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Autore: Road_sama    10/03/2014    1 recensioni
-Sei una causa persa…senti, non vorrei chiederti questa cosa ma sono a corto di personale o meglio…non mi vengono idee migliori e poi-
-Inghilterra che c’è?-
-E’ un problema per te venire da me una settimana?-
{{UsUk}} /Accenni di RusAme e FrUk/
Genere: Comico, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Russia/Ivan Braginski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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E finalmente ho finito questa long! Yaaaaay! E pensare che doveva essere corta e inutile! E inceve! xD
Beh, innanzitutto vorrei ringraziare tutte le persone che hanno recensito, messo tra i preferiti, ricordati e seguitei la mia fic per avermi seguito fino a questo punto. Ringrazio la SnowBlizard che supporta i miei scleri sempre e comunque e che condivide la "passione" per l'usuk! Grazie anche alla AndrewLaTeinomane che mi parla ancora dopo tanto tempo che non entro su facebbok e EFP. Grazie alla BriciolaFINE93 con la quale ho sclerato per molto tempo sulla RusAme.
Ancora, grazie a tutti e chissà magari tornerò con uno speciale! ;)
E come al solito....Buona Letturaaaa! :D 



Un Alfred da compagnia!


America si strinse nelle spalle e ficcò le mani in tasca. Faceva davvero freddo.
Scese le scalette di casa di Inghilterra, molto lentamente. Sperava di sentire chiamare il suo nome dalla voce dolce e al contempo pungente di Arthur, ma era solo una bugia che raccontava a se stesso per non affrontare la realtà. Quella porta non si sarebbe riaperta.
-Perché non mi hai detto che ti facevi anche Inghilterra?- disse serio Russia che lo aspettava sul vialetto.
-E perché tu sei venuto qui?!- urlò Alfred improvvisamente arrabbiato.
-Rispondi alla mia domanda prima.- affermò con freddezza Ivan puntando i suoi occhi violacei su i suoi. Era incredibile quanto potere avesse quello sguardo su di lui.
America sbuffò, prendendo a camminare lungo i marciapiedi di Londra. Il russo prese posto di fianco a lui sincronizzando la sua andatura.
-E’ successo appena ieri. Prima tra me e lui non c’era niente. I-Io pensavo di amare te..- mormorò creando piccole nuvolette di vapore. Sentì Ivan irrigidirsi vicino a lui.
-Amore è una parola grossa, Amerika. Se sei andato anche con lui quello che provi per me non è amore. Magari nemmeno quello che senti per Inghilterra lo è.-
Alfred si immobilizzò e prese a fissarlo stupito da quelle parole. Anche Russia si fermò e ricambiò il suo sguardo sebbene, ormai, a separarli fosse qualche passo. Sorrise. Con quel suo inquietante sorriso che trasformava il suo viso pallido in una maschera impenetrabile, quel sorriso che a lui causava un brivido sulla schiena, quel sorriso che non aveva nulla di felice.
-Sei un bambino che non sa quello che vuole e non sa quello che vogliono gli altri. Sei proprio un coglione.- Russia sembrava aver perso un po’ di quella calma glaciale anche se l’espressione era sempre la stessa.
-Agisci sempre in modo avventato, senza pensare alle conseguenze. Non capisci che a seconda delle tue scellerate azioni, le persone attorno a te possano soffrire. Sei egocentrico e stupido ed egoista. Vuoi tutto per te senza mai dare niente in cambio.- disse tutto d’un fiato non smettendo un secondo di fissare il più giovane. Ora America se ne rendeva conto. Quello che intendeva dirgli Ivan era che non dicendo rispettivamente di Russia ad Inghilterra e ad Inghilterra di Russia, aveva agito d’istinto non calcolando quella situazione. Anche se Russia era un monolite, freddo e impassibile aveva dei sentimenti. Lui, America doveva saperlo più di chiunque altro. L’aveva ferito, perché Russia al contrario di lui, qualcosa oltre al semplice sesso lo provava.
-I-Io non pensavo…- Che frase patetica che dice. Negli ultimi giorni, in fin dei conti, quante cazzate ha sparato?  Ma che poteva dire? Mi dispiace? Scusa?
Erano tutte  bugie e per quella serata era meglio smettere di mentire. Magari per sempre.
-E sai qual è il bello Amerika, da? Fai sempre la vittima della situazione. Guardi gli altri con quello sguardo da cane bastonato facendoglielo pesare, come se fosse un loro errore e invece sei tu quello che dovrebbe avere i sensi di colpa. Giuro prima o poi ti ammazzo, Amerika…!- la sua voce si era fatta più flebile e tremolante. Sembrava sul limite del pianto. Lui, Ivan Braginski.
Alfred si sentiva tremendamente in colpa. Nessuna delle due Nazioni che aveva visto quella sera lo avrebbe mai ammesso, ma stavano male per lui. L’amore che quello stupido americano aveva suscitato in loro era radicato nella parte più profonda dei loro cuori esercitando una pressione tale che, se questo sentimento non fosse stato ricambiato, avrebbero potuto spezzarsi in mille pezzi.
Tutto questo dipendeva da Alfred F Jones. Colui che si faceva chiamare eroe e alla fine portava solo dolore.
 
Day 7: I haven't told you
Arthur schiuse le palpebre a fatica, le sentiva dannatamente pesanti. Che ora era?
Si alzò sulle gambe che sembravano rifiutarsi di reggerlo. Mosse qualche passo incerto verso la finestra, poi aprì appena le tende. Non c’era sole, si rivelava una delle tipiche giornate uggiose e fredde di casa sua. Quella casa che rispecchiava appieno il suo umore.
Si vestì lentamente, ormai non gli facevano più male le ossa, la pelle non gli tirava più all’altezza delle ferite. Ora sentiva solo una dolorosa fitta alla testa e al petto. Sapeva che in quello stato, alla vista di qualcosa che gli ricordava lui sarebbe scoppiato a piangere come d’altra parte aveva fatto per tutta la sera precedente e parte della notte.
Uscì dalla stanza senza fare il letto o aprire le finestre. Tutto quello sembrava un deja-vu. Sembrava che si stesse ripetendo tutto sebbene a distanza di secoli. Lui che si affezionava ad America, America che lo abbandonava, che lo faceva soffrire.
Perché quello stupido americano doveva essere al centro dell’Universo?! Perché gli faceva così male non saperlo vicino? Perché lo odiava e lo amava allo stesso tempo?
Osservò il legno della camera davanti alla sua, la stanza degli ospiti. Sapeva che al di la della porta in legno c’era ancora la roba di America. Voleva aprire quella porta e vedere le bandiere, voleva prendere i suoi vestiti e annusarne il profumo per sentirlo ancora vicino, e poi si sarebbe messo a piangere a contatto con la stoffa di una sua felpa immaginando che quella fosse addosso ad America e al posto di maniche vuote ci fossero le sue braccia in modo che potesse piangere abbracciato a lui. Lo sapeva perché l’aveva già fatto.
Scese velocemente le scale non degnando di uno sguardo il soggiorno che era ancora come la sera prima, poi arrivò in cucina e cominciò a scaldare l’acqua per un tè. Preparò la tazza, del suo preziosissimo servizio da tè in porcella bianca e rifiniture azzurrine. Aprì un mobile a parete per prendere le bustine di erbe e il suo sguardo si posò su una scatola di plastica rossa. Sulla parte alta del contenitore c’era scritto “coffee”. Spense il fornellino con l’acqua e prese il contenitore con la polverina nera.
Forse per oggi era meglio un caffè.
 
Aveva finito di bere il caffè da più di venti minuti, ma era ancora seduto a tavola a fissare un punto impreciso del pavimento perso a rievocare la settimana appena passata. Difficile ammetterlo, ma nonostante la storia di Russia, quella era stata la settimana più bella della sua vita.
Qualcuno bussò alla porta riscuotendolo. Non si mosse di un millimetro.
Di nuovo qualcuno bussò alla porta. Inghilterra si alzò faticosamente  e con altrettanta fatica si trascinò fino all’ingresso guadagnandosi un'altra bussata alla porta più veloce e innervosita. Aprì e quasi non si stupì della persona che vide. Quello che più lo colpiva di lui erano le sue occhiaie profonde sotto gli spessi occhiali e i capelli fin troppo arruffati.
-C-cosa vuoi?- la sua voce risuonò più roca di quello che volesse.
-Dirti tante cose.-
-Non l’hai già fatto? Ieri sera ti ricordi? Anche se è stato Russia a parlare.- disse freddamente.
-Mi fai entrare?- chiese America all’improvviso serio. Inghilterra fece cenno di no con la testa, anzi chiuse un po’ di più la porta. Alfred si mosse il labbro e si strofinò le mani.
-Va bene non importa, posso parlare anche da qui. Allora…beh…- si grattò la testa. – Da che parte posso cominciare?- sorrise debolmente cercando di alleviare la tensione. Inghilterra sembrò non apprezzare.
-Non lo so, magari non cominciare nemmeno, non so se ho ancora voglia di ascoltarti.- cercò di chiudere la porta, ma Alfred ci ficcò un piede in mezzo. L’inglese schiacciò la scarpa dell’americano tra lo stipite e la porta, poi quando sentì un leggero gemito di dolore allentò la presa e riaprì la porta.
-Va bene, non hai voglia di preamboli, va bene.- America prese a tormentarsi le mani. – Allora, intanto voglio dirti che sono stato un’idiota, ma uno di quelli proprio tosti, uno di quelli che gli parli e non capiscono nulla, ok? Bene, voglio dirti che sta notte sono stato lontano da te e, sono stato malissimo.
-Non eri con Ivan?-
-No. Lui se n’è andato. Gli ho detto quello che sento, o forse l’ha capito da solo.-
-Cosa?- chiese in un soffio Inghilterra. America arrossì.
-Che ti amo- Inghilterra sussultò. –Ti devo dire un sacco di cose che non ti ho detto, per esempio che sono solo un egoista che pensa a se stesso, anzi no, che dico, io non penso proprio a niente altrimenti avrei capito che dovevo dirti di Ivan. Il fatto è che avevo paura di poterti perdere e alla fine è successo sul serio. Non ti ho detto che mi sono reso conto di amare tutto di te a partire dal tuo profumo di scones e di bruciato fino ad arrivare ai tuoi sbalzi d’umore. Non ti ho detto che il sesso che abbiamo fatto nella vasca è stato bellissimo.  Non ti ho detto che anche se sono tutti così strani, qui, mi piacciono le persone che frequenti. Non ti ho detto che odio litigare con te perché ti faccio soffrire di nuovo. Non ti ho detto che qualche volta ho fatto finta di non saper fare delle cose solo per ascoltare di nuovo i tuoi insegnamenti. Non ti ho detto che quel giorno, una settimana fa, quando mi hai chiesto di venirti ad aiutare era da una vita che aspettavo  un’occasione del genere perché in questi anni mi sei sembrato incredibilmente lontano, perché l’Oceano che ci separa non mi è mai sembrato così immenso. Non ti ho detto che un vero eroe ha una spalla che lo aiuta a superare le sue crisi, sai come Batman e Robin, e vorrei sul serio che quella persona fossi, l’ho sempre voluto.- Inghilterra aveva le lacrime agli occhi di nuovo. –Non ti ho detto che...mi dispiace per quello che è successo e che non riuscirei sul serio ad andare avanti se tu ora mi chiudessi la porta in faccia.-
America prese fiato perché tutto il discorso che aveva fatto l’aveva fatto tutto d’un fiato.
-P-Perché dovrei…? P-Perché dovrei perdonarti? I-Io non so se ce la faccio…- singhiozzò Arthur stringendo il legno della porta. America sembrava sconvolto, si sentiva improvvisamente stanco. Si aspettava che dopo quel discorso Inghilterra gli sarebbe saltato addosso e avrebbero fatto pace, ma per quanto l’avesse provato non ci era riuscito.
-I-Io non voglio più farti soffrire…non voglio più che tu ti senta abbandonato. Non voglio chiedere un’altra volta l’indipendenza.-
Qualcosa dentro ad Inghilterra si sciolse causando l’aumento delle lacrime sul suo viso. Lasciò il legno della porta e le sospinse in avanti come se fosse un bambino che aspetta di essere preso in braccio. America non aspettò un secondo di più e se lo strinse a sé, respirando a pieni polmoni il suo profumo e affondando le dita tra i suoi morbidi capelli biondi.
Dio quanto gli era mancato.
Lo sentì singhiozzare per lunghi minuti tra le sue braccia e non lo lasciò nemmeno per un secondo, ora c’era e ci sarebbe stato per sempre.
-N-Non ti ho detto che ti ho sempre amato e per quanto io ti avessi odiato per questo- Arthur tirò su con il naso –non avrei mai smesso.-
-I really really love you, America.-
-I really really love you too, England.-
  
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