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Autore: ELE106    13/03/2014    8 recensioni
È possibile psicanalizzare un Winchester?
(...) Il dottor William Holmes era un uomo onesto e preciso. Un professionista serio, stimato, uno di quelli che amano il proprio lavoro e lo onorano svolgendolo con la giusta combinazione di cuore e mente, buon senso e competenza. Era sempre stato un ottimo osservatore, con straordinarie doti deduttive e l’indole buona di chi desidera davvero aiutare le persone, senza alcun secondo fine. (...) L’osservazione diretta era il suo punto di forza. Il corpo parlava più di quanto si credesse comunemente, bastava saperlo leggere, bastava non farsi sfuggire i dettagli. E quello di Dean Winchester era particolarmente loquace. (...) ‘Possibile comparsa di impulsi sessuali per il fratello minore. Li reprime. Frustrazione e aggressività derivate. Indagare.’ (...) Buona lettura ;)
[wincest]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Dean Winchester, John Winchester, Sam Winchester
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Prima dell'inizio
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Capitolo 2.
 


 
Gennaio 1999, Baltimore City Correctional Center - Maryland
 


Non erano tanto le sbarre ad urtare Dean. Per niente. Nemmeno la compagnia decisamente chiassosa e sboccata (persino per lui). Non erano le guardie un po’ stronze o il cibo merdoso della mensa. Si era abituato a cose peggiori.
A Dean proprio non piaceva l’odore.

Nel penitenziario c’era quel costante tanfo di chiuso, misto a qualcosa di simile al disinfettante per ambienti, ma usato con stracci sporchi. Dean era sempre stato sensibile agli odori, era normale, tutta la sua dannata vita era un continuo registrarne di nuovi, ma ce n’erano alcuni che riconosceva ovunque: la polvere da sparo, il cuoio dei borsoni, il dopobarba di suo padre e lo shampoo per bambini di Sammy (perché usava quello alla camomilla, non c’erano storie, nonostante lo negasse di continuo).
Tutte cose che viaggiavano con loro e lo facevano a sentire a casa, che lo aiutavano a sentirsi a proprio agio, persino nella peggiore delle bettole.

In carcere, la federa del suo cuscino puzzava di scarpa vecchia.
Che si fottessero i suoi compagni di cella e il loro continuo ed osceno blaterare di fica, a Dean nauseava il tanfo delle sue dannate lenzuola e avrebbe pagato oro per arrotolarle e ficcarle in gola al primo di loro che avesse ripetuto quella parola ancora una volta.
Dopo oltre un’ora passata in fila per una telefonata, con decine di ragazzoni che sputavano, urlavano, bestemmiavano e si prendevano a calci in culo, persino Dio avrebbe perso la pazienza.
Dean era al limite della sopportazione, quando finalmente toccò a lui.
 
“Dean?”

“Sammy!”

Teneva la voce bassa, bisbigliava piano per non farsi sentire. Ma l’emozione non è qualcosa che sfugge, anche se la sussurri, anche se la trattieni. Dean tremava leggermente con la cornetta nascosta nella mano e le labbra appiccicate all’apparecchio, pregando tutti i Santi in cui non credeva, che nessuno di quegli animali stesse ascoltando la sua stramaledetta telefonata.

“Sammy...”

“Dean stai bene? Dimmi che non ti sei fatto pestare da nessuno!”

Il maggiore rise col il cuore che gli martellava nel petto, felice di sentire di nuovo la voce di suo fratello, dopo giorni di suppliche continue alla direzione, che attendeva l’approvazione dei servizi sociali, che attendevano l’approvazione dello psichiatra, che attendeva... oh al diavolo! Gli mancava suo fratello minore, che cazzo c’era da approvare? Che accidenti di problema avevano tutti?

“Ma smettila, guarda che qui dentro sono io quello pericoloso!”

“Smettila tu! Non fare l’idiota Dean, ti conosco. Io sto bene! Tu pensa ad uscire presto, hai capito?”

“Sammy, io... io devo parlare con un tizio, prima di essere rilasciato.”

“Lo psicologo del carcere? Si, lo so Dean!”

“È solo che...”

Il maggiore si passò la mano libera tra i capelli corti e sospirò. Non era mai stato bravo a parole, ancora meno se si trattava di problemi che lo riguardavano in prima persona; e ora si ritrovava nelle le mani di questo dottore che non voleva altro che farlo parlare. Certo che era preoccupato!

“Sembra uno in gamba e io ho... ho questo presentimento che...”

“Dean!”

“Capirà tutto, Sammy! Ti porteranno via e non mi lasceranno più vederti!”

“Dean, smettila!”

“Devi andare via di lì! Trova papà e fatemi uscire da questo posto!”

“Basta, calmati!”

“No, tu non capisci! Quel tipo sa tutto, lo sospetta già! Lo vedo da come mi guarda, alla prossima seduta vorrà che io gli parli di te, me lo sento! Sam, che succederebbe se capisse che...”

“Cosa? Non c’è niente da capire, Dean! Tu e io sappiamo quello che siamo, giusto?”

“Devo uscire di qui! Trova papà, ok? Ho bisogno... ho bisogno di rivederti, di capire se...”

“Per l’amor di Dio, Dean, non mi hai mica stuprato!”

“Shhhh…”

Dean allontanò la cornetta coprendola con la mano e occhieggiando intorno a sé, per assicurarsi che nessuno stesse ascoltando.

“Ma sei pazzo, Sam?!”

“Sono da solo Dean, tranquillo.”

“Trova papà!”

“Credi che non ci abbia già provato? Non risponde a nessuno dei numeri d’emergenza.”

“Vorrà dire che uscirò di qui da solo e scapperemo.”

“Dean...”

“Sammy, tu... tu lo sai che...”

“Lo so, non devi dirmelo.”
 


“Winchester! Per la fica di tua madre, possiamo fare la nostra fottutissima telefonata? O devi tirarti l’uccello al telefono con la tua puttana ancora per molto??”

“Tappati quel bidone di immondizia, Parker! D-devo andare ora Sammy... a presto.”
 
Un clic. Semplice e assoluto, per mettere fine ad una telefonata che invece di semplice non aveva proprio un bel niente e i cui contenuti erano bel lontani dall’essere risolti.
Dean si ricucì addosso la tipica espressione da stronzo, per assicurarsi di riuscire ad attraversare il corridoio stracolmo di teste di cazzo sbraitanti ed arrapate, senza correre il rischio di inciampare in nessuno che volesse disgraziatamente farsi gli affari suoi.

“Parker, tua madre lo sa che succhi i cazzi qui dentro? Vuoi che glielo dica io?”

Urlò in direzione di quel particolare stronzo, Parker, che tentava di intimidirlo e comandarlo dal primo giorno che era arrivato lì.

“Vaffanculo, culo bianco!”

Dean sorrise, intimamente fiero del timore che sembrava suscitare negli altri detenuti, con ancora quel clic nelle orecchie, che aveva chiuso anche un sacco di prime volte. Era la prima volta che sentiva suo fratello da quando era stato arrestato. Era la prima volta che parlavano di quello che succedeva tra loro. Era la prima volta che si disturbava a ragionare sul perché, il quando e soprattutto il come diamine era successo tutto quel casino e come avrebbe fatto ad uscirne illeso.
 
Arrivato nella sua cella, Dean aveva cacciato a cuscinate e bestemmie il tizio con cui, malauguratamente, la divideva, interrompendo crudelmente la sega che quest’ultimo si stava facendo nella propria branda.

“Fuori dai coglioni! Sparisci per almeno un’ora che oggi non è proprio aria!”

Gli urlò stravaccandosi di schiena sulla propria branda puzzolente, incurante delle minacce di morte ringhiate dal suo compagno di detenzione, mentre obbediva e lo lasciava solo.
Shezza: spacciatore e assaggiatore professionista di cocaina. Era persino un tipo divertente, quando non gli prendevano certi patetici attacchi di astinenza.
Dean chiuse gli occhi sospirando.

La prima volta...

No, non si era mai fermato a rifletterci e probabilmente nemmeno Sammy, o non avrebbero oltrepassato quel confine. Non avrebbero mai nemmeno sbirciato oltre la linea. Eppure lo avevano fatto ed era stato così bello e così semplice che non poteva, non doveva essere sbagliato!
Cosa ne sapeva la gente comune di cosa volesse dire difendersi ogni giorno da fantasmi e demoni assassini? Cosa volesse dire proteggere un fratellino di dieci anni da creature disumane che a malapena si era in grado di affrontare? Strapparlo dal suo letto nel cuore della notte per portarlo al sicuro? Cullarlo per ore perché non poteva, non riusciva più a calmarsi e riaddormentarsi?
Cosa ne sapevano tutti di cosa volesse dire crescere e diventare uomo, con l’unico scopo di tenersi il proprio fratello attaccato alla chiappe, sempre, ovunque, perché era il bene più prezioso al mondo e mai nella vita avrebbe permesso a nessuna lurida creatura, che strisciasse sopra o sotto terra, di separarlo da lui?

Nessuno poteva giudicarli, nessuno poteva capirli. Nemmeno loro padre.

A diciannove e quindici anni non erano che ragazzini infreddoliti, stretti in un letto solo, sotto coperte troppo leggere, in una stanza di motel buia e fredda che avevano occupato senza pagare, forzando la serratura e pregando che nessuno li scoprisse e li cacciasse via, di nuovo al gelo. Tanta, troppa paura di cosa c’era fuori dalla porta e di essere fuggiti senza aver dato le giuste coordinate al padre, per ritrovarsi.

“Io non ho paura, Dean. Ci sei tu con me...”

A diciannove e quindici anni erano bastate quelle parole sussurrate con coraggio e gli occhi di entrambi così vicini, per capire che i confini non erano stati ideati per quelli come loro. Erano bastati respiri e brividi sulla pelle, mani che scivolavano sotto i vestiti, carezze di conforto reciproco che diventavano (con spaventosa velocità e naturalezza) un toccarsi troppo intimo; labbra buone e famigliari, baci umidi e gambe intrecciate.

Era successo.

Era un bisogno, un esigenza: quella di essere uniti, perché da soli non potevano farcela. Era una necessità: quella di fondersi, perché solo così avrebbero potuto stare sempre insieme. Era tutto a posto, era tutto giusto. Quando baciava Sam, si sentiva bene come in nessun altro modo.
E non c’era altro da raccontare.
 

Dean aveva appena cominciato a farlo e già sapeva che rimuginare sulle cose non gli piaceva. Per niente. Come cavolo faceva a spiegare a se stesso che si, quello che faceva con Sam, per gli tutti gli altri aveva un nome? Ed era incesto.
 

 
 
Febbraio 1999, Studio privato del dottor William Holmes, Baltimore – Maryland
 

John Winchester si era presentato presso il Baltimore City Correctional Center, accompagnato da un alto funzionario governativo, esattamente una settimana dopo la prima seduta psichiatrica di Dean.
Venti minuti dopo il loro ingresso nell’ufficio del direttore, suo figlio era stato rilasciato e affidato di nuovo alla sua custodia, sotto la supervisione del funzionario sopra citato.
Unico vincolo per il rilascio: proseguire con la valutazione psichiatrica in corso.
Sam era tornato in famiglia il giorno successivo.

Al dottor Holmes non era stata fornita alcuna spiegazione, né gli era stato richiesto alcun consulto sulla decisione di rilasciare il ragazzo e farlo tornare sotto la responsabilità del padre.
Consulente governativo, in operazioni finanziarie strettamente riservate.
Ecco quanto gli era stato concesso di sapere sulla professione dell’uomo.

Aveva poi ricevuto diverse telefonate, da più di un ufficio statale, che lo invitavano caldamente a seguire le istruzioni del signor Winchester e collaborare con lui affinché tutto si risolvesse con la piena riabilitazione del figlio maggiore.
Le minacce non erano mai state cose in grado di spaventare il dottore. Era più preoccupato dall’idea di non avere la certezza che quei due ragazzi fossero al sicuro con il loro stesso padre.

Che tipo d’uomo era John Winchester?

Aveva appreso, con sempre maggiore disappunto, di non dover più preoccuparsi della sua valutazione, visto che l’uomo aveva provveduto metodicamente a fornire le dovute spiegazioni e rassicurazioni sulla propria salute mentale ed assoluta idoneità genitoriale.
Non gli era stato concesso nemmeno di visionare la documentazione prodotta, e questo innervosiva non poco il dottor Holmes, professionista abituato a trovare sempre la risposta ad ogni questione sottopostagli.
Avrebbe di certo continuato le sedute con il ragazzo, senza farsi minimante influenzare dalle spinte ricevute dall’alto.

Se John Winchester intendeva ridicolizzare e vanificare lo scopo del suo lavoro, aveva trovato contro chi scontrarsi.
 


Nel suo studio regnava il silenzio più assoluto, come sempre dopo che usciva un paziente e il successivo si preparava al proprio turno.
Il dottore necessitava di quel breve ma importante lasso di tempo per concentrarsi sulla seduta appena svoltasi e appuntare sulla scheda del paziente tutto ciò che ne aveva tratto o dedotto. Rifletteva e scriveva senza filtro tra un passaggio e l’altro, lasciando che le sue impressioni, anche le più vaghe, finissero nero su bianco; nulla doveva andare perso, nulla era trascurabile nella sua professione.

Terminata la trascrizione, Holmes si accomodò contro le schienale della poltrona, massaggiandosi gli occhi per qualche istante.
Inspirò ed espirò piano. L’appuntamento successivo era con Dean Winchester.
Rimessa ogni altra carta al proprio posto nei cassetti, il fascicolo del ragazzo troneggiava al centro della scrivania.

La poltrona del suo studio privato era senza dubbio più comoda della sedia del penitenziario, si ritrovò a pensare. Sarebbe stato istruttivo osservarlo al di fuori della struttura detentiva, ora che si era ricongiunto al padre a al fratello. Non era assolutamente felice della situazione, né la approvava minimamente, ma era un’ottima occasione per poterlo studiare in condizioni ‘normali’.
 
“Fai entrare il ragazzo, Clarisse.”

Avvisò la sua assistente al telefono e attese; le mani congiunte sotto il mento e i gomiti appoggiati alla scrivania.
Il sorriso gentile che spontaneamente rivolgeva a tutti i ragazzi di cui si occupava, si tramutò in sincero stupore quando ad entrare non fu Dean, ma la figura imponente di un uomo dai capelli scuri e gli occhi penetranti, scarponi militari e un logoro cappotto di pelle.

“Buonasera, dottor Holmes.”

Educatamente si alzò, girando intorno alla scrivania per andare incontro all’uomo e stringergli la mano che aveva porto in saluto.

“Buonasera... signor Winchester.”
 
 
 


Continua...
 
 
 
 
 
Nda: E bo, niente, non so che dire XD Comincio col ringraziare nuovamente TUTTI dell’accoglienza e l’interesse per la storia; sono sempre lusingata che qualcuno apprezzi i parti della mia immaginazione deviata. Volevo solo aggiungere che non durerà molto e che il prossimo capitolo lo pubblicherò la settimana prossima, senza intoppi. Spero di mantenere un ritmo regolare fino al termine e spero soprattutto di non deludere le aspettative di nessuno. Per concludere, DOMANDONE (poi sparisco): Qualcuno di voi ha capito chi era l’alto funzionario governativo che ha accompagnato John in carcere?? Eheheheh poteva essere solo lui! ;)
Un bacione e alla prossima!
 
   
 
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