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Autore: beagle26    10/03/2014    5 recensioni
New York. Elena fa da assistente in un importante studio di PR di Manhattan. E' indipendente, determinata, ma dal punto di vista sentimentale è molto fragile ed immatura, a causa di una serie di situazioni che hanno messo alla prova le sue rigide convinzioni e minato le sue certezze.
Damon è tornato in città dopo un lungo viaggio in giro per il mondo. Si porta dietro un bagaglio di esperienze straordinarie, ma non è riuscito a liberarsi di ciò che lo tormenta. Tende a mettere alla prova le persone, a mostrare solo il lato peggiore di sé nascondendo un profondo bisogno di essere accettato.
Dal testo:
"Da qui posso vedere bene il profilo della Statua della Libertà, una piccola sagoma verde immersa tra le nuvole. Così ben piantata a terra, lo sguardo fiero puntato all’orizzonte, mi ricorda un po’ me stessa fino a poco tempo fa.
Oggi però la mia libertà la voglio immaginare diversamente.
Come una piuma che ondeggia nell’aria e si appoggia su un ramo per godersi un raggio di sole.
E poi, in una giornata di pioggia, un’improvvisa folata di vento la porta via con sé… ma non fa niente. Potrebbe essere un bel volo."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 9
 
In un silenzio di tomba s’inerpicano su per un sentiero
scosceso, buio, immerso in una nebbia impenetrabile.
E ormai non erano lontani dalla superficie della terra,
quando, nel timore che lei non lo seguisse, ansioso di guardarla,
l’innamorato Orfeo si volse: sùbito lei svanì nell’Averno;
cercò, sì, tendendo le braccia, d’afferrarlo ed essere afferrata,
ma null’altro strinse, ahimè, che l’aria sfuggente.
Morendo di nuovo non ebbe per Orfeo parole di rimprovero
(di cosa avrebbe dovuto lamentarsi, se non d’essere amata?);
per l’ultima volta gli disse ‘addio’, un addio che alle sue orecchie
giunse appena, e ripiombò nell’abisso dal quale saliva.
 
Metamorfosi – Ovidio
 
Sono passate quasi tre settimane da quel famoso venerdì sera, quando finalmente Damon ha iniziato ad aprirsi con me e io ho deciso di dare spazio all’imprevedibilità e al rischio iniziando questa sorta di… qualsiasi cosa sia, insieme a lui.
 
Tre settimane in cui entrambi, per motivi diversi, ci siamo rimessi in gioco. Io accantonando l’ansia di dover sempre tenere tutto a bada, il bisogno di ricercare costantemente situazioni gestibili per difendermi dalla paura del cambiamento, che per troppo tempo ha paralizzato la mia esistenza. Lui affidandosi a me, schiudendo un piccolo spiraglio sul suo passato doloroso, imparando a condividerlo per poterlo accettare.
È stato come conoscerlo una seconda volta, come se mi avesse aperto la porta del suo vero essere.
 
Tre settimane in cui gli sono stata accanto durante i suoi incubi notturni, fino a che una notte me ne ha confessato la ragione. Ed è stato angosciante, terribile. Non so spiegare la sensazione di saperlo così, né contare tutte le lacrime che ho versato o definire l’odio che ho provato nei confronti del suo padre adottivo. Eppure da quella volta, qualcosa è cambiato. Inaspettatamente ha iniziato a dormire tranquillo, come se buttare fuori quel dolore lo avesse aiutato ad allontanarlo, almeno dai suoi sogni.
 
Tre settimane in cui abbiamo parlato a lungo di Will e ho fatto del mio meglio per convincerlo a non cercarlo più, senza riuscirci. Non vuole sentire ragioni, né da Ric, né da Stefan, figuriamoci da me.
Perlomeno ha fatto pace con suo fratello, la cui unica colpa è quella di cercare in tutti i modi di proteggerlo, forse spinto dal bisogno di sopperire per quanto possibile a tutto il male che Giuseppe gli ha fatto.
 
Tre settimane in cui ho desiderato conoscerlo, curiosa di qualsiasi cosa lo riguardasse. Voglio sapere tutto di lui. Ho iniziato a comprargli i biscotti integrali, perché come fai a mangiare quella roba piena di schifezze.
Ho imparato ad amare la sua bella faccia assonnata appena sveglio e quei silenzi solo nostri, i silenzi che non mettono a disagio, come li chiama lui. Ho scoperto che ha il pessimo vizio di lasciare le tazze del caffè sporche in giro per la casa, cosa per cui Bonnie lo rimprovera spesso, che è allergico ai gamberetti, che detesta l’acqua frizzante. E quella sensazione strana e bella, quando ti innamori di una persona e vuoi farci l’amore sempre. Ma io mi sto innamorando di Damon? Non lo so, ho deciso di non chiedermelo, ma non so se adesso potrei mai fare a meno di tutta la vita con cui ha riempito la mia, di vita. Lui che mi sta trascinando in luoghi che non conosco, di cui ignoravo completamente l’esistenza.
 
Stamattina quando ho aperto la finestra ho trovato una sorpresa ad attendermi: questa notte ha nevicato, tanto che New York si è risvegliata coperta da almeno dieci centimetri di coltre bianca.
I tetti, i marciapiedi, gli alberi, ogni cosa è rivestita da quel soffice manto, capace di attutire addirittura i fastidiosi echi del traffico sempre rumoroso e caotico. Tutto è avvolto da un’atmosfera irreale.
Così, mentre andavo a lavoro, ho deciso di scendere sulla 7^ avenue anziché alla solita fermata, per poter attraversare Central Park ricoperto di neve fresca. Era quasi completamente deserto e assurdamente silenzioso.
Ho incontrato solamente dei ragazzini che avevano abbandonato i loro zainetti colorati su una panchina per fare una battaglia a  palle di neve prima di andare a scuola, facendo un chiasso pazzesco. Tutto intorno a me era bellezza, ovunque posassi lo sguardo. Per un attimo ho avuto l’impressione di passeggiare in una favola.
 
 
Prima di salire in ufficio mi fermo al bar a prendere una tazza di caffè per riscaldarmi un po’.
Entrando mi trovo davanti un Matt decisamente su di giri, con i capelli sconvolti e gli occhi lucidi e felici.
Tiene in mano una bottiglia di quello che sembra essere spumante, intento a riempire dei bicchierini di plastica. Riconosco alcuni suoi amici della scuola di teatro, tutti parecchio euforici, e mi avvicino perplessa, cercando di capire cosa stia succedendo.
 
“Ciao Elena! Forza, serviti pure!”
 
Gli lancio un’occhiata interrogativa, piegando la testa da un lato e portandomi le mani ai fianchi.
 
“Ti sei bevuto il cervello Matt? Non sono neanche le nove del mattino.” lo rimprovero, ricevendo in cambio un’occhiataccia e una smorfia mezza ubriaca.
 
“Non fare la maestrina petulante, oggi si festeggia! Mi hanno preso Elena! Reciterò in Chorus Line!” ribatte, mentre un sorriso di pura gioia gli si dipinge sul volto arrossato.
 
“Ce l’hai fatta! Wow, è fantastico!”
 
Si sporge sul bancone per avvolgermi in un abbraccio che io ricambio affettuosamente, orgogliosa di vederlo realizzare il sogno che ha inseguito con le unghie e con i denti fin dal giorno in cui si è trasferito a Manhattan.
 
“Grazie Elena! E tieniti libera per stasera. Si festeggia!” mi bisbiglia, soffocandomi nella sua stretta.
 
“È solo che domani c’è l’inaugurazione della mostra di cui ti ho parlato. Sono un po’ presa col lavoro.” rifletto ad alta voce. Sto già visualizzando mentalmente la montagna di scartoffie che mi attende al piano superiore.
 
“Non accetterò un no come risposta. Ci saranno tutti i miei amici, non puoi mancare proprio tu. Tu che mi hai sempre sostenuto, che ti sei sorbita le mie prove e tutti i noiosissimi film che ti ho costretta a vedere.” risponde, liberandomi dalla presa e pescando un grande bicchiere di carta dalla pila accanto alla cassa per riempirlo subito dopo di caffè bollente e piazzarmelo davanti.
 
“Non erano così noiosi, è che a volte facevo un po’ fatica a capirli. Non sono esattamente una radical chic.” commento, facendo spallucce.
 
“Allora ci sarai?”
 
Ci penso un secondo, valutando le possibilità. Infondo si tratta solo di andare a bere qualcosa dopo il lavoro. Una piccolissima parte di me mi dice che Damon non sarà proprio entusiasta, visto che Matt non gli va esattamente a genio, ma quando gli spiegherò la situazione non avrà da ridire. Non che ci siano precise definizioni o direttive nel nostro rapporto che ci impediscano di frequentare chi ci pare. Diciamo che è una specie di regola non scritta.
 
“E va bene, mi hai convinta. Verrò con voi. Non capita tutti i giorni che uno dei tuoi migliori amici diventi una star di Broadway.” gli sorrido.
 
“Ok, ti aspetto qui dopo il lavoro. Puntuale, non uscire con mezz’ora di ritardo come tutte le sere. Ricordati che non ti pagano gli straordinari.” Mi fa un occhiolino e sorride soddisfatto.
 
“Adesso vado, sono in ritardo.”
 
***
 
“Damon sei qui?”
 
Sento la voce di Stefan prima ancora di vederlo. Aspetto ancora qualche secondo per poi alzare gli occhi dallo schermo del pc ed incontrare il suo sguardo, che oggi mi sembra più corrucciato del solito.
 
“Qual buon vento fratello?” chiedo alzando un sopracciglio, cercando di immaginare quale possa essere la causa della sua preoccupazione, anche se devo ammettere che quell’aria afflitta è uno dei suoi tratti distintivi, insieme ai capelli sempre perfetti.
Stefan si avvicina alla mia scrivania. Lo vedo sospirare di frustrazione quando estrae da dietro la schiena la famosa busta gialla, quella che mi nasconde da quasi un mese.
La osservo per un lungo istante, in silenzio, dimenticandomi della presenza di mio fratello nella stanza.
Finalmente è giunta l’ora della resa dei conti.
 
“Bene, bene, bene. Addirittura con un giorno di anticipo? Sei molto generoso Stef, davvero, grazie.” commento ironico, mentre un’espressione fintamente compiaciuta mi si dipinge automaticamente in viso.
 
“Quando la finirai?” ribatte, e sembra più una preghiera che una richiesta.
 
Per tutta risposta gli rivolgo un sorriso sardonico. Non ce l’ho veramente con lui, voglio solo fargliela pagare per il ridicolo giochetto con il quale mi tiene in scacco da un mese, facendo leva sui miei sensi di colpa con la scusa dell’affetto fraterno. Anche se, col senno di poi, devo ammettere che la sua insistenza in qualche modo mi è servita. Stefan si siede di fronte a me e mi allunga la busta attraverso la scrivania.
Non la tocco subito, mi limito a studiarla.
Mi soffermo sul francobollo, dove è dipinto un qualche monumento italiano di cui ignoravo l’esistenza. Inseguo le linee scure che compongono quella calligrafia tondeggiante, immaginando la mano misteriosa che ci ha scritto sopra “Stefan Salvatore 147, Spring Street – New York”.
 
“Ogni promessa è debito Damon. Ti avevo chiesto di aspettare e lo hai fatto. E anche se non sono riuscito a farti entrare in testa che stai sbagliando tutto, sono ancora convinto di quello che ti ho detto. Sarai tu a decidere. Tu e nessun’altro. Già troppe persone in passato hanno scelto per te, io non voglio essere fra queste.”
 
Non rispondo. Lo guardo solo per un attimo, ma l’ironia è sparita lasciando posto alla rabbia. Tutti i ricordi dolorosi mi affiorano alla mente come un’onda di piena, la invadono. Per un secondo ho paura che offuschino anche la mia ragione. Ma no, questo non deve accadere, devo restare lucido.
La decisione ormai è presa. Il mio sguardo scivola di nuovo sulla busta, che ora mi appare come una macchia gialla indistinta sul piano di legno. La prendo fra le mani, la tengo sollevata ancora per qualche secondo.
 
E poi, con un gesto secco e deciso, la strappo.
 
La distruggo in mille pezzi che lascio cadere sotto lo sguardo sconcertato di Stefan.
È strana la sensazione che provo subito dopo. È come se la mia mente si liberasse di colpo dalla nebbia che la intorpidiva, come se invece della carta mi stessi strappando via il dolore dal cuore.
 
“Ma come… che è successo? Perché lo hai fatto?” balbetta Stefan, completamente scioccato. Lo vedo sbattere le palpebre più volte e sgranare gli occhi, stupito e felice.
 
“Perché avevi ragione Stef. Posso andare avanti, posso farcela e voglio provarci. Sono stanco di questa storia. Hai sempre avuto ragione e io torto, tutto questo mi stava uccidendo. E adesso quello che voglio è ricominciare.”
 
Stefan sorride incredulo. Proprio non se lo aspettava, dopo tutta la fatica fatta per provare a convincermi a voltare pagina, senza trovare in me nemmeno il più piccolo spiraglio.
Eppure, a un certo punto, qualcosa dentro di me è cambiato e ho cominciato ad ascoltarlo in modo diverso.
Improvvisamente la vendetta non era più la cosa più importante, l’unico obbiettivo della mia vita.
Ho smesso di pensare a me stesso come l’unica persona col diritto imprescindibile di soffrire e ho messo da parte il mio atteggiamento intollerante verso tutto quello che mi circonda. Forse sono le persone infelici a commettere questo sbaglio, quello di criticare costantemente qualsiasi cosa per scaricare il proprio dispiacere sugli altri. E adesso mi sento diverso. È come se mi sentissi unito a un sentimento nuovo, un qualcosa di misterioso che mi riempie. Non lo so se questo significa essere felici, ma so per certo che inaspettatamente sto bene.
 
“Non puoi immaginare quanto sono contento, non ci posso credere.” mi ripete, allegro e ancora piuttosto spiazzato.
 
“Non ti emozionare troppo fratello. Guarda là, ti sei spettinato…” scherzo, indicandogli il ciuffo e vedendolo istantaneamente portarsi una mano ai capelli per aggiustarli.
 
“Sei sempre il solito coglione.”
 
“Che vuoi farci, certe cose non cambiano mai. Non pretendere troppo da me.” ribatto, facendo spallucce e allungandomi sulla sedia.
 
“Già… senti Damon io adesso ho una riunione. Ne parliamo dopo a casa, ok?”
 
Si alza e si avvicina  alla porta.
 
“Ehi Stef…”
 
“Cosa?”
 
“Grazie.”
 
Stefan non risponde, si limita a scuotere la testa mentre una scintilla di gioia gli illumina lo sguardo.
È evidente che non aveva assolutamente previsto questa svolta.
Quando esce, il mio primo istinto è quello di chiamare Elena. Nemmeno lei sa nulla della mia decisione, e adesso vorrei semplicemente averla qui per dirle che sono felice. E poi, dirle grazie.
Grazie per essere entrata nella mia vita con tutta la tua ostinazione, di aver aspettato, di aver compreso. Grazie per avermi regalato una nuova prospettiva, per esserti fidata di me, nonostante tutto.
Non so spiegare quale assurdo miracolo abbia fatto o come sono arrivato a questo punto.
Saranno quei suoi occhi grandi, quel sorriso capace di esplodermi dentro, forse la sua dolce e infinita testardaggine o tutto questo insieme.
Forse sono semplicemente un coglione come dice Stefan, e a furia di stare con lei sono peggiorato.
Forse è solo che insieme a lei sento di poter essere migliore.
Quando la chiamo rimango in attesa per un po’,  facendo squillare il telefono a vuoto. Lei non risponde, sicuramente sarà incasinata con l’inaugurazione. Decido di andare a prenderla più tardi.
 
 
 
È da mezz’ora che aspetto in macchina, fuori dal palazzo dove ha sede la Mikaelson. Di Elena nessuna traccia, eppure sono quasi le otto e ho visto uscire alcune sue colleghe già un quarto d’ora fa. Mi domando dove possa essersi cacciata. Provo a farle l’ennesima telefonata, sperando che non cada la linea come le ultime cinque volte. Sarà colpa di tutta questa dannata neve. Ha ricominciato a scendere poco fa, una vera e propria tormenta di enormi fiocchi bianchi che sta letteralmente paralizzando New York.
E come se non bastasse fa anche un freddo cane, e io qui fuori mi sto congelando.
Questa volta il telefono suona libero e finalmente la sento rispondere dall’altra parte.
 
“Era ora Elena…”
 
“Ciao Damon, stavo proprio per chiamarti ma il cellulare non prende. È stata una giornata d’inferno.” sospira, con la voce un po’ trafelata. Sento un brusio di fondo, come di gente che parla e forse musica.
 
“Ma dove sei?” chiedo, scendendo contemporaneamente dall’auto per andarmi a riparare sotto il portone del palazzo, convinto che fra qualche istante la vedrò comparire, trafelata e luminosa, come sempre.
 
“Sono uscita con Matt e i suoi amici, stiamo festeggiando il suo primo ingaggio importante e…”
 
“Scusa? Mi prendi in giro? Quel Matt?” la interrompo.
 
“Si lui…  ma non fare storie, per favore.” La sento sbuffare di frustrazione, riesco perfino a immaginarmi la sua faccia in questo momento.
 
“Non sto facendo nessuna storia, il fatto è che ti sto aspettando sotto l’ufficio da mezz’ora. Devo dirti una cosa importante.” rispondo, lasciando trasparire più di quanto vorrei il mio fastidio nell’apprendere che è chissà dove col maledetto barista che si crede il nuovo Montgomery MacNeil, sapendo benissimo che non lo sopporto. E chissenefrega del suo stupido ingaggio.
 
“Mi dispiace. Ti avrei chiamato ma… E’ che adesso proprio non posso. Non me la puoi dire per telefono questa cosa importante? Ti direi di raggiungermi, ma lo so che voi due non vi prendete più di tanto. Finiresti per farlo incazzare come al solito, proprio oggi che è una giorno così importante per lui.” risponde con un sorriso nella voce.
 
Già, proprio oggi, un giorno importante, per lui. Non fa una piega.
 
“Scusami Damon. Ti prometto che ne parleremo, domani. Non potevo proprio rifiutarmi, lo sai che ci teneva tanto. Adesso devo andare. Ti chiamo dopo, ok?”
 
Mi sta liquidando.
 
“Ok.”
 
Faccio scorrere il pollice sul rettangolo rosso, interrompendo bruscamente la conversazione.
Quando sollevo gli occhi dal display incontro lo sguardo celeste e perfettamente truccato di Rebekah. Rimane in silenzio per qualche istante, un sorrisetto ironico sulle labbra mentre mi squadra dalla testa ai piedi. Non credo che sia molto entusiasta di vedermi, dato che da qualche settimana la sto accuratamente evitando. E per quanto ne so, accettare un rifiuto non è esattamente il suo forte. Eppure ha un’aria divertita e non riesco a indovinare cosa le stia passando per la testa.
 
“Ma guarda un po’ chi c’è. Finalmente, è da una vita che non ti fai vedere. Fammi indovinare… mi stavi aspettando.” mi dice, facendo un passo nella mia direzione. La sua voce è carica di ironia.
 
“Veramente ci siamo incontrati anche la scorsa settimana. Te la ricordi la riunione con Ric?” le rispondo distrattamente, incrociando le braccia sul petto.
 
“Già, però oggi Ric non c’è. Quindi, se non stavi aspettando me, mi spieghi come mai sei qui?” continua, con il suo tono più pacato e rilassato, sorridendomi sempre.
Ho già capito dove vuole arrivare, non è una stupida e l’intuito non le manca. Mi divertirei parecchio a risponderle con la verità, ma sono sicuro che Elena la prenderebbe molto male. Il fatto che il suo capo venga a sapere cosa c’è tra di noi è una delle sue più terribili paranoie, cosa che mi infastidisce, anche se in parte la capisco.
 
“Beh sai, passavo di qua… casualmente.” replico con un’alzata di spalle, sorridendole a mia volta con la stessa ironia che leggo sul suo viso. Lei non si scompone, sembra addirittura compiaciuta della mia risposta, quando sappiamo entrambi che è una grandissima cazzata.
 
“Se vuoi scusarmi Rebekah, ho un impegno.” mi congedo, rivolgendole un mezzo sorriso e osservando la mia auto che in pochi minuti si è già ricoperta di uno spesso strato bianco. Sto quasi per avviarmi sotto la tormenta di neve, quando la sento parlare di nuovo.
 
“Aspetta Damon, non così presto.”
 
“Che c’è?”
 
“Facciamo due chiacchiere, no? Ti va?”
 
***
 
Quando entro nell’androne del palazzo sono costretta a sbattere più volte i piedi sullo zerbino, tentando di far scivolare via i fiocchi bianchi che si sono incollati ai miei stivali. Non ha fatto altro che nevicare per tutta la notte e anche oggi il cielo è completamente bianco, il che preannuncia un’altra tormenta in arrivo. Appoggio la borsa per terra, mi tolgo il berretto riavviandomi i capelli con le mani congelate. Poi estraggo il cellulare dalla tasca del cappotto. Ancora non mi ha chiamata. Possibile che se la sia presa così tanto per una stupidaggine del genere?
Ieri sera gli ho telefonato dieci volte e non ha mai risposto. Per un attimo mi sono anche preoccupata, volevo addirittura chiedere a Care se poteva avvisare Stefan. Poi ho ragionato, mi sono obbligata a non essere paranoica come al solito. Infondo non è successo niente di male, prima o poi si deciderà a rispondere. Quando ci si mette è veramente ingestibile.
 
Scendo dall’ascensore e attraverso la porta a vetri dell’ufficio, dirigendomi alla mia postazione che ritrovo esattamente come l’avevo lasciata ieri sera: sommersa di fogli e di cataloghi della mostra di Ric.
Oggi è il grande giorno, ho ancora una montagna di cose da fare prima dell’inaugurazione di questo pomeriggio. Mentre mi levo la giacca, lancio un’occhiata all’iPhone che ho appena appoggiato sulla scrivania. Forse potrei fare un ultimo tentativo prima di iniziare a lavorare.
Senza pensarci troppo ricompongo il numero di Damon, infilando il telefono tra l’orecchio e la spalla mentre sposto alcuni fogli che occupano la tastiera del pc. Nessuno risponde, proprio come prima, ma adesso è un altro rumore ad attirare la mia attenzione.
Riconosco prima la suoneria, e poi il telefono. Solo che lui non c’è. È Rebekah che improvvisamente trovo in piedi davanti a me, col cellulare di Damon fra le mani e un’espressione soddisfatta sul viso.
 
“Cercavi questo?”
 
Non riesco a rispondere. L’unica cosa su cui posso concentrarmi è quel rettangolo lampeggiante fra le sue mani, dove vedo comparire il mio nome. Chiudo frettolosamente la chiamata, totalmente in imbarazzo. Cosa diavolo sta succedendo?
 
“Sei proprio una bambina Elena. Credevi che non mi fossi accorta di niente? Pensavi che fossi così ottusa da non notare la faccetta rimbambita che hai ultimamente? Mi hai presa proprio per una stupida, ma se c’è una stupida fra noi due, quella non sono certo io.”
 
“Rebekah…” balbetto, osservando la sua espressione soddisfatta e il suo sorriso pieno di commiserazione.
 
“Lo so cosa ti stai chiedendo. Vuoi sapere perché ce l’ho io, vero?” dice, sollevando la mano ad indicarmi il telefono. Non riesco a dire nulla, rimango immobile. Aspetto una spiegazione, perché sono sicura che ci sia. Deve esserci un motivo. Continuo a ripetermelo mentre mi sforzo in tutti i modi di ricacciare indietro le lacrime che mi stanno riempiendo gli occhi. Non può essere, Elena, non può essere.
 
“Chiedilo a lui. Chiedigli perché ieri sera era con me.”
 
Il respiro mi si blocca in gola ed è come se non vedessi più niente. Non è possibile, mi sta mentendo. Allora perché? Una lacrima sfugge al mio controllo, rotolandomi sulla guancia. Sollevo automaticamente la mano per scacciarla dal viso. Il sorriso di Rebekah si allarga ancora di più.
 
“Me la farai pagare adesso, non è così?” dico, senza nessuna inflessione nella voce. Mi sento così vuota che non mi importa nemmeno della sua risposta. Abbasso gli occhi sulla scrivania, senza riuscire a vederla.
 
“Stai tranquilla Elena, non ho intenzione di fare proprio niente. Te la cavi benissimo da sola. E adesso ne pagherai le conseguenze sulla tua pelle. Mettiti al lavoro, il tempo corre e oggi c’è una conferenza stampa che ci aspetta.”
 
La vedo allontanarsi e rinchiudersi nella stanza di vetro, sbattendo la porta. Proprio in quel momento sento squillare il telefono sulla mia scrivania. Lo lascio suonare un po’, respirando. Mi porto una mano al petto, cercando di rallentare il suo rapido alzarsi e abbassarsi. Nella mia mente si stanno affollando troppe domande, talmente tante che non riesco a concentrarmi su nessuna.
Poi afferro la cornetta e mi schiarisco la voce, cercando invano di riprendere il controllo di me stessa.
 
“Mikaelson Communications, buongiorno.”
 
“Elena…”
 
“Cosa vuoi?”
 
“Scusa è che è successo un casino…”
 
“Non scusarti. Non abbiamo niente da dirci.”
 
***
 
Quando arrivo all’ICP insieme a Ric, vedo subito Elena intenta a disporre delle cartelline sul tavolo, fuori dalla sala riunioni che è stata riservata per la conferenza stampa della mostra. Non riesco a scorgere il suo viso, chinato sui fogli di carta.
Mi separo da Ric, spedendolo con una scusa a dare un’occhiata alla disposizione delle foto insieme a Stefan, e mi avvicino a lei. Quando si volta e si accorge di me, la sua espressione si indurisce di colpo. I suoi grandi occhi gonfi e arrossati si posano indifferenti sul mio viso per qualche secondo, per poi ripiombare sul tavolo senza una parola.
 
“Mi vuoi dire cos’hai?”
 
Mi avvicino un po’ di più, rivolgendomi a lei col tono più rilassato che mi riesce.
 
“Te l’ho già spiegato, non ho assolutamente niente da dirti. Adesso se vuoi scusarmi, ho del lavoro da fare.” risponde freddamente. Poi torna a mescolare a casaccio le cartelline e i cataloghi.
 
Senza pensarci troppo la prendo per un gomito e la strattono, costringendola a seguirmi nella sala ancora deserta. La sento incespicare un po’ sui tacchi, ma mi viene dietro in silenzio, facendomi innervosire ogni secondo di più.
Quando siamo dentro chiudo la porta e cerco il suo sguardo. La vedo incrociare le braccia sotto il seno e osservare le punte delle sue scarpe con noncuranza, mordendosi l’interno della guancia.
 
“Quando avrai finito col gioco del silenzio, mi spiegherai cosa ti prende.”
 
Alle mie parole alza gli occhi, puntandomeli dritti in faccia. È sconvolta, come non l’ho mai vista fino ad oggi.
 
“Dimmelo tu. Cosa ci facevi con Rebekah ieri sera?” ribatte gelida.
 
“Cosa ti ha detto? Anzi no, riformulo. Qualsiasi cosa ti abbia detto, come fai a crederci?”
 
Continua a non rispondere, stringendosi sempre di più nella giacca. Mi avvicino di nuovo e la prendo per il polso, costringendola a guardarmi negli occhi. Nei suoi leggo una rabbia cieca, che non ammette sconti. Eppure si ostina a restare in silenzio.
 
“Dì qualcosa Elena, incazzati, ma almeno parla.” Il suo sguardo trema per un secondo nel mio, e questa volta non lo abbassa. Mi fissa completamente muta per qualche istante, con un’espressione disgustata e una luce furiosa negli occhi.
 
“Dimmi che ieri sera non eri con lei e io ti crederò.”
 
Il mio silenzio a questa affermazione serve solo a farla incupire di più. L’atmosfera nella stanza si carica di tensione.
 
“Sei andato da lei perché sono uscita con Matt? O perché lei non fa domande? No aspetta, fammi indovinare. Non hai firmato nessuna esclusiva, non è così? È questo vero? Mi dispiace Damon, non posso starti dietro, non se queste sono le regole. Come hai fatto a farmi una cosa del genere quando io…” mi urla contro, senza neanche prendere fiato.
 
“Tu cosa?”
 
“Lascia perdere…” risponde, divincolandosi dalla mia presa.
 
“Come fai a fidarti di lei e non di me?”
 
“Beh non mi pare che ci siano dubbi. Non mi fido di te perché non sei capace di accettare l’amore degli altri. Continui a vivere solo per l’odio che ti porti dentro. Non riesci proprio a rendertene conto.”
 
Mi dice quest’ultima frase con una freddezza e una lucidità sconcertanti. Subito dopo sembra pentirsene, ma ormai è troppo tardi per tornare indietro. Le sue parole mi feriscono più di quanto avrei creduto possibile.
 
“Sai cosa ti dico? Se la pensi così hai ragione. Non abbiamo proprio niente da dirci.”
 
***
 
Quando la conferenza stampa inizia, non ho ancora finito di appendere le giacche alla rella. Ovviamente è questo il compito che mi è stato assegnato, non posso certo assistere. Mentre afferro uno dei tanti cappotti scuri dal mucchio davanti a me, la stringo per un attimo fra le mani e respiro a fondo.
Dopo la lacrima solitaria versata davanti a Rebekah, non sono più riuscita a piangere.
Mi sento malissimo, ma è come se fossi anestetizzata, intorpidita. Come se tutto questo dolore non volesse saperne di andarsene da me. Ho paura che non riuscirò mai più a liberarmene. E mi odio per questo, e anche perché prima stavo per dire a Damon che non sono più capace di vivere questa storia così come viene, per il semplice fatto che io sono innamorata di lui. A quanto pare stiamo viaggiando su due lunghezze d’onda completamente diverse, mi sono semplicemente raccontata una bugia tutta mia fino ad oggi, quando Rebekah mi ha strappata a forza dalla mia assurda favoletta. Avrei dovuto dirglielo? Sarebbe cambiato qualcosa?
 
“Signorina, è oggi che inaugura la mostra di fotografia?”
 
Una voce maschile mi distoglie dai miei pensieri. Non riesco a voltarmi verso l’uomo che ha parlato, troppo imbarazzata e orgogliosa per mostrargli la mia faccia ancora sconvolta.
 
“Aprirà al pubblico domani, oggi c’è la conferenza di inaugurazione riservata alla stampa. Lei è un giornalista accreditato?” gli chiedo.
 
“Veramente no… ma ho fatto tanta strada per venire qui signorina.”
 
Finisco di appendere il cappotto e mi aggiusto la giacca del tailleur, cercando di prendere tempo.
Ci mancava solo il solito infiltrato che vuole scroccare il buffet. Mi toccherà cacciarlo in malo modo, e non ho nessuna voglia di arrabbiarmi ancora.
 
“Beh mi dispiace, ma oggi è aperta solo alla stampa. Ho paura che dovrà ritornare domani.” ribatto acida, voltandomi nella sua direzione. Mi trovo davanti un uomo di mezza età, alto, con i capelli scuri. Indossa un paio di jeans e un giubbotto pesante. Il suo volto è tranquillo e sorridente.
Ma quello che mi sconvolge realmente sono i suoi occhi. Così chiari, così azzurri come…
 
“Mi dispiace insistere, ma sono venuto apposta dall’Ohio. Ho letto un articolo riguardo la mostra sul giornale e così… sto cercando uno dei curatori. Damon Salvatore. Sa dove posso trovarlo? Posso aspettare se ora è impegnato.”
 
“Beh, a  dire il vero… senta mi lasci il suo nominativo, vedrò cosa posso fare.”
 
“Mi chiamo Will. Will Nolan.”
 
*****
Ciao! Se non ci avete capito niente avete ragione! Ogni cosa a suo tempo… :) :) Purtroppo sono di corsissima anche oggi quindi ne approfitto per ringraziare chiunque passi di qua, anche i lettori silenziosi che ho scoperto essere un sacco… forse c’è un errore nei conteggi, comunque anche se foste in 3 meritate un grandissimo GRAZIE.
Baci
Chiara

 
  
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