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Autore: Rorosysy    11/03/2014    0 recensioni
"Era i miei stessi occhi. Ciò che lui vedeva, lo vedevo anch’io. Il giorno in cui la sua vista si fosse oscurata, anche la mia si sarebbe smarrita.
Lo sapevo da sempre. Era stato così sin dal principio. Non avrei dovuto sorprendermi. Suonava ridicolo rendersene ora conto. Ormai era tardi, non era più una mia scelta.
Adesso, non era più DAVVERO una mia scelta.
I suoi occhi blu erano svaniti e al suo posto mi fissavano due pupille nere, nerissime, scure come la brace.
Ero bloccata al posto di guida dell’auto di mia sorella, una Seat Ibiza rosso acceso e ignoravo come ci fossi finita.
Era una gelida sera d’inverno. Per la precisione, era il 12 dicembre 2011 e il sole mi aveva abbandonato già da più di un’ora, qui in alto al mondo, tra la Valle dell’Inferno e la Sorgente delle Donne.
Nella mia mente c’era soltanto il desiderio disperato di fingere di non capire, che con i suoi modi calmi e il sorriso attraente, fosse deciso a darmi ciò che avevo accanitamente cercato negli ultimi tre anni: la mia morte", dal primo capitolo.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era i miei stessi occhi. Ciò che lui vedeva, lo vedevo anch’io. Il giorno in cui la sua vista si fosse oscurata, anche la mia si sarebbe smarrita.
Lo sapevo da sempre: era stato così sin dal principio. Non avrei dovuto sorprendermi. Suonava ridicolo rendersene ora conto. Ormai era tardi: non era più una mia scelta.
Adesso, non era più
davvero una mia scelta.
I suoi occhi blu erano svaniti e al suo posto mi fissavano due pupille nere, nerissime, scure come la brace.
Ero bloccata al posto di guida dell’auto di mia sorella, una Seat Ibiza rosso acceso e ignoravo come ci fossi finita. 
Era una gelida sera d’inverno. Per la precisione, era il 12 dicembre 2011 e il sole mi aveva abbandonato già da più di un’ora, qui in alto al mondo, tra la Valle dell’Inferno e la Sorgente delle Donne.  
Nella mia mente c’era soltanto il desiderio disperato di fingere di non capire, che con i suoi modi calmi e il sorriso attraente, fosse deciso a darmi ciò che avevo accanitamente cercato negli ultimi tre anni: la mia morte.

 
Era estate o forse inverno? Fuori cadevano le foglie o sbocciavano i fiori?
Non lo sapevo. Le pagine del mio calendario si erano fermate nel nevato dicembre del 2008; e non potevo basarmi sulla temperatura esterna, perché che fosse inverno o estate io sentivo sempre e soltanto freddo. Ero congelata nella sua attesa. Sapevo che sarebbe presto tornato da me. Dovevo soltanto pazientare. Avere ancora un po’ di pazienza. L’amore non vale ogni attesa?
«Mangi con me?».
Scrollai la testa.
«Vuoi almeno qualcosa da bere? Magari qualcosa di caldo. Una tazza di latte?».
La scrollai di nuovo.
«Andiamo, Cristina! Sforzati un po’. Non mangi da ieri mattina».
Era già trascorso un giorno? Anche la notte? Ma avevo dormito? Non ero stanca, quindi forse sì. Forse tuttora stavo continuando a sognare, perché erano venuti con me dalla mia camera. Mi seguivano dovunque andassi. Erano sospesi sopra la tv in salotto e brillavano di un blu intenso. Brillavano come zaffiri. Due meravigliosi zaffiri blu. Ma questo non poteva che trattarsi di un sogno. Da quanto tempo continuavo a sognarlo?
«Cristina, mi stai ascoltando?».
Erano così incredibilmente belli e mi trasmettevano talmente tanta malinconia…
«Cristina, guardami quanto ti parlo!», strillò mamma, piazzandosi di fronte a me, celandoli per metà alla mia vista. «Devi mangiare qualcosa».
Somigliava molto a un ordine che non sapevo come eseguire. In che modo potevo fare altrettanto io: intendo, come ordinare al mio corpo di avere fame? I bisogni del fisico non corrispondono a quelli razionali. La testa non può guidarli. Non poteva imporre allo stomaco di levare le transenne che aveva piazzato alla sua entrata. Aveva vietato l’ingresso persino all’acqua e non avevo a mia disposizione leggi con forza maggiore, che potessero revisionare le sue disposizioni. Corpo e Testa erano come due Stati differenti e ostili tra loro, ognuno con il proprio ordinamento e una propria autorità, e detestavano che l’altro li mettesse in discussione.
Si spostarono, riprendendosi la mia attenzione. Andarono a volteggiare sopra il termosifone, fuori dall’ombra di mamma. Ora erano di nuovo nel mio campo visivo.
«Cristina, si può sapere cosa stai fissando?», si girò a seguire la direzione del mio sguardo, ma ovviamente non li vide. Nessun altro oltre a me li vedeva. Un punto a favore per la mia ragione che ne contestava l’effettiva esistenza. Ma la vista poteva essere ingannata? Mi risposi che esistevano le allucinazioni, quindi sì, sarebbe potuta essere raggirata. E ciò cosa comportava per me? Significava che la mia mente non funzionasse più correttamente?
Mamma tornò a guardarmi con un’espressione inquieta e compassionevole insieme. Non mi scomposi più di tanto. Non mi disturbava più cosa pensasse di me. A dire il vero, non m’importava più di nulla. Continuai invece a osservarli, senza risponderle. La sentii sospirare e lasciare il salotto. Tornò dopo qualche minuto con un vassoio tra le mani. Lo appoggiò sul tavolinetto di compensato nero, ai piedi del divano a due posti giallo senape, in cui stavo rannicchiata su me stessa. E poi, ad un tratto, mi sorpresi di avere un cucchiaio a pochi centimetri dalla bocca. Cos’aveva intenzione di fare? D’imboccarmi come una neonata? O come una disadattata?
Per un attimo li abbandonai e incrociai gli occhi verdi di mamma, identici ai miei. La vidi quasi sussultare, quando comprese la linea dei miei pensieri. Abbassò immediatamente il cucchiaio con un’espressione imbarazzata.
«Allora, fai da te!», disse come a scusarsi. «Ma se quando torno è ancora tutto lì, giuro che ce li ficco a forza in quella tua bocca!», mi avvertì con più determinazione, riferendosi agli gnocchi al pesto che aveva preparato per me.
Se ne ritornò in cucina, ma prima di oltrepassare la porta, mi lanciò un’altra delle sue occhiate nervose che io sistematicamente ignoravo. La udii sospirare, ancora una volta, e infine i suoi passi allontanare. Mi sentii immediatamente liberata dalla sua presenza. Sorrisi allontanando da me il piatto di gnocchi. Poi, ripresi a ricambiare lo sguardo dei suoi occhi blu. 

Questa storia l'ho scritta a quindici anni, ripresa due anni dopo e dimenticata fino ad oggi... beh, non so, mi sembrava il posto giusto per tirarla fuori :) 
 
  
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