Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: JoiningJoice    13/03/2014    3 recensioni
- Mi manchi ogni giorno. - mormorò, la voce rotta dal pianto. La mano di Marco salì fino ai suoi capelli, sfregandoli con forza, giocando con ciocche bionde, riempiendoli di sabbia. Quando la mano toccò il suo volto bagnato dalle lacrime, Jean vi posò sopra la propria e premette più forte che potè, chiudendo gli occhi, eliminando dalla propria mente il suono della risacca, le risate degli altri.
- Non esiste più nulla. - mormorò, e anche la sua voce arrivò attutita, lontana. - Esistiamo solo io e te. Giusto, Marco? -
Silenzio per qualche secondo. - Tutto quello che vuoi, Jean. -
Quando riaprì gli occhi, il sole era tramontato, ma Marco era ancora lì, e così la sua mano, calda e morbida sulla sua guancia, e così il suo sorriso, pieno di speranze perse e pentimenti.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Is it too late to remind you how we were?

But not our last days of silence, screaming, blur

Most of what I remember makes me sure

I should have stopped you from walking out the door





Onde alte che bagnano la costa, spruzzi di spuma marina che saltano in aria, allegri, senza pensieri.

Dal punto in cui era andato a sedersi, slacciandosi la cappa dalle spalle, Jean poteva vedere tutti loro: Eren e Mikasa, aggrappati l'uno all'altra come un'ancora di salvezza, i piedi nudi affondati nella sabbia del bagnasciuga; Armin, il cui cuore sembrava poter scoppiare da un secondo all'altro dalla tanta felicità, mentre, l'acqua alla vita, si voltava a ripararsi dalle onde in arrivo. Sasha e Connie ridevano saltellando e correndo da una parte all'altra della spiaggia, tirando calci alla sabbia candida. Ymir e Christa erano sedute con le gambe immerse nell'acqua, in silenzio, spalla contro spalla. Le cicatrici sul volto e sulle braccia, segni della rivoluzione conclusasi qualche mese prima, parlavano abbastanza per entrambe.

Ma più delle presenze, più di Hanji e Moblit intenti a tirare su un'improvvisata rete nella speranza di catturare qualcuno di quegli esseri chiamati 'pesci d'acqua salata', più del caporale fermo a metri di distanza da tutti, sul volto un'ombra stanca, erano le assenze a pesare. Quella del comandante Erwin, morto durante l'ultima grande battaglia contro i titani, e quella dei loro tre compagni.

Bertholdt, Reiner, Annie. Vite strappate alla normalità, esistenze donate a una causa sbagliata fin dal principio. Il caporale, Mikasa e Eren erano arrivati a puntar loro le spade alla gola, ed era solo per un atto di pietà di Eren che i tre erano sopravvissuti. Era stato ordinato loro di prendere i rimanenti membri del loro popolo e scappare, separando la strada di una razza in estinzione da quella di una razza che dopo un secolo di prigionia tornava a vivere. Ymir non era andata con loro.

Presto sarebbero arrivati i civili. Un po' alla volta si sarebbero riversati fuori dalle mura, curiosi, impazienti, ansiosi della libertà a cui non avevano mai neanche sperato di poter agognare. E avrebbero ripopolato il mondo, sarebbero tornati agli sfarzi di un tempo, questa volta più sicuri e uniti, meno litigiosi.

E lui non avrebbe visto nulla di tutto questo. Lui che ora si sedeva accanto al suo mantello slacciato, guardandolo senza essere ricambiato. Lui che era morto invano.

- Mi dispiace. - La voce di Jean era un sussurro piegato dal dolore, a malapena udibile. Ma lui lo sentì. Lo sentiva sempre.

- Non è colpa tua. - Jean si sorprese nel sentire la sua voce. Era fresca, giovane, pregna di quelle piccole note allegre e speranzose che profumavano di Marco. Era la sua voce.

- Lo è, invece. - continuò Jean, voltandosi nella direzione opposta a quella dove la sua visione, spaventato all'idea di voltarsi e confermare ancora una volta l'assenza e la morte di Marco. - Se solo fossi rimasto zitto, se non avessi urlato di proteggere Eren tu saresti ancora qui. Saresti ancora vivo. -
- Non è colpa tua. Smettila, ti prego. -
- LO E', INVECE! - alzò la voce. Sentiva l'ira afferrargli il cervello, circolare nelle sue vene come non accadeva da lungo tempo. All'improvviso era di nuovo un ragazzino spaventato dalla durezza della vita militare, in lacrime su una brandina sfatta in un dormitorio freddo e vuoto. - Stai solo dicendo che non lo è perchè è ciò che io vorrei sentirmi dire, perchè sei solo la mia stupida visione! Marco direbbe che sono uno scemo, che dovrei alzarmi e andare a sorridere agli altri, che dovrei trasformare la mia paura in forza senza tentare di mascherarmi o stronzate simili. Lui diceva sempre questo genere di cose. Tu no. Tu no. -
Sentì il proprio braccio stretto in una morsa calda; si voltò di scatto, preoccupato.
Occhi nocciola gli riempirono l'anima. C'era una punta di giallo in quegli occhi, una punta che aveva dimenticato. Quella sfumatura che lo aveva fatto innamorare, tempo prima. Era lì. Marco era lì, davvero lì, a stringergli il braccio come aveva sempre fatto, senza il bisogno di aprire bocca per dimostrare il proprio disappunto. Capelli disfati e lentiggini scure sul volto sereno. Un volto intero, gioviale, innegabilmente, dolorosamente bello.
- Non ho detto nulla di tutto questo perchè sei abbastanza maturo per dirtelo da solo, ti pare? -

Non ebbe la forza di chiedergli perchè si trovasse lì, come fosse possibile che sentisse la sua presenza addosso a sé. Forse Armin aveva ragione. Forse il mondo esterno era davvero un posto in cui i miracoli avvenivano e basta.
Si accucciò addosso a lui, afferrando il braccio libero e gettandoselo addosso, provocando una risata nell'altro. Era un suono così pieno di vita, tanto bello da far sì che Jean si maledisse per non aver fatto ridere Marco abbastanza quando ancora ne aveva la possibilità.

- Mi manchi ogni giorno. - mormorò, la voce rotta dal pianto. La mano di Marco salì fino ai suoi capelli, sfregandoli con forza, giocando con ciocche bionde, riempiendoli di sabbia. Quando la mano toccò il suo volto bagnato dalle lacrime, Jean vi posò sopra la propria e premette più forte che potè, chiudendo gli occhi, eliminando dalla propria mente il suono della risacca, le risate degli altri.

- Non esiste più nulla. - mormorò, e anche la sua voce arrivò attutita, lontana. - Esistiamo solo io e te. Giusto, Marco? -
Silenzio per qualche secondo. - Tutto quello che vuoi, Jean. -
Quando riaprì gli occhi, il sole era tramontato, ma Marco era ancora lì, e così la sua mano, calda e morbida sulla sua guancia, e così il suo sorriso, pieno di speranze perse e pentimenti.

- Dove sono finiti tutti? - sussurrò, senza muoversi.
- Credo siano andati a mangiare. Ci sono provviste a sufficienza per giorni, ma qualcuno deve aver pescato qualcosa di grosso. Vorranno provarlo. -
- Oh. - Jean alzò gli occhi. Il cielo era rosso, quasi violaceo, e pieno di stelle che non aveva mai visto. - Vorrei tanto provarlo anch'io. -
Ma non si alzò; continuò a guardare Marco, e ad essere guardato a sua volta. Non riusciva a saziarsi di lui.
E quando un'altra ora fu passata, sentì la gioia negli occhi di Marco scivolare lentamente via, e seppe cosa stava per succedere. - No. - scosse la testa, rapido. - Non te ne andare. Non questa volta. Ti prego... -
- Jean... - cominciò, ma Jean strinse la mano contro il suo volto più forte di prima, e le parole sembrarono mancare a Marco. Non era mai successo prima.
- Non te ne andare. - ripetè Jean, gli occhi di nuovo pieni di lacrime. - Non voglio rischiare di dimenticare. Non voglio non ricordarmi più com'è essere toccati da te. - non c'era più pudore nella sua voce, sicurezza nei suoi modi. - Stringimi. Sfiorami. Marchiami a fuoco. Non mi lasciare, non lasciarmi mai. Ti amo. -
Marco si sdraiò accanto a lui, stringendolo a sé con una forza mai impiegata prima. Nemmeno negli inverni trascorsi durante gli anni dell'addestramento. Nemmeno la notte prima di Trost, quando si erano completamente donati l'uno all'altro per la prima volta, felici, sicuri che avrebbero vissuto per sempre insieme, realizzando quello che credevano essere il loro più grande sogno.
La voce di Marco era un sussurro, spuma marina che si infrange sulla sabbia. - Non preoccuparti, Jean. Questa volta ti porto via con me. -



Gli sguardi dei membri della Legione Esplorativa si posarono sulla croce piantata a qualche metro dalla riva, riportante il nome di Jean Kirschtein.






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Sentitevi liberi di mandarmi bestemmie, critiche e minacce libere nelle recensioni.
Chiedo scusa ;v;
- Joice
   
 
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