Seduto al caffč, sorseggiando il delizioso cappuccino, piacevolmente ed oziosamente, osservavo e contemplavo il giungere e l'andare lontano, tra le nebbie e gli alberi nudi, dalle rosse foglie a terra come un tappeto. L'autunno veniva e se n'andava. Il freddo lentamente avanzava. Al bancone un uomo beveva e trangugiava un qualche odoroso alcolico ambrato, di cui il suo fegato non si rallegrerą. Il barista con malavoglia ancora riempiva il bicchiere, mentre il suo sguardo si perdeva lontano, a tempi migliori, nell'epoca bella del chiacchiericcio felice e culturale che nel suo locale per anni si era alimentato. Ma ora solo un vecchio ubriaco, soffrendo la fame, ancora svuotata il suo bicchiere nuovamente riempito. E il sublime del sapere, l'orribile scoperta, lasciava lo spazio ai racconti sconclusionati di chi non ha mai avuto nulla da raccontare e ha sempre raccontato tutto.
Il mio caldo cappuccino gettava volute di fumo verso l'alto e la fragranza mi riempiva i polmoni, sbriciolando un biscotto alla cannella, molto friabile. Amavo quei momenti di gioiosa e semplice pace.
Erano gli ultimo giorni di settembre e il mondo piano sembrava volersi fermare.Quando il mio cappuccino finģ, ancora un morso, una mancia e qualche soldo, prima di sparire nella nebbia di un altro giorno spento.