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Autore: CassandraBlackZone    09/03/2014    1 recensioni
Paura? No, lei non aveva affatto paura. Ed era proprio questo quel qualcosa in più.
Correre per lei non era mai stato un modo per scappare, anzi: correre per lei era l’unico modo per superare la monotonia e anche se stancante, era lo svago che più la soddisfaceva. Persino più del contare le statue del Duomo.
Emily amava correre. Da sempre.
Genere: Avventura, Fluff, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 11, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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“Scusi! Mi scusi! Oh! Scusi tanto.. mi spiace!”
Ad ogni spallata il giovane allievo si scusava impacciato senza fermarsi, lasciandosi alle spalle una scia di insulti in inglese, ma nulla lo avrebbe distratto dalla sua missione. Quelle lettere, avrebbero segnato la vita del suo amato maestro.
“Devo sbrigarmi! Devo assolutamente sbrigarmi!”
Le teneva strette al suo petto, quasi come se non volesse che nessuno le vedesse, ed era effettivamente così: perché loro erano lì, a Londra, e potevano essere ovunque, persino nel bar che stava per sorpassare o tra la folla di turisti armati di macchine fotografiche digitali. Erano troppo preziose, troppo importanti.
Con un ultimo sforzo, e un’ultima occhiata alle sue spalle, il ragazzo raggiunse l’unico cancello pitturato di nero e viola del quartiere. A due a due salì le scale fino al quinto piano, e, ripreso un po’ di fiato, corse dritto, fino all’ultima porta del corridoio. Senza bussare entrò.
“Maestro!! Maestro Massy! Ne sono arrivate delle altre! E’ in grave pericolo!”
“E smettila di sbraitare!! Hai corso, vero? Quante volte ti ho detto che correre ti fa male, giovanotto!”
Urlò  un vecchio burbero, seduto su una poltrona di pelle rossa in mezzo a un salotto futuristico tutto bianco.
“Ma, maestro Massy, io… ”
“Prima di tutto vedi di stare tranquillo, ok?” disse lui con più calma “Ora passami le lettere, da bravo.”
Ancora un po’ affannato, il giovane allievo si avvicinò alla poltrona e porse all’uomo le lettere.
Quest’ultimo sorrise, e le buttò nel camino davanti a sé, senza nemmeno leggere il mittente o aprirle.
“Le solite minacce, peccato che non sia ancora arrivato, è uno spreco di tempo il loro.”
“Che cosa vuole dire, maestro?”
Massy si sistemò una ciocca di capelli bianchi dietro l’orecchio sinistro, facendo tintinnare lo stravagante orecchino a forma di corvo d’oro.
“L’ho appena chiamato ora. L’ho invitato al nostro spettacolo di oggi.”
Gli occhi del ragazzo si spalancarono, consapevole di chi stesse parlando il suo maestro..
“Vuole dire… il suo amico di vecchia data?”
“Oh, di vecchissima data, vorrai dire.” Disse Massy ricordando il loro ultimo incontro. Aveva ancora i capelli neri, quel giorno, ed era giovane e scattante, non vecchio e decrepito come lo era in quel momento. Quasi rimpianse la sua offerta di venire con lui, cosa lo spinse a fermarsi, questo non lo sapeva. Se lo ricordava ancora, il caro Dottore, che in confronto a lui sembrava vecchio di almeno duecento anni. Con il suo curioso ombrello col manico a forma di punto interrogativo, simbolo che si ripeteva anche sul suo gilet di lana, per non parlare del suo classico cappello panama, a cui gli piaceva sempre farlo roteare in aria. L’eccentrico, esuberante, ma pur sempre fantastico Dottore. Chi meglio di lui poteva stare al tavolo davanti al palco?
Chissà come reagirà appena lo vedrà. Sicuramente, pensò lui, riderà a crepapelle e lo prenderà in giro per tutto lo spettacolo.
Sì. Non vedeva l’ora di incontrarlo un’ultima volta.
“Passiamo oltre. Ti sei allenato, Jake?”
“Sì! Sono migliorato!” rispose lui con sicurezza “Ieri sera mi sono anche ricaricato la batteria. Temo solo di aver esagerato con i ricettori delle emozioni umane.”
“Ho visto. E fra un po’ ti avrei anche visto sudare.”
“Non credo che sarebbe successo.”
“Ovviamente.”
Jake all’improvviso alzò la testa col volto impassibile e si avvicinò alla finestra con gli occhi illuminati di azzurro.
“Aveva ragione, maestro Massy. Loro sono qui. Il mio scanner li ha individuati.”
“Quanti sono?”
“Cinque, maestro.”
“Bah, meno dell’altro giorno.”
“Vuole che li uccida?”
“No, lasciali. Tanto non possono fare molto. Pensiamo piuttosto a prepararci. Fra due ore si va in scena.”


Jeremy aprì più volte il taccuino di pelle nera sfogliandone le pagine per poi richiuderlo. Aveva ancora il consueto odore di nuovo, sicché fino a tre mesi fa era sempre stato immacolato, se non fosse stata per quella lezione di Dottorologia.
 
“Mi raccomando Jeremy, queste sono cose assai importanti da sapere sul Dottore e il suo modo di essere, per quanto riguarda la sua vera natura, non spetta a me dirtelo.”
“Cos-… Come sarebbe dire la sua vera natura?!”
“Te l’ho detto, no? Non spetta a me, e poi, se te lo dicessi ora, tu scapperesti.”

“L’avrei potuto fare ora, sai?”
“Appunto. E per concludere, Jeremy: tieni gli occhi bene aperti.”

 
Quanto meno te lo aspetti, la potresti incontrare.
 
“Ehi, Jeremy?” una mano guantata di rosa, lo riportò alla realtà facendolo trasalire: quel tocco vellutato era  di Anna, con le sopraciglia basse, segno di preoccupazione.
“Va.. tutto bene?” provò di nuovo lei.
“Sì.” Rispose lui schietto e forzando un sorriso.
“Io… so cosa ti aspettavi di fare arrivati qui, ma non è possibile separarci dal gruppo. È già tanto se ci lasciano un’ora. E poi, dove l’andresti a cercare?”
Jeremy rimase in silenzio, con lo sguardo fisso sul London Eye. La rabbia gli ribolliva in tutto il corpo fino a fargli tremare le mani. Come poteva pretendere la donna dall’impermeabile beige, che lui riuscisse a trovare Emi a Londra? Emi. Non c’era giorno in cui non pensasse almeno una volta a lei o ai momenti passati con lei, anche se erano solo vaghi ricordi.
“Hai notato, Jeremy? Sono passati tre mesi e ancora nessuno sembra – diciamo – ricordarsi di Emi. Guarda ad esempio Michele e Simone.” Disse Anna indicando due ragazzi vestiti di nero, in compagnia di tre ragazze qualche metro più il là da loro “Ti stavano sempre intorno e si divertivano a infastidire tutti in classe, tutte le ragazze non parlano più di lei, e poi…”
“Noi.” continuò Jeremy “ Noi due siamo amici.”
“Ahhhh, ma allora lo ammetti, eh?”
“Ah, ma stai zitta.”
“Oltre a questo, sono davvero cambiate tante cose” all’improvviso Anna smise di sorridere “ non che la cosa mi faccia piacere, è ovvio.”
“Già.” Una coppia inglese passò dietro a loro ridendo e indicando il London Eye “Dannazione! Ma tutto questo non ha senso!”
Frustrato, Jeremy si tirò su dal corrimano e diede le spalle alla meravigliosa attrazione.
“Che c’è, Jeremy?”
“No, tu non c’entri Anna. È solo che… è inutile che te lo spiego.”
“Oh, andiamo! Abbiamo ancora mezz’ora prima di dover riprendere il giro. Che cosa ti preoccupa?”
“Ricordi quello Smith?”
Anna si ripeté quel cognome nella testa e spalancò gli occhi, ricordandosi del bell’imbusto col farfallino bordeaux.
“Ah! Intendi il supplente di fisica?”
“Esatto. Beh, a quanto pare è con lui che Emi è venuta qui a Londra.”
“Ah, davvero?”
Jeremy annuì con le braccia conserte.
“Amico di… famiglia.”
“Oh, ma che coincidenza.”
“Già… coincidenza…”
“ Certo che è parecchio buffo quando cammina.”
“Puoi dirlo for-… c-cosa?! Che hai detto?!”
Jeremy si mise davanti ad Anna e le appoggiò le mani sulle spalle. Quest’ultima dallo spavento, lasciò cadere il suo pacchetto di M&M’s.
“Cosa? Che ho detto?!”
“Hai detto che ha una camminata buffa, perché?!”
“Beh, perché… perché è appena passato con due fish and chips in mano.”
“Dove?!”
“Dall’altra parte della strada…”
“E’ tu me lo dici così?!”
“Un mom-… Jeremy! Dove vai?!”
“Tienimi lo zaino, per favore! Torno subito!”
“Jeremy!”
Passata davanti ad una scolaresca in uniforme, Jeremy corse sulle strisce pedonali, ed eccolo là: lungo ciuffo di capelli castani e la classica giacca di tweed. Anna aveva ragione, la sua camminata era veramente ridicola. Jeremy cercò di avvicinarsi il più possibile senza perderlo di vista, a costo di far cadere qualcuno dal marciapiedi, cosa che successe una decina di volte.
S-sorry… p-please, sorry!! Ah!”
Non aveva mai avuto così tanta pazienza in vita sua, se si ricordava bene. Ma perché diamine lo stava facendo? Cosa sarebbe successo alla fine? Allora perché stava correndo?
“Questa volta non mi sfuggi, Emi.”
 
Stare lì sotto al Big Ben faceva sentire Emi una piccola formica. Non quanto come con la Statua della Libertà, ma faceva comunque lo stesso effetto. L’ultima volta che era andata a Londra aveva dieci anni, e si ricordava ben poco, perciò ritornarci non le dispiaceva per niente. Sentire tutta quella gente parlare inglese la faceva sentire a casa, a parte la storia della guida a sinistra. A quella doveva ancora abituarsi, ma era comunque contenta di essere lì.
“Fish and chips?”
Il Dottore attirò l’attenzione di Emi con una bella porzione di pesce e patatine fumante. Aveva giusto un po’ fame.
“Oh, grazie mille.”
“Figurati.”
“Che cos’hai in quel sacchetto di plastica?”
“Oh, della semplice crema pasticciera.”
Lei inarcò un sopracciglio davanti all’alieno sorridente.
“E… che intenzione hai?”
Lui stappò il tappo della bottiglia di vetro con l’acquolina in bocca “Non sono esattamente bastoncini, ma è pur sempre pesce, no?”
“Mi stai dicendo che tu ti mangi il pesce con la crema?”
“I gusti sono gusti.” E scrollò le spalle.
“Tu sei veramente impossibile.”
“Lo so.”
“Ad ogni modo, cosa ci facciamo a Londra?”
“E’ da qui che è venuta la chiamata.”
“Dalla Londra dei nostri giorni?”
“Esatto, e più precisamente…” il Dottore guardò il suo orologio da polso d’oro “ è mercoledì 12 febbraio del 2014. Tempo…” e tirò fuori la lingua come un cane “ discreto, anche se sento l’arrivo di pioggia. L’inquinamento è sempre in aumento. Chi ha chiamato, ti starai chiedendo,  e ti rispondo Massy.”
“Eh? Lassie?”
“No! Massy!”
“Massy… e chi è?”
“Un mio amico di vecchia data. Guarda, gli ho stampati sul TARDIS! Tada!”
Il Dottore tirò fuori dalla tasca un paio di biglietti variopinti con una scritta in oro che recitava: Massy, the alien magician.
“Mago alieno? Il tuo amico è un alieno?”
“Ehi, tu sei mia amica e sei un’aliena.”
“Ah, hai ragione.”
“Fra circa una mezz’oretta farà uno spettacolo, e lui ci ha invitati entrambi.”
“Wow! E’ fantastico! Adoro i maghi! Specialmente Dynamo.”
“Dynamo?”
“Non lo conosci? E’ un mago inglese piuttosto famoso. Pensa che qui a Londra ha camminato sul Tamigi,come trucco magico.”
Il Signore del Tempo si accarezzò il mento perplesso.
“Che… c’è?”
“Sul Tamigi, eh? Sicuro che non sia un alieno anche lui?”
Emi rise piegandosi in due “Sì, ne sono sicura. Allora che aspettiamo? Andiamo!”


Dottore!
 
“Eh?”
“Emi? Tutto bene?”
La ragazza si girò e guardò la folla dietro di sé. Aveva sentito chiaramente una voce che lo chiamava. Una voce a lei familiare.
“Non hai sentito? Qualcuno ti ha chiamato.”
“Hm? Davvero? Strano, di solito me ne accorgo.”
“Magari… mi sono sbagliata…”
“Deve essere così. Forza, per di qua.”
Emi scrutò un’ultima volta la gente sui marciapiedi e davanti le vetrine. Scossa la testa, raggiunse il Dottore addentando ciò che era rimasto del suo pesce impanato, mentre un ragazzo dai capelli a caschetto e biondi, si guardava attorno disorientato, ancora intento a cercare l’uomo in tweed.
   
 
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