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Autore: Nora_93    11/03/2014    1 recensioni
Nessuno mai ritrovò il suo corpo e su questa vicenda la gente ne disse e inventò così tante da far diventare questa terribile vicenda una leggenda dei giorni nostri.
Genere: Fantasy, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                La vendetta del vampiro

 

Chiara era una ragazza come tante. Frequentava il terzo anno del liceo scientifico, aveva buoni voti, un gruppetto di amiche che conosceva dai tempi dell'asilo con cui usciva molto frequentemente, era fidanzata da ormai sette mesi con Giulio, che frequentava la sua stessa scuola ed era un anno più grande. Una vita normale, una famiglia come tante anche se quella peste di Sofia rompeva un po' le scatole e spifferava tutto alla mamma, ma era la sua sorellina minore, di cinque anni e le voleva tanto bene.

Le cose procedevano come sempre ma da qualche periodo si sentiva diversa. Era diventava più scontrosa, usciva raramente inventandosi le scuse più assurde. Si sentiva molto debole durante il giorno, la sua cameretta aveva sempre la serranda abbassata e a scuola portava gli occhiali da sole nonostante fosse vietato durante le lezioni. Di notte la sua condizione migliorava, verso le nove si faceva una passeggiata con il cane e si sentiva meglio. Le piaceva camminare nel silenzio notturno senza il frastuono delle macchine che circolavano di giorno. Ammirava con meraviglia la luna e tutte le stelle, ascoltava il venticello che muoveva in maniera leggiadra le foglie. Stava in estasi su quella panchina tutta scarabocchiata dai teppistelli ad ammirare la natura che la circondava mentre Bobby sonnecchiava tranquillo. Però arrivava il momento di rincasare e ogni sera ritardava sempre di più e ogni sera veniva rimproverata.

“Ma che ti succede? Fino a qualche settimana fa ogni minimo rumore ti faceva sobbalzare dal letto e adesso te ne stai fuori fino all'una di notte da sola. Inoltre ti ricordo che è anche pericoloso”.

“Ma fatti i cazzi tuoi”.

“Che modi sono di rispondere Chiara, non ti riconosco più? E visto che ci siamo, stamattina ha chiamato la preside del liceo. Ha detto che manchi da diversi giorni e che la tua media sta scendendo a picco. Dove stai la mattina? Che combini?”

Chiara salì nella sua stanza senza rispondere alla madre, tanto le avrebbe detto “sono cazzi miei”.

Il problema della scuola era dovuto dal fatto che non riusciva a starci, ormai il contatto con gli altri la irritava, e poi non riusciva a studiare, il sole le accecava gli occhi e la faceva sudare nonostante fosse solo marzo. Quel poco che riusciva a fare lo rimediava quando ritornava dalla sua passeggiata notturna ma le ore erano poche, e appena giungeva l'alba Chiara cominciava a sbadigliare e ad avere sonno. Fingeva di andare a scuola, preparava la cartella, usciva prima del previsto per evitare il più possibile la luce e andava nel boschetto dietro Villa Visconti, lì dove le querce secolari rendevano tutto scuro e misterioso e quel ruscelletto limpido dove nuotavano elegantemente i cigni le davano calma e tranquillità. Chiara ormai stava bene solo in solitudine e al riparo dal suo ormai nemico numero uno: il sole.

Un giorno, mentre ritornava a casa da “scuola”, aveva un certo languorino. Era in una piccola stradicciola imbrecciata e sentì un triste miagolio. Chiara si mise a cercare il gattino e trovò un puntino marroncino che si lamentava e chiedeva aiuto.

“Piccino, ci sono io ora ad aiutarti. Che hai fatto, tesorino? Mannaggia che brutto taglio, ma non è grave, ti disinfetterò la zampetta e tornerà come nuova.”

Prese la bestiola in braccio con l'intenzione di portarla a casa per medicarla, ma a un tratto il suo indice sfiorò il taglio del gattino e guardandosi il dito vide una punta di sangue. Di appetitoso sangue. Non resistette ad assaggiarlo e lo trovò squisito, la cosa più buona che avesse mai mangiato. Ma l'attimo dopo riflettette: “Cazzo fai Chiara, ti sta dando di volta il cervello? Leccare sangue, di gatto poi, magari pure infetto. Merda merda merda. Hanno tutti ragione nel dire che sono cambiata, ma questo non è cambiamento, questa è follia. Sto diventando pazza, mi chiuderanno in un manicomio e butteranno via la chiave, e non li biasimo”.

Sconvolta corse via, iniziarono a scendere dal suo viso sempre più pallido e scarno lacrime che le rigarono il volto e lasciò il gattino lì dove lo aveva trovato perché temeva che in sue mani stesse più in pericolo di quanto già non fosse.

Finalmente era a casa sua e fortunatamente quel giorno non c'era nessuno per vari motivi. Chiara voleva capire. Nel frattempo si preparò per farsi un bagno che la potesse un po' tranquillizzare e pulire sia mentalmente che fisicamente, perché quel pensiero di sangue lo avevo ancora impresso nella mente e la inorridiva, ma ciononostante ne voleva bere ancora un po'. Si tolse i jeans, gli slip, la felpa, la canottiera, e... cos'era quel segno rosso sulla schiena in alto a sinistra? Sembrava una V, anzi era proprio una V. Non era uno scarabocchio, ma nemmeno un taglio perché non ne aveva le sembianze, ma un marchio. Non poteva credere a quelle cazzate sui vampiri, però tutto tornava: odio per la luce, voglia di buio, solitudine e desiderio di sangue.

“Cazzo, allora è vero. Ma perché proprio io. Non poteva aspettare qualche anno e dare questa sfiga a quella matta di mia sorella, visto che lei è molto più adatta per queste cose.”

Nella famiglia di Chiara si celava un segreto, un segreto che risaliva a tanti tanti anni fa. C'era stato un prozio, un tipo strano che abitava solo in una villa abbastanza inquietante. Alla sua morte lasciò agli eredi solo una pergamena in cui c'era stampato un simbolo rosso a forma di V, e in fondo, scritto in corsivo e a caratteri microscopici: “la tradizione continuerà ma solo chi è degno avrà l'onore di diventare vampiro.”

“Cazzo che onore, oh”, disse sarcasticamente Chiara. “E ora che dovrei fare, dove lo trovo un altro vampiro che mi possa aiutare, io non so niente di questa roba. L'unica cosa da fare è andare nella casa di questo prozio e vediamo se trovo qualcosa”. Chiara non era mai entrata in quella casa, anche perché finora la spaventava solo a immaginarla però sapeva dov'era. Doveva prendere il treno, distava ben 50 chilometri e a piedi non sarebbe sicuramente riuscita ad arrivare.

“Ancora più bella di come la ricordavo, e pensa dentro come può essere. Blaaaah sai i topi, i ragni. Merda merda merda.” Merda altre tre volte perché come poteva entrare senza chiave? Ma bastò sfiorare la maniglia, che fra l'altro cadde a terra e si ruppe, e riuscì a entrare. Dalla morte del prozio vampiro di cui manco ricordava il nome, o molto probabilmente mai l'aveva saputo, nessuno era entrato lì dentro. Era un'abitazione in sfacelo. I mobili erano molto antichi, tutto sommato, anni passati forse era pure di moda. Osservando bene dava l'impressione di un ambiente settecentesco. Pensa un po'. Chiara ispezionò la casa, che era davvero grande, immensa, da fuori sembrava più piccola. Sì stupì del suo girovagare con coraggio da sola con un candelabro in mano, non era nel suo stile.

Il lungo corridoio del piano superiore, aveva alle pareti dipinti di parenti lontani e sconosciuti. Chiara fu stranamente incuriosita da un ritratto, non sapeva perché proprio quello ma lo osservò per una decina di minuti. Un uomo dall'aspetto distino, baffi neri e giacca nera. Sinceramente quel quadro stonava con il resto della villa perché non era del periodo settecentesco, ma più recente, non di tanto, occhio e croce fine ottocento. Passò oltre ma dopo brevi attimi sentì una voce che chiamava il suo nome. Occhi spalancati, battito a 3000. “Sto diventando matta cazzo, ho paura!!!”

“Non temere, adepta”.

“Eh?”.

“Sono lo zio che non conosci, Gianfilippo, piacere mia devota nipote”.

“Salve, devota?”

“Sì, tu, a differenza degli altri, hai l'anima degna di un vampiro. Non perdere quest'occasione. Vieni con noi, che siamo immortali, superiori, non temere, non c'è nulla di malefico in tutto ciò. Siamo brave creature ma mal viste a causa di sciocche credenze popolari. Vieni, non aspettare. Vieni.”

“Tutto ciò mi sconvolge, se permette potrei pensarci su...”

“No! O ora o mai. Mai. E il mai ha le sue conseguenze.

“Del tipo?”

“Un lungo calvario di sofferenze perché se non accetti interromperai la tradizione. E la tua scelta si ritorcerà anche contro i tuoi cari in maniera spietata”.

“Ma questa è una minaccia, un compromesso vile. No caro, io non accetto. Tanti saluti a te e a tutti quell'altri. Peace and love. Ma dimmi te se devo credere a queste cazzate nel 2012”.

“Te ne pentirai presto, mooolto presto”.

Chiara, incazzata nera se ne tornò a casa, o perlomeno ci provò. Perse il treno “fanculo”. Erano le undici di sera, non conosceva nessuno, non aveva soldi al cellulare né poteva fare la ricarica e stranamente nessuno la cercava. Alla stazione, un tizio alto e robusto le rubò la borsetta e non c'era nessuno ad aiutarla. Aveva paura. Scoppiò a piangere. Le mancava la sua famiglia, le amiche e il suo ragazzo che da tempo aveva trascurato. Si addormentò in una delle panchine all' interno della stazione solitaria. Si risvegliò e stava malissimo, non mangiava da quasi due giorni, non aveva i soldi per comprare né cibo né il biglietto per ritornare a casa. Stava nel panico più totale. Pensò di fare l'autostop ma nessun se la calcolava, se non qualche ragazzo stupido che gridava dal finestrino:

“Ah gnocca, quanto vuoi per una bottarella?”.

Si sentiva una merda, forse era meglio se avesse accettato di diventare vampiro, tanto ormai era una via di mezzo: bianca come la carta al punto tale da vedere persino le vene, il sole la indeboliva sempre più ed era assetata di sangue. Mentre camminava nella strada che neanche lei conosceva vide tra i cespugli un passerotto. “Fatto 30 faccio 31”. Lo prese fra le mani, lo uccise crudelmente con un ramoscello, lo spennò, eliminò tutta la carne e si sporcò le mani di sangue e le leccò con gusto. Questa volta non provò disgusto né senso di colpa e tutta sporca continuò a camminare finché non arrivò ad un tabellone, quelli dove mettono le pubblicità, gli eventi, ma questa volta era una notizia seguita da un necrologio:

“Trovati morti nella loro casa padre madre e figlia. Per il primo si ipotizza un arresto cardiaco, la donna suicidio per la disperazione e la bambina ammazzata dalla madre perché desiderava che tutti e tre stessero insieme in paradiso. Non si hanno notizie dell'altra figlia scomparsa da due giorni” Sotto le foto dei defunti.

“Noooo, cazzo, nooo, non posso crederci. Ho le allucinazioni. Quel pazzo me l'ha fatta pagare, e ora toccherà alle mie amiche, e a Giulio, no amore mio, chissà cosa ti farà quel vecchio figlio di puttana”.

Chiara voleva ritornare nella villa, ma sapeva della sua impotenza, che niente sarebbe tornato come prima, che i giochi erano fatti e che lei era stata una grande egoista. Ormai la sua vita non aveva più un senso, e poi vivere per vedere continuamente la morte dei cari è straziante. “Un lungo calvario” come disse quel vecchiaccio. Basta, calvario si, ma lungo no. Chiara aveva fatto la sua scelta. Si uccise. A poca distanza c'era una diga. Quale morte più ovvia per una stronza che non sa nuotare. Non ci pensò nemmeno un minuto e si tuffò. La gola si era riempita d'acqua, il suo corpo penetrava sempre più in profondità, perse i sensi e dopo qualche minuto il suo cuore cessò di battere.
Nessuno mai ritrovò il suo corpo e su questa vicenda la gente ne disse e inventò così tante da far diventare questa terribile storia una leggenda dei giorni nostri.

 

 
  
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