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Autore: Dulcamara_KR    09/03/2014    1 recensioni
L'Anello si accende ancora una volta al suo Richiamo, ma il richiamo si interrompe all'alba di un nuovo silenzio.

E le mani di Sméagol si sciolgono, ma il tesoro rimane per sempre.
[Raccolta diaristicaFrodo Baggins e Gollum.]
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Frodo, Gollum/Smeagol, Smeagol
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La nera ombra che stretta ci avvolge, l'incerto Fato che lo sguardo a noi volge.

 

Anno 1418, Calendario della Contea Colle Vento, 5 Ottobre.

Come narrano gli antichi manoscritti, le antiche storie impolverate o dimenticate sotto i letti dei buon cari lithe d'estate, anche le fronde delle foreste più fitte parlano; forse di lontane ere che un hobbit non ha mai visto, vissuto o sentito, o ricordato sui vecchi calendari della verdeggiante Contea, forse di remoti mondi troppo sconosciuti per essere osservati, forse di parole troppo difficili ed ignote per essere ascoltate.
Un bosco aspro è giunto sotto i nostri piedi scalzi come una lanterna spenta a regalarci le sue braci accese, a porgerci una culla di fiamme invisibili che si sollevano sulle nostre teste con fervore, violenza ed angoscia, a lasciarci una briciola di buio nel bel mezzo di un'incantevole bellezza ferita.
Sono forse queste le braci che avrei dovuto valicare, Gandalf?
Braci sulle quali delineare questo sentiero già visto, braci sulle quali dirigere il nostro sguardo per comprenderne i fuochi malati, braci da calpestare per vederne l'orizzonte estendersi oltre il suo confine e svanire lontano, lasciandoci un pezzo di vuoto da tracciare.
La notte ci ha sopraffatti ancora una volta nella Vecchia Foresta, ci ha denudati della più genuina comprensione che un hobbit possedesse, impedendoci di guardare oltre la linea di quelle nostre dita che parevano ai nostri occhi ormai perdute nei meandri dell'indefinito, dell'incomprensibile, del perduto.
La voracità del buio seguitava ad ingoiarci veloce, con il sussurro acuto di un'ombra inestinguibile che rapiva le nostre vie, che calava le nostre menti in una bianca foschia dominata da uno spietato tesoro gelosamente protetto.
Ho sentito la foresta mormorare parole che non conosco, maledizioni sussurate con la voce imperscrutabile del vento, enigmi dispersi nell'aria che la mia lingua si rifiuta ancora oggi di comprendere, mentre verso nei miei pensieri quei sussurri affaticati ora scalpitanti nella mia testa.
Abbiamo toccato quei sussurri, li abbiamo visti ingabbiarci, li abbiamo visti rapirci con la prudenza silenziosa di chi aspira a proteggere una ricchezza rara e pregiata.
Ah, avrei dovuto rifiutare questo Destino fin dal principio, se solo un pesante respiro non mi si fosse riversato addosso come una memoria sempre vigile ad indicare quali sentieri percorrere o come un falso canto a sfumare le mie veglie, ad allettare i miei sensi confusi, le pronte avventure da cogliere e da ammirare con occhio curioso e raggiante, e forse anche un pò bizzarro.
Ma quella voce è immobile nel mio silenzio: mi attende nella notte quando ogni corpo si adagia sotto la sola luce lunare a vegliare sulle tenebre, quando ogni palpebra muta il giorno in un inquieto sospiro notturno.
La dama dei fiori dai capelli dorati ed il canto melodioso di Tom Bombadil hanno abbagliato il mio sguardo con una luce del tutto nuova, ma non hanno nutrito di nuova speranza quegli occhi che sempre ci osservano dentro, che ci parlano di sogni dimenticati, che sembrano mangiare affamati quei ricordi una volta al riparo ed ora strappati al passato nel tentativo inconscio di averne il ritorno, di vederli fiorire ancora una volta o sorgere nei fievoli colori di una nuova primavera.
Ombre impervie hanno assalito il nostro cammino, hanno calpestato i nostri corpi tra le spirali di nebbia che si sollevavano impavide sui Tumulilande come un'antica profezia calata dai cieli più oscuri; hanno portato le nostre gole ad assaporare la lama tagliente delle tenebre più profonde, abbracciandoci nel freddo ventre dell'oltretomba e mostrandoci quel filo sottile che oggi ci vede camminare coraggiosi sulle sue corde sospese e che domani ci lascerà cadere in un eterno buio senza ritorno.
Ritorno. Potrò mai assaporare il dolce sapore della Contea ancora una volta, vedere una calda alba a me compagna crescere oltre questa coltre di fumo ostile che ora mi avvolge, credere che la speranza sia posta in un luogo a me noto per essere improvvisamente raccolta?
Cosa dovrò raccogliere durante questo viaggio, se non un fiore scolorito che non saprà più colorare il tempo, se non un ramo appassito che non saprà più vestire di foglie il suo manto ora sbiadito, se non un pasto velenoso che ora come ora sono pronto a consumare?
Se non pura discordia, se non inganno e follia, se non sogno e maledizione?
Porto le vesti di un'incognita che mi viene incontro con il peso di un'infinitezza racchiusa nel suo esile contenitore dorato, che sento sollevarsi come violenta tempesta a scuotere i miei passi più lenti e soffocare i nostri fiati sempre più stanchi, che vive come ombra nascosta richiamando a gran voce, nella notte, il padrone dei suoi tempi più remoti.
Il suo grande Occhio non chiude mai le sue porte, l'Oscuro Signore mai abbandona questo suo gioiello nero che bisbiglia di catastrofi già pronunciate in una guerra invisibile a rivelarsi silenziosa, che segretamente mi osserva calandomi in un crepaccio offuscato del quale riesco soltanto a percepirne una densa penombra; la stessa penombra che incendia il mio sonno notturno, distruggendo ogni prato più incantato che un hobbit custodisca nella sua chiara e vivida fantasia.
Il nostro ricordo diventa sempre più fioco, indefinito. Riesco quasi a vederlo abbandonarmi o perdersi nell'aria, anche quando mi ero ripromesso di non dimenticarne il colore ed il suo intenso profumo.
Non è il tipo di avventura che un hobbit ha mai desiderato ardentemente provare, vero, Sam, Pipino, Merry?
Brea non è stata una melodia piacevole che il nostro ascolto potesse accogliere, che il nostro compito potesse affrontare senza rischiare di uscirne scalfito: i Cavalieri Neri sono giunti a fiutare quei nostri corpi nascosti che le incerte lenzuola del Puledro Impennato avvolgevano con insidia e tormento.
Tuttavia, ci ha mostrato il volto impavido di un valoroso guerriero che ora bracca compagno il nostro sentiero, mostrandoci le terre da percorrere con una lungimiranza a noi hobbit forse mai lontanamente conosciuta.
Aragorn, figlio di Arathorn, è giunto sul nostro cammino come luce improvvisa, portando con sé non una parola di conforto, ma uno sguardo attento e navigato ad illuminare come guida i nostri sentieri oscuri, a rivelarci l'assaggio di una dolce melodia elfica, quanto dei tranelli più temibili che Sauron, signore di Mordor, si accinge a mettere in atto alle nostre spalle.
Non pensavo che una parola così estranea al tiepido calore della Contea potesse mai sorgere nei miei pensieri, non pensavo che questa tetra angoscia potesse attraversare la mia mente come un fuoco che continua a bruciare, come una tempesta che non mi da pace, come peso inconfondibile che mi sembra di non riuscire a toccare realmente, se non come fulmine improvviso a fuggire rapido o come lontano racconto a svanire in un battito di ciglia.
Non posso guardarmi indietro, non posso abbracciare il tempo in un'attesa che ora desidero rinunciare, non posso rischiare di lasciarmi risucchiare dal turbine insensato di una stupida imprudenza.
Non c'è spazio per i sorrisi assetati di birra dorata quaggiù, né per i pranzi sempre più colmi e festosi ad emanare la gioia di un intero piccolo popolo, se non paludi imperscrutabili che lasciano sulla mia lingua il gusto amaro di una guerra lontana dal mio sguardo, ma salda al mio petto come una vertigine che sussulta ad ogni passo, come una tenebra che mai dimentica di essere tale.
Ma Gran Burrone si adagia oltre i colli lontani, distesa dove i nostri occhi si augurano di approdare nella quiete di una tempesta placata o mai scossa.
Il bagliore intenso di quelle figure rigogliose sapranno ricompensarci con un frammento di luce sempre accesa ed incredibilmente candida, ma ci basterà soltanto un misero barlume di pace per poter rinascere un'altra volta e poter credere che il tempo, per noi, non si sia dileguato nel vento, cadendo come fredda foglia d'autunno e brace ormai spenta.
Ma lo sai anche tu, Gandalf, che le braci non smettono mai di bruciare.
La speranza ci culla ancora accesa, come acceso e vivo è questo pericolo infuocato verso il quale ci stiamo spingendo, mentre il Fato ci prende per mano accompagnandoci chissà dove, verso montagne inesplorate.
Forse verso la luce più chiara, forse verso la tenebra più fitta ed inestricabile.
L'Anello si accende al suo Richiamo.
Saremo noi torrente capace di spegnerlo?

Un sussurro tra gli alberi li abbraccia soavi,
brillanti labbra che cantan gioviali,
volti gentili dal bianco candor,
luce di sol a cacciar ogni grigior.
Senti quel canto che brucia ogni notte,
aria di fronde e mai buio di grotte,
canta il sentiero per Gran Burrone,
più  verde linfa, melodiosa canzone.
E i Luminosi una freccia scoccan,
abili arcieri che sangue non toccan,
il fuoco vivo è a loro lontano,
solenne bacio di amor mai profano.
   
 
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