Eccoci
alla fine!
Diavolo, mi mancherà tantissimo pubblicare ogni settimana -
era un
sacco che non lo facevo, tra l’altro xD - è una
routine così rassicurante! Ma
questa è un’altra storia.
Prima
di lasciarvi al capitolo finale, volevo solo spiegare il senso del
titolo “In
my place”.
Sono
pessima a dare i titoli, perciò mi sono lasciata un
po’ guidare dalla mia
colonna sonora e tra le canzoni che ascoltavo di frequente mentre
scrivevo
c’era proprio “In my place” dei Coldplay,
che adoro. Oltre ad essere in qualche
modo azzeccata per il tema di questa FF, mi piaceva pensare alla specie
di
gioco di parole che si veniva a creare, dato che
“place” in gergo vuol dire
anche “casa”, o luogo in cui si vive insomma.
Bene,
dopo questa spiegazione patetica, vi auguro buona lettura e ci vediamo
infondo
per i ringraziamenti e i saluti finali!
Vostra,
_Pulse_
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7. Epilogue
– Day #1
«È
tutto pronto, signorina Hooper».
Molly
si voltò verso Anthea – o qualunque fosse il suo
vero nome – ed annuì con un
cenno del capo.
«Arrivo
subito».
Ascoltò
i tacchi dell’assistente personale di Mycroft echeggiare
sulle scale e si voltò
di nuovo verso la finestra da cui stava guardando l’alba di
un nuovo giorno
illuminare la sua Londra.
Col
cuore pesante come piombo sospirò e prese in braccio Toby
per poterlo infilare
nel suo trasportino.
«Sarà
un lungo viaggio, ma staremo bene. Vedrai, andrà tutto
bene», gli sussurrò,
cercando di convincere anche se stessa.
Molly
tenne gli occhi sempre incollati sul finestrino, facendo del proprio
meglio per
imprimersi nella mente le strade che non avrebbe visto per
chissà quanto tempo:
i marciapiedi pieni di persone a tutte le ore del giorno e della notte,
la
guida a sinistra, i taxi neri, le ultime caratteristiche cabine
telefoniche
rosse.
Passarono
anche di fronte al Bart’s e fu un colpo al cuore.
Le sarebbe mancato da morire
e una volta lontana sapeva che avrebbe vissuto e rivissuto i momenti
trascorsi
nel laboratorio d’analisi, nell’obitorio e persino
in mensa. Era lì che aveva
incontrato Sherlock per la prima volta, lì lo aveva aiutato
e gli aveva
permesso di rubare i suoi strumenti, i suoi cadaveri, il suo
tempo… e non solo.
Perché
non le sarebbe mancato il Bart’s di per sé, o
Londra, bensì i luoghi che per
lei avevano un significato particolare, quelli a cui erano legati i
ricordi
migliori e quelli peggiori da quando lo aveva conosciuto.
Si
ritrovò a dover tirare su col naso e Anthea le
offrì distrattamente un
fazzoletto, che Molly accettò sentendosi ancora
più piccola, insignificante e
patetica al suo fianco.
***
«Eccoti
qua, finalmente ti ho trovata», disse John, aprendo le
braccia per stringerla a
sé. «Come ti senti?».
«Nervosa,
disorientata… Grazie per essere qui»,
sussurrò Molly, staccandosi per
sorridergli dolcemente.
Il
dottor Watson si guardò intorno, rivolse un cenno di saluto
ad Anthea – la
quale non ricambiò, concentrata sul suo smartphone
– poi sospirò e con
espressione mesta disse: «Sherlock non è
venuto».
Era
più un’affermazione che una domanda, ma Molly si
sentì comunque in dovere di
difenderlo, spiegando: «Ci siamo già salutati
ieri, non avremmo avuto
nient’altro da dirci».
La
guardò intensamente negli occhi, cercando di intuire cosa
mai potevano essersi
detti, ma ogni ipotesi che formulava veniva scartata nel giro di pochi
secondi,
lasciandolo come prevedibile senza la più pallida idea.
Il
check-in era già stato fatto e i bagagli, compreso Toby,
erano già stati
imbarcati, quindi i due uomini di Mycroft, per la precisione un uomo ed
una
donna, muniti di auricolare, dissero a Molly che era arrivato il
momento di
passare i controlli di sicurezza e di dirigersi al gate
d’imbarco.
La
ragazza provò un’irresistibile desiderio di
scappare tra la folla e nascondersi
da qualche parte, oppure di aggrapparsi a John perché
impedisse loro di
portarla via, ma fu solo un momento passeggero.
«Devo
andare», disse, non senza che la voce le tremasse un poco.
«Cerca
di vederla come una vacanza, okay? Poi ci racconterai tutti i segreti
dell’FBI»,
esclamò John sorridendo, ma fu subito fulminato dai due
agenti.
«Era una
battuta», precisò, sollevando le mani in segno di
resa.
In
quel momento un mendicante dai vestiti logori si avvicinò a
loro, in
particolare a Molly, e con la scusa di farle qualche falso complimento
per
ottenere degli spiccioli le prese le mani. Subito i due agenti lo
placcarono e
lo spinsero via, cacciandolo in malo modo, e Molly sfruttò
il fatto che fossero
tutti distratti per leggere il fogliettino stropicciato che
l’uomo le aveva
lasciato tra le dita.
Quando
gli uomini di Mycroft tornarono, Molly sorrise loro brevemente e
chiese: «Posso
andare un attimo in bagno a lavarmi le mani? Non vorrei che,
sapete… Faccio in
un attimo».
I
due acconsentirono, a patto che l’agente donna
l’accompagnasse, ma Molly
insistette perché la lasciassero andare da sola.
Messa
alle strette, prese John per un braccio ed esclamò:
«Andrebbe bene se mi
accompagnasse John? È un soldato, ha affrontato moltissime
avventure pericolose
con Sherlock Holmes e ne è uscito sempre abbastanza bene,
riuscirà a
proteggermi nel caso ce ne fosse bisogno».
«Lasciateli
andare, per l’amor del cielo», borbottò
Anthea e i due agenti si ammutolirono,
dando controvoglia la propria approvazione.
Molly
si voltò e si trascinò dietro John, correndo
quasi.
«Che
cosa sta succedendo?», le chiese ad un tratto, puntando i
piedi perché si
fermasse e gli spiegasse la situazione.
L’anatomo
patologa si limitò a dargli il biglietto che quel barbone le
aveva consegnato e
riprese a correre senza aspettarlo.
John
lo aprì e dopo aver letto quelle parole scritte in modo
frettoloso con una
penna quasi scarica sorrise, scuotendo il capo.
“Worldwide
Newspapers”
SH
***
Sherlock
abbassò il giornale svedese che aveva aperto di fronte al
viso e gettò
un’occhiata verso l’uscita dell’edicola,
domandandosi come mai Molly ci stesse
mettendo tanto. Forse il senzatetto che aveva pagato non aveva portato
a termine
il proprio lavoro, forse gli uomini di Mycroft non le avevano permesso
di
allontanarsi, forse lei non voleva più vederlo.
Strinse
le labbra e si calò un po’ di più la
visiera del berretto da baseball sul viso,
dicendosi di non perdere la speranza.
Quella
notte non era riuscito a chiudere occhio, nella sua vecchia stanza del
221B di
Baker Street: rotolandosi tra le lenzuola non aveva fatto altro che
pensare a
quel bacio non dato, all’espressione che aveva visto sul viso
di Molly, e alla
fine aveva capito che non poteva lasciarla partire con
quell’ultimo suo
ricordo.
John
aveva ragione: era l’ultima occasione che aveva per mettere
in chiaro qualsiasi
cosa ci fosse in sospeso tra loro e doveva sfruttarla, prima di
pentirsene per
sempre. E anche se Molly forse ne era già a conoscenza
– conosceva praticamente
tutti i suoi difetti – doveva farle capire che infondo era un
fottuto egoista.
Con
la coda dell’occhio la vide affacciarsi
nell’edicola ed allungare il collo tra
i diversi espositori. Rincuorato che fosse corsa da lui anche quella
volta,
sorrise. Quindi chiuse di scatto il giornale svedese, attirando la sua
attenzione, e dopo averlo sistemato in mezzo a quelli francesi si
diresse verso
il fondo dell’edicola, nell’area fumetti.
Molly
lo raggiunse e la prima cosa che gli disse fu: «Non
è una buona mossa usare due
volte lo stesso travestimento».
«Ero
di fretta», le rispose, mettendosi il berretto da baseball di
traverso sulla
testa.
«Ormai
ero convinta che non saresti venuto a salutarmi, sai?».
«Beh,
John una volta ha detto che sono una drama
queen».
«E
ha ragione, eccome».
Si
scambiarono un sorriso e Sherlock si avvicinò di un passo,
sollevando le mani
per posargliele ai lati del viso.
«Mycroft
ti ha dato un incentivo, dicendoti che ho ucciso un uomo,
perché ti
allontanassi da me. L’ho fatto davvero, sai? Nel caso non ci
credessi».
Molly
respirò profondamente, posando le mani sulle sue.
«Stai per dirmi che forse
dovrei fare degli esami, che probabilmente soffro di una sindrome
simile a
quella di Stoccolma?».
Sherlock
trattenne una risata e sussurrò: «No, volevo
semplicemente darti il mio
incentivo».
Senza
darle il tempo di capire, le alzò il viso e posò
le labbra sulle sue,
intrappolandole in un bacio che se fosse stato per lui sarebbe stato
solo il
primo di diversi altri. Ma sapeva di avere i secondi contati, prima che
gli
uomini di Mycroft la individuassero e gliela portassero via.
Perciò si scostò e
posò la fronte contro la sua, obbligandola a guardarlo negli
occhi.
«Non
crearti una nuova vita, a Washington, perché tornerai qui.
Dammi un paio di
mesi al massimo. Siamo d’accordo?».
Molly,
vagamente sotto shock, annuì muovendo la testa.
«Ora
vai, Molly Hooper. E non avere paura».
L’anatomopatologa
lo guardò negli occhi e mettendocela tutta perché
la propria voce
risultasse fiera e decisa, disse: «Nemmeno tu. Ci riuscirai
anche questa volta,
ne sono certa».
Gli
sorrise e gli sistemò il cappellino da baseball in modo che
avesse di nuovo la
visiera al posto giusto, poi gli diede le spalle per uscire
dall’edicola senza
più guardarsi indietro.
Sherlock
la seguì con lo sguardo e dopo cinque minuti si diresse
anche lui verso
l’uscita, trovando John intento a girare con ben poco
interesse un espositore
di cartoline.
«E
così…», iniziò a dire il
dottore, ma il detective lo interruppe subito.
«Hai
da fare?».
«Nulla
che non possa essere rimandato».
«Bene.
Devo portare tutte le mie cose di nuovo a Baker Street».
Sherlock
sorrideva soddisfatto, come se avesse appena scoperto il crimine del
secolo, in
attesa solo che lui lo risolvesse.
John
lo affiancò con una corsetta e ridacchiò,
contando i secondi che mancavano
prima che dicesse la sua ormai celebre frase.
«Adesso
il gioco può cominciare, John».
Il
dottor Watson aprì la bocca, colpito da quel cambio di
sintassi.
Piacevolmente
colpito.
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Here
we are again!
Spero
davvero che vi sia piaciuta questa conclusione (non vedo
l’ora di sapere che
cosa ne pensate) e vi ringrazio di cuore, tutti quanti: chi ha
recensito immancabilmente
tutti i capitoli, chi passava ogni tanto, chi ha letto soltanto. Siete
tutti
importantissimi *^*
Spero
anche di tornare presto: ho qualche idea che mi frulla nella testa,
anche se il
tempo è sempre quello che è, purtroppo D:
Di
nuovo: grazie,
grazie, grazie! Lots of
love :)
Vostra,
_Pulse_