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Autore: Onedirection_robsten    12/03/2014    5 recensioni
Emily è una normale quindicenne londinese, solo una cosa la differenzia dalle altre: sua madre ha il tumore, e presto dovrà subire un'operazione che potrebbe cambiarle la vita. Nel frattempo, mentre la madre prepara il necessario per l'ospedale, ritrova il diario che scrisse quando era ancora un'adolescente.
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- cos'è?- chiesi, sedendomi vicino a lei.
- l’ho cercato per anni..- iniziò, senza guardarmi – qui, c’è tutta la mia vita-
La guardai confusa, non capendo di cosa stesse parlando. Era un diario segreto, e c’ero arrivata, ma non capivo tutta quell'emozione nel rivederlo.
La sentii sospirare ancor più profondamente, per poi vederla chiudere gli occhi e porgere il diario verso di me, ma continuando a tenerlo stretto fra le dita.
- voglio che tu lo legga, e che impedisca a me di fare lo stesso- disse seria.
Scossi la testa, rifiutandomi di prenderlo.
- mamma, è il tuo diario segreto, non il mio!- esclamai.
Aprì gli occhi, sorridendo, e posandomi delicatamente il diario sulle gambe.
- c’è scritta la mia più grande storia d’amore, in tutti i particolari- sussurrò, stringendo la mia mano.
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Spero di avervi incuriosito abbastanza! :)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- credo che passerò un po’ di giorni in ospedale, sai piccola?- chiese dolcemente mia madre, sedendosi sul divano accanto a me.
Misi in pausa il film, girando la testa verso di lei; il coraggio di guardarla negli occhi non l’avevo, tantomeno quello di parlare. In quel periodo era diventato tutto più difficile, mangiava sempre meno, dormiva poco, e a malapena aveva la forza di reggersi in piedi; ed io ero lì, ferma, che non potevo fare niente se non vederla scomparire dai vestiti.
Lanciai un’occhiata alle sue mani, sempre più magre, sempre più sottili, sempre più fragili. Non portava neanche più la fede ormai, si era fatta troppo grande per lei, le usciva e aveva paura di perderla; però l’aveva attaccata ad una collanina che portava al collo, accanto ad un ciondolo a forma di “E”, ovvero l’iniziale del mio nome. Diceva che le piaceva sapere che io e papà eravamo sempre accanto a lei, in ogni momento, in ogni istante; “Quando le cose non vanno tanto bene, stringo forte la collana e ho la forza di andare avanti” mi ripeteva in continuo, solitamente la sera, prima di andare a dormire.
Anche se sapevo che lei non dormiva, restava a fissarmi mentre dormivo, accarezzandomi i capelli e il volto, scolpendosi nella mente ogni mio più piccolo particolare; del resto era quello che io facevo con lei mentre riposava. Non volevo ammetterlo, ma la consapevolezza che lei se ne stesse andando si faceva sempre più viva, ed io volevo ricordarmela in ogni sua più piccola sfaccettatura.
Sapere che mi avrebbe potuto lasciare da un giorno all’altro mi faceva impazzire, volevo fare con tutta me stessa qualcosa per bloccare la sua malattia, per impedire al tumore di espandersi ancora di più, ma non potevo fare niente, e la cosa mi distruggeva ancor di più.
Forse la cosa peggiore di tutte era che, una volta persa mamma, sarei rimasta da sola. Papà era sempre in viaggio per lavoro, lui e i suoi stupidi affari non gli permettevano mai di restare per più di una settimana a casa, a volte non lo vedevo per mesi; da quando avevano rilevato il cancro a mamma la situazione era persino peggiorata: le chemio costavano, e per far si che ci fossero abbastanza soldi lui lavorava ancora di più, anche se, secondo me, non era altro che un modo per distrarsi dalla malattia di mia madre; come se pensare meno alla cosa rallentasse il processo di infezione delle cellule, beh, si sbagliava.
Mia nonna non l’avevo mai conosciuta, dato che mamma era rimasta incinta di me ai soli sedici anni l’aveva cacciata di casa, dicendole di non farsi più vedere; i genitori di mio padre, invece, erano tragicamente morti in un incidente. Inoltre papà era figlio unico, per cui non avrei avuto neanche un sostegno da parte di zii o cugini; mamma aveva una sorella minore, ma come i miei nonni, non l’avevo mai conosciuta.
 
Portai lo sguardo sul viso di mia madre, con un sorriso sincero dipinto sulle labbra; sorrideva sempre, anche se sforzatamente, lei sorrideva. Per lei la vita era un dono, e andava vissuta fino all’ultimo giorno con il sorriso; nessun dono di Dio doveva essere sprecato, tantomeno una vita.
- perché?- domandai, con voce tremante.
Sospirò, aggiustandosi i capelli con una mossa veloce. Da quando aveva iniziato la chemio i capelli erano sempre di meno, era stata costretta a tagliarli. La chemio l’aveva distrutta, le stava togliendo la voglia di vivere, ed era una cosa che non potevo accettare.
Per quel motivo ogni giorno cercavo di renderla fiera, cercavo un’attività con la quale intrattenerla, cercavo di farle spuntare quel bel sorriso che aveva. Perché mia madre era bellissima, e non lo dicevo solo in quella situazione, lei era davvero la donna più bella che avessi mai visto; aveva, prima che l’inferno cominciasse, dei lunghi capelli castani, era magra, alta, con le curve sviluppate al punto giusto, ma niente batteva i suoi occhi. Blu, come l’oceano, bellissimi; ogni giorno risplendevano di una strana luce, una luce bellissima. E dopo tanti anni, vedere i suoi occhi spenti, senza quella luce, era bruttissimo.
 
Mi resi conto da sola della stupidità della mia domanda. Perché doveva andare in ospedale? Sicuramente non per una visita ai bambini malati.
- vedi, un paio di giorni fa i medici mi hanno fatto una proposta…- iniziò, accarezzandomi il viso.
M’accigliai – che proposta?- domandai subito, girandomi con il corpo verso di lei.
Allargò per pochi secondi il suo sorriso, sussurrandomi di stare tranquilla.
- non è nulla di grave, tesoro, appena arriva papà ti spiegherò meglio la cosa-
Annuii, senza insistere sulla situazione, anche se capivo benissimo la delicatezza della cosa. Se voleva papà al suo fianco c’erano solo due opzioni: o era una cosa difficile, o era una cosa bella. E date le circostanze, potevo intuire benissimo di cosa si trattasse.
In quei giorni l’unica cosa che potevo fare era aspettare, e a quanto pareva, avrei continuato a farlo.
- che stavi vedendo?- chiese poi allegramente.
Sorrisi – Mulin Rouge-
Si mise comoda accanto a me, posando la testa sulla mia spalla e i piedi sul tavolino. Certo, non poteva andare meglio di così: un film dove lei alla fine moriva, un film per niente adatto alla situazione.
Guardammo silenziosamente la tv, mentre la sua mano stringeva e accarezzava dolcemente la mia; mamma aveva un tocco delicatissimo, e negli ultimi giorni la sua temperatura corporea era scesa, ogni tocco equivaleva ad un brivido di freddo.
 
Quando entrambe sentimmo il rumore della serratura che scattava, drizzammo le teste, guardando con ansia la porta. La figura di papà apparve dietro di essa, composta come sempre, con la cravatta ben annodata e la camicia chiusa fino all’ultimo bottone.
La valigetta di pelle marrone era stretta nella mano sinistra, mentre con la destra tolse le chiavi dalla serratura; richiuse la porta con il suo peso, appoggiando la giacca e la valigetta sulla panca, per poi allargare le braccia.
Corsi verso di lui, facendomi stringere dalle sue braccia forti, facendomi infondere quella sicurezza che stava vendendo a mancare giorno dopo giorno; era quello lo scopo del padre, no? Dare forza e sicurezza alla famiglia.
Dopo che mi staccai, andò verso di mamma, chinandosi leggermente su di lei per lasciarle un dolce bacio a stampo; lei sorrise, lui fece lo stesso, ed io inevitabilmente non potei fare a meno di copiare le loro mosse.
Papà si tolse anche la giacca, posandola sul bracciolo del divano.
- vado a farmi la doccia e torno subito, ok?- domandò, rivolgendo uno sguardo prima alla sua amata, poi a me.
Io e mamma annuimmo, e lui, prima di salire per lavarsi, lasciò un ultimo bacio sulle labbra di mia madre. Tornai a sedermi accanto a lei, rimettendo in onda il film.
 
- quindi, quale sarebbe la proposta dei medici?- domandai, una volta finita la cena.
Mamma allungò una mano verso papà, prendendola e stringendogliela forte, così forte da fargli male.
- c’è un operazione che potrebbe salvarmi, diciamo- spiegò mamma, senza distogliere lo sguardo dagli occhi grigi di mio padre.
Da una parte avrei voluto urlare di gioia, abbracciare entrambi e ringraziare il Signore per aver ascoltato tutte le mie preghiere, ma l’altra mi bloccava, mi confondeva, perché gli sguardi che i miei genitori si scambiavano non erano affatto felici.
- ma?- chiesi.
Mamma abbassò lo sguardo, e lì capii che avrebbe continuato papà, per cui rivolsi tutta la mia attenzione a lui.
- ma potrebbe non reggere l’intervento e…e andarsene prima che i medici esportino il cancro-
Spalancai gli occhi, restando immobile nella mia posizione; il fiato mi si bloccò in gola, così come il nodo che mi si venne a creare nel sentire quelle parole. Non poteva morire per un intervento, non lei, non gliel’avrei permesso.
Le scene d funerali viste nei film si succedevano nella mia mente, avevo gli occhi fissi su un punto indefinito del tavolo, le mani strette a pungo sulle mie gambe. Stava per cominciare l’incubo.
Restai in silenzio per diverso tempo, per minuti, forse per molto di più. Non riuscivo a reagire, non riuscivo a piangere, non riuscivo ad urlare, non riuscivo a muovere un muscolo. Mi sentivo come rinchiusa in una cintura di forza, con qualcuno che mi continuasse a dare continui schiaffi in faccia; mi sentivo sola, persa. Sentivo già l’angoscia scendere su di noi, così come la tristezza, l’agonia, la malinconia.
Volevo che mamma scoppiasse a ridere e dicesse che era tutto uno scherzo, perché si, l’avrei perdonata; volevo che papà mi prendesse in braccio come faceva quando ero più piccola, che mi sorridesse e mi dicesse che tutto andava bene. Volevo qualcuno, chiunque, che mi venisse a svegliare, perché io in quell’incubo non volevo più starci.
Un’adolescente doveva pensare a problemi come cosa indossare il giorno dopo, o come conquistare un ragazzo; non a quali medicine dovesse prendere sua madre alle tre del pomeriggio.
Avrei dato la mia vita per salvare quella di mia madre, ma non sarebbe servito a nulla, lei stava morendo.
Stava morendo, anche in quel momento, davanti ai miei occhi, incapace di guardare sua figlia per la paura. Ma paura di cosa? Paura che le girassi le spalle? Che l’abbandonassi?
Lei non mi aveva abbandonato quando all’età di sedici anni era rimasta incinta di me, ed io non l’avrei fatto.
 
- di qualcosa Emily…- mi pregò mia madre, facendo scontrare i nostri occhi.
Sospirai profondamente, lasciandomi andare contro la sedia. Cosa avrei potuto dire? Era la sua vita in fin dei conti, decideva lei come gestirla; lei era adulta, probabilmente prendeva decisioni che io non potevo ancora capire, io avevo quindici anni, lei trentuno, c’era una grande differenza.
- hai deciso che fare?- chiesi, incrociando le braccia al petto.
Annuì, poco sicura, ritornando per l’ennesima volta con lo sguardo su mio padre. Il suo sguardo sofferente e impaurito mi faceva ritorcere lo stomaco, non era possibile che fosse intimorita da dire una cosa a me, a sua figlia, alla persona che le era stata più vicino in tutta la sua vita.
- mi opero-
Mi sentii crollare all’istante, se non fossi stata seduta probabilmente sarei sbattuta per terra. Sembrava quel tipo di periodo in cui accadevano solo cose brutte, dove c’erano cose brutte e dovevano arrivarne di peggiori, e peggiori ancora. La mia vita mi ricordava uno dei tanti film drammatici che avevo visto, ma quello che stavo vivendo era fottutamente reale. Pensavo che se vedevo più film dove la protagonista moriva, mi sarei abituata all’idea della morte, al non avere più mia madre accanto, eppure mi resi conto che non era così, che quei film non facevano altro che portarmi ancora più tristezza.
- quando?- domandai ancora, mantenendo per me le lacrime.
- dopo…dopodomani- balbettò, con il labbro tremolante.
No, non poteva piangere. Se piangeva lei, crollavamo tutti, io per prima, seguita a ruota da papà; in casa, probabilmente, era mamma la colonna portante, non papà. Non era un offesa a mio padre, era solamente la realtà dei fatti.
Annuii soltanto, senza aggiungere altro; fare domande era inutile, così come provare a farle cambiare idea.
 
Quella notte non dormii, come tutte le altre, ma sapere che ci fosse mio padre a stringere mia madre mi faceva sentire più sicura. Il mio unico pensiero era la sua operazione, un giorno e l’avrebbero operata, un solo fottuto giorno, sarebbe potuto essere l’ultimo che passavo con lei, in sua compagnia.
Avevo una strana sensazione, una cattiva però. Sentivo come se le stesse per succedere qualcosa di brutto, qualcosa dentro di me mi diceva di spiegarglielo, di non farle prendere quella decisione; qualcuno mi stava mettendo in allerta, facendomi capire che mia madre non sarebbe sopravvissuta all’intervento. Avevo paura, paura di perderla, paura di non poterla più abbracciare, di non potermi più prendere cura di lei. Stavo morendo dalla paura, ma lei stava morendo e basta.
- mamma, posso non andare a scuola, per favore? Non mi sento bene- mentii, facendo il mio ingresso in cucina.
Lei guardò un attimo mio padre, con fare incerto; ovvio, mi conosceva, sapeva che stavo mentendo, che non volevo andare a scuola solo per restare quanto più tempo possibile con lei.
Mio padre sorrise, facendole un occhiolino. Sorrisi involontariamente a quella scena, mi ricordavano due adolescenti della mia età che si mettevano d’accordo con piccoli gesti. Mia madre annuii, dicendomi che la colazione era pronta.
- io vado a sbrigare alcune cose, torno per le undici e ti accompagno in ospedale- disse papà, mettendole una mano sul fianco prima di stamparle un bacio sulla guancia.
Salutò me alla stessa maniera, poi uscì dalla porta di retro della cucina. Sospirai, sedendomi sullo sgabello e iniziando a girare lentamente lo zucchero nel latte, nell’attesa che si sciogliesse. Mamma si posizionò di fronte a me, bevendo il suo caffè obbligatoriamente amaro a piccoli sorsi.
- mi aiuti a fare la valigia dopo?- chiese, con un sorrisetto – o stai troppo male?-
Sorrisi anch’io, scuotendo la testa e bevendo il latte, finendolo prima del previsto.
Non mi piaceva il clima che si era creato quella mattina, i miei genitori erano più tesi del solito, ed ovviamente la cosa si riversava anche su di me. Ero sicura che fosse per l’operazione, fin troppo delicata, fin troppo rischiosa per una persona fragile come mia madre; ma sapevo che sotto c’era dell’altro, altro che loro mi stavano nascondendo.
Stavo per chiedere a mia madre delle spiegazioni, ma non feci in tempo a fare niente visto che si alzò di corsa correndo via dalla cucina. Stupido pensare dove stesse andando, era ovvio che la sua meta fosse il bagno; vomitare era un’azione quotidiana, ed era tutta colpa della chemio.
Da quando aveva iniziato il ciclo di cura non smetteva più di correre in bagno, e non capivo perché, infondo non mangiava quasi più, perché vomitava?!
Avevo così tanti dubbi nella mente, tanti dubbi che nessuno era pronto a risolvere, a cui io stessa non volevo trovare una risposta.
Vederla ogni volta piegata in due sul water mi faceva un brutto effetto, vedere quel liquido uscire dalla sua bocca mi faceva capire quanto stesse soffrendo. Le avevano trovato la malattia da pochi mesi, eppure lei sembrava non esserne rimasta sconvolta, anzi, sembrava quasi indifferente alla cosa.
Quello, era uno dei miei tanti dubbi, come il perché non mi volesse mai portare ad una visita con lei; pensavo che non volesse per non farmi preoccupare, ma non capiva che così mi faceva agitare ancora di più.
 
La raggiunsi velocemente, ma quando arrivai, la trovai già in piedi a lavarsi i denti. Mi sorrise apertamente quando ebbe finito, avvicinandosi e passandomi una mano tra i capelli.
- andiamo?- domandò, spingendomi fuori dalla stanza.
Annuii, entrando nella sua camera e sedendomi sul letto suo e di papà, ancora non fatto, osservandola mentre cacciava i vari vestiti che le sarebbero serviti dall'armadio. Mi rilassai, sprofondando con la testa nel cuscino, senza staccare i miei occhi da lei; ed io come avrei fatto a non averla più accanto?
L’osservavo mentre ripiegava le magliette in modo ordinato, assicurandosi che non fossero aggrinzite; chi mi avrebbe ripiegato le magliette dopo che se ne fosse andata?
Mi sorrise dolcemente; chi mi avrebbe più sorriso così?
Iniziò a canticchiare a bassa voce; ed io di chi avrei più ascoltato la bellissima voce?
Asciugai velocemente una lacrima mentre era girata, alzandomi di scatto e dicendole di sedersi per riposarsi, ma no, ovviamente, doveva fare sempre tutto lei, senza l’aiuto di nessuno.
- ed ora il borsone…- sospirò, prima di inginocchiarsi e mettere la testa nell’armadio enorme, cercandolo sul fondo.
Quando si alzò, in mano, non aveva soltanto il borsone, ma anche un piccolo diario rosso, chiuso con un cinturino. Aggrottai le sopracciglia, mentre lei sorrideva emozionata e incredula. Ma di cosa?
Poggiò il borsone per terra e si sedette sulla punta del letto, attenta a non schiacciare i vestiti.
- cos’è?- chiesi, sedendomi vicino a lei.
Il suo sorriso si ampliò, facendo formare la fossetta sulla guancia sinistra; io avevo entrambe le fossette, lei una sola, che a malapena si vedeva.
Passò delicatamente una mano sulla copertina, come se l’oggetto che avesse tra le mani fosse la cosa più importante di tutta la sua vita.
- l’ho cercato per anni..- iniziò, senza guardarmi – qui, c’è tutta la mia vita-
La guardai confusa, non capendo di cosa stesse parlando. Era un diario segreto, e c’ero arrivata, ma non capivo tutta quell’emozione nel rivederlo.
La sentii sospirare ancor più profondamente, per poi vederla chiudere gli occhi e porgere il diario verso di me, ma continuando a tenerlo stretto fra le dita.
- voglio che tu lo legga, e che impedisca a me di fare lo stesso- disse seria.
Scossi la testa, rifiutandomi di prenderlo.
- mamma, è il tuo diario segreto, non il mio!- esclamai.
Aprì gli occhi, sorridendo, e posandomi delicatamente il diario sulle gambe.
- c’è scritta la mia più grande storia d’amore, in tutti i particolari- sussurrò, stringendo la mia mano.
- non voglio sapere i particolari della tua storia con papà- sbuffai.
Sorrise, per l’ennesima volta in quella giornata, portandosi la mia mano alla bocca e lasciandoci un bacio sopra.
- leggilo- disse ancora una volta, prima di alzarsi e finire di mettere le cose nel borsone.
Rimasi stordita per alcuni minuti, chiedendomi perché voleva per forza che io leggessi il suo diario? Io non avrei mai voluto che mia figlia leggesse il mio, se mai ne avessi avuto uno, erano cose private quelle.
Mamma mi avvisò che si andava a preparare, e mi chiese gentilmente di rifarle il letto. Posai il diario sul comodino e le rifeci il letto, facendo attenzione a fare tutto come lei esigeva: la trapunta non doveva toccare a terra, la piega doveva essere ben fatta e i cuscinetti dovevano essere posti in ordine di colore.
Andai in camera mia, facendo il mio letto, anche se in maniera molto più disordinata, e poi andai nel bagno di sotto per lavarmi visto che in quello al piano di sopra c’era mamma. In realtà avevamo tre bagni in tutta la casa, ma uno era più uno sgabuzzino che un bagno, era troppo piccolo.
Mi cambiai subito, pensando a cosa avrei potuto fare nella mattinata; eravamo a inizio giungo, il tempo era perfetto per fare una passeggiata, per andare al parco, per restare in giardino a leggere un libro. Eppure sapevo che avrei passato la giornata davanti la tv, a deprimermi mentre pensavo cosa stessero facendo a mia madre.
Mi vestii velocemente, mettendo un semplice pantaloncino ed una maglietta bianca con le scritte nere, faceva troppo caldo per indossare cose diverse da quelle.
 
Quando uscii da bagno, sentii delle voci da sopra, per cui capii che papà era rientrato. Salii lentamente le scale, andando prima in camera mia per riporre il pigiama, poi in quella dei miei genitori per vedere cosa stessero facendo.
- e dopo che l’avrà letto che succederà?- chiese mio padre, quasi in un sussurro.
Mia madre sospirò – è una sua scelta-
Entrai spedita nella stanza, sorridendo falsamente ad entrambi. Mi nascondevano qualcosa, ed io dovevo capire cosa prima che fosse troppo tardi.
- noi andiamo-
Papà mi anticipò sul tempo, prendendo il borsone di mamma e mettendoselo in spalla. Sbuffai, spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e annuendo.
Lui scese, mentre io lo raggiunsi lentamente con mamma, che aveva bisogno di un supporto per scendere le scale, era troppo debole per farcela da sola.
- ci vediamo presto, ok?- chiese.
Annuii, facendomi stringere forte dalle sue braccia e aspirando il suo profumo buonissimo. Mi sarebbe mancato non potermi stringere a lei nei giorni più brutti, non poter avere il suo conforto.
Mi diede un bacio forte sulla guancia quando si staccò, accarezzandomi l’altra con una mano. Dopo avermi sorriso raggiunse papà, il quale dopo averla aiutata a sedersi in macchina, venne verso di me.
- appena finiscono gli accertamenti ti passo a prendere, ok?- domandò, sorridendo appena.
Annuii felice, per poi salutarlo e chiudere la porta.
Corsi al piano di sopra, in camera dei miei, recuperando il diario segreto di mia madre e scendendo nuovamente di sotto, sedendomi sul divano.
L’aprii velocemente, impaziente di scoprire qualcosa di più su mia madre. Ma non appena lessi la prima frase, rimasi sconcertata.
“Caro diario,
ciao, sono Holly, una qualsiasi ragazza di quindici anni che vive in un piccolo paese, Holmes Chapel. Non ho amici veri, per cui ho deciso di comprare te, e so che mi rimarrai sempre fedele. Scriverò esclusivamente di una persona, di lui, del mio grande amore. Harry Styles.” 



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Salve a tutte! Volevo ringraziarvi di esservi fermate a leggere la mia storia. So che non è un granché, ma vi assicuro che i prossimi capitoli saranno migliori, questa è solo un'introduzione! ;) 
 
  
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