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Autore: 1rebeccam    10/03/2014    14 recensioni
ULTIMO CAPITOLO scrisse all’inizio del foglio di word a lettere maiuscole, mosse il mouse e puntò il cursore sull’icona ‘centra’.
La scritta troneggiò al centro superiore del foglio virtuale.
Si sistemò per bene sulla poltrona di pelle e, sospirando, cominciò la fine del suo racconto.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Capitolo 23
 
 

La spalliera del lettino, inclinata quasi a 90° gli dà la possibilità di stare praticamente seduto. Le pareti della stanza sono colorate di un tenue azzurro e non di quell’orribile bianco, accecante e antipatico, che caratterizza di solito gli ospedali. Non si trova nella saletta del pronto soccorso stavolta, ma nell’ambulatorio attiguo allo studio del dottor Travis.
Accanto a lui c’è un carrellino con provette, laccio emostatico ed una siringa che non promette niente di buono.
Grazie al cielo l’ago non sembra essere proporzionale alla sua grandezza.
Sposta lo sguardo, pensando a quanto sia stupido avere paura degli aghi, specie quando una tossina velenosa lo sta portando lentamente alla morte, ma è più forte di lui.
Ferma lo sguardo sulle due stampe attaccate alla parete di fronte. Raffigurano entrambe l’oceano, ma con due prospettive  diverse. Nella prima, l’immensa distesa d’acqua è baciata da uno splendido tramonto, nella seconda è scossa da una vera e propria tempesta.
Chiude gli occhi e poggia la testa al cuscino, pensando che quelle due stampe sono l’esatta raffigurazione della sua anima in quel momento.
Pensa alla sua famiglia, a Kate, a quello che potrebbe finalmente costruire con lei e sente il tramonto invadergli il cuore. Poi pensa alla situazione attuale, ai sogni che aveva ancora quella stessa mattina, infranti nelle pagine scritte da Scott Dunn, pensa a come poter guardare sua madre e sua figlia negli occhi e non sentirsi perdere nel nulla e la tempesta gli stravolge il cuore.
Poco prima lui e Kate hanno percorso quel tratto di boscaglia che li ha riportati alla realtà, mano nella mano. Senza dire una parola o guardarsi, solo stringendosi le mani, come se la stretta dell’altro potesse trovare soluzione a tutto. Anche in macchina non hanno parlato, non c’era nient’altro da dire, solo trovare Scott Dunn.
E’ seduto su quel lettino da un paio di minuti, Kate dovrebbe essere fuori dalla porta e non riesce a capire perché il dottor Travis non l’abbia lasciata entrare. Lo sente armeggiare con qualcosa nella stanza accanto. Riapre gli occhi e guarda ancora le due anime disegnate nelle stampe davanti a lui, mentre il medico gli si avvicina mettendogli il laccio emostatico al di sopra del gomito sinistro.
-Come si è sentito in queste ore?-
Gli chiede mentre stringe il laccio di lattice e batte le dita sul braccio per fare evidenziare la vena.
-Bene, non ho avuto nessun dolore, mi sento solo un po’ stanco.-
Il dottor Travis prende la siringa, l’avvicina al suo braccio e poggia l’ago sulla vena.
Contrariamente a quanto era successo le poche volte che ha fatto un prelievo, non distoglie lo sguardo e posa gli occhi sull’ago che penetra nella sua carne. Il medico toglie il laccio emostatico e lentamente tira lo stantuffo della siringa, facendo risalire il sangue dall’ago all’interno di essa.
E’ riuscito a guardare, non ha sentito nemmeno dolore quando l’ago è entrato. Che sensazione strana guardare quel liquido rosso scuro risalire fino quasi a riempire completamente la siringa e pensare che lì dentro c’è la sua vita che se ne sta andando lentamente.
Un pezzetto di garza sterile copre l’ago che esce lentamente dal suo braccio, chiude gli occhi e deglutisce.
-Tutto bene?-
Gli chiede Ben, pensando che avesse avuto un capogiro per il prelievo e lui annuisce.
-Sto solo pensando che se intende togliermi questa quantità di sangue ogni volta, non sarà il veleno ad uccidermi!-
Il dottor Travis sorride, coprendo l’ago con il cappuccio sterile nello stesso istante in cui qualcuno bussa alla porta. Rick  s’illumina un attimo pensando fosse Kate, ma sospira quando entra la dottoressa Dobbson.
Il dottor Travis nota la sua espressione accigliata e non può fare a meno di scuotere la testa.
-Si è fermata qui fuori a parlare con Lanie.-
Castle non risponde, non si sorprende nemmeno che il  medico lo abbia sgamato così facilmente.
-La dottoressa Dobbson manderà dei campioni anche all’istituto di tossicologia, loro sono più addentrati nel campo, magari sono più bravi di noi…-
Lascia la frase in sospeso scambiandosi uno sguardo d’intesa con Claire, che prende la siringa.
-Ha avuto bisogno della medicina che le ha dato Ben? Mi serve saperlo per regolarmi con i risultati.-
Lo chiede con un tono talmente dolce, che lui non può fare a meno di sorriderle.
-No, finora sono stato bene.-
Lei annuisce e si tira su gli occhiali con il dito, cosa che fa ogni volta che si sente in imbarazzo, questo ormai è un indizio certo.
-Bene, allora ci vediamo tra qualche ora signor Castle.-
Lo saluta con un sorriso e rivolge lo sguardo al collega, che le fa un cenno di saluto con la testa. Lei si schiarisce la voce in maniera impercettibile e si sistema, ancora una volta senza motivo, gli occhiali, per poi praticamente correre verso la porta, tanto velocemente che non la chiude nemmeno.
Castle solleva un sopracciglio quando nota il dottor Travis fermo a guardare l’uscita ormai vuota.
Altro indizio!
-E’ una ragazza in gamba, sono in buone mani!-
Esclama continuando a guardarlo mentre ammira la porta vuota come inebetito. Finalmente lo vede riscuotersi, prende un cerotto dal carrello e gli medica il braccio.
-Ed è anche molto carina…-
Il dottor Travis solleva finalmente lo sguardo su di lui, con l’espressione corrucciata.
-Anzi… direi che è proprio una bella donna, ha degli occhi splendidi dietro quegli occhialini!-
Ben lo guarda spaesato.
-Chi?-
-Come chi? La dottoressa Dobbson!-
Risponde Rick serio.
-Non mi dica che non ha notato che è una bella donna!-
Esclama allibito, ridendo dentro di sé per l’espressione sempre più confusa del medico.
-C…certo che l’ho notato… cioè… ehm…-
Corruccia la fronte quando Castle solleva entrambe le sopracciglia.
-Una donna bella e anche intelligente è davvero difficile da trovare e quando succede è una fortuna!-
-Che cosa c’entra adesso?-
Rick rincara la dose eludendo la domanda.
-E poi la trovo deliziosa quando si aggiusta gli occhiali sul naso, imbarazzata per qualcosa… chissà per cosa!?-
Ben sorride guardando ancora la porta.
-Si… è deliziosa…-
Sussurra inconsapevolmente, Rick si morde il labbro divertito e improvvisamente il dottor Travis si passa un dito sul bordo della maglietta, come se gli mancasse l’aria.
-Cr…credo sia una sua fan e che abbia sempre sognato d’incontrarla, suppongo sia dispiaciuta che sia successo in un momento come questo!-
Esclama tutto d’un fiato, fiero di se stesso e della risposta quasi pronta.
-Beh, sono lusingato… anche se non credo che il suo rossore improvviso sia opera mia.-
Il dottor Travis smette di auto complimentarsi, scontrandosi miseramente con il suo fallimento.
Ma come sono arrivati da una provetta piena di sangue, al fatto che Claire è deliziosa?
-E per chi allora? E poi… ehm… co… cosa c’entra questo con noi?-
Castle si mette seduto, ruota le gambe mettendole a penzoloni sul lettino e si sistema la manica della camicia.
-Con noi niente… almeno non con me, io ho già una donna intelligente, bella ed adorabile… e me la tengo stretta!-
Dice vedendo Kate fare capolino dalla porta socchiusa.
-Scusate, la dottoressa Dobbson ha detto che potevo entrare.-
Guarda Castle e gli sorride, corrucciando la fronte quando nota la faccia strana del medico.
-Qualcosa non va dottor Travis?-
L’uomo scuote la testa, grato a Beckett di aver messo fine a quel discorso, non riuscendo ancora a capacitarsi del come sia venuto fuori.
-Tutto bene… dovrebbe restare ancora un po’ disteso, gli ho prelevato una bella dose di sangue.-
Rick guarda Kate e torna al presente.
-Ho una cosa importante da fare dottore… e devo farla subito, prima che mi prenda il panico.-
Il dottor Travis non ribatte, lo aiuta ad alzarsi e ad infilarsi la giacca.
-Prenda almeno un succo zuccherato e qualcosa da mangiare, ci vediamo tra quattro ore.-
Si avviano per il corridoio in silenzio per qualche secondo, fino a quando Castle sospira.
-Hai parlato con Lanie?-
-Sono ad un punto morto!-
Sussurra Kate annuendo e guardando in lontananza l’uscita.
-Non riesce ad essere ottimista nemmeno lei, eh!?-
Lei scuote la testa senza rispondere.
-Il dottor Travis è innamorato come una pera cotta.-
Esordisce all’improvviso cambiando discorso e lei si gira a guardarlo con una smorfia.
-Anche la dottoressa Dobbson è innamorata come una pera cotta.-
Lui sorride.
-Ah, te ne sei accorta anche tu… non ti ricordano nessuno?-
Kate solleva le spalle, mordendosi le labbra.
-Chi dovrebbero ricordarmi? Aspetta un momento…-
Gli dice fermandolo per un braccio.
-Per questo aveva la faccia paonazza quando sono entrata? Dimmi che non hai fatto quello penso!-
Lui si stringe nelle spalle.
-Io ho espresso solo un’opinione ad alta voce, ho detto che la dottoressa Dobbson è carina e lui è d’accordo!-
Kate stringe le labbra in segno di rimprovero.
-Castle! Ma non lasci in pace proprio nessuno!?-
Lui la guarda ridendo.
-Che c’è? Tra tontoloni ci s’intende…-
Si mette le mani in tasca e si avvia all’uscita senza aspettarla, mente lei scuote la testa e lo segue, sperando che questa sua capacità di tornare immediatamente positivo, possa aiutarlo ad avere ancora fiducia in lei… in loro…
 
 
-E’ assolutamente impossibile che lei possa entrare, signora!-
Per l’ennesima volta Alfred, un uomo sull’ottantina, dritto come un manico di scopa dentro la camicia inamidata, la cravatta perfettamente annodata e magro da far pensare che un colpo di vento possa farlo arrivare in Alaska, ripete la stessa frase ad un capitano Gates piuttosto alterata. Senza contare il fatto che continua a chiamarla ‘signora’…
-Quindi, se ho capito bene, viste le poche volte che lo ha ripetuto, è impossibile che io possa entrare!-
Chiede lei con un sorriso affabile e l’uomo annuisce serio.
-Nessun essere umano di sesso femminile è mai entrato in questo posto da quando è stato fondato nel lontano 1924 da sir Roger Dempsey.
Risponde l’uomo con orgoglio, inchinandosi quando pronuncia il nome dell’esimio fondatore, mostrando il ritratto sopra la sua testa.
La Gates guarda l’uomo del quadro e sospira, nel 1924 e con quella faccia si poteva anche capire, ma nel 2013 è inaudito.
-Mi scusi per averla disturbata…-
Dice sorridendo e l’uomo le fa un inchino, felice che la donna si sia finalmente convinta ad andarsene e, mostrandole con la mano l’uscita, la precede elegantemente alla porta. Si sposta per lasciarla uscire, ma lei ha già spalancato la porta della grande sala dietro le sue spalle.
Ad Alfred viene il panico, si muove il più velocemente possibile, data l’età, verso la sala per cercare di fermarla, ma lei sta già urlando nella pace degli uomini più importanti ed influenti della città.
-Sono il capitano Gates della polizia di New York. Chi di voi è il giudice Crowford?-
Alfred la prende per le braccia tra il mormorio dei presenti, allibiti per quella donna nel club. Lei sospira pensando che se lo strattonasse lo manderebbe in ospedale, così prende una delle sue mani, la allontana con cura e lo fulmina con lo sguardo.
-Se non mi toglie di dosso anche l’altra mano le faccio male Alfred.-
L’uomo la lascia all’istante e lei si volta a guardare uno per uno quegli uomini pomposi in giacca e cravatta, dentro una stanza piena di fumo di sigaro e pipa, che si divertono a giocare a poker e a sentirsi, per un paio d’ore, i padroni delle loro vite e non schiavi delle donne che li comandano.
Scuote la testa.
-Mi serve un mandato che può firmare soltanto il giudice Crowford per accedere a delle informazioni federali e mi serve adesso.-
Il brusio aumenta e uno di loro si alza stizzito.
-Sono io il giudice Crowford  e lei, chiunque sia, non ha il diritto di stare qui.-
Eccolo lì, una mummia più giovane di Alfred, ma sempre una mummia.
-Perché lo dice la legge, o perché lo dicono le regole di questo… posto!-
Dice lei stringendo le labbra sempre più nervosa.
-E’ la regola della casa, signora.-
Lei solleva gli occhi al cielo.
-Signora sarà sua moglie signor giudice, io sono un capitano di polizia…-
-…e si sta rivolgendo ad un giudice in maniera irriverente! Esca subito!-
La Gates si mette le mani ai fianchi.
-Giudice Crowford, abbiamo ragione di credere che un killer che dovrebbe essere rinchiuso in una prigione federale, sia invece evaso… dalla sua scheda sembra sia morto, invece è libero di uccidere e dobbiamo fare chiarezza subito, per capire come ha fatto ad evadere e se qualcuno lo ha aiutato dall’interno… lo capisce anche lei che è una faccenda che scotta?-
Il giudice la guarda con sfida.
-Lo capisco benissimo, ma lei non ha nessun diritto di entrare qui dentro, è uno scandalo! Esca subito e si presenti domani nel mio ufficio, oggi non lavoro.-
Il capitano Gates gli prende le carte da poker dalle mani e le getta a forza sul tavolo.
-Quest’uomo ha ucciso tre donne in tre giorni  ed è già pronto ad uccidere ancora… questo è lo scandalo signor giudice. Non posso aspettare domani, perché domani la sua prossima vittima sarà già morta, quindi per me lei oggi… lavora!-
Prende dalla borsa il mandato e lo sbatte sul tavolo, porgendo una penna al giudice.
-Io non mi muovo da qui finchè non mette una firma… pensi, prima lo fa, prima me ne vado, così voi maschietti potrete cercare di dimenticare lo scandalo e tornare a giocare!-
Conclude con una smorfia sulle labbra.
Il giudice è paonazzo, prende la penna dalle mani della Gates con rabbia e scarabocchia una sigla in calce al mandato, lo ripiega e glielo restituisce, quasi sbattendoglielo in faccia.
-Ed ora fuori di qui… mi ricorderò di lei capitano Tates.-
Lei si avvicina sorridendo.
-Gates, capitano Victoria Gates, 12th distretto, squadra omicidi, nel caso le servisse…-
Si volta sui tacchi, prende l’uscita e senza voltarsi solleva la mano sibilando tra i denti.
-Buon divertimento maschilisti mummificati!-
Esce in strada accompagnata da Alfred che le fa un cenno di saluto disgustato, si avvia alla macchina e sorride soddisfatta.
Non era poi così difficile. Il signor Castle si sarebbe divertito come un matto, dicendo che avrebbe scritto una scena del genere nel suo nuovo romanzo ed io lo avrei fulminato…
Blocca i suoi pensieri, il sorriso le si spegne di colpo e abbassa gli occhi sul mandato sospirando.
-Non ci arrenderemo… faremo in modo che la scriva questa scena…-
Prende il telefono e chiama il distretto.
-Esposito, ho il mandato!-
 
 
Hanno lasciato l’ospedale da circa cinque minuti, il traffico scorre abbastanza regolarmente e sarebbero arrivati al loft in poco tempo.
Il tragitto procede silenzioso, Rick non riesce a stare fermo, si muove di continuo sul sedile che ha l’aria di essere diventato   un tappeto di spine.
Kate lo guarda sott’occhio, lo vede stringere la mano sulla cintura di sicurezza e sollevarla, per sistemarla meglio, come se si sentisse soffocare da una stretta troppo potente.
Un semaforo rosso la costringe a fermarsi e approfitta per mettere la mano su quella che lui tiene ancorata al ginocchio,  facendolo sussultare. Gira lo sguardo verso di lei e quando incontra i suoi occhi, sospira chinando la testa.
Lascia la stretta al ginocchio e attorciglia le dita alle sue.
-Lo so che sarà difficile… ma va fatto!-
Sussurra lei e lui annuisce. Il semaforo scatta mostrando il verde e lei gli lascia la mano per ingranare la prima e partire.
-La prenderà male, l’altra sera era preoccupata per me, ed io ho cercato di farle capire che non ero in pericolo… e adesso… l’ultima cosa che voglio è che possa…-
Kate lo interrompe scuotendo la testa.
-…che possa prendersela con me? Avrebbe tutte le ragioni. Tu sei in pericolo perché lavori al mio fianco!-
Stringe le labbra mentre mette la freccia e svolta a destra.
-Lo sai anche tu che è così…-
Lui scuote la testa proprio nel momento in cui lei parcheggia sotto il loft.
Apre lo sportello e scende di corsa, richiudendolo con rabbia. Anche Rick scende dall’auto, restando appoggiato allo sportello aperto con gli occhi fissi su di lei che gli dà le spalle. La vede respirare a pieni polmoni lasciando che il freddo gelido le entri nelle ossa. Guarda il cielo, diventato scuro improvvisamente per dei nuvoloni che non promettono nulla di buono. Chiude gli occhi e sente le lacrime gelarsi sul viso. Le asciuga con forza, passandosi le mani sulle guance un paio di volte, ricacciando indietro le altre pronte ad uscire, fino a che le braccia di Rick la stringono alle spalle. Appoggia il viso al suo e lei si lascia andare, voltando di poco la testa verso di lui.
-Non è colpa tua…-
Le sussurra dolcemente all’orecchio, lei scuote la testa e deglutisce per impedirsi di piangere.
-Lo è invece… ma non è una cosa a cui deve pensare adesso il poliziotto Beckett, giusto? Tua figlia mi odierà, con ragione, ed io dovrò sopportarlo, ma non è questo l’importante. La cosa importante invece è che voi parliate… adesso.-
Si stacca da lui, gli prende la mano ed in silenzio si avviano al portone.
 
 
Riprese la strada di casa accompagnato, nella sua passeggiata calma e riflessiva, da nuvole grigie che avevano scurito il cielo prima del tempo.
Assaporò nella mente il ricordo della paura sul viso dello scrittore, la sua espressione confusa dopo essere rimasto immobile, per un paio di secondi, a guardare il taxi allontanarsi da lui. La mascella tesa e la testa bassa, mentre con le mani in tasca, si avviava verso il nulla.
Lui era uscito di corsa. Da solo.
Lei era rimasta al distretto, a guardare la strada con le mani appoggiate alla finestra. Da sola.
Sorrise, assaporando la loro solitudine…
Aveva amato Nikki sin dall’inizio, perché era come lui. Sola.
Pronta a proteggersi da sola.
Pronta a combattere da sola.
Pronta a fare affidamento solo sulle sue forze e sul suo cervello.
Insieme avrebbero fatto scintille.
Nessuna debolezza.
Invece lei si era rivelata debole, come tutti.
Lo aveva dimostrato rifiutando le sue attenzioni, ritenendo i suoi regali soltanto degli inutili omicidi, trattandolo come un assassino qualsiasi e non come l’artista della morte.
Lo aveva dimostrato in quei quattro mesi in cui lui l’aveva tenuta d’occhio e seguita da lontano, vedendo nascere quello che lei credeva sentimento per lo scrittore, senza rendersi conto invece, di essersi messa al collo un cappio che distrugge la libertà di essere se stessi.
Scosse la testa, continuando a camminare in quel pomeriggio nuvoloso, incurante del freddo pungente che rifletteva la pioggia che si sarebbe scatenata di lì a poco.
In poche ore erano già lontani… lontani anni luce l’uno dal cuore dell’altra.
Lui da una parte, arrabbiato per la sua sorte, lei dall’altra, colpevole per quello che le accadeva intorno…
Nonostante il semaforo all’incrocio desse il via libera ai pedoni, lui si fermò sollevando gli occhi al cielo e sorridendo alle nuvole, sempre più nere.
Respirò a pieni polmoni e, guardando prima a destra e poi a sinistra, attraversò la strada tranquillo, pensando alla solitudine.
Quella solitudine che lui amava.
Quella solitudine che  un tempo, anche lei apprezzava.
Quella solitudine che, in passato la faceva tornare a casa tranquilla con se stessa.
Quella stessa solitudine, che adesso, le avrebbe tolto il fiato e le forze, conducendola tra le sue braccia…


Angolo di Rebecca:

Riccardone ha fatto il prelievo senza paura e da qui scopriamo degli indizi.
Sembra che ci troviamo di fronte ad altri due tontoloni *-*
Chi meglio dei tontoloni per eccellenza poteva capirlo :p
Non pensate che il capitano Victoria Gates, squadra omicidi, 12th distretto (in caso dovesse servire) meriti un hip hip urrà?!
Kate è consapevole che questa storia sarà catastrofica per il suo rapporto con Alexis... e che altro!???
Oh si... è tornato Dunn... ma che caruccio che è. Mi era mancato O.o


Un grazie di cuore ad ognuna di voi, il vostro affetto fa bene al cuore <3
  
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