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Autore: fuoritema    13/03/2014    6 recensioni
{69esimi Hunger Games; OCs; guerra; triste; un po' introspettiva}
***
Camminò a ritroso ancora e ancora, gli occhi aperti come per captare ogni singolo cambiamento del paesaggio, ma il fantasma continuava a incombere su di lui. Era alto quanto bastava per farlo sentire inquieto, perché ricordava – e ne era certo – che Volpe fosse ormai più bassa di lui. Forse la morte rendeva più alti o forse la sua mente gli stava giocando dei brutti scherzi. Il ragazzo strizzò gli occhi nuovamente, convenendo che la seconda ipotesi era la più probabile se non voleva cadere nel sovrannaturale.
"I fantasmi non esistono, idiota."
E i fantasmi non esistevano fino a prova contraria, ma gli Strateghi sì: tra tutte le diavolerie che potevano aver inventato per terrorizzare i Tributi, quella poteva benissimo essere la vincente.
***
I 68esimi Hunger Games visti da Tributi di distretti totalmente diversi. Una delle edizioni dimenticate, una delle edizioni che hanno troncato la vita a ventitré giovani. Perché ci sono giochi a cui è meglio non partecipare.
Mai.
Genere: Avventura, Guerra, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi, Finnick Odair, Presidente Snow, Tributi edizioni passate, Vincitori Edizioni Passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'We are not iron children, our shields are shattered glass '
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Banner stupenderrimo fatto da ThanatoseHypnos, che ringrazio molto <3

 
(III)
Temi tu la morte?
 
 
Non aveva mai avuto così paura del rumore delle foglie sul terreno.
Amethyst si guardava dietro continuamente facendo dondolare lo zaino che portava sulla schiena. Era piccolo ma sicuramente dentro c’era qualcosa che avrebbe potuto servirle. Non aveva ancora trovato il coraggio per aprirlo, aveva paura che se si fosse fermata i Favoriti l’avrebbero presa e torturata come avevano fatto con il suo compagno per poi infilzarlo con un tridente. Poteva essere ancora vivo ma non aveva ascoltato Haymitch, il loro mentore, che in un momento di sobrietà aveva esplicitamente detto di non provare neppure ad avvicinarsi alla Cornucopia.
«Avrete tutto il tempo di farvi uccidere dopo il bagno di sangue, perché farlo subito?» aveva sussurrato versandosi l’ennesimo bicchiere, con gli occhi acquosi come il liquido che spesso trangugiava direttamente dalla bottiglia. La piccola era rimasta turbata da quelle parole, ma non aveva detto niente e le aveva immagazzinate per poi usarle al momento opportuno.
Il Mentore non aveva detto altro, si era limitato a ripetergli quel consiglio per poi sparire dalla circolazione. Erano entrambi spacciati, e lui gliel’aveva spiegato chiaramente, senza giri di parole. Eppure Amethyst dopo il bagno di sangue era ancora viva, una novità per quelli del suo distretto, ma sapeva che non lo sarebbe restata per molto. Si sforzò di continuare a camminare cercando di non scivolare sul ghiaccio. Non poteva affondare i piedi nella neve vicina a lei: le orme l’avrebbero tradita; quindi barcollava tenendo l’equilibrio appoggiandosi ai tronchi. Al suo distretto aveva visto spesso la neve, ma non ci aveva mai giocato, i vestiti d’inverno si ghiacciavano e la sua famiglia non poteva permettersi di accendere il camino.
Aveva appena svoltato verso a parte di bosco più fitta quando sentì un rumore alle sue spalle, si girò di scatto temendo che uno dei Favoriti l’avesse seguita per ucciderla. Ma non vide nessuna lama trapassarle lo stomaco o il collo; davanti a lei un ragazzino dalla pelle scura tremava vistosamente.
«Ti prego… non uccidermi...» sussurrò, indietreggiando verso la neve mentre una lacrima gli rigava la guancia, forse per la ferita che aveva alla gamba.
«Non ho nessun’arma, non potrei farlo neanche se volessi» disse la bambina, asciugandogliela con il palmo della mano. «Ma… la tua compagna di distretto?» chiese guardandolo fisso, come cercando di capire se non era una trappola.
«Le sarei stato d’impiccio, non mi voleva come alleato» rispose il piccolo tirando su con il naso. Rimasero in silenzio scrutandosi con gli occhi spalancati; i violacei di Amethyst nei marroni dello scricciolo dell’undici. Fu lei a rompere l’imbarazzo e la paura del momento. «Alleati?» chiese, tendendogli la mano tremante per il freddo.
«Alleati» ripeté il piccolo stringendogliela, poi fece un sorrisino “hai dei begli occhi, dodici.” Aveva decisamente cambiato tono dopo aver avuto la certezza che la piccola non l’avrebbe ucciso.
La ragazzina ricambiò il sorriso, «sono Amethyst, non dodici» aggiunse, finendo per terra con il suo alleato dopo aver lasciato l’albero a cui era aggrappata.
«Colin» disse spiccio il moro, scoppiando in una risata. «Certo che non hai molto equilibrio, Amethyst» esclamò, calcando la voce sul nome della ragazzina, per poi aiutarla a rialzarsi. Forse avrebbero potuto sopravvivere a quell’orrore, o almeno provarci, insieme.
 
 
Avevano dovuto dormire vicino a quel cadavere per paura che il rumore dell’hovercraft li tradisse facendo avvicinare i Favoriti. Il freddo gli aveva ghiacciato il corpo facendolo diventare bluastro, nel viso aveva ancora un’espressione di puro terrore e la bocca aperta per lanciare un urlo mai pronunciato. Amethyst pensava fosse il ragazzo del cinque, ma non era importante saperlo, dopotutto quella notte il suo volto sarebbe apparso in cielo accompagnato dal distretto da cui proveniva. Non sapeva neppure il suo nome ma era certa che da qualche parte qualcuno lo stesse piangendo maledicendo la Capitale per avergli portato via una persona cara. Era strano, se non macabro, ammettere che la gente trovava in quell’evento una sorta di calma; come se ormai lo considerasse parte integrante della propria vita e lo accettasse come tale. Non era concesso ribellarsi, sperare in una vita migliore, nella fine degli Hunger Games, e, ormai, tutti avevano perso ogni speranza.
Scosse le spalle di Colin per svegliarlo. Amethyst non l’avrebbe mai creduto, ma quel ragazzino dalla pelle scura riusciva a farla sentire a casa – anche se non era molto appropriato in quel luogo - e calmarla, a modo suo.
«Che c’è?» sbadigliò il suo alleato allontanando la mano della bambina con uno schiaffetto.
«I morti di oggi» sussurrò Amethyst indicando il cielo con il dito quasi congelato. Colin le si accoccolò rabbrividendo al solo toccare il ghiaccio fuori dal sacco a pelo che aveva preso alla Cornucopia. «Ehi, va tutto bene. Siamo vivi» disse cercando di tranquillizzarla, come solo lui sapeva fare. La piccola sospirò rivolgendogli un sorriso anche se la paura non accennava ad andarsene e stringendogli forte la mano.
 

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Non capiva.
Non capiva perché quell’idiota del ragazzo del dieci aveva deciso di far entrare nell’alleanza anche la femmina dell’otto. Non sapeva combattere né difendersi dagli attacchi degli altri Tributi: era inutile. Eppure il suo alleato lo aveva fermato prima che le tagliasse il collo con il suo coltello. "Può servirci" aveva detto semplicemente, allontanando con un gesto seccato la sua mano. Poi aveva tranquillizzato la ragazza, tremante, "sono…" ma la giovane lo aveva interrotto.
«Nat, giusto?» esclamò con un sorriso in direzione del suo “salvatore.”
«Sì. E lui è Xavier» rispose il ragazzo dai capelli color cioccolato, mentre un angolo della sua bocca si piegava verso l’alto.
Così il biondo del sei era passato come un assassino cattivo e sadico, mentre quel Nat diventava l’esempio vivente della bontà dei Tributi dei distretti remoti. La ragazza dell’otto però non sembrava affatto spaventata da lui, forse era una di quelli che cercavano di dimenticarsi di essere nell’Arena, scambiando parole di conforto con i propri alleati.
Stavano camminando ormai da quella mattina, senza fermarsi neppure un attimo. Il cannone che aveva suonato li terrorizzati, e avevano preso la decisione più ovvia: allontanarsi dalla Cornucopia, in fretta. Non potevano nulla contro i Favoriti con una sola torcia e un paio di coltelli che, seppur affilati, non sarebbero bastati per rimanere vivi dopo uno scontro del genere.
«Tra un po’ dovremmo essere al confine dell’Arena» sussurrò la ragazza – Cassiopea, credeva si chiamasse, ma non ne era certo – battendo il piede sulla neve che diventava via via più morbida e pesante.
Nat le lanciò uno sguardo d’intesa, sembrava si capissero in un istante, indicando una grotta nelle vicinanze. «Potremmo nasconderci lì» disse sbadigliando Xavier. La ragazza scosse la testa facendo ondeggiare i capelli scuri, «non ti sei ancora accorto che ogni tre, quattro kilometri ce n’è una? Sarà il primo posto dove cercheranno i Favoriti!»
Il maschio del dieci fece cenno di assenso; non parlava molto, sembrava essere sempre assorto nei suoi pensieri, oppure detestava aprire la bocca per i soffi di vento gelido che gli ghiacciavano il corpo e l’anima al solo aprirla.
«E allora dove vorresti fermarti, otto?» chiese seccato il biondo in direzione di quella ragazza che sembrava schernirlo con le sue presupposizioni. «Non qui. Anche se fa freddo dovremmo provare ad accamparci qui fuori, magari sotto un albero» rispose Cassiopea guardando i suoi piedi affondare nella neve. «Ah, non fate orme. Si vedono lontano un miglio, nella neve…» continuò andando verso all’albero citato pochi secondi prima mentre Xavier sbuffava contrariato.
 
 
«Hai paura della morte?"
Forse era una domanda un po’ strana ma necessaria, almeno per Nat.
La ragazzina dai capelli rossi lo guardò con un’espressione stranita, dondolando il piede scalzo giù dal ramo dove era seduta.
«Che razza di domande fai?» chiese infine, ricominciando a tormentarsi i riccioli che le ricadevano scomposti sugli occhi, come faceva sempre quando era nervosa.
«Gea, sono serio» sbuffò il maggiore, guardandola fissa negli occhi verdi. Si arrampicò vicino a lei per poi sedersi sul ramo subito inferiore, fermandosi ad osservare il ginocchio dei suoi pantaloni, strappato in più punti.
«Anche io sono seria, Carter.» Gea calcò la voce sul cognome dell’amico.
«Non chiamarmi così» esclamò seccato, «in ogni caso sai a cosa mi sto riferendo.»
Sì, Gea lo sapeva. Ormai era abituata alle paure, non infondate, del suo amico con l’avvicinarsi della Mietitura. Aveva tanti biglietti in quella dannata boccia, troppi, ma vi era costretto. Per lei era quasi impossibile essere scelta: non aveva preso tessere e era anche la figlia di una delle uniche vincitrici del suo distretto.
«Non verrai estratto. Smettila di pensarci, okay?» disse infine mettendo la sua mano sopra quella del ragazzo.
Nat aveva sospirato – forse con troppa forza – pensando che forse quello scricciolo di ragazzina aveva ragione, ma posando gli occhi sull’ennesimo strappo che si era fatto ai pantaloni, ritornò abbastanza preoccupato. Non avrebbe dovuto seguire Gea in una delle sue solite “avventure” ma aveva bisogno di parlarle, anche a costo di prenderle appena arrivato a casa.
«
Va bene… Ma se mai venissi estratto non offrirti volontaria» le comandò con calma, aspettando la pronta risposta dell’amica che non arrivò. Gea aveva ricominciato a guardarsi i piedi, sporchi per il gran correre. «Non succederà. È inutile che ti preoccupi» aveva ribattuto infine lei, ma non ne era molto convinta.
Nat aveva sempre ragione e non aveva sbagliato neppure quella volta.
 
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Maple era quasi congelata.
Nell’unico zaino che era riuscita a prendere alla Cornucopia non c’era neppure un fiammifero, un unico fiammifero per scaldarla. Le si erano persino ghiacciate le parole per esprimere la rabbia nei confronti della Capitale. Si erano ghiacciate anche le lacrime che aveva versato per la morte di suo fratello. Continuava a vederselo davanti, che sputava sangue maledicendola per non averlo salvato. Era morto anche per colpa sua, ma il maschio del due doveva pagare per quello che aveva fatto.
Lo avrebbe ucciso, in modo lento e doloroso, per vendicare Thor. Pregustava già la vendetta che le rodeva il cuore e l’anima. Perché i Giochi fanno questo: trasformano le persone in animali, riempiono d’incubi il sonno dell’unico sopravvissuto. E per Maple erano iniziati solo con quella decisione.
Uccidere “due.”
Doveva solo rimanere viva e aspettare il momento giusto per farlo, se mai fosse arrivato. Dopotutto a casa sua dicevano spesso che era fatta per vincere come sua zia. Ma lei non ce l’aveva fatta. Era morta nel duello finale combattendo contro il suo compagno di distretto.
La ragazzina si rannicchiò nel sacco a pelo che aveva preso alla Cornucopia stringendo forte la sua fionda. Era stato Thor ad insegnarle come usarla. Una lacrima le rigò il viso ma la asciugò all’istante: non poteva permettersi quel lusso. Intanto guardava il cielo aspettando di vedere i volti dei Tributi morti quel giorno. Fu questione di un attimo e il sigillo di Panem apparve sulla volta celeste insieme all’inno. Saltò direttamente al distretto cinque annunciando che il maschio aveva raggiunto la femmina nell’aldilà - se mai fosse realmente esistito – seguito dalla ragazza del sei. Strano che fosse morta così presto, pensò Maple, era intelligente, furba; ma non ce l’aveva fatta.
Non comparve più nessun volto. Avrebbero movimentato Giochi, fino a quel momento era morta pochissima gente e i Capitolini sicuramente non avevano gradito. La ragazzina del sette strinse forte le ginocchia a sé con quell’unico pensiero in testa.
Non sarebbe rimasta calma per molto.

 
 
NDA (note d'autrice):

Questo è il primo capitolo che ho scritto senza l'aiuto e il supporto morale delle mie cugine, la maggiore della mia stessa età e la piccola di nove anni che ha dichiarato di essere la protettrice di Maple e di dover scrivere anche un po' lei i POV. Così Lucia - si chiama così - ha scritto la base per il POV della amorine del sette per il "Bagno di sangue iniziale" e si è autoproclamata sua sponsor :3 Perspicace, eh? In ogni caso come avete potuto notare sono apparsi anche Nat e Cassiopea in compagnia di Xavier, il biondo del sei. Devo dire che mi sto affezionando moltissimo a tutte le mie creature, ma le dovrò uccidere fino a proclamare il vincitore... Peccato... *fa la faccia sadica* 
Per questo capitolo ho voluto mettere una citazione, anche perché ci stava veramente bene, e ho deciso di farvi una domanda che si ripeterà molto spesso. Ehm... *si schiarisce la voce* Chi sono i vostri preferiti? No... perché ho appena deciso chi vincerà e voglio sapere chi desiderà uccidermi alla fine ;D Il nome del capitolo è una citazione di “Pirati dei Caraibi” e colui che l'ha detta è Davy Jones :3
Saluti a tutti e grazie delle recensioni, dei complimenti e di tutto (soprattutto aver aperto questa long)

Talking Cricket 


ANGOLO DEI PERSONAGGI APPARSI:

M6: Xavier
F8: Cassiopea
M10: Nat Carter


 
  
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