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Autore: emotjon    15/03/2014    10 recensioni
Passarono due giorni. E due notti. Giorni passati, da una parte, a fingere baci e sorrisi con una ragazza che lui non avrebbe mai amato. Mani intrecciate, ciocche di capelli scostate dietro le orecchie, sorrisi languidi, a volte maliziosi. Notti passate, d’altro canto, a piangere. A perdere il sonno. A soffocare le grida nel cuscino. A pensare e ripensare alla storia del Sole e della Luna, della quale Selene nemmeno conosceva la fine.
Era ingiusto. Se il loro era come l’amore di quella leggenda, lei aveva il diritto di conoscerne la fine. Aveva il diritto di sapere se finiva bene o meno. Se la Luna e il Sole si rivedevano, in qualche modo. Pensò per un istante al mondo reale. Al vero sole e alla vera luna. Loro non si incontravano mai. Non erano mai insieme. Mai… a meno che…
L’eclissi.
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9.007 parole.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Like the moon loves the sun.
 

Se dovessi fare i nomi, la lista sarebbe davvero infinita, quindi…
A chi crede nell’amore. E a chi non ci crede.
A chi è innamorato e ricambiato. E a chi ama qualcuno che non lo conosce.
A chi ama. A chi odia. A chi odia amare. E a chi odia chi ama, in fondo.
A chi ha già trovato la propria luna, o il proprio sole.
A chi non crede che esista, perché spero che si possa ricredere, alla fine di questa “cosa”.
 

C’erano una volta, un ragazzo e una ragazza.
Loro, si erano conosciuti per caso, una mattina d’estate, alla periferia di Bradford. Faceva caldo. Fin troppo, per essere nel nord della Gran Bretagna. Loro erano i classici opposti. Due persone talmente diverse, per cui nessuno avrebbe mai scommesso potessero andare d’accordo. Due persone diverse, ma si sa che gli opposti si attraggono, no?
Due semplicissimi ventunenni. Entrambi sempre col sorriso sulle labbra. Entrambi amanti della musica, della vita, e dell’idea dell’amore. Quell’amore che ti soffoca. Che ti prende e non ti lascia più andare, nemmeno quando sei tu a volerlo, con tutto te stesso. Apparenti uguali. Ma diversi, dalla testa ai piedi.
Lei era bellissima. Una di quelle bellezze rare, una di quelle ragazze che non si sarebbe vista tale nemmeno se a convincerla ci fossero state sette miliardi di persone.
Bellissima, con quei capelli talmente neri da sembrare tinti, che al sole prendevano uno stranissimo riflesso blu notte, senza che li avessi mai fatti dalla parrucchiera, quei riflessi. Erano parte di lei, dalla nascita.
Bellissima, con quegli occhi grigi, quasi del colore dell’argento. Ma… fossero stati semplicemente grigi, probabilmente non sarebbe stata tanto bella. Probabilmente chi l’avesse vista avrebbe detto che aveva gli occhi… grigi, appunto. Ma i suoi occhi cambiavano. Da grigio, a color fumo di Londra, fino a diventare d’argento, quasi azzurri con la luce del sole.
Bellissima, con quella pelle chiarissima. Bianco latte, come di chi non ha mai preso il sole. Come la pelle dei bambini, baciata dalla luna. Chiarissima, liscissima, e senza un segno. Non una lentiggine, non un’efelide, non una cicatrice.
Bellissima, con le labbra a forma di cuore. Col labbro inferiore leggermente all’infuori. Come se tenesse sempre il broncio. Come fosse sempre incazzata con tutto e tutti, anche quando non lo era, minimamente. E le sue labbra facevano un contrasto incredibile col resto del viso così chiaro.
Erano naturalmente rosse, quelle labbra. Come se avesse intinto il dito il un frullato alla fragola e l’avesse poi passato su di esse. Come se le mordicchiasse di continuo, per tenerle così rosse. O come se ci passasse il rossetto ogni qual volta potesse.
Bellissima, dalla testa ai piedi. Meno alta delle sue coetanee, ma con le curve al posto giusto. Una ragazza semplice, tutto sommato. Che amava la musica, e che suonava il piano come fosse la sua ancora di salvezza. Che amava i tatuaggi, ma aveva troppa paura di farsene uno. Che adorava i capelli corti, eppure i suoi erano sempre lunghissimi. Che amava leggere, e che non se ne vergognava.
Una ragazza solitaria, in un certo senso. Ma che comunque aveva il suo giro di amiche. Le amiche vere. Di quelle che conosci alla scuola materna e non ti abbandonano più. Quelle che ci sono sempre, qualunque cosa tu faccia, sbagliata o meno che sia. Le amiche a cui racconti del primo bacio, quelle con cui ridi per la minima stronzata. Loro, insomma.
Una ragazza apparentemente senza problemi, lei.
Apparentemente, appunto.
Lui era bellissimo. Di quella bellezza che va trattata come fosse una questione importante. Di una bellezza rara, quasi quanto lei. Solo che lui sapeva perfettamente di essere bellissimo, in ogni momento della giornata. Dopotutto, c’era sempre qualche ragazzina che glielo ricordasse, in qualunque momento della giornata.
Bellissimo, con quei capelli scuri, quasi neri. Che sembravano aver rubato qualcosa alla notte. Capelli che teneva sempre scompigliati, ma allo stesso momento perfettamente in ordine. Il cosiddetto disordine controllato. Un caos, che sulla sua testa sembrava tutt’altro che tale.
Bellissimo, con quegli occhi apparentemente castani. Occhi che in molte avevano guardato, ma mai fino in fondo. Nessuno si era mai spinto tanto in là da capirne in colore. Perché i suoi occhi incutevano timore, da quanto potevano essere belli, soprattutto alla luce del sole.
E se quegli occhi fossero stati semplicemente castani, probabilmente lui non sarebbe stato tanto bello. Perché non erano solo castani. Ma nocciola, cioccolato, ambra, e color miele. Il tutto centrifugato e fatto colare nelle sue iridi, il più delicatamente possibile. Come fosse caramello fuso. Come oro colato. Un pezzetto di sole, in quegli occhi.
Bellissimo, con quella sua pelle naturalmente ambrata. Color cappuccino. Come se avesse preso il sole, cosa che non era assolutamente vera. Non ne aveva il tempo, la maggior parte delle volte. E la sua pelle era ricoperta di tatuaggi, fino quasi a nasconderla, ad eludere lo sguardo. Perché non di riusciva a distogliere la vista da quell’intreccio di inchiostro, apparentemente gettatogli a casaccio sulla pelle.
Bellissimo, con quelle labbra sottili. E il viso ricoperto da quella barba sfatta, incolta, di un paio di centimetri. Ispida al tatto, quasi da uomo poco curato. Ma terribilmente sensuale, su di lui. Senza quella barba sembrava più giovane, piccolo e ingenuo, da un certo punto di vista.
E quel sorriso. Quello era… fantastico, letteralmente. Riusciva ad oscurare la luce del sole, con quel sorriso. Solo sorridendo, riusciva a farti credere che sarebbe andato tutto per il meglio, che si sarebbe risolto qualsiasi problema. O addirittura i problemi non esistevano, svanivano, alla vista del suo sorriso.
Sorrideva con la lingua incastrata tra i denti, lui. Rideva a bocca aperta, senza curarsi di cosa potesse pensarne la gente. E mandava a puttane qualsiasi pensiero coerente ti passasse per la mente, con quella risata. Era incredibile, quasi una magia. Era la luce nel buio, quella risata. Migliorava la giornata a chiunque ne sentisse il suono, o a chiunque lo vedesse ridere, anche da lontano.
Bellissimo, dalla testa ai piedi. Alto quanto basta, e non troppo muscoloso. Forse fin troppo magro, secco e gracilino. Ma bello, bello da morire. Bello da svenirne. Che amava dipingere qualsiasi cosa, su qualsiasi superficie gli capitasse sotto mano. Che amava i tatuaggi, e le ragazze dai capelli scuri, eppure stava da anni con una bionda.
Che amava la musica. O meglio, la musica era il suo lavoro. E la sua vita.
Un ragazzo timido, silenzioso, solitario. Ma che aveva il suo giro di amici. Amici che erano anche colleghi. Di quegli amici che non ti abbandonano, che ti vogliono bene davvero, e che si preoccupano davvero. Di quegli amici che ci sono sempre, qualsiasi cosa accada.
Un ragazzo apparentemente senza problemi.
Se si escludeva un piccolo, minuscolo, fatto. Faceva parte della band più famosa al mondo. Lui, un ragazzino di Bradford, che era diventato membro degli One Direction quasi per gioco, e che non riusciva più a farne a meno. E poteva anche non essere un problema, a dire il vero.
Ma c’era sempre la lontananza dalla famiglia.
Ed era per quello che era tornato a casa, quell’estate. La band si era presa una pausa. Tutta l’estate a casa, in famiglia. Per recuperare il tempo perduto. Le sue sorelle erano cresciute, i suoi genitori gli mancavano più di quanto riuscisse ad ammettere. E c’erano pur sempre i vecchi amici. Gli mancavano anche loro.
Faceva caldo, quel giorno di luglio. Fin troppo, per essere a Bradford. Fin troppo, per essere nel nord della Gran Bretagna. Era un clima insolito, a cui nessuno era abituato. Ma lui era comunque uscito a correre quella mattina, quando ancora il caldo non era così insopportabile e tale da far girare la testa.
Era uscito a correre. Aveva bisogno di pensare. E aveva corso, con la musica nelle orecchie, fino ad arrivare alla periferia opposta, dall’altra parte della città in cui era cresciuto. Si fermò un attimo a prendere fiato… se lo ricordava quel posto, quel parco. Era lo stesso parco in cui correva a nascondersi qualche anno prima, quando non voleva che i suoi lo trovassero.
Un parco non troppo grande, con i classici giochi per bambini. Ma quasi deserto.
Se non fosse stato per l’enorme quercia, nel mezzo del prato. Era ancora lì, nonostante fossero passati anni dall’ultima volta in cui l’aveva vista. Era lì, immobile e sempre uguale. Sempre a fare ombra, a riparare qualcuno dal sole.
Una volta era lui, a ripararsi dal sole sotto quella quercia. Ma poi era partito per il tour con i ragazzi, e ci era tornato davvero troppo raramente per continuare a considerare quel posto come suo. E adesso quel posto era diventato di qualcun altro. Qualcuno che si rifugiava lì sotto a leggere, a pensare, a cercare di trattenere i desideri prima che potessero volare via col vento.
Lui l’aveva vista, quella ragazza seduta su una delle radici di quell’albero imponente. Con gli occhi chiusi, la schiena posata contro il tronco, le ciglia a proiettare la propria ombra sugli zigomi, e i capelli legati in una treccia ormai sfatta dal vento leggerissimo che soffiava, a portar via un minimo di quel caldo soffocante.
L’aveva vista, e aveva pensato immediatamente che sarebbe stato bellissimo poterla disegnare, in quella stessa posa, proprio sotto quell’albero. L’aveva vista, osservata un paio di minuti. Eppure si era avvicinato lo stesso, attento a non fare rumore. Pensando che magari non l’avrebbe sentito arrivare, se si fosse seduto accanto a lei nel più completo silenzio.
Si sbagliava.
La ragazza dai lunghi capelli neri e la pelle color alabastro aprì gli occhi non appena lo sentì a qualche metro da sé. Poteva anche se non aver fatto il minimo rumore, lei era talmente concentrata che prima di tutto aveva sentito il suo odore, e il debolissimo fruscio del respiro del moro, ancora leggermente affannato dalla corsa.
«Non volevo disturbarti, scusami…», le disse piano il ragazzo, passandosi nervosamente una mano tra i capelli. Non era mai stato il tipo di ragazzo che si imbarazzava con le ragazze. Aveva imparato a non esserlo, col lavoro che faceva. Ma lei… i suoi occhi così limpidi quanto profondi… l’avevano destabilizzato con un’occhiata di pochi secondi.
«Non disturbi… io ti conosco…», aveva aggiunto lei con un mezzo sorriso, passato qualche secondo nel più completo silenzio. E il ragazzo era più che convinto che in quel momento lei l’avrebbe etichettato come il cantante famoso. Quello dei One Direction. Magari avrebbe anche sbagliato a pronunciare il suo nome, come tutti del resto.
Si sbagliava.
«Mi conosci?», riuscì a chiederle, interrompendola prima che potesse aprire bocca.
Ma lei sorrise, inarcando un sopracciglio. «Non lo so, la tua voce mi è familiare… come se ti avessi già sentito da qualche parte». Lei non scherzava, nemmeno per idea. E lui, del resto, era proprio convinto che stesse scherzando. Ma era bello che qualcuno non lo conoscesse, che non gli saltasse addosso, e che non gli avesse chiesto di fare una foto. Era una sensazione strana, nuova, diversa. Ma bella. «Boh, magari mi sbaglio… comunque, io sono Selene», aggiunse porgendogli una mano, senza smettere per un attimo di sorridere.
Gli occhi di lui la mettevano in soggezione, come succedeva con tutte.
Ma al contrario di tutte, lei voleva scoprirne il colore. Voleva vederne ogni sfumatura possibile. Voleva perdercisi dentro. Perché i suoi occhi la attraevano, probabilmente più di quanto fosse lecito. Erano talmente diversi dai suoi… ma erano come due calamite. Non riusciva a smettere di guardarli.
«Zayn, piacere». E le sorrise, stringendole la mano.
E una sensazione strana, che passò in un attimo dalle dita di lui a quelle di lei. Una specie di brivido, ma non proprio. Una sensazione simile a quella data dalla pelle d’oca quando si ha freddo. Se non fosse stato che non faceva freddo, nemmeno lontanamente. E il freddo lo sentirono, entrambi, solo quando riuscirono a staccare le loro mani.
A pelli distaccate, Selene sentiva freddo. Lo stesso freddo che le avrebbe procurato una folata improvvisa di vento, ma anche diverso. Un freddo differente, più intenso della semplice diminuzione di temperatura. Come se sentisse freddo dentro, e non solo in superficie.
Anche Zayn, sentiva freddo. Riusciva ancora a sentire un brivido lungo la schiena, nel momento il cui le sue dita erano entrate in contatto con quelle di lei. Sensazione strana. Che non aveva mai provato con nessuno. Con nessuna. Che fossero amiche, fan, o fidanzate.
Per un momento gli venne in mente Perrie, ma la scacciò via dalla mente non appena vide un mezzo sorriso fare capolino sulle labbra sempre imbronciate di quella ragazza tanto bella quanto misteriosa. Non sapeva niente di lei, se non il suo nome. Eppure si sentiva dentro il desiderio di conoscerla. Conoscerla davvero, non solo sapere il suo nome. Conoscerla tanto da importargli di lei. Tanto da non riuscire a farne a meno.
E si sedette accanto a lei, sulla stessa radice. Le braccia quasi a contatto le une con le altre. Le ginocchia quasi incollate. E il silenzio, per niente imbarazzante. Non c’era bisogno di parlare. C’era solo il vento a giocare coi capelli della ragazza, e il rumore appena percepibile dei loro respiri.
Gli occhi chiusi, lei. E aperti, lui, a guardare lei.
«Mi stai fissando…», gli fece notare dopo una manciata di minuti, aprendo un occhio e inclinando leggermente la testa verso di lui, curiosa. Ma non intimorita, nemmeno lontanamente.
«Mi incuriosisci, tutto qui».
«Ti… incuriosisco?».
«E’ strano, no? Io non ti conosco, so a malapena il tuo nome, eppure non riesco a smettere di guardarti».
Fu una confessione di un secondo, fatta di getto, quasi senza pensare. Ed era vero, ogni parola. Non riusciva a smettere di guardarla, credendo forse che se l’avesse continuata a guardare, i suoi occhi avrebbero potuto vedere quello che aveva dentro, e non solo quello che stava fuori. Non solo la sua pelle, le sue labbra rosse e i suoi occhi grigi. Ma dentro Selene, le sue passioni, i suoi desideri, i suoi pensieri più reconditi, la sua anima.
E le stesse parole del moro valevano anche per lei.
Anche lei non avrebbe smesso un secondo di guardarlo, se avesse potuto. E se ci fosse riuscita. Non riusciva a guardarlo, se non di nascosto. Comunque, l’avrebbe guardato fino alla fine dei suoi giorni, da quanto era bello. L’avrebbe guardato fino a riuscire a vederlo dentro, proprio come lui avrebbe fatto con lei.
Erano uguali. E anche diversi. Ed erano attratti l’uno dall’altra in maniera quasi innaturale. In modo strano, diverso dal solito. Perché nessuno dei due aveva mai provato attrazione per una persona, come in quel momento. E per strana che fosse, quella sensazione li faceva sentire vivi, come forse non si erano mai sentiti.
«Ti propongo una cosa…», riuscì a dire dopo un po’ la ragazza, distogliendo l’altro dal filo non troppo logico dei suoi pensieri. Zayn si voltò a guardarla, mentre con le lunghe dita affusolate disfaceva la treccia, lasciando ricadere i capelli lunghissimi lungo la schiena. «Io ora devo andare, ma mi farebbe davvero piacere conoscerti».
«A casa mia c’è l’aria condizionata», buttò lì il moro, facendo spallucce. Era stranissimo che si comportasse così con una ragazza appena conosciuta. Sapeva solo il nome. Un bel nome. Il nome della luna. E si aspettava che lei scappasse a gambe levate. Insomma, le aveva appena chiesto di passare il pomeriggio con lui, a casa sua. A casa di uno sconosciuto.
Ma, di nuovo, si sbagliava.
«Ti lascio il mio numero… così mi mandi il tuo indirizzo», borbottò, leggermente in imbarazzo, tirando fuori una penna dalla borsa a tracolla che teneva adagiata tra le caviglie. Tese la mano verso quel ragazzo meraviglioso. E Zayn gli porse la propria senza fiatare, senza chiedere niente. Quasi in balìa della sua presenza. Quasi dipendente da lei. «Sempre che tu non abbia intenzione di violentare una povera ragazza innocente», aggiunse, scrivendo il proprio numero. Indugiando forse fin troppo con le dita sulla pelle del ragazzo.
Lui ridacchiò, intuendo lo scherzo, e portando come al solito la lingua tra i denti. Sentiva i suoi occhi addosso. E la sentì perfettamente trattenere il respiro, a quel gesto, che faceva di continuo, ma non si era mai reso conto dell’effetto di quel sorriso sulle persone. Non ci aveva mai fatto caso.
E lei si alzò, spazzolandosi delicatamente i pantaloncini dai fili d’erba. Prese la sua borsa a tracolla e senza dire una parola se ne andò, portandosi i capelli su una spalla, e salutando quel ragazzo appena conosciuto solo con l’ombra di un sorriso. Nient’altro. Non una parola. Lo lasciò lì, a guardarla andare via, come camminasse su una nuvola.
Una manciata di minuti, e si era alzato anche lui. Si era incamminato per quello stesso prato. Anche lui con la testa particolarmente tra le nuvole. Prese un autobus, e tornò a casa, ignorando le sorelle. Prese semplicemente una bottiglia d’acqua, sotto lo sguardo fin troppo attento della madre. «Sei strano», gli fece notare, notando il mezzo sorriso – fin troppo spensierato – sulle labbra del ragazzo.
Zayn si era limitato a fare spallucce. Non era strano. Insomma, sì. Si sentiva strano. Ma era davvero così insolito che sorridesse in quel modo? Lui sorrideva spesso, non era una novità. «Ho conosciuto una ragazza, stamattina…», buttò lì, ricordandosi poi del suo numero di telefono, ancora impresso a fuoco nella pelle.
Si guardò qualche istante la mano, come inebetito, poi prese il telefono e le mandò un messaggio con l’indirizzo di casa sua. Casa sua. Non della madre. Avrebbero fatto troppe domande, e avrebbero fatto capire a Selene chi era, oltre al fatto che con tutta probabilità avrebbero tirato fuori Perrie.
«Una ragazza… e Perrie?».
Il moro inarcò un sopracciglio, alzando poi lo sguardo dallo schermo del telefono al viso di sua madre. Se la aspettava contrariata. Al contrario, era solo divertita al vedere il figlio sorridente per una ragazza che non fosse la sua fidanzata. Che la bionda non le andasse a genio non era un segreto per nessuno, in fondo.
«In tour con le ragazze… da quando ti interessa?».
«Oh, non mi interessa infatti», gli fece notare la madre stampa dogli un bacio sulla guancia e trattenendo un sorriso divertito, che rischiava di farla scoppiare direttamente a ridere. «Era solo per chiedere… dato che a quanto pari esci con…». Si fermò per sbirciare dal telefono del figlio, che però si infilò prontamente l’apparecchio in tasca, facendo ridacchiare la donna.
«Si chiama Selene… ma tu gli affari tuoi, mai?».
In fondo sua madre era preoccupata, oltre che divertita. Non aveva cresciuto suo figlio insegnandogli ad illudere le persone. Stava con Perrie, in fondo. Non sarebbe dovuto uscire con altre ragazze. Non sarebbe stato giusto, né per la bionda, né per la ragazza in questione. Chiunque fosse.
Ma si limitò a stampargli un altro bacio sulla guancia, prima di vederlo prendere le sue cose e uscire, diretto probabilmente a casa sua. La casa-graffito, come finiva per chiamarla chiunque l’avesse mai vista. La casa che Zayn usava parecchio di rado. Solo quando erano in pausa da tour, interviste, registrazioni, e qualsiasi altra cosa.
Era una manna dal cielo che avessero tre mesi interamente liberi, in effetti.
Ma quella proprio, era la giornata delle sorprese. Il moro proprio non si aspettava di arrivare davanti a casa e trovare la ragazza che aveva conosciuto poche ore prima, seduta sugli scalini che portavano al suo pianerottolo. La osservò passarsi nervosa una mano tra i capelli, prima che potesse accorgersi della sua presenza e aprirsi in un sorriso.
«Ciao».
«Ciao», ribattè lui, divertito da quella situazione. L’ennesima strana di quel giorno, ma ancora una volta per niente imbarazzante. «Sono passato da mia madre… non pensavo arrivassi subito».
Lei rise, prendendo poi la mano che le porgeva Zayn, per aiutarla a tirarsi su. Solo, non si aspettava di trovarglisi tanto vicina. Gli occhi a pochi centimetri dalla sua clavicola. Il suo respiro che profumava di tabacco a scompigliarle i capelli. Ma Zayn si allontanò lo stesso. Non la conosceva, in fondo. Non poteva volerla in quel modo… non era… normale.
Selene, dal canto proprio, si sentì arrossire, e cercò di nascondersi abbassando lo sguardo sui suoi sandali. Sentì il sorriso del moro addosso, ma se ne fregò. Si limitò a seguirlo dentro casa. E a rimanere letteralmente a bocca aperta, davanti a quello spettacolo.
Casa di Zayn era… uno spettacolo.
Pochi mobili, ma perfetti col resto dello spazio. E le pareti. Ricoperte di graffiti, dal soffitto al pavimento. E lui si ritrovò a sorridere, al vederla tanto stupita. Era carina. Bellissima, forse è il termine più adatto. Bella anche con le labbra dischiuse e gli occhi sgranati.
Non aveva mai portato nessuna, lì. Solo Perrie, e i ragazzi della band. Ma nessun’altro aveva mai messo piede lì dentro. Nessuno di cui al moro importasse cosa potesse pensarne. Di quella ragazza invece, gli importava.
E «Ti piace?».
Lei si limitò a lasciar cadere a terra la borsa e sfilare i sandali con un sorriso, per poi iniziare a camminare per il salotto, curiosissima di vedere ogni minimo particolare di quel capolavoro. Macchie di colore apparentemente incongrue riempivano le pareti. Ma nel complesso era davvero bellissimo. Quasi quanto lui.
«E’ wow, davvero», acconsentì sorridendogli. Sorriso che, anche se solo per un istante, mandò in tilt i pensieri del ragazzo. Era… wow, come aveva appena detto lei. Sorriso che gli ricordava la luna, come il suo nome.
Lei, era la luna. Lui, era l’opposto. Il sole.
Ma, al contrario del sole e della luna, loro in quel momento erano insieme. Nella stessa stanza, a respirare la stessa aria. E parlarono di qualsiasi cosa gli venisse in mente, quel pomeriggio. Colore preferito, libri preferiti, infanzia, passioni. E musica, tanta musica. Forse troppa musica.
Avevano finito per ordinare una pizza, e smangiucchiarla seduti scomposti sul tappeto, mentre Selene sfogliava colpita uno dei tantissimi album da disegno di Zayn. Stupita, a dire poco. Con la stessa espressione di quanto era entrata nel suo appartamento. Ancora con le labbra dischiuse e gli occhi leggermente sgranati.
Non riusciva a pensare a d altro che non fosse quel ragazzo. A quanto si fosse aperta con lui in quelle poche ore che lo conosceva. A quanto non riuscisse a smettere di guardarlo, mentre a pochi passi da lei, dipingeva qualcosa su una parete. A quanto lui fosse diverso da lei, almeno esteriormente. Caratterialmente erano sin troppo simili.
«Zayn», lo chiamò la ragazza alzandosi dal pavimento e avvicinandoglisi. La sua presenza gli dava alla testa. Non riusciva a trattenersi dall’essere sé stessa, quando era con lui. E, beh, non è strano? Una specie di amore a prima vista, se volete. Non fosse che la mora non aveva mai creduto nel destino e in quel genere di cose. Il moro, tanto meno. E si voltò appena verso il suono della sua voce, facendole sporgere anche più del normale il labbro inferiore. «Credo di dover andare a casa, sai?».
«Ci rivediamo, domani? Ho la piscina, sul retro».
Perché magari non l’avrebbe mai ammesso a voce alta, ma con lei, in quelle poche ore, era stato davvero bene. Fin troppo, trattandosi di una ragazza che conosceva appena. Ma, boh, Selene gli piaceva. Lo attirava, come fossero stati due calamite con polarità opposta. Gli piacevano i suoi occhi, e la sua pelle, e il suo sorriso, e la sua risata cristallina.
E le sue labbra.
Le guardò attentamente, quelle labbra. E si sorprese a passare la lingua sulle proprie, mentre lei articolava una risposta. La vide mordersi piano il labbro inferiore, per poi annuire, scuotendo impercettibilmente la testa e passandosi una mano tra i capelli. In imbarazzo, forse. Zayn non lo sapeva. E forse nemmeno gli importava.
Si salutarono, quella sera rovente di metà luglio. Sulla porta di casa del moro. Gli occhi di lei puntati in quelli di lui. E un gesto della mano, prima che si allontanasse con un sorriso meraviglioso sulle labbra. Un sorriso che si vedeva anche nella penombra, anche mentre lei si allontanava.
Un sorriso che faceva invidia alla luna che brillava debole nel cielo.
E si rividero. Il giorno dopo, in piscina. E il giorno successivo. E quello dopo ancora. E così via, per tutto il mese di luglio, e per il mese successivo. A parlare, parlare e ancora parlare. A ridere, ridere e ancora ridere. A conoscersi. E a fine estate si conoscevano meglio di quanto conoscessero chiunque altro.
Erano in macchina, uno dei primi giorni di settembre. Nell’auto di Zayn, diretti chissà dove. Lui non gliel’aveva voluto dire, e in fondo lei nemmeno voleva saperlo. Le interessava solo stare con lui, tutto sommato.
Erano in macchina. I piedini nudi e chiarissimi di lei sul cruscotto, ignorando nel modo più assoluto le sue occhiatacce divertite. E la radio accesa. Le solite canzoni orrende e ultra commerciali che si sentono per radio. Finché alcune note fin troppo familiari non fecero irrigidire Zayn. Stava per cambiare stazione, quando Selene posò velocemente la mano sulla sua, fermandolo.
Latte contro cappuccino.
La pelle ghiacciata di lei contro quella ben più calda di lui.
Erano le prime note di Little Things. Note che la mora avrebbe potuto suonare ad occhi chiusi, se avesse dovuto. Ma non perché conoscesse la canzone. Non l’aveva mai sentita. Solo, le era familiare. Quegli accordi alla chitarra erano familiari, dal primo all’ultimo.
«Ho composto una cosa simile…».
Ma dovette bloccarsi a metà frase. Bloccare il respiro, il sorriso e il battito del cuore, a metà frase. Si passò la lingua sulle labbra, e la mano tra i capelli, mentre dopo due mesi finalmente le tornava in mente dove avesse già sentito la sua voce. Doveva aver visto un’intervista, o qualcosa del genere.
E quella alla radio era la sua voce. Era Zayn. Era bellissima, la sua voce. Come sempre. Ma a sentirlo cantare, forse era anche meglio del solito. Sentirlo cantare era una pugnalata dritta al cuore. Un colpo mortale, che le fece mancare il fiato, quando finì la sua strofa e iniziò quella di Liam.
«Selene…».
«Ferma la macchina, cazzo», riuscì a dire a voce fin troppo alta, cercando poi di spegnere la radio, quasi convulsamente, ma senza alcun successo. Non voleva spegnersi. Lo faceva apposta. «E spegniti, porca puttana», borbottò, contrariata.
Si sentiva come se il cielo, il destino in cui non aveva mai creduto, o chi per lui, ce l’avessero con lei. La radio continuava a suonare. Continuando imperterrita a farle sentire la voce del moro, mentre lui non riusciva nemmeno a guardarla. Fissava il vuoto oltre il parabrezza, con gli occhi spenti, opachi. Non riusciva a parlare. A pensare. A fare niente. Era come bloccato in quell’istante.
«Sei un fottutissimo cantante… beh, è ovvio. Perché io non potevo conoscere un ragazzo normale, innamorarmi di questo ragazzo normale, e uscire con lo stesso ragazzo normale, no? Un cantante…».
La ragazza stava dando di matto, gesticolando come una pazza. Ma all’improvviso il moro si era voltato verso di lei, incredulo. Con la bocca semiaperta e gli occhi sgranati. Nello stesso modo in cui era successo a lei quando aveva visto il suo appartamento-graffito la prima volta.
La mente del ragazzo era ferma. Immobile all’istante in cui lei aveva detto – senza accorgersene – innamorarmi di questo ragazzo normale. Innamorarmi. L’aveva detto davvero o se l’era sognato? Aprì e richiuse la bocca un paio di volte, non sapendo che dire. E attirando finalmente l’attenzione di Selene.
«Che hai detto?».
«Oltre che cantante probabilmente idolatrato da migliaia di ragazzine, sei pure deficiente? E sordo, pure», aggiunse scuotendo la testa. Si stava arrabbiando. E nemmeno si era accorta di quello che aveva appena detto, a dirla tutta. Aveva solo sparato un tot di parole, completamente a casaccio. Le prime che le erano passate per la mente.
Si bloccò solo quando sentì le dita bollenti di Zayn sfiorarle una guancia. E smise di respirare, mentre un brivido le si propagava lungo tutta la spina dorsale, dalla nuca all’osso sacro. Non riuscì a muoversi, tantomeno ad allontanarsi. Eppure un pensiero aveva appena iniziato a frullarle per la testa, a vorticare come impazzito.
Mi ha mentito. Mi ha nascosto questa cosa… magari mi nasconde altro.
«Hai detto di essere innamorata di me, piccola», le fece notare, soffiandoglielo praticamente nell’orecchio e scostandole una ciocca di capelli dietro di esso. Le lasciò un bacio su una tempia, mentre una lacrima le scorreva indisturbata e bollente lungo la guancia. La sentì scuotere la testa, e cercare di allontanarsi.
«Che altro non mi hai detto, Zayn?», gli chiese pianissimo, cercando di non fargli notare che stava piangendo. Per cosa piangeva, in fondo? Piangeva per una bugia. Piangeva per lui. Lui, che non avrebbe mai voluto vederla piangere.
Il moro scosse la testa, sentendo all’improvviso lo stomaco chiuso. Che importanza aveva, del resto? Lei era innamorata di lui. Innamorata di Zayn. E non del cantante venerato da milioni di ragazzine in tutto il mondo. Lei era innamorata di lui. Del ragazzo che adorava disegnare. Del ragazzino di Bradford, che non appena poteva lasciava il tour e correva a casa da mamma.
Che importanza aveva Perrie, a quel punto?
«Ti sei innamorata di me, non del cantante dei One Direction», le fece notare, provando a riavvicinarsi a lei. Ma lei scosse la testa, senza riuscire ad articolare una frase di senso compiuto. Gesto che bastò ad arrestare il ragazzo, con le labbra a pochi centimetri dal suo zigomo. «A chi importa? Ho solo omesso…».
Mossa sbagliata.
«Importa a me, brutto imbecille!», sbottò, voltandosi di scatto verso di lui. Mossa sbagliata. Non avrebbe dovuto voltarsi in quel modo, e con la voce rotta dalle lacrime. Perché si ritrovarono occhi negli occhi, come non era mai successo, in quei due mesi. Si erano guardati, ma mai tanto a fondo. «Importa a me… perché magari… hai una ragazza, non è vero?», gli chiese, cercando di distogliere lo sguardo.
Ma senza successo. Ancora occhi negli occhi, lo vide annuire. Ancora grigio fumo nel cioccolato. Argento nel miele. Lo vide annuire. E gli cadde il mondo addosso. La luna perse il contatto con la gravità, e crollò, alla deriva nell’universo. Persa tra le stelle.
«Piccola…», provò Zayn, accarezzandole i capelli, mentre lei nascondeva il viso nella sua maglietta, lasciando che la abbracciasse. Avrebbe dovuto dirglielo prima. Dirle tutto. Di essere famoso. Di essere impegnato, se così si poteva dire. Di non essere quello che lei credeva che fosse. «Te l’avrei detto, te lo giuro», le sussurrò lasciandole un bacio tra i capelli nerissimi. «Te l’avrei detto… non appena avessi trovato il coraggio di dirti che mi sono innamorato di te».
L’ultima frase, un sussurro. Un sussurro sempre più flebile, una parola dopo l’altra.
Un sussurro. Che però la ragazza riuscì a sentire perfettamente, da quanto erano vicini. Un sussurro, che mandò in frantumi ogni diga, ogni barriera, ogni confine, ogni pensiero con un minimo di senso. Sussurro che la fece sentire viva, come non si era mai sentita prima. Sussurro che nonostante la situazione, riuscì a farla sorridere, tra le lacrime. Sussurro… che la spinse, letteralmente.
La spinse a scostarsi da lui. La spinse a prendergli il viso tra le mani. A prendere un respiro profondo, mentre gli accarezzava la barba, ormai fin troppo lunga. Era bellissimo lo stesso. Al diavolo. E, sempre quel sussurro, la spinse ad avvicinarsi. A sfiorargli il naso con proprio, mentre cercava di stargli il più vicino possibile, vista la posizione in cui si trovavano.
E quel contatto, spinse lui a slacciarle la cintura. A prenderla per i fianchi e farla mettere a cavalcioni su di sé. Incastrata tra il suo corpo e il volante dell’auto, con un sorriso mal trattenuto sul volto, e il viso di lui ancora stretta tra le mani.
«Mi piace, il tuo sorriso», mormorò il ragazzo, praticamente contro le labbra di lei. I respiri che ormai si confondevano, da quanto erano vicini. Le labbra quasi a contatto. Gli occhi fusi gli uni negli altri.
«Che ha di tanto speciale?», gli chiese lei, avvicinandosi ancora di più, se possibile.
«Quando tu sorridi, io torno a respirare».
C’erano un milione di domande, che vagavano nella mente della ragazza. Ma le soppresse, una ad una. Se le fece scivolare addosso. Chi fosse la ragazza di Zayn. Perché le avesse mentito. Si chiese se poteva sopportarla, una situazione di quel genere. Ma ancora una volta, scivolò via, al ritmo di un sospiro.
E lo baciò. Posò pianissimo le labbra su quelle del moro.
E un brivido, due, tre. Dalla base della schiena, su su fino alla base del collo. La pelle d’oca su braccia e gambe. Le mani che ancora tenevano il viso del moro, che gli sfioravano la barba, per poi scendere lungo il collo. E le mani di lui, sui fianchi di lei, le dita sotto la maglietta leggera, a tracciare dei cerchietti immaginari.
Si baciarono. Di uno di quei baci che non ti dimentichi. Che resta impresso nella memoria anche dopo anni. Non tanto perché fosse il loro primo bacio. Ma semplicemente perché erano loro. Semplicemente perché la Luna stava baciando il Sole, fregandosene del suo “amore” per la Terra.
Le loro labbra si muovevano in sincrono. Unite, finalmente, dopo due mesi. Respiri mischiati, labbra incatenate. E la lingua del moro a sfiorare delicatamente il labbro di lei. Come a chiederle l’accesso, ma senza emettere un suono. In silenzio, solo i loro respiri a distruggere la quiete.
E quando si staccarono… la ragazza aveva le lacrime agli occhi. Tutto quello era sbagliato. In fondo, lui era famoso. E aveva una ragazza. Lei chi era, in confronto? Ma lui le posò un bacio sulla fronte, intrecciando le dita di entrambe le mani con le sue. Come se volesse infonderle coraggio. Come a prendere lui stesso coraggio da quella stretta.
«La conosci la storia del Sole e della Luna?», le chiese a fior di labbra, mentre una lacrima capricciosa sfuggiva al suo controllo, infrangendosi sulla sua guancia, e scivolando via. Scosse piano la testa, mentre il moro prese tra le dita una ciocca di capelli nero-blu, prendendo a giocarci.
E le raccontò la storia.
Narra la leggenda che la Luna e il Sole si conobbero, un giorno. E da quel giorno si innamorarono. La Terra ancora non era stata creata. Ma quando Dio la creò, decise di donare lei la bellezza. E decise che il Sole l’avrebbe illuminata di giorno, mentre la Luna ci sarebbe stata di notte.
Dio promise al Sole che avrebbe scaldato le genti, e illuminato la natura. E promise alla Luna che su di lei sarebbero state scritte poesie, e gli innamorati si sarebbero fermati a guardarla. Ma a loro non importava. Ora che c’era la Terra di mezzo, il Sole e la Luna non si sarebbero potuti vedere.
Come avrebbero potuto amarsi, in quelle condizioni?
Erano entrambi soli. Soprattutto la Luna. Il Sole bene o male aveva la Terra, a modo suo. I suoi abitanti lo veneravano. Ma la Luna? Lei era sola. E piangeva, non riusciva a smettere. Così Dio, su insistenza del Sole, creò le stelle, a farle compagnia. Pensava che bastasse a farla sentire meno triste.
Ma le stelle non bastavano.
E la Luna continuava a piangere, mentre continuava ad amarlo. Mentre il Sole cercava di splendere e sorridere, quando dentro era triste e solo almeno quanto la sua metà. Quindi stavano lontani, a forza. Come per contratto. Il Sole continuava ad illuminare la Terra, fingendo di amarla ma continuando ad amare la Luna. E la Luna continuava a piangere, ignorando le stelle. Lei non voleva le stelle. Non le bastavano. Lei voleva il Sole, tutto qui.
«Quindi è come se io e te fossimo il Sole e la Luna?», gli chiese la ragazza, accennando un sorriso, che fece illuminare di riflesso gli occhi di lui. E Zayn annuì, anche se la storia non era finita, non finiva lì. C’è un lieto fine per tutti, se lo si vuole davvero. «Hai detto che il Sole amava la Terra… per contratto», aggiunse Selene sfiorandogli il viso.
Erano ancora fermi in autostrada. Ancora con la radio accesa. Ancora lei seduta a cavalcioni sulle gambe di lui. Ancora lui a tenerla per i fianchi, continuando a tracciare dei cerchietti sulla sua pelle. Ancora loro, quasi incollati. Le mani di uno a cercare l’altra. E viceversa.
«E’ quello che ho detto, sì».
Non c’era molto da spiegare, in fondo. Zayn stava con Perrie per contratto. Per pubblicità. Non perché la amasse. Le voleva bene, quello sì. E aveva provato ad amarla, vero anche quello. Ma non era la ragazza giusta. Non si capivano con un’occhiata. Non provava niente quando la baciava. Erano solo amici, nonostante i giornali fossero convinti del loro amore.
Nemmeno sapeva perché l’avesse accettato, quel contratto. Certo, nemmeno pensava di innamorarsi, con lavoro che faceva. Pensava che finché avesse fatto il cantante e fosse stato in giro per il mondo con la band… non ci sarebbe stata nessuna ragazza. Anche perché non stava fermo abbastanza tempo, per averne una.
Poi erano arrivati quei tre mesi di pausa. Lontano dai ragazzi. E lontano da Perrie. Ed era arrivata Selene. Era entrata nella sua vita come una ventata d’aria fresca. E si era innamorata di lui senza sapere niente della sua vita da cantante. Aveva avuto la fortuna di conoscere il vero Zayn. Senza filtri, solo Zayn.
«Fai pubblicità al suo gruppo, in pratica». La voce della ragazza lo riportò coi piedi per terra, dritto su un treno per il presente. E vedendolo annuire la ragazza non riuscì a trattenersi. Le scappò un sospiro di sollievo. «Quindi posso fare questo…». Sorrise, un attimo prima di stampargli un bacio a stampo. E un altro. E un altro ancora, facendo ridere il moro.
«Però devo continuare a stare con lei, piccola».
Ogni parola fu come un pugno nello stomaco, per la mora. Avrebbe voluto urlare. Prenderlo a pugni. Scendere dall’auto. Mettersi a urlare, ancora. E scappare. Via, lontano da lui, il più possibile. Si limitò a scostarsi da lui, senza dire una parola. Si rimise composta sul suo sedile, allacciandosi la cintura e chiudendo gli occhi.
Cercò di tenere al proprio posto le lacrime, che premevano prepotenti per uscire. Lui la amava. Eppure sarebbe rimasto con la sua ragazza. Solo per contratto. Che razza di senso poteva avere una cosa del genere? Nessuno, secondo la ragazza. L’amore sarebbe dovuto essere più forte di uno stupido contratto.
L’amore avrebbe dovuto vincere su tutto. Non avrebbero nemmeno dovuto esistere, quei contratti. Non avevano senso. Servivano tutt’al più alle persone povere dentro. Povere di sentimenti. Quelle che credevano che la fama e il denaro valessero più dei sentimenti. Dell’amicizia. Dell’amore.
«Mi porti a casa?», gli chiese in un soffio, convinta quasi che non l’avesse sentita. Ma la sua voce era arrivata fin troppo nitida alle orecchie del moro. Fin troppo perfetta, seppur trasfigurata dalle lacrime che stava trattenendo. Il moro aprì la bocca, come per dire qualcosa, ma lei lo interruppe con un altro sussurro. «Per favore, Zay».
E non poté far altro se non annuire. Far ripartire l’auto e tornare indietro, verso casa. Con mille pensieri che gli frullavano per la testa, senza che potesse anche solo pensare di fermarli. Non c’era modo, di arrestarli. Non c’era modo, di smettere di pensare alla stronzata che aveva fatto non dicendole nulla.
Era stato un idiota. Un codardo. E si era innamorato, senza via d’uscita.
Innamorato.
Non smise di pensare a quella parola per tutto il viaggio verso casa di Selene. Non si fermò nemmeno quando la sentì sospirare pesantemente, col respiro rotto dal dolore che doveva sentire. Avrebbe voluto che glielo passasse, quel dolore. Avrebbe voluto soffrire lui, al posto suo. Peccato che fosse impossibile.
Parcheggiò davanti a casa sua lasciandosi scappare un sospiro. Non si erano detti una parola tutto il tempo. E Zayn moriva dalla voglia di sapere cosa le passasse per la testa. A cosa stesse pensando. Come stesse. «Sel…», la fermò posando una mano sulla sua, prima che potesse scendere dall’auto, scappando da lui. Riuscì ad avvicinarsi e a scostarle una ciocca di capelli neri dal viso. «Piccola, non scappare da me, ti prego».
Fu un secondo, prima che lei si azzardasse a voltarsi, guardandolo negli occhi. Di sfuggita, solo per una fuggevolissima manciata di secondi. Bastava e avanzava. Fece scappare una lacrima. E una seconda. E una terza. «Perché? Dimmi perché non dovrei scappare», specificò asciugandosi con rabbia le guance. Non avrebbe voluto piangere davanti a lui. Si sarebbe solamente mostrata debole, ed era l’ultima cosa che voleva. Dimmi che la lascerai, e io rimango qui. Dimmelo.
«Ho bisogno di te».
Non bastava. Non sarebbe bastato a nessuno, non in un caso del genere. Scosse la testa, Selene. Cacciò le lacrime al proprio posto e si avvicinò a lui. Gli lasciò un bacio sulle labbra. Solo labbra contro labbra. Un bacio lungo, di quelli che non si scordano. Un bacio che sapeva più di dolore che di amore, probabilmente.
«Non basta, scusami…». Riuscì a dire solo quelle tre parole. Nient’altro. Scese dall’auto con un vuoto nel petto. Un vuoto che non aveva mai provato prima. Un vuoto che le fece tremare le gambe fin quasi farla cadere a terra. E non si voltò nemmeno quando sentì il clacson suonare, segno che il moro doveva aver dato un pugno contro il volante. Quasi corse dentro casa, accasciandosi poi contro la porta.
Scoppiò in lacrime. Ma la Luna? Lei era sola. E piangeva, non riusciva a smettere. Si ritrovò a singhiozzare, posando il viso sulle ginocchia e coprendosi coi lunghi capelli neri. Singhiozzava come non aveva mai fatto. Piangeva come non aveva mai pianto. Aveva senso piangere? Per lui?
«Sel, che è successo?». Allora si accorse di essere scoperta, alla mercé di chiunque. Suo fratello le aveva scostato i capelli dal viso. E stava cercando di farla calmare, di farla smettere. Le accarezzava la schiena, tenendola stretta a sé. Ma senza successo. «Piccola, guardami… e spiegami, ti supplico».
«L’ho perso, Will».
«Hai litigato con Zayn?». Lei si limitò ad annuire. Persino sentir pronunciare il suo nome, le faceva male. Respirò il profumo del fratello maggiore, come se volesse disintossicarsi da quello tanto diverso del ragazzo di cui era innamorata. «Hai scoperto tutto, vero?». A quelle parole smise di respirare, allontanandosi di scatto per guardare il fratello.
Lui lo sapeva. Insomma, in fondo lo sapevano tutti. Tutti a Bradford sapevano chi fosse Zayn Malik. Tutto il mondo, lo sapeva. Tutto il mondo tranne lei. «Sono innamorata di lui… sono un’idiota…». Ma il maggiore scosse la testa, avvicinandosi a lei per un altro abbraccio, lasciandole poi un bacio sui capelli, con lo schiocco. Come facevano da bambini. Era quello che le serviva, e lui lo sapeva perfettamente.
«Come l’hai scoperto?».
«Ho sentito la sua voce alla radio… che poi, a me nemmeno piace, la musica da boy band!», aggiunse sporgendo il labbro inferiore in fuori, facendo ridere il fratello. Ma Will continuò ad accarezzarle i capelli, fino a farla smettere di piangere. Fino a farla addormentare tra le sue braccia, sul parquet dell’ingresso.
Passarono due giorni. E due notti. Giorni passati, da una parte, a fingere baci e sorrisi con una ragazza che lui non avrebbe mai amato. Mani intrecciate, ciocche di capelli scostate dietro le orecchie, sorrisi languidi, a volte maliziosi. Notti passate, d’altro canto, a piangere. A perdere il sonno. A soffocare le grida nel cuscino. A pensare e ripensare alla storia del Sole e della Luna, della quale Selene nemmeno conosceva la fine.
Era ingiusto. Se il loro era come l’amore di quella leggenda, lei aveva il diritto di conoscerne la fine. Aveva il diritto di sapere se finiva bene o meno. Se la Luna e il Sole si rivedevano, in qualche modo. Pensò per un istante al mondo reale. Al vero sole e alla vera luna. Loro non si incontravano mai. Non erano mai insieme. Mai… a meno che…
L’eclissi.
Ho bisogno del mio sole. S.
E gli mandò quell’sms senza pensare alle conseguenze. Lei aveva davvero bisogno del suo sole. Non aveva che qualche stella con sé, e non sarebbero bastate. Non sarebbero servite a lenire il dolore, nemmeno fosse passato del tempo. Che poi, quanto tempo serve perché ci si dimentichi di qualcuno? Giorni, mesi, anni. Decenni, magari. O magari certe persone non si dimenticano mai.
E io ho bisogno della mia luna. Z.
Forse ho capito. La fine della storia, intendo. Che fine fa il loro amore, mi sono chiesta. E ho pensato. Mi sono scervellata. Finché non ho trovato la soluzione. Dio creò l’eclissi, non è vero? S.
Inviò anche quel messaggio, senza pensare. Senza controllare di non aver scritto un mucchio infinito di stronzate. Inviò e basta. In fondo, la vita è fatta anche di questo. Di decisioni prese di fretta, non pensate. Non importa che siano giuste o meno. Sul momento non ci importa nemmeno dell’effetto che avranno, quelle decisioni. Siamo fatti per sbagliare, e imparare dagli sbagli, del resto.
Dio non era così cattivo. Non poteva impedire l’amore. E creò l’eclissi. Il momento in cui il Sole si sdraia sulla Luna, e si amano…
Non finì nemmeno di leggere il messaggio, che era già fuori di casa, ignorando i richiami del fratello. Si mise a correre. E meno male che non abitava lontano da casa del moro. O avrebbe dovuto prendere la metro. Magari un autobus. O un taxi. Aveva troppo bisogno di lui, per non correre. E arrivò davanti casa sua, col fiatone, e una mano sul fianco, come a tenersi in piedi dallo sforzo.
Non gli diede nemmeno modo di parlare, che si ritrovò in punta di piedi, col viso di lui tra le mani, ad accarezzargli la barba. Come due giorni prima, in autostrada. Solo che in quel momento era diverso. La ragazza piangeva, fregandosene altamente di sembrare disperata, o del mascara colato. E il ragazzo posò disperatamente le labbra su quelle di lei, facendole aderire come se ne andasse della propria vita.
Le era mancato. Gli era mancata. Si erano mancati.
Come al sub manca l’aria sott’acqua. Come al beduino manca l’acqua nel deserto. Come alla Luna mancava il Sole. E come al Sole mancava la sua Luna. La Terra non esisteva in quel momento. Né quando lui la prese in braccio e la trascinò dentro, chiudendo la porta di ingresso con un piede. Né quando le loro lingue entrarono in contatto, o le mani di lui sparirono sotto la felpa e la canotta di lei.
«Hai letto il messaggio».
«Ne ho letto metà… la fine me la spieghi dopo, ora non mi interessa… amore». Amore. Gli occhi del ragazzo si sgranarono appena, mentre lei si apriva in un sorriso. Un gran bel sorriso, prima di cercare con le dita l’interruttore sulla parete dietro di lei. Spense la luce. Riusciva a vedere i suoi occhi brillare anche al buio. Il suo sorriso, si vedeva anche nella penombra, da quanto riusciva ad essere luminoso ai suoi occhi. «Fai l’amore con me».
Una richiesta. Una preghiera, più che altro, fatta da una ragazza che non credeva quasi in niente. Credeva in lui. Credeva in loro, in quel momento. E una preghiera emessa in un sussurro, che chiunque appena più lontano avrebbe fatto fatica a sentire. Tutti i suoi sentimenti, in quelle poche parole.
Tutti i sentimenti, di entrambi, nel bacio che si scambiarono qualche secondo dopo. Uno di quei baci che parte piano, magari come un semplice bacio a stampo. Ma che poi cambia, un secondo dopo l’altro, trasformandosi in qualcosa di sempre maggiore, di sempre più grande, e più incontrollabile.
Due paia di labbra che si uniscono. Si scontrano. Si cercano. Si inseguono.
Pelle contro pelle, a mano a mano che i vestiti scivolano via. Il giorno contro la notte. La pelle color ambra di lui, contro quella pallidissima di lei. Gli occhi dorati di lui, in quelli argentati di lei. Le braccia tatuate del ragazzo, in contrasto con quelle ancora da scrivere della ragazza.
L’unico rumore, nel silenzio di quella notte di fine estate, erano i loro respiri. I sospiri, gli ansimi, i gemiti. Gli schiocchi dei loro baci. Il rumore delle labbra di Zayn che scendevano lungo il corpo accaldato di Selene, per poi fare la strada a ritroso, fino a tornare sulle sue labbra.
Poi un’occhiata. Uno sguardo più intenso degli altri, se possibile. Una richiesta fatta senza parlare. E una risposta data semplicemente prendendo il viso di lui tra le mani e dandogli un bacio, ad occhi aperti. Occhi negli occhi, ancora una volta. Finché il ragazzo non si sdraiò sulla ragazza, posizionandosi ed entrando in lei con un sospiro. Amandola, e lasciandosi amare.
Finché il Sole non si sdraiò sulla Luna, nascondendola, e incominciarono ad amarsi.
Passarono minuti che sembrarono ore. Passarono ore, che sembrarono giorni. Si amarono tutta la notte, sul tappeto davanti alla grande finestra che dal salotto dava sul giardino dietro casa del moro. Si amarono fino ad esserne stremati. Fino a non riuscire a smettere di sorridere.
Fino a che la luce della luna non si sostituì a quella del sole. L’alba, negli occhi di Selene, e riflessa nelle iridi color cioccolato di Zayn. «Ti amo», gli disse lei, a voce appena più alta di un sussurro, come se dicendolo potesse sembrare ancora più vero. «Però… odio questa situazione», ammise la ragazza dagli occhi grigi baciandogli una spalla nuda.
«Anche io piccola». Anche io ti amo. E anche io odio questa situazione. Le accarezzò un fianco, per poi intrappolare le dita della sua mano tra le sue e stringere appena. Tanto quanto bastava per farle capire tutto. Quanto la amasse. Quanto odiasse non poterla avere davvero, davanti a tutti. «La storia dice che la brillantezza della loro estasi è tale che gli occhi umani non possono guardare l’eclissi, perché potrebbero rimanere accecati da tanto amore». La lasciò una serie di baci dietro un orecchio, senza smettere di stringerla a sé. E la sentì sorridere appena.
«E non c’è modo di… finirla?».
«Per loro, no… per noi, forse». Selene gli sorrise, abbassando poi le palpebre e nascondendo il viso nell’incavo del suo collo, strofinandoci leggermente la punta del naso. Era stanca. Ma di certo non si sarebbe messa a dormire senza conoscere la fine della loro storia. Magari nemmeno sarebbe riuscita, a dormire. «Sicura di volerlo?».
«Sicuro di volere solo me?».
Ma nemmeno fece in tempo a sentire la risposta, che si addormentò tra le braccia del suo amore. Del suo sole. Della persona che più l’aveva amata, in tutta la sua vita. Dell’unico di cui la sua mente avrebbe riservato quell’amore, per sempre.
E passarono due settimane.
C’erano una volta un ragazzo e una ragazza. Si conoscevano da due mesi. Si erano amati dal primo istante. Lei era rimasta folgorata dalla bellezza di lui. Così come lui era diventato dipendente dalla bellezza di lei. Entrambi bellissimi. E simili, eppure così diversi l’uno dall’altra.
Come il giorno e la notte. Come il sole e la luna.
Si erano scoperti, esplorati, amati, quella notte di due settimane prima. E la notte successiva. E quella dopo ancora. E così via. Non riuscivano a smettere di amarsi. Dopotutto, come si fa a smettere di respirare? Se ne morirebbe, giusto?
La ragazza dai riflessi blu notte aveva conosciuto gli altri membri della band. Andava d’accordo con tutti, in particolare con Niall. Ed erano a Londra. Zayn era entrato in quel maledetto ufficio con Perrie diverse ore prima. Ore che parevano giorni. Il tempo sembrava andare al rallentatore, almeno per Selene.
La mora sbuffò, mentre il biondino della band gli passava una tazza di caffè. Le tremavano le mani, da quanto era nervosa, ma la stretta di Niall su una spalla riuscì a tranquillizzarla, più o meno. «E se…». Gli occhi azzurri dell’irlandese erano fissi in quelli di lei, mentre scuoteva la testa. Non c’era bisogno che si mettesse a pensare ai “se” e ai “ma”. Si sarebbe solo complicata la vita più di quanto già non fosse. «Se non dovesse andare bene?».
Louis ridacchiò, passandosi una mano tra i capelli.
«Lo ami, no?».
«Da morire, ma…», sussurrò la ragazza, tirando fuori il primo vero sorriso della giornata. Il castano ricambiò il sorriso, sussurrando un “allora andrà tutto bene”. E le sorrise anche Niall. E Liam, come Harry. «Ma se…?».
Non riuscì a dire altro, che sentirono una porta aprirsi, e uscirne la bionda, con un sorriso forzato quanto finto sulle labbra e il volto tirato. Come fosse in disaccordo con qualcosa. O con qualcuno. Non degnò Selene di uno sguardo, né gli altri ragazzi. Solo, sparì nel primo ascensore libero, mentre la mora si alzava di scatto e correva verso la porta da cui era uscita l’altra.
Sulla porta, si scontrò con un uomo, piuttosto anziano, che le sorrise, prima di voltarsi verso un tavolo per le riunioni, al cui capo era seduto Zayn, un mezzo sorriso ad illuminargli il volto. «La ami?».
«Come il sole ama la luna».
«E tu lo ami?», aggiunse l’uomo tornando a guardare la ragazza, che ormai aveva le lacrime agli occhi dall’impazienza. Lui le mancava così tanto che avrebbe spostato l’uomo di forza e gli sarebbe corsa incontro. Ma quello era un test. Il test decisivo. Quello che avrebbe definito la loro felicità, o la loro sconfitta.
«Come la luna ama il sole», mormorò Selene, lasciandosi scappare una lacrima, e guardando Zayn dritto negli occhi, a pochi metri da lei. L’uomo si limitò ad annuire, sorpassando la ragazza con un sorriso e sparendo anche lui verso gli ascensori. Sparendo momentaneamente dalle loro vite. Lasciando così che lei corresse verso di lui. Facendo scontrare le loro labbra. E i loro cuori. «Hai idea di quanto ti ami?».
«Almeno la metà di quanto lo faccia io, piccola».
Credete nelle leggende? E nelle favole? Nei racconti?
E nel destino? Credete nell’amore a prima vista?
Io sì. Credo in tutto questo.
Credo che esista l’anima gemella per ognuno di noi. Credo che in sette miliardi di persone che siamo al mondo, ci sia la persona che ci capisce con uno sguardo, che riesce a farci mancare il respiro, che ci fa accelerare a dismisura i battiti del cuore. Anima gemella, se volete. Amore a prima vista, magari. O magari no.
Magari conosceremo una persona, e ci metteremo anni prima di capire che quella è la nostra luna. Magari lo capiremo con uno sguardo, con un bacio, con una parola. O magari non lo capiremo mai. Io… so solo che chiunque merita di trovare la propria luna. Che essa compaia come per magia sotto una quercia, in piena estate, o che ci venga addosso scivolando su una lastra di ghiaccio in pieno inverno.
Non importa come. E non importa quando.
Cercatela. Trovatela.
E amatela.


 

se siete arrivati qui, meritate la mia stima.
sono più di novemila parole, e sinceramente nemmeno so da dove mi siano uscite, ma okay.
ho preso spunto da una leggenda. un racconto. una favola. chiamatelo come volete.
e, chissà come, mi è venuto in mente Zayn.
e il rapporto che io ho con lui. un rapporto a senso unico.
che esiste solo nella mia mente, in fondo. ci credo solo io, dato che lui non sa che esisto.
comunque, mi sono ritrovata a pensare che io una Luna ce l'ho già, certo.
ma lui, Zayn... lui è il mio Sole.
e niente, spero che il delirio di una sognatrice vi sia piaciuto.
in caso contrario, potete benissimo lasciare una recensione critica, me ne farò una ragione.
e niente, alla prossima. al prossimo delirio.
- emotjon.

 

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