso la sua macchina. Resto a guardarlo salire in macchina, poi finalmente parto verso casa mia. È più che tardi, praticamente è già mattina.
Mentre guido verso casa, lentamente ma non per il traffico questa volta, sento svanire l’eccitazione della serata e riesco a ritrovare un briciolo di lucidità. In realtà comincio a pensare di dover ringraziare Alex, mi ha evitato di cadere in una trappola infida. Perché, diciamocelo, una relazione con un professore non può essere niente di diverso, specialmente per me.
Non riesco a gestire una relazione con le persone normali, figuriamoci con un professore. E poi lui è famoso, è conosciuto e di certo questo non porterebbe niente di buono per me. Diventerei famosa anch’io per riflesso, come è successo a mia madre, quella vera, e mi sembra evidente che la cosa non l’ha di certo aiutata.
Cosa gli direi quando mi chiederà di vederci? “Fammi pensare amore, lunedì no perché compro quadri sotto falso nome, martedì nemmeno perché leggo gli appunti di mio padre morto, mercoledì no perché mi alleno nel caso cerchino di uccidere anche me, giovedì credo di dover fare delle ordinazioni per una tizia morta. Forse venerdì…anzi no, venerdì devo scrivere un libro che pubblico sotto falso nome. Facciamo sabato?”
Ma sì, che gran bella idea! Di certo contribuirò a rendere la sua vita migliore! Giulio è il mio professore e per il suo bene, è meglio che resti solo questo.
Però non è detto che la nostra debba proprio essere una relazione fissa, penso mentre scendo dalla macchina e chiudo con le chiavi. Ma no, che sto dicendo. È un professore, non si accontenta certo dei ritagli di tempo di una studentessa, ne avrà a bizzeffe più disponibili.
Inserisco l’antifurto ed entro nel portone. Chiamo l’ascensore ma come al solito non è proprio dei più rapidi, così decido che arrivo prima se salgo a piedi, sperando questa volta di non trovare mia madre o Alex a ciarlare di feste di gala.
Quando arrivo sul pianerottolo non ci sono visitatori inattesi ma mi accorgo subito che qualcosa non va: il tappetino davanti alla mia porta è spostato e il portaombrelli è rovesciato. Mi muovo lentamente mentre mi avvicino alla porta, ripensando a tutti gli insegnamenti di Juno.
Primo, controllare se c’è odore di polvere da sparo. Annuso l’aria ma non sento niente di insolito. Non erano armati. O almeno non hanno usato le armi.
Secondo, assicurarsi che non siano ancora in casa. Tendo l’orecchio per sentire eventuali rumori ma è tutto silenzioso sia in casa che nelle scale.
Ho il cuore che mi rimbomba nello stomaco e sento che l’adrenalina comincia a scorrere a fiumi nelle mie vene ma cerco di ignorare entrambe le cose. Devo essere concentrata.
Appoggio un piede contro la porta e spingo lentamente, per vedere se è ancora aperto. La porta non si muove. Brutto segno. O sono ancora dentro o hanno le chiavi di casa mia. Non so quale delle due cose sia peggio, in questo momento.
Giro la chiave lentamente, cercando di fare meno rumore possibile nel caso il ladro sia ancora dentro. Se si tratta di un ladro. La chiave gira tre volte e tiro un sospiro di sollievo. Non sono dentro, non avrebbero chiuso con tutte e tre le mandate. Subito dopo mi si gela il sangue: hanno richiuso a chiave. Hanno le mie chiavi di casa.
Rimetto il portaombrelli in piedi e aggiusto il tappetino, quindi entro in casa e chiudo la porta con tutte le mandate possibili, poi inserisco il ferretto. Posso mettere qualche altra sicura? No, non credo.
Terza lezione, controllare che non sia un’imboscata. Avevo dimenticato che non era finita.
Faccio il giro della casa con molta calma, respirando appena e accendendo tutte le luci che ho in casa ma fortunatamente è deserta. Tiro di nuovo il fiato e deglutisco mentre il cuore rallenta un po’. Incredibile ma sto sudando. Ho la fronte coperta da una patina di goccioline fredde e lo stesso vale per la mia schiena.
Quarta lezione, controllare cosa manca. In realtà però i mobili sono in perfetto ordine, non sembra che ci sia stato un furto, né che qualcuno si sia messo a frugare. Comunque, per sicurezza, apro il cofanetto con i miei gioielli e rovisto tra bracciali e orecchini. Sembrano tutti presenti. Controllo il computer ma non sembra essere stato forzato in nessun modo e comunque non avrebbero potuto utilizzarlo senza la password.
In ultimo, col cuore che martella di nuovo assordante, mi avvicino al cassetto dove tengo nascosti i fogli di papà. Non sono ancora riuscita a leggerli e così li ho nascosti nel solito cassetto, l’unico con la serratura.
Lo tiro, per vedere se è stata rotta la serratura ma il cassetto non cede. Prendo la chiave da sotto il lume del comodino e lo apro, pregando di trovare tutto al suo posto. È così, per fortuna.
Rifaccio il giro, più che altro per calmarmi e spegnere tutte le luci che ho acceso, poi torno in camera da letto. L’orologio sul comodino segna le tre meno un quarto del mattino. Direi che il mio sonno è appena andato a farsi benedire.
Vado in cucina e metto a bollire un po’ d’acqua calda. Ho proprio bisogno di una tisana, almeno per calmare il tremito alle mani. Ora che l’adrenalina comincia a svanire, sento la paura montarmi dentro sul serio. Mi siedo e chiudo gli occhi, inspiro, conto fino a tre, espiro.
Chi era entrato in casa mia? Non poteva essere un ladro, non avrebbe lasciato tutto così in ordine e avrebbe rubato qualcosa. Ma chi allora? Non ne ho idea.
Altra domanda: come era entrato in casa mia? Era chiaro che aveva le chiavi o sarebbe scattato l’allarme antifurto. Ma come era riuscito a procurarsele? Tranne le mie, che avevo io, l’unica altra persona ad avere le chiavi di casa è mia madre ma di certo non era passata per un salutino alle tre del mattino.
L’acqua bolle e mi alzo per prendere la tisana alla rosa mosqueta. Le mie mani hanno smesso di tremare, per lo meno. Verso il composto nell’acqua bollente e mescolo con un cucchiaino.
Terza domanda: perché era entrato in casa mia? Cosa cercava? Per un momento mi viene in mente l’odore della carta da lettere del mio padre vero, quello genetico, morto in un attentato che era stato fatto passare per incidente. Era assurdo pensare una cosa del genere ma… nei suoi quaderni di appunti sulla storia antica, sulla Chiesa e sulla misteriosa confraternita, mio padre mi ha lasciato milioni di avvertimenti e raccomandazioni sull’importanza di restare nell’anonimato, proprio perché, ha scritto, loro sono sempre lì che aspettano di trovare l’ultima superstite.
Ma non ho mai dato davvero peso alle sue parole. Sì, ho preso mille precauzioni in ogni cosa che faccio per conto suo, ho inventato nomi, storie, documenti per mascherarmi, ho evitato ogni possibile fonte di fama (se non consideriamo il mio ultimo invito a cena) e ho anche preso lezioni di combattimento dal maestro che lui stesso mi ha indicato ma…in realtà non ho mai creduto davvero che potessero risalire fino a me.
E ancora non ci credo. Mi sembra così assurdo, così impossibile. E poi, anche se davvero si tratta delle stesse persone che hanno ucciso i miei veri genitori, perché se ne sono andati senza niente? L’unica cosa che potevano cercare, se si tratta delle stesse persone, sono i fogli di mio padre, ma non li hanno toccati. O no?
A pensarci bene, avevano le chiavi di casa mia, quindi nulla esclude che abbiano le chiavi del cassetto. E se hanno solo trascritto i fogli, o li hanno fotografati o roba del genere e sono andati via, proprio per non farmi allarmare?
La mia tisana è pronta e la verso nella tazza, scottandomi l’indice, ma quasi non me ne accorgo, è un gesto automatico. Come è automatico il gesto di zuccherarla e assaggiarla. È buona, bollente e dolce come piace a me. Torno a sedermi, con la tazza sul tavolo, tra le mani gelide.
Anche se li hanno copiati o fotografati non conta nulla, comunque. Io li pubblicherò ugualmente. A che scopo allora entrare qui? Come potevano sapere che non ero in casa?
O era proprio quello l’obiettivo? Erano venuti per simulare un altro incidente?
La sola idea mi fa rabbrividire, nonostante la tisana bollente tra le mani. Ne bevo un altro sorso, fissando la porta d’ingresso, quasi aspettandomi che all’improvviso qualcuno la apra sparando alla serratura come nei film d’azione e un commando di tipi in uniforme e dal volto coperto invada la mia casa, per spedirmi insieme ai miei veri genitori.
Chiudo gli occhi bevendo un’altra lunga sorsata di tisana. L’immagine è più realistica di quanto il mio cervello scosso possa sopportare al momento, quindi la scaccio ostinatamente.
Cosa faccio ora? È il caso di chiamare la polizia? Non appena il pensiero mi sfiora però scuoto la testa: e cosa gli dico, il tappetino era spostato e il portaombrelli rovesciato? Oppure gli spiego del complotto segreto di una specie di setta mistica che vuole inghiottire l’economia mondiale?
Però in effetti c’è qualcuno che posso chiamare, penso con un sospiro di sollievo. Lui sì che saprà cosa fare. Prendo il cellulare dalla tasca e scorro la rubrica fino al numero di Juno. So che sta dormendo, ma gli lascerò un messaggio in segreteria, così domani mi richiamerà e risolverà la faccenda. Juno è il mio istruttore di combattimento ma è anche un ex militare di non so quale corpo segreto. Lui sa sempre cosa fare, di certo lo saprà questa volta.
Il pensiero di poter contare su di lui mi rassicura un po’. Gli lascio un messaggio in segreteria e finisco la mia tisana, bevendo lentamente e lasciando che il suo calore si diffonda per il mio corpo scosso. Devo rimandare l’appuntamento di domani, non posso rischiare che qualcuno mi segua, ma non posso certo farlo ora, devo aspettare per forza un’ora più umana.
Il pensiero però mi fa accendere una lampadina nella mente: e se non fossero stati i fogli quello che cercavano? E se l’obiettivo era la lista dei quadri rimanenti?
Certo era molto più sensato: se avessero trovato la lista dei quadri avrebbero potuto anticiparmi nel rintracciare i prossimi due e allora tutta la fatica di questi anni sarebbe andata persa, non avrei mai potuto finire di pubblicare il romanzo.
Tiro un altro sospiro. Sapere il vero motivo della visita, sempre se è davvero opera di quelle persone, mi fa sentire meglio: primo, perché so che non l’hanno trovato di certo, non tengo la lista in casa mia, e secondo perché se l’hanno cercata qui vuol dire che non sanno di Juno e Patricia. Non ancora comunque.
Guardo di nuovo l’orologio: le tre e venti. Chissà perché, qualcosa mi dice che sarà una delle notti più lunghe della mia vita. Vado nella mia stanza e prendo l’ipod, quindi torno in salotto e mi accascio sulla mia poltrona, coprendomi con la coperta sottile, mentre scelgo una canzone lenta, nella speranza di dormire almeno un po’. Sarà una lunga, lunga notte.
  
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