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Autore: NamelessLiberty6Guns_    13/03/2014    5 recensioni
Suzuki Ryo, 46 anni, sposato ma senza figli. Dirigeva un’azienda molto grande per la sua età, era soddisfatto dunque del suo lavoro e aveva ancora molti progetti da realizzare. Come tutti aveva avuto un passato che però aveva deciso di rinchiudere in un cassetto remoto della sua mente. Quel strano giorno il suo passato era ritornato, con una lettera che aveva trovato nella posta personale quel mattino.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Finita la solita giornata lavorativa, Ryo uscì dall’ufficio lasciando stavolta fin troppo lavoro in arretrato. Non era da lui, ma si giurò che appena sarebbe tornato a casa sarebbe stato sveglio tutta la notte a concludere il lavoro lasciato in sospeso. Doveva rifinire il contratto d’affari con la società Nakatomi, e per entrambe le aziende sarebbe stata una situazione estremamente vantaggiosa. Ma ora non gli importava, montò in macchina e corse verso Nakano. Raggiunse la casa di Yuu e Kouyou, e suonò senza alcun indugio. Stavolta non aveva paura di rivedere quegli amici a cui aveva giurato di non voler rivedere mai più, si stava anzi vergognando di quello che aveva fatto. Non aveva potuto partecipare all’amore sempre crescente di Yuu e Kou, al matrimonio di Yutaka, alla nascita di sua figlia, né tantomeno ai compleanni di quei tre ragazzi che un tempo erano i suoi fedeli compagni. Insieme a loro, c’era ovviamente anche Takanori. S’impose di non pensare a lui, e si sedette al capezzale di Kouyou, il quale lo salutò con un dolcissimo sorriso, leggermente più forte di quello del giorno prima. 

“Come stiamo?” chiese gentilmente Ryo, stringendo la mano all’amico.

“Bene, dato che sei tornato anche oggi.”

Ryo s’impose di non piangere e sorrise più di prima. “E’ stata una giornata molto impegnativa,” disse “ho un contratto molto importante fra le mani da portare assolutamente entro domani, ma volevo prima assicurarmi che stai bene.”

“Io invece ho ricevuto l’infermiera dell’ospedale stamani” disse Kouyou, “e mi ha detto che sto bene. E che forse hanno trovato un donatore.” 

“Sul serio?” chiese Ryo veramente felice.

“Sì.” e qui Kouyou sorrise radiosamente, nonostante le sue condizioni fisiche. “Ho deciso che voglio guarire.” E qui Ryo capì che Yuu aveva ragione: la sua presenza l’aveva risollevato.

“Speriamo sia quello giusto, accidenti.” aggiunse Yuu lasciando lo stipite della porta e sedendosi accanto all’amato. 

Ryo guardò entrambi, ritrovando una piccola gioia nel suo cuore. Osò dire: “Vi ricordate quando andammo al concerto dei Luna Sea?”

I due lo guardarono con un’immensa gioia nei loro occhi, e insieme rievocarono i ricordi di quella stupenda sera. Pian piano i ricordi chiamarono altri ricordi, ma i tre, in una maniera o nell’altra, omettevano sempre una cosa, o meglio una persona, da quella rievocazione: Takanori. Nessuno riusciva a nominarlo. Solo Kouyou, che era stato per quel ragazzo una specie di fratello maggiore, immerso in quel mare di ricordi disse: “Mi ricordo ancora quando mi dicesti di avere conosciuto Takanori…” 

Ryo non rimase indifferente, prima gli scappò un sorriso, poi sentì una tristezza immensa, che concluse definitivamente quel momento di magia. Lasciò la mano di Kouyou e iniziò a parlare. “Ragazzi, io… Io devo chiedervi scusa. Per quello che ho detto quel giorno. Avevo bisogno di chiudere con tutto ciò che riguardava lui. Avevo bisogno di ricominciare, di dimenticare. Solo ora che siamo qui mi rendo conto di avervi fatto fin troppo male, e specialmente di aver fatto male a me stesso. Sono uno stronzo. Uno stronzo egoista. Spero mi possiate perdonare.”

Kouyou cercò di mettersi a sedere, e Yuu corse subito in suo aiuto. Gli sorresse la schiena, Kouyou riuscì a sedersi e quindi a guardare più da vicino Ryo. 

“Tu non hai ancora capito che ti abbiamo perdonato dal momento in cui hai varcato quella soglia per venirmi a trovare, Ryo. Ci conosciamo fin da bambini, e tu non sei tipo da tornare indietro sulle tue decisioni. Se sei qui significa che l’avevi capito prima di adesso.” 

Yuu intervenne, spiegando a Kouyou che in realtà era stato lui a chiedere a Ryo di venire a trovarlo. Ma lui non si sentì per nulla offeso, infatti aggiunse: “Appunto, se tu non avessi realizzato inconsciamente che avevi sbagliato quel giorno, avresti cestinato la sua lettera e avresti continuato con la tua vita. Ryo, tu non devi farti perdonare. Siamo stati noi gli stupidi a lasciarti andare via. In quel momento tu avevi bisogno di noi più di qualunque altra cosa. Guardati. L’unica cosa che ti fa felice da 21 anni è il tuo lavoro.”
Ryo si era dimenticato di quanto per Kouyou fosse un libro aperto, e infatti allargò gli occhi in un’espressione sorpresa. L’altro non aveva però ancora finito di parlare. “Se non fossimo stati così sconvolti dagli avvenimenti di quei giorni, non ti avremmo di certo lasciato andare via. In questi anni sei diventato uomo, certo, ma non sei felice. Io mi ricordo di un Ryo innamorato, non solo di lui, ma della vita e del mondo, e di quella band che faticosamente avevamo messo su.” A Ryo tornarono immediatamente in mente i bei tempi in cui il suo sogno era diventare un bassista famoso insieme alla band composta dai suoi migliori amici e dal ragazzo che amava. “Quella decisione che hai preso ha distrutto tutti noi, ma te in primis.” Kouyou iniziò a tossire e Yuu decise che era meglio farlo riposare. Lo aiutò a risistemarsi e gli rimboccò le coperte. Un veloce bacio, la carezza di Ryo, e come ogni sera la luce si spense nella stanza di Kouyou. Ryo e Yuu si salutarono. Ma prima di salire in auto, Ryo si fermò di nuovo davanti a quel parco. Stavolta prese con entrambe le mani le sbarre dell’inferriata e chiuse gli occhi. Rivide una panchina sotto un grande acero, lui e quel ragazzo biondo scambiarsi quei dolci sguardi. Lui che aveva salvato quel ragazzo, lui che sentiva non sarebbe mai finita. Stavolta Ryo si tradì spudoratamente non appena avvertì una lacrima solcargli una guancia: si mise a piangere. Quel giorno su quella panchina e con quei dolci sguardi, dei nuvoloni neri gonfi di pioggia si stagliavano nel cielo. 

 

Ryo non dormì tutta la notte per rivedere il contratto, gli sembrava perfetto da ogni punto di vista e corse a lavoro dopo aver bevuto un triplo, se non quadruplo, caffè. La riunione si concluse con la firma del contratto e anche la crescita della sua azienda, quindi Ryo poteva ritenersi soddisfatto. Lo invitarono alla cena per festeggiare la buona riuscita del contratto, ma rifiutò gentilmente dicendo di avere impegni inderogabili. Alla solita ora uscì dall’ufficio e corse da Kouyou. Una splendida sorpresa lo attendeva: quella sera vi erano anche Yutaka e la famiglia. Appena Yutaka rivide Ryo non poteva credere ai suoi occhi, i due si abbracciarono come se il tempo non fosse veramente mai passato. Yutaka gli presentò la moglie, Yuko, una bellissima donna sulla quarantina, e la figlia di cinque anni, con gli occhi grandi della madre e le dolcissime fossette del padre. Mentre la piccola giocava con qualche bambola portata da Tokushima, i tre e la moglie di Yutaka si strinsero attorno a Kouyou, visibilmente felice per la presenza di tutti, e specialmente, per la presenza di Ryo, dopo tutti quegli anni senza di lui. I quattro raccontarono ognuno delle proprie vite dopo quei maledetti giorni, di come Yutaka era riuscito a diventare chef, i difficili anni all’università di Ryo e le difficoltose ricerche di lavoro da parte di Yuu e Kouyou, passaggio che a Ryo era mancato nei giorni precedenti. Stavolta però niente viaggio nei ricordi. 

Yutaka si rabbuiò in un momentaneo attimo di silenzio. “Di Takanori non si sa ancora nulla?” chiese poi, ancora scuro in viso.

Yuu scosse la testa. “No. L’abbiamo cercato dappertutto, abbiamo provato a chiamare tutti i Takanori Matsumoto presenti sulla faccia del Giappone, ma niente.”

Kouyou iniziò a ridacchiare. “Una volta abbiamo chiamato un nonnetto sulla novantina, povero.” e scoppiò in una fragorosa risata. “Era tutto contento perché nessuno lo chiamava di solito, così lo chiamavamo una volta ogni tanto per fargli compagnia…” poi si rattristò “i Kami l’hanno chiamato a sé tre anni fa circa, povero.” Fece un colpo di tosse e tornò a guardare il viso triste di Yutaka.

“Non può essere sparito nel nulla.” aggiunse Yuu.

Ryo non sapeva come partecipare a quella conversazione, d’altro canto si sentiva ancora in colpa per aver distrutto quell’unione forte che c’era fra loro, quindi preferiva non proferire parola. Capì comunque che la ricerca degli ultimi due componenti mancanti -lui e Takanori- andava avanti da parecchio tempo. Il telefono gli suonò in tasca, si scusò e rispose.

“Moshi moshi?”

“Ma si può sapere dove sei??”

“Scusa Arisa, arrivo subito, dammi un attimo.”

“E’ la quarta volta che ti chiamo!”

“Giuro non ha squillato il telefono, ma credimi, arrivo fra poco, dammi un attimo.”
“Va bene…”

Chiuse la chiamata e si ritrovò lo sguardo degli altri su di se. 

“Mia moglie mi rivuole subita casa, scusatemi.” 

Diede la solita carezza a Kouyou, salutò Yuko e Yuu, e abbracciò fortissimo Yutaka, sapendo che il mattino dopo sarebbe ritornato a Tokushima e chissà quando sarebbe tornato. Salutò la piccola Masako e corse subito via, rivolgendo un unico, veloce sguardo a quel parco. 

Arrivò a casa, dove la moglie lo attendeva seduta sul divano visibilmente arrabbiata.

“Ciao cara.” disse togliendo il giaccone.

“Mi avevi promesso che saresti tornato presto oggi!”

“Scusami, ma fra il contratto e altre mille cose…”

“Balle, Ryo.”

Lui rimase congelato. “Prego?” chiese.

“Ho chiamato in ufficio alle 18:30 e mi hanno detto che eri già uscito da mezz’ora.”

Ryo capì perché era così arrabbiata. Ora doveva giustificarsi.

“Cos’è, hai trovato un’altra per caso?"

“No no no che cavolo stai dicendo, cara…”

“E ALLORA COSA?” urlò lei innervosita.

Ryo prese un lungo respiro. “Vedi Arisa… Qualche giorno fa ho ricevuto una lettera che mi diceva che un mio carissimo amico è gravemente malato… Così appena esco dall’ufficio vado subito a trovarlo. Oggi ti avevo promesso che sarei tornato presto perché pensavo di dargli un veloce saluto e tornare via, invece da lui vi era un altro mio amico che non vedevo da anni e mi sono trattenuto un po’ di più. Perdonami, non te l’avevo mai detto prima.”

Lei lasciò un sospiro, e Ryo capì che si era calmata. “D’accordo.” disse la donna. 

Lui si sedette accanto a lei. “Che cos’ha il tuo amico?” chiese poi.

“Leucemia.”

Lei fece un’espressione addolorata. “Mi dispiace Ryo…”

“No tranquilla, è tutto apposto. Sembra che abbiano trovato un donatore compatibile e che le cose si possano finalmente risolvere.”

“Spero per lui, povero.” poi rimase momentaneamente in silenzio. “Ma tu non mi avevi detto che non avevi amici a Tokyo?”

Ora era nella merda. Come riassumere quasi sette anni di vita in poco tempo? “Diciamo che con loro avevo litigato, e quella lettera mi ha spinto a ricongiungermi con loro.” tagliò corto. Lei annuì convinta. “Che dici, andiamo a letto?” disse lui, “Sono parecchio stanco.” 

“Certo, caro.” lei gli diede un dolce bacio sulla guancia, lui semplicemente sorrise.

 

“Buongiorno ragazzi, oggi è il vostro primo giorno di liceo!” Una giovanissima professoressa rivolse un enorme sorriso ai suoi venticinque studenti. “Direi di iniziare con l’appello.” 

Un ragazzino dai capelli biondi acconciati in una cresta si girò verso l’amico dai lunghissimi capelli corvini. “Speriamo che sia buona ‘sta donna.” 

“Ma dai Ryo, quando mai i professori di liceo sono gentili su questo pianeta?”

“Suzuki Ryo?” disse la donna, e il biondo alzò subito la mano.

Poi disse, rivolto all’amico: “Lo so Kou, ma voglio iniziare il liceo pensando positivo…”

“Takashima Kouyou?” fu il turno del corvino di alzare la mano.

I due non si parlarono più dato che l’appello era finito, e la donna si presentò come la professoressa d’inglese. Iniziò dunque la lezione, e la donna si rivelò essere una professoressa parecchio simpatica e dolce, che però spiegava anche bene. Poi arrivò il professore di matematica, quello di giapponese, che rimase con loro per due ore, e infine la professoressa di biologia. Quando la campanella suonò, i due amici si indirizzarono verso casa di Kouyou, dove svolsero i compiti e poi suonarono qualcosina. Ryo suonava il basso, mentre Kouyou si dedicava alla chitarra. Il biondo rimase a cena dall’amico poi verso le nove lo lasciò per raggiungere casa sua a Nakano. Odiava camminare per Tokyo la sera, specialmente perché aveva trovato una scorciatoia un po’ troppo pericolosa per la sua età. Accelerò leggermente il passo quando sentì delle voci dietro di lui. 

“DAI YOSHIDA COGLIONE, LASCIAMI ANDARE, CAZZO!”

“Cosa urli stupida puttanella, siamo quasi arrivati a casa…”

“DAI STRONZOO!!” 

Vide arrivare in sua direzione il bullo della sua scuola, Yoshida, circondato dai suoi scagnozzi. Trascinava dietro di sé un ragazzino dai capelli biondi che intimava di lasciarlo andare. Nonostante il primo giorno di liceo fosse stato appena quel giorno, Yoshida era già passato a requisire soldi e merendine di molti primini, quindi Ryo aveva già imparato a riconoscerlo. Preso da un’improvvisa voglia di fare l’eroe, si parò davanti a Yoshida. 

Il bullo lo guardò dall’alto in basso. “E tu che cazzo vuoi?” 

Il ragazzino biondo lo guardò visibilmente spaventato.

“Lascialo stare.” intimò Ryo.

Il bullo scoppiò in una grassa risata, che i suoi scagnozzi imitarono. “E tu chi saresti per ordinarmi di lasciarlo stare?”

“Uno che è in prima liceo nella tua scuola. Importuna me invece di quel ragazzo.” 

Il biondino lo guardò scuotendo la testa con fare disperato per fermarlo. Ma Ryo fece finta di non vederlo.

“Chi, la mia puttanella?” rispose Yoshida spuntando a terra. “Mai, stupido ragazzino. Fatti da parte.” 

Il “No” perentorio di Ryo fece imbufalire non poco Yoshida, che stava già caricando un destro mentre gli dava del coglione.

“NO!” il ragazzino biondo si parò davanti a Yoshida. 

“Spostati puttanella!” gli intimò il bullo.

“No, Yoshida. Dai vieni con me, andiamo a casa tua.” il bullo si calmò improvvisamente. Si dimenticò della presenza di Ryo mentre si faceva letteralmente portare via dal biondino, che rivolse un ultimo sguardo preoccupato a Ryo, prima di sparire nel buio.

Ryo rimase senza parole. Sperava di poter aiutare quel ragazzino, e invece lui lo aveva salvato da un sicuro pestaggio. Camminò dunque verso casa, rivedendo gli occhi tristi del ragazzo biondo, due pozze nere e profonde.

 

Ryo si svegliò di soprassalto, completamente sudato. Gli occhi del ragazzo biondo erano ancora scolpiti a fuoco nella sua mente. Si assicurò che la moglie non fosse sveglia, e guardò l’ora. Mancavano dieci minuti alle sei, così si alzò dal letto e corse a farsi una doccia. 

Non ci poteva credere.

Dopo anni aveva sognato Takanori e la prima volta che lo incontrò. Erano anni che non lo rivedeva così nitidamente, come se la scena si stesse ripetendo esattamente davanti ai suoi occhi. Cercò di mandar via dalla sua mente quegli occhi che erano stati la sua dannazione; ma senza riuscirci. Uscì dalla doccia leggermente rinfrancato. Si vestì e bevve una bella tazza di caffè, prima di partire come il solito verso il suo ufficio.

 

“Ho sognato Takanori stanotte.” disse Ryo stringendo la mano di Kouyou con lo sguardo basso.

Kouyou si fece attento. “Che cosa hai sognato?” Anche Yuu gli prestò attenzione.

“La prima volta che lo incontrai.” rispose Ryo in un soffio. 

Kouyou gli fece un sorriso. “Ti manca?”

“Ora che vi ho reincontrati quell’angolo buio dove vi tenevo si è illuminato di nuovo… E… Il ricordo di lui è tornato fortissimo. Sì, mi manca, Kou. Come mai mi era mancato.” Ryo si interruppe per un attimo. “Anche dopo quei giorni orribili…” riprese, “ero così impegnato a far di tutto per dimenticarvi da non sentire la sua lontananza. Nemmeno la notte. La notte non facevo altro che studiare, e studiare….” Si bloccò di nuovo. “Mi sono svegliato in un bagno di sudore, come se fosse stato un incubo.” continuò, “E mentre lavoravo, oggi, rivedevo dovunque quegli occhi. Mi è mancato tutto il giorno. Ad un tratto mi è persino sembrato di essere tornato quel ragazzo biondo che ascoltava i Sex Pistols e che non vedeva l’ora che la giornata scolastica finisse per rivedere quegli occhi maledetti.” e tacque definitivamente. Kouyou allungò una mano e gli porse una dolce carezza. 

Poi disse: “La prima volta che venisti qui, Yuu ti vide fermo davanti al parco. E al mattino quando mi svegliai, mi raccontò di averti visto e mi disse che gli era parso che forse non avevi ancora chiuso i conti con il passato. Ora ho la conferma che è così.” 

Ryo abbassò ancora di più lo sguardo. Una solitaria lacrima scese lungo una guancia. 

“Ehi, non piangere. Domani vado in ospedale, sai. Forse mi trapiantano il midollo del donatore.” disse sorridente Kouyou.

“Quindi dovrò venire in ospedale a trovarti?”

“Sì. Yuu ti dirà dove trovarmi.” Ryo abbracciò Kouyou con dolcezza, per non fargli male. Poi ritornò a casa, e corse subito a letto, sperando di non fare sogni.










Salve! ^^
Sì sono già tornata, dato che volevo regalarvi un capitolo prima del weekend, e sicuramente non riuscirò ad aggiornare fino a settimana prossima.
Volevo inoltre ringraziarvi per le quattro bellissime recensioni che mi avete lasciato, sono felicissima e le vostre dolci parole mi aiutano un sacco ad andare avanti con la storia.
Detto questo vi ricordo di segnalarmi eventuali errori e ci vediamo al prossimo capitolo.
Un abbracio, 
Yukiko H.
  
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