“Lucas, devi darle qualche lezione… Le balle non sa proprio raccontarle…”

Neppure lui, se si andava a vedere. Maru non era mai stato un bugiardo, mai lo sarebbe stato.
Gli erano sempre piaciute le bugie, così come aveva sempre saputo il perché. Non erano più facili da dire, semplicemente lo erano da accettare. La verità, come in quel caso, era spesso il moncherino di una spada, il sangue, il dolore, la crudeltà di un braccio che si alzava e si abbassava. O un ultimo sguardo che non era per te.
Avrebbe visto difficile insegnare una cosa del genere a una scopa in culo come Lyra.
Quella di mentire era un’arte, e come per la pittura, il canto o la scrittura, bisognava avere un dono, bisognava essere portati. O bisognava averne la necessità.
Lui stesso era un pivello, commetteva ancora tanti, tanti sbagli.
Lo sapeva, il merluzzo, di avergli affidato una missione impossibile? Oppure aveva voluto fare lo stronzo ancora una volta. Molto probabile, avendolo conosciuto. Lui lo era nato, stronzo, sicuro.
Non era riuscito neppure a recitare una di quelle fini strazianti, da film strappalacrime. Avrebbe anche potuto sforzarsi.
E poi erano così stupide, come ultime volontà. Non riusciva a vederne il senso.
Stupido, davvero stupido.
Come poteva, poi, provare a inseganare una cosa del genere a una che ogni cinque secondi avrebbe tentato di infilzarlo con una spada, o un qualsiasi oggetto che avrebbe avuto una forma adatta a castrarlo? Non era neppure un gran che a fare seghe! Che diamine ci aveva trovato in lei?!
Beh, bastava uno sguardo -da parte di quell’arpia- per capirlo. Faceva vibrare, sì, e ogni volta doveva sforzarsi di non andare a coprirsi i gioielli per la paura di non poter più procreare, un giorno.
Maru avrebbe potuto avere sulla coscienza i suoi figli mai nati, dato che lo costringeva a una tale vicinanza con un essere del genere.
Bel regalo di natale.
Non solo li aveva fatti correre a destra e manca, agitarsi come degli idioti, fatto incontrare sua madre. Cosa che poteva essere anche imbarazzante, da un determinato punto di vista. Era svenuto per trasportare un cazzo di cavallo. Alato, d’accordo. Maledizione ancora alla valchiria.
Aveva avuto il coraggio di fargli quella richiesta, e poi l’aveva lasciato guardare, mentre faceva il melodrammatico con Lyra, nel momento sbagliato, nel luogo sbagliato, mentre moriva, per mano del solito dio dai piani megalomani, mentre veniva bruciato.
Eh no, quello era troppo.
Che marcisse per sempre come spettro nel Reservoir, lui e la sua testa. Quella bellissima testa. Di cazzo. Forse avrebbe voluto piangere qualche lacrima. Lamentarsi un po’. Dargli del cretino e del bastardo. Ripetutamente e alternando.
Purtroppo avevano un impero da edificare, e come sempre non vi era appello. Erano formiche fra i piedi di giganti. Neppure quella volta le bugie avrebbero potuto salvare qualcuno. E lui aveva comunque un compito da svolgere, qualcosa con cui tenere occupata la testa.
Almeno poteva dire che la spada della valchiria era stata inutile tanto quanto le sue parole.

“Se solo si potesse infilare la testa di un fantasma nella tazza del water…”