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Autore: lizfandoms    14/03/2014    2 recensioni
Clarissa è l'arma più potente che Valentine Morgenstern abbia mai creato, persino superiore a suo fratello Jonathan.
Il sangue che le scorre nelle vene, è un'arma altamente pericolosa, capace di distruggere tutto il mondo sovrannaturale o salvarlo.
La sua anima è dannata, in cerca di vendetta fin da quando era bambina.
Come può un nemico che non può essere scalfito, essere sconfitto?
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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Salve bella gente, che ne pensate della storia?
Recensite e datemi il vostro parere, mi fareste un grandissimo piacere.

Passate per questa pagina: 
 


BUONA LETTURA :)

Lisa
 


Nightmares







Clarissa riprese conoscenza.
Erano ormai passate delle ore da quando aveva lasciato il ballo in compagnia del giovane Herondale.
Si guardò intorno: si trovava in una piccola cella spoglia e fredda. 
Un materasso era posto contro il muro, un piccolo lavabo all'angolo e uno specchio completavano l'arredamento di quella stanza.
Nonostante il dolore che come una scossa le percorreva  tutto il corpo, si alzò e zoppicante si diresse verso lo specchio. 
Guardò il suo riflesso, interrotto da una crepa che attraversava la superficie dello specchio: i capelli ricci, sporchi e disordinati le ricadevano sul viso, magro e stanco.
-E questo sarebbe uno dei miei migliori piani?- si domandò la ragazza, notando quanto fossero profonde le borse sotto gli occhi.
-Non sei mai stata brava nel progettare piani- disse una voce ironica alle sue spalle.
La ragazza non dovette neanche girarsi per capire a chi appartenesse quella voce.
 Si voltò:
-A cosa devo l'onore della tua visita, mio caro Jonathan?- 
Mentre parlava continuava a tenere fisso lo sguardo nello specchio, ammirando il momento in cui un sorriso fece breccia nella barriera di freddezza cje circondava il fratello
-Non ti avrei mai lasciato sola e lo sai- Le disse avvicinandosi e poggiandole una mano sopra la spalla.
La ragazza si voltò e aprì le braccia, come per mostrare al fratello la situazione:
-Come puoi ben vedere, me la sto cavando alla grande- 
-Clary- riprese il fratello- lo sai che non sei costretta a tutto questo. Valentine capirà. Lo sa con che tipo di gente sei costretta ad avere a che fare in questo posto, pronti persino a torturare una fragile ragazza per salvare il loro smisurato ego.-
La mano calda e ruvida del fratello le accarezzò la guancia.
Lui era l'unico a cui Clarissa consentisse di chiamarla così.
'Clary'
Quel diminutivo era nato dalla bocca della madre e dopo che quest'ultima era morta, era scomparso insieme a lei. 
Infondo non le dispiaceva condividere tutta la sua tristezza con il fratello, sapeva che anche lui si sentiva esattamente alla stessa maniera.
Un'immagine improvvisa le si parò davanti agli occhi:
una bambina piangente davanti alla tomba della madre e un bambino, che soffriva, ma che cercava anche di alleviare il fardello della sorella, abbracciandola e dicendole che sarebbe andato tutto bene. 
 
-Lo sai che non sono mai stata fragile- rispose la ragazza, cercando disperatamente di togliersi dalla testa quell'immagine.
-Lo so, lo so. Non riuscirebbero a toccarti neanche se volessero- continuò il fratello, abbozzando una leggera risata- promettimi solamente di non fare sciocchezze. Lo so che tutto ciò lo facciamo per la mamma, ma non voglio perdere anche te-
-E non succederà-
-Lo sai che darei la mia vita per te, vero sorellina?-
-Lo so Jonathan ed io combatterei mille battaglie in tuo nome- rispose la ragazza decisa 
-Ti voglio bene, Clary- le disse il fratello e scomparì.
 
 
-Non sei stanco?- Alec entrò nella stanza del Parabatai, che non poté far a meno di sorridere.
Sapeva che Alec odiava qualsiasi tipo di vestito che lo rendesse almeno un poco presentabile, a parte la tuta da combattimento. Si vedeva come a stento sopportava di essere chiuso in quel completo da sera, era a suo agio come un pinguino nel deserto.
I capelli neri erano disordinati, gli occhi azzurri lucidi. 
Il nodo della cravatta era allentato e le maniche della camicia bianca erano state arrotolate fino al gomito. 
-Per niente, tu?- rispose Jace
-Idem. Non riuscivo a dormire.. allora ho pensato.. perché non fare una piccola visita al mio amico?- lo guardò sorridendo
-Lo sai che per queste 'uscite notturne' esistono altri tipi di amici. E mi sembra che tu un compagno ce l'abbia già - lo stuzzicò Jace
Assumendo una finta indifferenza, Alec rispose: 
-Stai per caso parlando di Magnus?-
-Proprio uno a caso..-
-Ma non vorrei rivolgermi al mio ragazzo per parlare di certi argomenti.-
-Guarda- rispose Jace ridendo- se è quello che penso io, certi discorsi dovresti farli con tuo padre o con tua madre. A te la scelta-
Alec, che nel frattempo si era stravaccato sulla poltrona, gli tirò un cuscino.
-Smettila di fare il cretino per un minuto, uno solo. Per favore- gli chiese con voce supplichevole.
Non riscontrando nella voce dell'amico nessuna nota giocosa, Jace si fece subito serio:
-Che c'è?
-Non lo so. Ho un brutto presentimento, qui- disse indicando lo spazio tra la runa Parabatai e il suo cuore.
 Jace non riuscì a capire a quale dei due  si stesse riferendo.
-Non succederà niente, finché saremo noi due.- gli rispose, cercando di far trapelare una forte dose di sicurezza in quelle parole.
Vedendo l'insicurezza farsi breccia nei pensieri di Alec come se fossero i propri, Jace si inginocchiò davanti al Parabatai e con la mano gli sollevò la testa, in modo che lo guardasse dritto negli occhi:
-Giuro sull'Angelo, Alexander Gideon Lightwood, che non ti accadrà nulla fino a che avrò piede su questa terra e respirerò la tua stessa aria.-
 
 
Erano passati due giorni dal ballo e Jace finalmente si decise di andare a trovare la prigioniera.
Ciò che provava per la ragazza era un miscuglio di emozioni: rabbia, rancore, desiderio di vendetta e se anche faceva fatica ad ammetterlo, attrazione.
Attrazione perché non aveva mai trovato in una ragazza una così grande forza.
Attrazione perché quella ragazza non pareva provare sentimenti e voleva scoprire se una persona era davvero in grado di eliminare una parte così importante di se stessa.
Anche lui aveva provato, dopo la morte del padre, di emarginare tutto ciò che provava: rabbia, dolore, impotenza.
Non soffrire.
Insomma, non sarebbe stato molto più semplice?
La sua, la loro era una vita di cacciatori.
Ogni giorno uno di loro moriva in quella battaglia che non sarebbe mai potuta essere vinta, ma che valeva la pena combattere. 
Ogni giorno erano costretti a piangere per qualcuno di caro, per poi ritrovarsi più soli di prima.
 
Giunse finalmente alla cella.
Tutto sarebbe stato immerso nell'oscurità, se non fosse stato per la strega luce di Jace che illuminava la stanza abbastanza nitidamente.
Una piccola figura era poggiata con la schiena al muro e la testa reclinata all'indietro, come se fino a quel momento si fosse interrogata sulle grandi domande della vita.
-Mi sono stancata dei vostri interrogatori, oggi non verrò da nessuna parte.-
Riconobbe la voce annoiata della ragazza.
La giovane si alzò.
Sapeva che il Conclave l'aveva interrogata e richiamata varie volte e sapeva persino che avevano utilizzato maniere discutibili per farla parlare. 
A volte i cacciatori esageravano e di tutto ciò non ne andava per niente fiero. 
Ma si sorprese nel vedere che la ragazza, entrata nel cerchio di luce, non mostrava alcun segno di ferita. 
Sangue incrostato le ricopriva tutta la pelle e le macchiava il vestito, ma nessun graffio o livido che potesse provare tutto ciò che la ragazza ebbe dovuto affrontare per la colpa di sapere troppo. 
La pelle candida e lentigginosa era immacolata.
-è un piacere vederti, mi dispiace solamente di non essere nell'aspetto per ricevere un cacciatore di tale fama-
Jace si sorprese di tutto il veleno che la ragazza riuscì a far confluire in quelle parole:
-Cerca di essermi riconoscente. Ti ho portato da mangiare-
Si abbassò e fece passare tra le sbarre il vassoio ricolmo di cibo che aveva preparato:
-Esserti grata? Mi avete torturata, mi trattate come se fossi un animale. Peggio ancora. 
è per questo che dovrei esservi grata? 
MAGARI DOVREI ESSERLO ANCHE PER LA MORTE DI MIA MADRE?-  la ragazza si era avventata sulle sbarre, stringendole tanto forte che le nocche erano diventate bianche. 
-Questa è una guerra- rispose il ragazzo- e in una guerra ci sono sempre delle vittime-
Jace vide la rabbia della ragazza trasformarsi in qualcosa d'altro. 
Sapeva che aveva esagerato, ma dopotutto non poteva permettersi di provare pena per una Morgenstern.
La ragazza lo guardò con astio e sputò per terra, nella sua direzione.
-Non voglio il tuo cibo - disse riacquistando il controllo
-Allora non mangiare. Spiegami piuttosto come  fai a non aver nessuna ferita, nessun livido, nessun segno- le chiese il ragazzo in un sussurro.
Clarissa si mise di fronte a Jace e sorrise:
-Non fare domande a cui non vuoi ottenere risposta-
-Sono un tipo molto curioso- rispose
-Questo non è un gioco, Cacciatore.-
 
La ragazza rise e il suo aspetto cominciò a cambiare lentamente.
Il vestito rosso della festa venne sostituito da un lungo vestito bianco e i capelli le ricadevano in boccoli sulle spalle nude. 
Clarissa continuava a ridere, guardando con scherno il cacciatore, che non riuscì a trattenere il suo stupore. 
Continuava ad avanzare, circondata da un'aurea scura, malvagia. 
Le pareti cominciarono a tremare e il pavimento ad ondeggiare sotto i piedi del cacciatore. 
Jace era sconvolto.
Nella sua testa continuava a sentire le voci di Alec, Isabelle, Maryse. 
Continuava a sentirli urlare, invocare il suo nome, chiedere aiuto.
Il ragazzo si inginocchiò, totalmente preda dei suoi incubi peggiori, si tappò le orecchie e cercò di immaginarsi in un altro luogo: a casa sua, con la sua famiglia, a Idris.
Le pareti continuavano a tremare e pezzi di intonaco cominciarono a cadere dai muri, segno che tra poco sarebbe crollato tutto.
Le voci continuavano ad affollarsi nella mente del giovane Herondale: urlii, grida, pianti. 

Per la prima volta, provò paura. 

Paura per la sua famiglia.

Paura per la sua casa.

Paura per sé stesso. 

Sapeva che un cacciatore rischiava la vita ogni singolo giorno ed il terrore, la paura di morire erano sentimenti con cui doveva averci a che fare costantemente. Ma mai come in quel momento, sentì i muscoli paralizzarsi e il cuore cominciare a battere all'impazzata.
Jace urlò.
 
 
Riaprì gli occhi e si rese conto che il terremoto era cessato.
Si guardò intorno e incontrò lo sguardo di Clary, che lo guardava divertita ed indossava ancora il vestito rosso sporco di sangue.
Cosa era successo?
Un sogno?
Una fantasia?
O peggio.. realtà?
 
-Devi capire, carissimo Jace - riprese la ragazza- che in questo gioco non siete voi ad avere il coltello dalla parte del manico.
Voi siete la preda.
 
Detto questo la ragazza si allontanò dalle sbarre, si sdraiò sul materasso e chiuse gli occhi.
Segno che quella conversazione era finita lì.
 
Jace rimase a fissare il nulla, ancora in ginocchio, con le urla dei suoi cari che infestavano i suoi pensieri.
 
 
 
 
  
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