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Autore: jamesguitar    15/03/2014    3 recensioni
'Un per sempre è come prendere la luna per me, Brad.'
'E allora riuscirò a prenderti la luna.'
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bradley Simpson, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter 2.


Noah scriveva sul suo diario frenetica, più veloce di quanto credesse di poter andare.
La sua mano correva libera sul foglio, dando sfogo ai suoi sentimenti più contrastanti, che infuriavano dentro di lei come una tempesta, e che potevano essere espressi solo su carta.

Londra, 14/11/13
Caro nonno,
Mi sembra strano parlarti di una cosa del genere, dato che sei mio nonno. Da quando te ne sei andato questo diario è un po’ indirizzato a te, no?
Oggi ho conosciuto un ragazzo. Un ragazzo fantastico. Bradley, si chiama Bradley. E c’è qualcosa di lui che mi attrae, che mi fa desiderare che sia con me in ogni momento.
Ma poi penso alla mia malattia, che mi spinge in basso ogni secondo, e che rischia di rovinare tutto, come sempre.
Come vorrei cambiare le cose, fare in modo di guarire all’istante, di poter vivere la mia vita come voglio, PER QUANTO voglio.
Io non ho mai creduto nel destino, lo sai. Beh, questa è la coincidenza più bella e allo stesso tempo brutta che mi sia capitata.


Noah smise di scrivere, appoggiando la penna alla scrivania. Si alzò, con cautela, perché poco prima, correndo come una furia, si era stancata troppo.
Bradley non le aveva nemmeno chiesto il numero, e un po’ le dispiaceva.
Diciamo che una telefonata da parte sue non le sarebbe dispiaciuta affatto.
Eppure sapeva che era meglio così, che passare del tempo insieme avrebbe fatto male ad entrambi, prima o poi.
Anche se infine, tra di loro non c’era nulla, no?
La ragazza fissava il soffitto, due mani appoggiate al petto, a sentire il cuore accelerare, battere più forte, come se si affrettasse a raggiungere quello di Bradley.
Ma non ci sarebbe mai arrivato, lo sapeva. Arrivava così poco sangue che, per pomparne un po’, il suo cuore si sforzava terribilmente.
O almeno, il sangue arrivava. Ma non era quello ‘giusto’, ecco.
Quando i suoi genitori le chiedevano come si sentiva, Noah aveva voglia di ucciderli sul posto. Come poteva stare, secondo loro? Bene? No. Lei non sarebbe mai stata bene.
Noah chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi, e immaginò il volto di Bradley. In una frazione di secondo abbandonò la sua espressione triste, e aprì il volto in qualcosa che si potrebbe chiamare sorriso.
Era strano, ma quel ragazzo riusciva a sconvolgere tutti i suoi piani, a mandarla in confusione.
Rimase stesa per un po’, cercando di recuperare le energie che aveva perso quel giorno.
Non si riusciva a trovare un donatore compatibile, era quello che dicevano i medici.
La vita di Noah sarebbe stata più breve di quanto avrebbe mai voluto.
Prese il suo amato diario, e sfogliò le pagine con foga, cercando i tempi in cui stava bene, in cui non c’era nessun terrore della morte ad assalirla continuamente.
Dopo qualche minuto di confusione, trovò quella pagine. Quella dannata pagina.

Londra, 04/09/2005
Caro nonno,
Ti scrivo perché sono un po’ agitata, ultimamente.
Svengo spesso, e ho un po’ paura. Credo che la mamma abbia paura quanto me. Dice che se sverrò di nuovo ci toccherà andare all’ospedale.
Io non voglio. Quel posto mi fa paura, da quando sei morto tu. E se morissi anche io? Non ha senso, no?
In ogni caso, spero che vada tutto bene, ma ne dubito.


Noah smise di leggere, con le lacrime agli occhi. Perché doveva essere tutto così difficile? Perché era capitato tutto a lei?
Leggere quelle pagine le faceva male, e tanto. Ma le leggeva comunque, forse per autocommiserarsi. Non lo sapeva.
Noah chiuse gli occhi, abbandonandosi al sonno.
Almeno in quei momenti, riusciva a dimenticare ogni cosa.
In quelle ore Noah sognò Bradley, ma, probabilmente, non lo seppe mai.


La settimana seguente passò abbastanza in fretta. Noah continuava a non fare niente, a scrivere le sue fan fiction, e a dormire.
Uscire era fuori discussione, secondo sua madre, perché sprecare energie era inutile. Noah avrebbe voluto protestare, ma, in fin dei conti, non aveva nessun amico con cui uscire.
I suoi libri e le sue storie erano una specie di rifugio, la aiutavano a sentirsi se stessa. E così il suo pianoforte, che la ascoltava, senza parlare. La musica era un ottimo mezzo di comunicazione.
Quando arrivò il giorno della lezione di piano, Noah era decisamente più impaziente dell’ultima vola.
Fremeva all’idea di rincontrare Brad, di avere gli spartiti che bramava. 
Doveva imparare a non pensare a lui in quel modo, perché in fin dei conti, provare qualcosa l’uno per l’altro avrebbe solo portato dolore.
Stavolta la ragazza si preparò con cura, vestendosi più carina che poté, e spazzolando bene i suoi capelli, che odiava, per via del colore castano, così banale, e della loro consistenza. Erano sottilissimi, e bastavano un paio di giorni per renderli terribili.
Una volta pronta, scese di sotto, trovando sua madre, in procinto di salire per le scale.
Quando vide la figlia, in anticipo di dieci minuti, sgranò gli occhi.
“Che ti prende, Noah?” chiede, un po’ incuriosita. “Non mi sembravi tanto entusiasta di seguire questi corsi, quando ti ho iscritta”
“Andiamo e basta, mamma.”
Non le andava di spiegarle in suoi tormenti interiori, e di certo parlare del suo inspiegabile desiderio di vedere Bradley Will Simpson, il ragazzo che si era presentato tanto gentilmente, con gli zigomi tondi, gli occhi castani e dei capelli fantastici a incorniciargli il viso, avrebbe comportato questo.
La madre sospirò ed annuì, avviandosi verso la porta.
Faceva freddo, come sempre, e Noah si affrettò a raggiungere la toyota azzurra della madre, rifugiandosi dentro di essa.
Odiava il freddo, e Londra ne era piena. Altra ottima ragione da aggiungere alla lista delle motivazioni per non uscire.
La ragazza appoggiò il gomito al finestrino, cercando di calmare il suo cuore, accelerato all’improvviso.
Stava per rivedere Bradley, quel ragazzo così strano, ma allo stesso tempo affascinante, e non aveva idea di cosa gli avrebbe detto.
Non poteva uscirsene semplicemente con un ‘Hey, ciao. Mi daresti gli spartiti?’
Sarebbe stato poco carino, e lei non voleva apparire scortese.
Anzi, voleva apparire affascinante almeno quanto lui.
Noah scosse la testa, scacciando per l’ennesima volta quei pensieri. 
Comunque, sarebbe stata una causa persa.
“Ho controllato le mail.” Disse Dorothea, spezzando il silenzio. “Non mi hanno mandato niente. Si saranno dimenticati.”
Noah ripensò al tono sicuro di Brad, quando le aveva dato quell’informazione.
Strano.
“Vabbe, speriamo che oggi ci sia lezione. Altrimenti sarebbe altro tempo perso.”
La madre ammiccò, guardandola di sottecchi.
“Beh, da come guardavi quel ragazzino, non sembrava affatto tempo perso.”
Noah alzò gli occhi al cielo, cercando di non arrossire. Purtroppo, fu inevitabile.
“Smettila. Sai che morirò.”
Il viso di sua mare perse ogni accenno di sorriso, e sterzò bruscamente, facendo reggere la figlia alla portiera. 
“Mamma!” urlò, spaventata a morte.
“Non dirlo.” Sibilò Dorothea, stringendo il volante così forte da avere le nocche bianche.
“Cosa?”
“Che morirai.” Le parole della madre erano strozzate dalle lacrime, e per un secondo Noah si sentì in colpa.
Ma poi la rabbia si impadronì di lei, quasi contro a sua volontà.
“è la verità, okay? Io morirò. E presto, anche. Non ci sono donatori compatibili, e lo sai benissimo. Non fare le scenate da mammina preoccupata, perché credimi, io sto peggio di quanto pensi quando fai così.”
Dorothea aveva gli occhi pieni di lacrime, e non rispose.
La figlia si abbandonò sul sedile, e una lacrima le percorse il viso. Sperava che sua madre non lo notasse, ma, anche se lo fece, non lo diede a vedere, fissando la strada davanti a sé.
Quando la macchina si fermò davanti al grande edificio, Noah si affrettò a scendere, sbattendosi la porta alle spalle, e la madre partì a tutta velocità, lasciandola sola.
Con un sospiro, la ragazza salì i gradini del palazzo. Una volta davanti al portone, provò a spingere, senza successo. Aveva perso troppe energie, e non aveva abbastanza forza per spostare la porta, pesantissima.
La lacrima di precedente tristezza si trasformò in un pianto frustrato, e la ragazza appoggiò il braccio al legno antico, senza sapere cosa fare, nel panico.
Era un completo disastro.
“Ehi.”
Una voce la costrinse a girarsi di scatto, sorpresa.
Bradley era di fronte a lei, con le mani in tasca, e un sorriso comprensivo.
“Stai bene?”
La ragazza non poté evitare di guardare i suoi zigomi, perfetti come li ricordava dalla settimana prima. Pensava di esserseli immaginati, ed invece erano davvero come pensava.
Noah si asciugò gli occhi, e del trucco nero le sporcò il dorso della mano.
Fantastico. Pensò. Ora sono ancora più orrenda.
“Si, tutto a posto.”
Nonostante le sue parole, continuava a singhiozzare, senza fermarsi. Non ci riusciva.
Bradley si avvicinò, passandole un braccio intorno alla spalla.
“No” disse. “Non stai bene. Entriamo in teatro, così mi spiegherai che ti prende, okay?”
“è questo il punto” ribadì Noah, le guance tinte di un rosso acceso. “Non riesco ad aprire la porta. Non ho le forze.”
Il ragazzo tacque, facendo un mezzo sorrisetto, e prendendole la mano.
“Invece si.”
Noah sgranò gli occhi, abbastanza sorpresa.
“Cosa?”
“Hai le forze. Basta non avere paura.”
“Paura di una porta?”
“No, Noah.” La sua voce era rigida, ma allo stesso tempo dolce, come solo lui poteva essere. “Paura di vivere la vita.”
“Scusa, non ti seguo”
Il ragazzo rise, accarezzando la mano di lei, facendola rabbrividire.
“In un certo senso, tu credi che la tua malattia ti impedisca di fare le cose. È un fatto psicologico, secondo me. Puoi farcela.”
Noah alzò un sopracciglio, decisamente sbalordita dalle sue parole. Ma in un certo senso, era bello sapere che c’era qualcuno che credeva in lei per davvero.
Si girò, la mano sul portone antico, tirando un forte respiro.
“Senza paura?” le chiese Brad, stranamente vicino.
Noah non si era accorta delle sue labbra sul suo lobo, e sussultò.
“Senza paura.”
La ragazza spinse il portone con tutte le forze che aveva, ed esso si aprì. Sentì una leggera spinta da parte del ragazzo, ma cercò di non farci caso.
Ce l’aveva fatta.
Si girò verso Brad, raggiante, dimenticando la sua vicinanza. Si ritrovò a pochi millimetri delle sue labbra, con il fiato mozzato.
Egli sorrise, e passò una mano fra i capelli che la ragazza aveva pettinato con tanta cura.
“Mi piaci di più spettinata, lo sai?”
Le sue parole rimasero sospese nell’aria, quasi trattenute da un filo, e la ragazza non rispose. Si limitò ad ammirare Bradley, che appariva ancora più perfetto, a questa distanza.
In seguito, Noah si allontanò, arrossendo.
Il suo gesto fece abbassare lo sguardo al ragazzo, che ammiccò.
“Allora” sbottò Noah, rivolta a Bradley. “I miei spartiti dove sono?”
Il ragazzo rise divertito, passandosi una mano fra i ricci castani.
“Vieni, te li do subito.”
Avanzò nel teatro, e lei lo seguì. Bradley camminava con una certa lentezza, assicurandosi che lei potesse reggere il suo passo.
Senza farsi vedere, Noah sorrise, grata che finalmente qualcuno prestasse attenzione a queste cose.
Perfino sua madre era solita camminare di fretta, lasciandola indietro.
Ancora una volta, non c’era nessun maestro di piano, e Noah sbuffò, un po’ irritata.
“Io dovrei fare pianoforte, sai?”
Il ragazzo non si voltò, e anzi, le prese la mano, camminando un po’ più velocemente, e trascinandola con sé.
“Sam è malato. Mi ha chiesto di dirtelo.”
Noah alzò gli occhi al cielo, sospirando. Questa storia non le andava a genio, per niente. Sentiva che c’era qualcosa che non andava.
“Quando potrò avere il numero di questo ‘Sam’?”
Brad storse il naso, e girò bruscamente a sinistra, entrando in una stanza che Noah non aveva notato, quando era stata lì la prima volta.
Doveva essere lì che si trovava Brad, quando era entrata.
Il ragazzo lasciò il suo polso, e si incamminò nella stanza a passo veloce, frugando in qualche scatola.
Noah si guardò intorno, ammirando quel posto. C’era un pianoforte nel mezzo, decisamente più piccolo di quello sul palco, ma molto più… accogliente, se così si poteva definire.
Accatastate ai muri c’erano delle librerie di legno grezzo, piene di quaderni ad anelli e fogli, probabilmente pieni di brani.
Una sola libreria era dedicata ad i libri, e Noah ci si avvicinò, sfiorandone il dorso con le dita.
“Erano di mia madre, quelli”
Noah non aveva notato che Bradley aveva smesso di rovistare, e che si era avvicinato a lei, arrivandole accanto.
Allontanò di scatto la mano, arrossendo.
“Erano?”
“è morta due anni fa” rispose. “cancro al cervello.”
La sua voce non era incrinata, il ragazzo non sembrava triste. Un po’ nostalgico, ma rassegnato.
“Oh.” Disse Noah, un po’ in imbarazzo. “Mi dispiace tanto.”
Bradley scosse la testa, cingendole la vita con un braccio. Quell’improvvisa vicinanza paralizzò la ragazza, che era in procinto di dire qualcosa.
“Non ha senso scusarsi per cose di cui non si ha colpa.” Disse Brad, fissando un volume nella libreria. “è un’abitudine idiota di questo patetico mondo.”
Noah sospirò, allontanandosi la lui, cercando di tornare stabile.
“Perché i suoi libri sono qui, scusa?”
“Passo praticamente tutto il mio tempo qui, perciò ho portato un po’ di roba in questo posto. A Sam non dispiace, visto che è stato amico di mia madre, un tempo. Il teatro è di mio padre.”
Noah annuì, continuando a guardarsi intorno. Adorava quel posto, pieno di magia, in fondo. La musica e i libri mischiati insieme erano una combinazione stupenda, a cui non poteva resistere.
“Puoi prendere un libro, se vuoi.” Disse Brad, per rompere il silenzio.
“Oh, no… non credo sia il caso.” Replicò Noah, arrossendo di colpo.
“E perché, scusa?”
La ragazza non rispose, e lui prese un libro abbastanza vecchio da uno scaffale. Ci soffiò sopra, liberandolo dalla polvere all’esterno.
Noah guardò la copertina, curiosa.
“l’ultima canzone” lesse. “Mai sentito. Tu lo hai letto?”
“No, ma era il preferito di mia madre. Lo avrà letto milioni di volte.”
Noah lo prese in mano, un po’ titubante.
Privare Bradley di un oggetto del genere la faceva sentire in colpa, ma rifiutarlo sembrava un’offesa a sua madre.
“Grazie mille. Te lo restituirò al più presto.”
“Figurati, puoi tenerlo. Io non me ne faccio niente.”
Noah sgranò gli occhi, e strinse il libro al petto.
“Beh, allora lo farò sentire a casa, okay?”
Bradley scoppiò a ridere, e si passò per l’ennesima volta una mano fra i capelli.
“Va bene.”
Rimasero in silenzio per un po’, a fissarsi a vicenda, finché Bradley non si schiarì la voce, voltandosi, e camminando verso uno degli scatoloni.
“Ho gli spartiti, comunque.” Disse, prendendo un paio di fogli, e porgendoli a Noah.
Ella li guardò stranita, e un po’ confusa. Erano scritti a mano.
“Perché sono scritti a matita?”
Bradley esitò un secondo, ma Noah quasi non se ne accorse.
“Mi piace copiare gli spartiti. È come se prendessero vita una seconda volta.”
Noah li osservò, con un sorrisetto. Avrebbe avuto un pezzo di Brad con sè pe sempre.
O almeno, per il tempo che la sua miserabile malattia le offriva.
“Se erano qui, perché non me li hai dati ieri?”
Brad fece un sorrisetto, mordendosi il labbro inferiore.
“Se devo essere sincero, avevo paura che non saresti più tornata.”
Noah alzò gli occhi di scatto, incontrando i suoi, marroni come il cioccolato.
“Mossa intelligente, ragazzo.”
Noah appoggiò gli spartiti al pianoforte, promettendo a se stessa di non dimenticarli.
“Lo so, cara.”
Bradley le si avvicinò di colpo, inaspettatamente, appoggiandole le mani sulle goti.
Erano calde, più di quanto avrebbe immaginato.
“Penso a te da una settimana intera, sai?” sussurrò, facendo fremere lei, senza una risposta. “E muoio dalla voglia di baciarti.”
Queste sue parole improvvise la scossero, la colpirono come un pugno in pieno viso. Non se le aspettava.
Noah riusciva a sentire il suo respiro caldo, il battito del suo cuore sotto alla maglietta bianca, il sudore sulla sua nuca gocciolare.
Il cuore batteva forte anche a lei, impedendole di pensare a qualcosa che non fosse il desiderio verso quel ragazzo, tanto sconosciuto quanto irresistibile.
Sapeva che stare con lui era sbagliato, ma una parte di lei non voleva accettarlo.
Rimase in silenzio ancora una volta, aspettando che lui agisse.
Ma non lo fece.
Si allontanò, abbastanza imbarazzato.
“Scusa.” Disse. “Non avrei dovuto dirtelo così.”
Lei rimase immobile, e si rese conto solo in quel momento si essere rigida come un pezzo di legno.
Non parlarono per qualche secondo, e lui indietreggiò, appoggiandosi al pianoforte, fissandola.
Noah si sentì arrossire, ma non seppe come altro reagire.
“Anche io ti ho pensato.” Confessò infine la ragazza, con un coraggio che non credeva di possedere.
Lui sgranò leggermente gli occhi, incrociando le braccia al petto, con un accenno di sorriso sul volto.
“Capisco.”
Non parlarono per un altro po’, finché Noah non si decise a dire le parole che aveva sempre pensato, che frullavano nella sua testa da quando lo aveva visto la prima volta.
“Ma io non voglio che tu soffra, Brad.” Precisò, con una fitta al petto. “Morirò presto. E a quel punto la tua spavalderia crollerà, lasciando il posto ad un cuore spezzato. Io non voglio questo.”
Quelle parole erano state sulla punta della sua lingua in ogni momento, ed era sorpresa di essere riuscita a pronunciarle.
Bradley teneva lo sguardo fisso a terra, e il sorriso precedentemente soddisfatto si era trasformato in amaro, mentre giocherellava con il tappeto, stuzzicandolo con la scarpa da ginnastica.
I suoi occhi erano vacui, e, per la prima volta da quando Noah lo conosceva, tristi.
“Capisco anche questo.” Disse. “ma accettarlo è un’altra cosa.”
Noah si sentiva sempre più a disagio, e abbassò lo sguardo. Non sapeva più cosa dirgli.
“Continua a prevalere il fatto che hai paura di vivere, lo sai?” disse Brad, rialzando gli occhi, e cercando  suoi, che però erano rivolti verso il basso.
“No. È paura di ferirti, stavolta.”
“Guardami.”
Noah incontrò i suoi occhi marroni, e il suo cuore perse un battito.
Questa sua paura, che la assaliva ogni volta che incontrava una persona, sembrava non essere compresa da lui, nonostante avesse detto il contrario.
Ed era strano, perché ogni volta che incontrava qualcuno scappava, concordava con lei, pensava che non frequentarsi sarebbe stato meglio.
Bradley era così diverso, così strano. Noah lo aveva capito dalla prima volta che lo aveva incontrato.
“Hai paura di vivere per davvero, Noah.” Sussurrò il ragazzo. Si avvicinò di nuovo a lei, abbastanza lentamente, e le prese il viso fra le mani. “Non sei stanca di vivere nella tua teca di vetro? Non vuoi goderti la vita che ti resta?”
Le lacrime iniziarono a scorrere sul viso di lei, offuscandole la vista.
Lo strattonò, nonostante il cuore le imponesse di fare il contrario.
“Tu nemmeno mi conosci! Non hai idea di quello che mi succede! Non puoi sapere come vivo!” urlò, fuori di sé.
Era forse la prima volta che lei si sfogava con lui, che si apriva, mostrando tutto il dolore che la sua malattia comportava.
“E invece si. Lo ho visto nei tuoi occhi.”
Noah gli voltò le spalle, uscendo dalla stanza. Era furiosa con lui, per il fatto che fosse così dannatamente perfetto, che riuscisse sempre a capirla, che rendesse tutto difficile.
Aprì la porta, stavolta senza difficoltà.
Non pensò nemmeno alla forza che sarebbe servita.
Se ne andò, decisa a tornare a casa, non curante dell’energia che avrebbe sprecato.
Avrebbe anche potuto svenire per strada, non le interessava.
Gli spartiti che Noah aveva bramato così tanto, e che, secondo lei, erano la ragione che la aveva spinta a rincontrare Brad… rimasero sul pianoforte, perfettamente in ordine, e nemmeno se ne accorse.
Evidentemente, non erano ciò che desiderava davvero.


 
#ANGOLOAUTRICE
Okay, non sono morta ahaha
Ci ho messo un po' a scrivere questo capitolo perchè ci tenevo particolarmente, ed ho avuto molti impegni, quindi non ho voluto scriverlo a cavolo, ho aspettato di avere un po' di calma.
Vi piace la piega che sta prendendo la storia?
Brad è troppo dolcioso secondo me, ma vabbe sta a voi commentare ahaha
Vi avverto che dovrete aspettare un po' per il capitolo 3, perchè fra poco alla mia scuola c'è una simulazione degli esami, e devo studiare :/
Vabbe, spero che questo capitolo vi piaccia!
Alla prossima,
Tribute92

PS. Ditemi in bocca al lupo! ahaha
  
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