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Autore: Jennifo    10/03/2014    0 recensioni
Jayce Rogers è un venticinquenne americano con un sogno nel cassetto: fare successo in ambito lavorativo senza sforzarsi troppo. Fortunatamente ha dalla sua parte un padre con il quale condivide certi ideali e, insieme, sembrano aver trovato un posto in una ditta che produce ogni sorta di oggetto, la Cook's Corporation. Qualcosa al colloquio andrà storto. Il dirigente Barton, un grassone superficiale e ambiguo, decide in circostanze particolari di concedere a Jayce una possibilità, invitandolo ad entrare in una stanza rossa tappezzata di foto la cui porta ha forme particolari. Il ragazzo, incredulo, accetta il compromesso. Tutto diventa buio e senza accorgersene si ritrova precipitare nel vuoto senza sapere il motivo. Caduto a terra, scoprirà di trovarsi in un'arena. Sugli spalti, la folla in delirio attende uno spettacolo. Ma quale spettacolo? Con che tipo di attrazione? Jayce sarà costretto a proseguire per capire se si stratta di sogno o di realtà.
Genere: Azione, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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CADUTO DAL CIELO (CAPITOLO 1)



Jayce guardò l'ora. Erano passate due ore da quando si era seduto. Lo rifece e se ne pentì, come se il tempo rallentasse la sua corsa ogni volta che egli compiva quel gesto. Una valigia nera conteneva le sue carte, appunti di un anno intero. Odiava vestirsi così, giacca e cravatta, scarpe lucide e modi gentili. "Jayce Rogers vuole accomodarsi?" una voce diceva così le tanto attese parole. Si alzò allora il giovane venticinquenne dagli ambiziosi desideri per dirigersi all'interno della stanza affianco. Da troppo tempo sperava di ottenere un posto di lavoro come quello. Lui stesso pensava che avrebbe potuto portargli grandi benefici. La ditta di un certo Clinton Cook, la Cook's Corporation (che fantasia), produceva di tutto, dalle aspirapolveri agli sgabelli, dai gabinetti agli spazzolini e così via. Un lavoro con gli attributi, suggeritogli dal vecchio mentore e padre Herald Rogers, ex marinaio che negli ultimi anni della pensione preferì dirigere il figlio nelle sue scelte invece di fumare la pipa e dondolare sulla sua seggiola. Né lui né il figlio ebbero mai in mente di seguire percorsi di vita complicati ed è per questo motivo che insieme cercavano sempre (in un modo così naturale) la strada più semplice da percorrere per raggiungere il successo. "È la prima volta che tenta di ottenere questo posto?" borbottò il grasso riccone che sedeva dall'altro lato della scrivania. "No, perché qua risulta che lei.." un colpo di tosse lo interruppe, costringendo le sue deformi mani rovinate dagli hamburger (ognuna delle quali aveva infilato dito per dito un anello sul quale erano incise delle iniziali) a mettersi davanti alla bocca, cosicchè potessero proteggere il povero giovane da un lavaggio di sugo e cinghiale. "Dicevo.. Risulta che lei non ha completato il percorso." "Si, signore, so del percorso. Ma speravo di poterlo superare con un esame prematuro e.." nuovamente la tosse interruppe i due ma questa volta il bastardo vomitò direttamente sulle carte che Jayce aveva riposto con premura.  Fu facile per entrambi distinguere le prelibatezze che furono un tempo. "Dah! Buoh! Mi.. Mi scusi, cristo santo.." "Oh cavolo! Non si preoccupi, non è niente.." rispose il giovane mortificato, tentando di salvare quel che poteva. "Le serve una mano?" intervenì la segretaria, una donna abile con i modi tanto quanto con il corpo. Il botolone la scopava quasi tutte le sere se il fisico glielo permetteva e lei si concedeva gratuitamente. "Tu che dici? Dai una lavata, io e il ragazzo ci spostiamo di là." il braccio del possibile  datore di lavoro si alzó a quel punto (a fatica) ad indicare lentamente una porta di dimensioni pressocché insensate. Alta e stretta, non avrebbe permesso a nessuno di entrare, soprattutto a lui, che a malapena passava da quelle normali. Nel suo gesto il Sig. Barton (il nome del ciccione) aveva ruotato il busto di trenta gradi, il massimo che poteva permettergli il suo corpo, infatti il braccio non indicava perfettamente la porta ma Jayce poté intenderlo. "Mi spiace solo per il fatto che non potrò mostrarle il progetto adesso.." disse il ragazzo, asciugandosi il sudore sulla fronte come meglio poteva. Intanto Barton si era giá alzato e stranamente si stava muovendo con il suo largo e scomposto passo verso la soglia. "Non è importante, ho deciso di prenderti perché hai una bella faccia, meglio della mia che di cose ne ha già viste troppe!" seguì una grassa (appunto) risata alla quale Jayce non partecipò perchè non ne riuscì a scrutare l'ironia, a differenza della segretaria che, pulendo con un panno bagnato il prodotto di Barton, era talmente divertita da mostrare le tonsille. Clock, clock, clock e unlock! Il maiale in giacca e cravatta aprì la porta con la sua chiave dorata, mostrando al suo interno una stanza buia, dalla quale si poteva intravedere una flebile luce rossa. "Se si sente pronto come io credo, non avrà problemi a proseguire.." continuò a blaterare il pallone, incitando il concorrente con occhiate d'intesa. "Non sono sicuro di aver capito.." disse l'incredulo Jayce, rimasto seduto con la braccia a penzoloni e l'espressione di chi si sente in un incubo.  "Nessuno la prende in giro.." riprese la segretaria, sorridendo. "Lei si rilassi e segua le istruzioni, è solo una procedura." sentenziò infine, incitando anche lei il ragazzo con gesti di direzione. Man mano che si avvicinava alla porta, un leggero e sempre più forte fischio risuonava perpetuo nelle orecchie di Jayce. Il battito si faceva più rapido e il corpo rispondeva sempre meno, mentre nella mente egli poté sentire ogni movimento e attivitá interna al corpo. Era tutto così difficile da comprendere che non riuscì a spiegare a se stesso cosa stesse succedendo. "Foto di.." tentò di dire il giovane che a stento aveva notato all'interno della stanza una collezione di foto infisse alle pareti. Cosa raffigurassero, non ebbe il tempo di scoprirlo. Fu subito il buio intorno a lui, seguito da un frastuono e un vortice di voci, risate, urla e pianti. Infine solo urla e risate, poi il silenzio. Nuovamente ripresero le urla e seppure Jayce tentasse di fare lo stesso qualcosa glielo impediva. Non aveva più il controllo, il suo corpo era in balia degli eventi, sballottato, preso e tirato, straziato e poi ricomposto. Sentiva dolore, poi subito sollievo e non riusciva a rendersi conto di quel che accadeva intorno. Tutto d'un tratto, come un lampo, il disperato poté vedere una luce intensa. Era il sole, affiancato da uno sfondo blu che costituiva il cielo e una brezza che subito si svelò essere vento forte. Jayce stava precipitando nel vuoto senza sapere come mai. In realtá non mancava tanto perché toccasse il suolo, al punto che fece in tempo solo a girarsi per poi sbattere violentemente a terra, nel vero senso della parola. Si alzò una nube di polvere ed egli rimase fermo per un po', su quel terreno formato da ghiaia e pietre. Il fischio lo aveva abbandonato, il dolore era svanito, ma le voci c'erano ancora. A stento riuscì ad alzarsi e, ancora frastornato, aprì gli occhi come un neonato farebbe la prima volta. Intorno un'enorme platea lo avvolgeva e alte mura delimitavano un'area sferica. Era un'arena. Quelli sugli spalti avevano tutta l'aria di essere tifosi, persone che incitavano qualcuno e che non desideravano altro se non uno spettacolo. Ma quale spettacolo? Era Jayce l'attrazione principale? Degli uomini alti e muscolosi, sudati come un africano, lo presero e lo portarono di forza all'interno dei cancelli che davano all'esterno del loco. All'improvviso il caldo cocente diventò freschezza e l'ombra prese il posto della luce. "Svegliati, cazzo.." continuava a ripetere uno di questi schiaffeggiando il candido volto del quasi defunto che, a tempi alterni, comprendeva qualche parola in modo confuso. "Vestitelo e buttatelo dentro, non mi interessa da dove viene.." disse un uomo basso e tozzo dalla carnagione verdastra e la gamba di ferro mentre tentava di andarsene scocciato, lasciando altri quattro bestioni increduli per l'accaduto con il povero malcapitato. Ebbene sì, Jayce riprese completamente i sensi in una stanza che puzzava di muffa e cane morto, pronto per essere scaraventato dentro come il nano aveva ordinato. Scosse il capo, per poi darsi qualche schiaffo: ancora non poteva crederci. Si alzò di scatto iniziando a muovere qualche passo avanti e indietro per la camera. In un attimo si accorse di essere vestito come una statua romana, avvolto da una pesante corazza di metallo che proteggeva busto e spalle, un paio di sandali ai piedi e dei pantaloncini rossi che mostravano le cosce per intero. "Cazzo!" urlò, sbattendo i piedi. "Fatemi uscire da qui! Qualcuno.. qualcuno, Cristo santo!". Clock, clock, la porta si aprì e dietro di essa comparve un grassone dalla pelle blu (immaginate di vedere solo la pelle, perchè era nudo). "Prego, da questa parte.." disse quest'ultimo, sorridendo. Sembrava tutto così normale e i suoi modi gentili quasi risultavano invitanti, se non fosse stato per quel putridume che si poteva intravedere uscire dalla bocca a ogni lettera pronunciata. Il volto di Jayce raggelò, seguito dall'intero corpo. Fu in quel momento che il giovane si rese conto di essere diventato pazzo (o almeno così credeva) e che tutto quel che stava accadendo non poteva che essere un'invenzione della sua mente. Eppure, qualcosa gli suggeriva di andare avanti e fidarsi dei suoi istinti. Detto tra noi, non è che gli restasse molto altro da fare.
  
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