Note: La storia è nata in un momento di delirio ieri
notte. Saranno solo pochi capitoli due, tre al massimo.
Questo
capitolo è solo una specie d'introduzione, la vera e propria storia inizierà il
prossimo capitolo.
Spero solo
che vi piacerà, buona lettura.
Ilenia.
Dammi
una maschera e ti dirò chi sono.
Accogliere e pronunciare la verità è sempre
difficile.
Per questo ci nascondiamo sotto veli d'ipocrisia.
Per questo non riesco a guardarti negli occhi.
Datemi una maschera vi supplico, non riesco a sopportare questo fardello.
Non ci riesco, è
troppo difficile.
L’aveva
lasciata.
Poche
parole sconnesse scritte in un messaggio per farla finita.
Finalmente
avevano messo fine a quella falsa e Virginia non sapeva se essere arrabbiata,
sollevata o confusa.
Virginia
era davvero stanca, stanca di sentirsi così inadatta, di non riuscire mai ad
esternare i propri sentimenti.
Una
vecchia bambola di porcellana ecco cos’era, una bambolina intarsiata da piccole
crepature.
Le sue ferite.
Voleva
davvero cambiare, magari cercando di assomigliare un po’ di più alla sua
migliore amica Loredaine.
Lei si che
ci sapeva fare.
Era sempre
così perfetta con i suoi capelli rossi sempre pettinati e i vestiti senza
pieghe.
Loredaine
era il suo opposto.
Decisa,
forte, sociale e con una parlantina da fare invidia.
Quando
Loredaine parlava era impossibile non ascoltarla, forse era per questo motivo
che all’asilo lei l’attirò così tanto.
Adesso a
distanza di quindici anni le cose non erano cambiate molto.
Loredaine continuava
a essere la stella del momento, bellissima e perfetta e Virginia la sua
comparsa.
E andava
bene così, era il loro compromesso ma in quel momento Virginia avrebbe pagato
milioni per assomigliare un po’ di più a Loredaine.
L’ennesima
auto che le passo accanto le ricordò di trovarsi in mezzo alla strada, le auto
passavano accanto a lei, e quasi la sfioravano mentre la pioggia cadeva
fittamente.
La ragazza
aveva sempre amato la pioggia, e non per quella stupida frase che tutti
continuavano a ripetere: “Alcuni dicono che la pioggia è brutta, ma non sanno
che permette di girare a testa alto con il viso alzato”.
Tutte
stronzate, lei non avrebbe pianto nemmeno sotto la pioggia, anche perché era
stufa di piangere e di lamentarsi.
Lei amava
la pioggia perché adorava osservare il modo in cui le gocce d’acqua scivolavano
perfettamente via dalla sua pelle per poi infrangersi al suolo.
I capelli
neri le ricadevano sul volto,bagnati, oscurandole l’occhio sinistro, l’orologio
regalatole dalla madre segnava le due di notte ma l’ora era davvero l’ultimo
dei suoi pensieri.
E di
pensieri ne aveva davvero tanti.
Imboccò
una stradina che aveva tutta l’aria di essere desolata.
D’improvviso
un faro abbagliante l’accecò mentre non riusciva a distinguere la macchina che
velocemente e pericolosamente si avvicinava a lei.
Troppo
velocemente.
Troppo
vicina.
Era
finita.
Questa
volta avrebbe veramente lasciato il mondo, in un modo abbastanza dignitoso in
fondo il giorno seguente la sua morte sarebbe stata riportata sui giornali. Che
poi nessuno si sarebbe interessato del milionesimo incidente stradale era tutta
un’altra cosa.
Il resto
della sua storia ancora oggi non lo ricorda bene, sentì solo il rumore ovattato
di una frenata e lo sportello di una macchina aprirsi fragorosamente.
E poi
quella voce che la colpì come un dardo infuocato.
-Ma sei
impazzita? Che cazzo sei scema? Camminare in mezzo alla strada, volevi per caso
morire?-
Ricorda di
aver alzato il volto velocemente, se quello era il paradiso non le piaceva
affatto, aveva pensato Virginia, troppo rumoroso e quell’angelo aveva qualcosa
d’inquinate che non le piaceva per niente.
-Ma sei
anche sorda? Ti stavo ammazzando.-
Virginia
non rispose, guardava il ragazzo che continuava ad agitare le mani con fare
teatrale.
Aveva i
capelli scuri da quello che poteva notare, visto la poca luce ed era anche
abbastanza alto, anche se al confronto con lei anche un nano sarebbe stato un
gigante.
Non si era
mai lamentata del suo metro e cinquantacinque pensava sempre che in quel modo
riusciva a confondersi bene con le altre persone.
-Scus..a-
riuscì infine a balbettare Virginia ancora scossa.
-Scusa un
corno. Ti sei fatta male?- domandò dopo averla squadrata, più per cortesia che
per vero interesse.
Virginia
arrossì di colpo, odiava parlare e soprattutto rispondere a quelle stupide
domande come: Stai bene? Che mi racconti? A scuola?
Era
odiosamente fastidioso.
-Si tutto
bene, grazie.- rispose infine abbassando lo sguardo.
Il ragazzo
di fronte a lei si allontanò un attimo dedicando le sue attenzioni alla sua
macchina, la frenata che aveva fatto era stata abbastanza brusca e adesso
sperava che quel catorcio che si spacciava per la sua macchina non si fosse
guastata.
Virginia
dal canto suo si stava seccando, voleva tornare a camminare per i fatti suoi.
Si
avvicinò al ragazzo che le dava le spalle e timorosa ticchettò il dito sulla
spalla di lui.
-Ehm… io
dovrei andare. Grazie… per…ehm non avermi…si hai capito.- disse poi quando lui si
girò. Adesso che lo vedeva meglio riusciva benissimo costare che il ragazzo era
davvero carino.
Poteva
avere massimo vent’anni, i capelli erano castano scuro e gli occhi verdi anche
se Virginia pensò subito che il ragazzo usasse le lentine colorate perché quel
verde sembrava abbastanza falso. Come quei diamanti falsi che prima ti
abbagliano e solo dopo si dimostrano per quello che sono: Falsi.
Aveva un
piercing sul labbro inferiore che gli donava parecchio e un tatuaggio a forma
di serpente sul braccio.
Sembrava
quel classico ragazzo che a mamma e papà non piacciono mai, quelli che le brave
bambine evitano come la peste.
Ed emanava
un’aura di famigliarità.
-No. Dimmi
dove abiti non si sa mai mentre torni a casa cerchi di nuovo di ammazzarti.-
Virginia
sbuffò, non stava cercando di suicidarsi anche perché era troppo legata alle
cose terrene e alla sua vita per uccidersi.
-Cosa?
Possibilmente sei anche un maniaco… è logico che non salgo in macchina con uno
sconosciuto.- ripose subito ricordandosi le parole che fin a due anni fa
ripeteva ogni volta che usciva di casa.
Il ragazzo
rise divertito.
-Non ti
preoccupare non ti voglio né violentare né portarti sulla brutta strada.-
rispose lui con un sorrisino.
Si
trovavano ancora nella stradina deserta e a Virginia parve tutta una scena
abbastanza patetica aveva sonno e voleva tornare a casa per dormire e
dimenticare quella giornata straziante.
-Ok ok
accompagnami…- disse infine arrossendo.
-Ma ti
avverto che sono cintura nera di Karatè.- e in fondo in quello che aveva detto
c’era un fondo di verità lei in quel momento indossava una cintura nera.
Il ragazzo
annuì poco convinto e gli fece cenno di entrare nella macchina, sinceramente in
quel momento poco le importava di accettare un passaggio dallo sconosciuto che
l’aveva quasi ammazzata le doleva troppo la testa per cercare di pensare a
qualcosa di sensato.
Si sedette
sul sedile della macchina mentre un odore di menta la colpì fortemente,
quell’essenza aveva qualcosa di assicurante e familiare.
Il ragazzo
salì anche lui in macchina da lato del guidatore accendendo il motore, che
chissà per quale potenza divina funzionava ancora.
-Come ti
chiami?- domandò poi il moro per spezzare la tensione.
-Virginia.-
La risposta della ragazza arrivò subito come se se la fosse aspettata.
-Non mi
piace.- rispose il ragazzo mentre seguiva il ditino della ragazza che accanto a
sé l’indicava la via di casa sua.
Virginia
arrossì nervosamente, avrebbe dovuto rispondere con qualcosa d’intraprendente
come: “Non deve mica piacere a te” ma questo non faceva parte del suo carattere
quindi si limitò a scrollare le spalle.
-Vedo che
sei di poche parole, non mi hai nemmeno chiesto il mio nome.-
Virginia
alzò di nuovo le spalle come se il discorso non le interessasse.
-Girà a
destra e dopo aver superato il semaforo vai a sinistra.-
Il ragazzo
annui.
-Comunque
mi chiamo Alex.-
Il nome a
Virginia non piacque, ricordava uno di quei nomi dei personaggi dei telefilm
che vedeva sempre sua sorella.
Rimasero
in silenzio, in sottofondo solo il rumore dell'indicazione di Virginia.
-Porti le
lentine?- chiese di punto e in bianco la ragazza stupendo se stessa.
-Scusa?-
-Ho detto:
Porti le lentine?- ripeté stizzita lei per aver dovuto ridire di nuovo la
domanda.
Alex
corrugò la fronte per poi sorridere.
-Si, come hai
fatto a capirlo?- domandò curioso.
La ragazza
si strinse fra le spalle.
-Così,
l’ho notato.- rispose abbassa voce.
-Di che
colore sono veramente?- domandò poi stupendosi di star dando vita lei stessa a
una discussione.
-Azzurri.-
rispose brusco Alex. Virginia non rispose, non glie’era piaciuto il tono con
cui aveva parlato. Sembrava il suo quando gli domandavano di sua madre.
Si limitò
ad annuire.
Il
silenzio cadde fra i due, di nuovo, e fu quasi assordante.
Virginia
si girò verso il finestrino osservando il cielo che quella notte era di un nero
cupo, la luna sembrava voler giocare ad acchiappa acchiappa. Si ricordava che
quando era piccola e saliva in macchina con i suoi genitori chiedeva sempre
perché la luna e le stelle continuavano a inseguirla.
Sorrise a
quell’ingenuo ricordo.
-Adesso
dove devo andare?- sussurrò lui.
-A destra
e poi sono arrivata.- disse iniziando a riconoscere il supermarket vicino a
casa sua.
-Non per
farmi gli affari tuoi ma che ci facevi a quell’ora fuori casa da sola?- domandò
Alex concentrato a guardare la strada.
-Pensavo.-
rispose lei.
Lui annuì
poco e alzò il sopracciglio, voleva aggiungere che poteva benissimo pensare a
casa sua ma si morse la lingua per non dirlo.
-Fermati.-
disse quasi subito Virginia.
-Sono
arrivata.- concluse.
Lui fermò
la macchina, la casa di lei era davvero carina. Aveva un piccolo prato e la
villa era illuminata.
-Allora…io
vado…ciao e grazie- disse rossa in volto lei e lui la trovò davvero adorabile.
-Buonanotte
Virginia.- ripose lui sorridendole.
La ragazza
uscì di corsa dalla macchina, Alex la vide inciampare su un sasso e riprendere
l’equilibrio subito, mettere la chiave sulla toppa della porta ed entrare a
casa.
Quando Alex la vide rientrare a casa sussultò e
si rilassò.
Virginia
non l’aveva riconosciuto.
In fondo
non l’aveva mai davvero visto.
Si girò e
poté scorgere la piccola incisione che aveva fatto lui stesso a quindici anni.
VIRGY&RYAN.