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Autore: Elfa    14/03/2014    2 recensioni
Gurthang non è un ragazzo come tutti gli altri. Probabilmente perchè in realtà è figlio di un Maia corrotto, o perchè si è risvegliato dopo secoli in una base militare nell'harad, quando avrebbe dovuto essere morto... quello che sa per certo, è che non vuole finire i suoi giorni a fare la cavia.
Intanto a Lasgalen Anarion, figlio di Legolas, è deciso a ritrovare la spada spezzata che uccise il suo fratellastro, quando 600 anni prima Sauron fu sconfitto, e che ora è stata rubata.
E in tutto ciò, i Valar sono ben decisi a non lasciare che gli equilibri della Terra di Mezzo vengano sconvolti di nuovo.
A qualsiasi costo.
-Sequel degli Eredi dell'ombra, cercherò di renderla comprensibile anche ai nuovi lettori-
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Legolas, Sauron
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 2: Un buon lavoro


Alma posò il menù davanti a sé, scoccando un'altra occhiata all'elfo di fronte a lei, ancora intento a studiare la lista dei vini. Una figura alta, slanciata, innegabilmente bella. I capelli di un biondo chiarissimo erano pettinati all'indietro e stretti in una coda di cavallo, il naso dritto, le labbra sottili, occhi dalla forma allungata, di un limpido verdazzurro, sormontati da sopracciglia chiare e sottili, ben disegnate. Non dubitava che più di qualche ragazza e di qualche donna, in giro per la Terra di Mezzo, le avrebbe mangiato il cuore, se l'avesse vista, ma lei non era contenta di stare lì... nulla in quella situazione la faceva stare tranquilla. Del resto, quando qualcuno ti fa recapitare dall'altra parte del mondo un biglietto aereo, un abito costoso e una lettera con pochissimi dettagli e la proposta di un lavoro... la curiosità ti sale. E così era partita, nonostante fosse chiaro fin da subito che non avrebbe avuto alcun controllo della situazione. Lo ascoltò distratta mentre ordinava al cameriere un qualche piatto sconosciuto, accompagnato da un vino altrettanto sconosciuto. Lasciò che ordinasse anche per lei, tanto non aveva nemmeno guardato quali fossero le pietanze.
Il cameriere si allontanò e Alma potè notare come l'altro lo seguisse brevemente con lo sguardo, prima di tornare su di lei, serio. Unì le mani davanti alle labbra, facendo toccare solo i polpastrelli.
“Dunque...” Cominciò, ora mostrando un sorriso condiscendente. “Immagino vi stiate chiedendo perché io abbia voluto vedervi.” Lei non rispose, semplicemente annuendo, Lo sguardo a caderle, quasi per deformazione professionale, sull'anello che portava al dito. Non era una fede, sembrava un gioiello d'altri tempi, probabilmente antico, con una decorazione in rilievo, un sigillo, quattro piccole stelle cardinali intorno ad un cerchio. All'interno un altro quadrato, che sovrastava rami frondosi che andavano a lambire i perimetri del cerchio. Lo stesso sigillo che era stato posto a firma sulla lettera che aveva ricevuto meno di quattro giorni prima. Quindi se aveva ancora il dubbio se stesse o meno parlando davvero con un membro della famiglia reale, ora era stato prontamente fugato.  “Voi conoscete la Gurthang.”
Alma non potè impedirsi di sorridere: sì, conosceva bene quella spada... Un'arma di un metallo nero, spezzata a metà, ancora estremamente affilata, nonostante fosse così antica. Il suo primo furto su commissione in solitaria. “Cosa ve lo fa credere?” Domandò, cercando di tornare padrona di sé.
Quello sbuffò, infastidito dal rispondere di lei, agitando una mano come ad accantonare la questione. “Non insultate la mia intelligenza, Signorina Benharti. Ho fatto delle ricerche, prima di farvi recapitare quella lettera. Siete la miglior ladra su commissione vivente. Siete famosa tra i collezionisti d'arte, ma ora sono certo che voi non disdegnate anche incarichi più complicati, se ben retribuiti.” Si interruppe, mentre un cameriere portava loro il vino e riempiva i bicchieri. Aspettò che quello se ne andasse, prima di continuare, osservandola intensamente negli occhi. “Quello della Gurthang è stato un colpo da maestro, specie considerata la vostra giovane età di allora. Diciotto?” Chiese, prendendo un sorso di vino. Quattordici, avrebbe voluto rispondere l'altra, restando però in silenzio. L'ultimo colpo con suo padre, prima che un cancro al pancreas se lo portasse via. In realtà, lo aveva organizzato quasi tutto da sola, lui l'aveva lasciata fare, semplicemente aspettandola fuori. “Ma avete fatto un errore.” Concluse l'elfo, mentre arrivavano le loro ordinazioni.
“Ammesso che sia davvero stata io a rubare quella spada... quale sarebbe stato l'errore?” Domandò, piccata, inarcando un sopracciglio.
“Anguiel.” Rispose l'altro, ora sorridendo, mettendo in mostra una fila di denti bianchi e perfetti. “La Gurtang, o Anglachel, che dir si voglia, fa parte di una coppia, di cui Anguirel è l'altra metà.” Spiegò, serio, abbassando gli occhi sulla propria pietanza, iniziando a mangiare, tranquillo.
“E quindi?”
“E quindi se fossero state rubate entrambe lo avremmo preso per quel che non era, ovvero un furto d'arte, ma stando così le cose...” Lasciò la frase in silenzio, riprendendo a mangiare, gli occhi sul piatto.
“E voi mi avete fatta cercare per un furto avvenuto quasi quindici anni fa?” Chiese, sorpresa, inarcando un sopracciglio. Quello alzò lo sguardo, fissandola, serio, facendole pentire in un attimo quel tono brusco e scostante che aveva usato, forse perché infastidita dal suo stesso errore.
“Sapete... una particolarità degli esseri umani che ho notato da tempo è la brevità della vostra memoria.” Osservò, liberandola dai suoi occhi, riprendendo a mangiare, apparentemente rilassato. “Una cosa che per voi è leggenda, per me è un ricordo in prima persona. Vi intendete di storia, Signorina Benharti?”
“Qualcosa...” Ammise quella, quasi in un balbettio.
“Beh... io c'ero quando quella spada fu usata.” Un sorriso gli increspò le labbra. “So che i vostri libri di storia dicono che fu mio figlio Anarion a colpirlo. Non esattamente.” Strinse la mascella, serio, quasi arrabbiato. “C'era un altro ragazzo. Si chiamava Gurthang, e aveva quindici anni. Fu lui a uccidere Sauron.” Lo sguardo del re tornò sul piatto. “Morì nel farlo. Qui a Lasgalen tutti conoscono la vera storia.” Infilò un boccone in bocca, senza guardarla. Alma si accorse di non aver ancora iniziato a mangiare.
“Quindi... rivolete quella spada per una questione personale.” Dedusse, abbassando a sua volta lo sguardo sul piatto. Udì l'elfo posare le posate.
“No.” La sua voce era fredda e lei tornò a guardarlo. “No, Signorina Benharti. Io sono un re, non mi muovo per questioni personali. Io mi muovo per il mio regno. Io mi muovo quando una delle mie spie mi comunica che quella spada è stata trasportata in un laboratorio militare gondoriano.” Replicò, la voce bassa e gelida, una luce inquietante nello sguardo, come un'ombra sul viso, a smorzare quella luce che sembrava aleggiare intorno a lui fino a un attimo prima. Poi l'ombra svanì e Alma, che aveva trattenuto il fiato, riprese a respirare.
“E io cosa centro con questo?” Chiese l'altra, adesso sporgendosi in avanti, la voce più bassa. Si accorse che quella poteva essere un'ammissione. “Ammesso e non concesso che sia stata io a... a rubare quella spada... cosa vi aspettate che faccia? Cosa volete? Che ve la renda?” Chiese, gettando uno sguardo intorno, quasi sperando che qualcuno si avvicinasse.
“Non è la spada il problema. Il problema è... cosa se ne fa Gondor di una vecchia spada?” Chiese l'elfo, di nuovo calmo. “Stanno combinando qualcosa, Signorina Benharti, e io devo sapere cosa. Devo sapere se questa situazione può mettere in pericolo il mio regno e la mia gente. E in caso, porre rimedio.”
“Sono certa...” Replicò l'altrta, con più prontezza, stavolta. “...che avete qualcuno che...”
“Ma certo!” La interruppe quello, portando alle labbra un altro boccone, per poi prendere un sorso di vino, lentamente. Bevve in silenzio, senza che lei osasse parlare. Posò il calice e si pulì le labbra, prima di continuare. “Ma sono una persona all'antica. Una di quelle che pensa che chi ha cominciato una storia la debba anche finire.” Spiegò, lanciandole uno sguardo intenso.
“In pratica... mi sta dicendo che io ho creato il casino e che a me tocca ripulire...”
“Possiamo metterla in questo modo.” Concesse quello, senza smettere di cenare, tranquillo. Lei rimase a fissarlo, incurante del fatto che il suo pasto si stesse raffreddando, stringendo gli occhi, come se potesse studiarlo meglio, capirlo.
“E se rifiutassi?”
“Non lo farà.”
Lei alzò il mento, fissandolo, fredda, infastidita da quella sua supponenza.
“Cosa glielo fa credere?”
Quello alzò gli occhi, fissandola, le labbra ad incresparsi in un sorriso che pareva feroce.
“Non lascerebbe Lasgalen.” Spiegò, breve, sempre calmo. “Posso farla mettere in stato di arresto anche in questo stesso momento. Non le conviene.” Ne osservò la reazione, il viso farsi furibondo, mentre si rendeva conto di essere stata messa con le spalle al muro. La interruppe, prima che potesse cominciare ad urlare. “Inoltre... credo che dovrebbe controllare il suo estratto conto. Quello di Brea, intendo.” Il sorriso ferino era rimasto sulle labbra. “So essere generoso.”

*

Salì nella macchina dai vetri oscurati, mentre l'autista, un elfo in divisa, dai capelli castani tagliati corti, teneva aperta la portiera, che richiuse con un tonfo. Chiuse gli occhi, gettando indietro il capo e lasciandosi andare ad un sospiro, cominciando a slacciare la cravatta di seta grigia e aprendo poi il primo bottone della camicia.
“Vi porto a casa, Altezza?” La voce di Lindir, l'autista, lo fece raddrizzare, già abbandonato sul sedile posteriore.
“No.” Si sfilò l'anello dal dito. “Andiamo prima a palazzo. Devo restituire una cosa a mio padre.”
“Sì, Altezza.”
Silenzio, poi. Anarion giocherellò brevemente con l'anello.
“Altezza...” Di nuovo la voce di Lindir a distoglierlo dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo, rispondendo con un “Mh?” distratto. “Se posso chiedere... come è andata con la ragazza?”
Anarion ridacchiò brevemente, udendo il sorriso malizioso nella voce dell'altro, senza correggere l'equivoco.
“Magnificamente, Lindir. Davvero magnificamente.” Spostò lo sguardo fuori, osservando il paesaggio onirico di Lasgalen, illuminata ora da luci elettriche e non da lampade e candele,gli appartamenti avviluppati intorno agli alberi più grandi, come i talan di Lothlorien. La modernità incassata nella natura. Un gioiello da proteggere. O almeno, così si ripeteva... la faccenda, in realtà, era più personale di quanto non desiderasse ammettere.
Sospirò, chiudendo gli occhi. Sì, con Alma Benharti era andata bene, ora si trattava solo di tornare a palazzo, mettere a posto il sigillo, tornare a casa e farsi una doccia e poi cercare il modo giusto per spiegare a suo padre che quindici milioni di corone per assoldare una ladra professionista potevano DAVVERO essere considerati una spesa necessaria alla sicurezza nazionale.
  
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