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Autore: LadyBlackRose    10/03/2014    4 recensioni
2350, sono passati 150 anni da quando la tecnologia ha posto del tutto la sua impronta, e con essa, anche nuove e severissime regole. La vita di tutti cambiò, molta gente morì, nessuno voleva sottostare a quelle cosiddette “Regole”, quasi il pensiero diventò vietato, e chi non seguiva la legge.. veniva ucciso.
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La gente era relegata ai propri doveri, doveri che non lasciavano il temo per una pausa, per pensare, per respirare.. non lasciavano nemmeno il tempo per camminare dieci minuti in una giornata.
In quella città nulla [...] poteva essere definito “bello”, o “superfluo”. L' arte ormai non c' era più, o quasi.[...] Tutti erano troppo presi dalla loro frenetica vita, dal loro lavoro, dai loro figli; era importante trovare una buona scuola per loro, scuola che portava ad un buon lavoro, lavoro che portava ad avere sempre meno tempo per se stessi, e quindi ti rendeva una persona efficace, utile a quella città dove nulla era dato al caso, dove nulla non esisteva per niente, ma tutto doveva servire per qualcosa.
Genere: Azione, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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"Capitolo 2"


Uscendo dal, possiamo definire, negozio d’ antiquariato, Elizabeth si guardò attorno: Alti palazzi metallici con poche o alcuna finestra, privi di emozioni , il cielo grigio, nessun’ albero.
Da quando era iniziato tutto, cominciò a morire tutto, gli alberi ora mai non esistevano più, l’ ossigeno veniva prodotto artificialmente, il poco legno rimasto si trovava unicamente nelle case ricche, fra persone più che benestanti. Un pezzo grande quanto una mano, poteva venire a costare come mezzo lingotto d’ oro, una lampada come quella presente nella borsetta della ragazza, come due.
Si sistemò la giacca, chiudendola per bene stringendo entrambi i lembi della cintura nera in cuoio. Trasse un profondo respiro: Si sentiva solo odore di smog, abbassò lo sguardo. Cosa doveva fare ora? Mise le mani in tasca, e s’ avviò per la via di casa, a piedi.. abitudine ormai persa dalle persone, che preferivano viaggiare attraverso le classiche automobili, oppure i trayn, in sostituzione alle metropolitane: strutture simili a piccoli treni, attaccati a dei fili metallici molto spessi, sorvolando tutta la città, con fermate regolari direttamente sui tetti degli edifici più importanti. Usati proprio al posto delle metropolitane, davano.. una vista migliore ai turisti, dicevano, come per insinuare il stupendo panorama presente: Palazzi grigi, metallici per chilometri e chilometri, il cielo oscurato, totalmente grigio, per non dir’ quasi nero e maggiori incidenti data la pericolosità del mezzo. Ma la velocità del Tryan spingeva la gente a salirci, perché? Perché tutto ormai era frenetico, senza un attimo di pausa, la gente era relegata ai propri doveri, doveri che non lasciavano il temo per una pausa, per pensare, per respirare.. non lasciavano nemmeno il tempo per camminare dieci minuti in una giornata.
Spostò rapidamente lo sguardo mentre smuoveva i primi passi, le parse di vedere qualcosa, o meglio qualcuno di già conosciuto.. una donna. Cappuccio sulla testa e vestito nero ricoprivano il corpo della medesima, quella donna appena entrata ed uscita dal vecchio negozio. Elizabeth socchiuse gli occhi umettandosi appena le labbra. Guardandola, a primo impatto, le sembrò stesse parlando con qualcuno tramite un auricolare più o meno celato dal cappuccio nero.  Non capiva. Si drizzò sulle spalle ed iniziò a camminare veloce: meglio lasciare il luogo i prima possibile.
Nella sua mente vagarono mille pensieri: Chi era? Perché quella donna era li? Chi l’ ha mandata? Come ha fatto a sapere del mio incontro con Edmund? Perché se n’è andata subito e non ha cercato di fermarmi? Domande, domande e domande, senza una risposta, senza un minimo indizio.
Sospirò scostando un pelo i suoi lunghi capelli rossi, mossi e ribelli, con qualche ciuffo fuori posto. Magra, forse troppo, i suoi piedi, all’ interno degli scarponcini marrone scuro, si muovevano rapidi per il marciapiedi, senza badare a tutto ciò che le accadeva attorno, non sentiva alcun’ rumore: sia per l’ abitudine, sia per i pensieri vorticanti nella sua testa.
-Alt!- Elizabeth scosse la testa e si fermò: quel rumore, o meglio definibile, urlo, sovrastava tutto, voce possente e virile, ma al contempo intimorente ed autoritaria. Alzò di scatto la testa, che fino ad un secondo fa guardava il marciapiedi.
Si trovava davanti ad una figura in divisa, coi capelli neri e corti, dal fisico possente, che ricopriva mezza della sua visuale.
-Documenti prego- La ragazza rimase un attimo perplessa, e sbigottita: l’ ironia della sorte. In cerca di un oggetto illegale, in un negozio d’ antiquariato, una donna sospetta entra, esce, telefona, confabula, un poliziotto la ferma. Scosse quasi impercettibilmente la testa.
-S-sì- Aprì la borsa e molto delicatamente cercò il portafoglio, dal quale estrasse la tessera blu metallica, blu, il quale colore segnalava la classe sociale alla quale appartenevi. In questo caso, segnalava un reddito annuo medio-basso.
Il poliziotto prese bruscamente la tessera dalla mano di Elizabeth e la passò su di uno scanner.
-Elizabeth Smith eh? -
La ragazza lo osservava intimorita, di li a qualche tempo le cosiddette forze dell’ ordine, avevano acquisito tutti i poteri, potevano fare ciò che volevano, ed erano intoccabili, tenuti su di un piedistallo, nessuno poteva torcergli un capello, o sarebbe morto.
-Sissignore- Lo stava guardando in faccia, faceva fatica a sostenere quel duro sguardo gelido. La piccola donna restò in ascolto mentre il moro la squadrava: La osservava dall’ alto al basso con aria di superiorità, e potenza. Elizabeth non ce la fece più, spostò lo sguardo verso sinistra, puntando al marciapiede. L’ uomo sorrise, come soddisfatto della sua “conquista”.
-Svuota la borsa.- Elizabeth trattenne il respiro. Una lampada del valore di milioni di dollari, che non sarebbe riuscita a pagare nemmeno in vent’ anni della sua vita. Attimi che parvero eterni, davanti a lei era comparso una specie di tavolino trasparente, appena “materializzato” dallo scanner del poliziotto.
Non sapeva che fare, doveva obbedire.
Poggiò la borsa in silenzio sul tavolino e ne estrasse il contenuto, iniziando dalle cose di poco valore, come il deodorante, ed il portafogli. Sperava in un “Ok, basta”, ma niente, toccava alla lampada, la strinse con la mano e deglutendo la poggiò sul tavolo.
Gli occhi dell’ uomo divennero due fessure. Rapidamente, prima che nessuno potesse accorgersi di nulla, in un istante velocissimo, prese per il bavero Elizabeth e l’ avvicinò, facendola sbattere contro il tavolino, fino a giungere a pochi centimetri dal suo viso.
-Dove hai rubato questo?- 
Indicava la lampada.
-Io non l’ ho rubato- Si prese coraggio.
-La tua carta mi fa intuire altro.-
Le mancava il fiato, la mano dell’ uomo spingeva anche sul suo collo, non poteva deglutire. La mano destra s’ avvicinò alla presa, tentando invano di liberarla. L’ uomo sì infuriò..
-Non mi toccare!-  Urlò, strattonò la ragazza che cadde all’ indietro nel marciapiede. In quel poco tempo, lui prese la pistola dalla cintura, e senza pochi ripensamenti la punto verso Elizabeth, che istintivamente arretrò di qualche centimetro strisciando, dandosi la spinta con i piedi, l’ uomo sparò. 
  
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